Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: BohemianScaramouche    23/10/2012    3 recensioni
“Allora? Come è iniziato tutto?”
“Vuoi sapere tutta la storia?” le chiedo, prendendo un altro sorso di tè.
Annuisce violentemente, a momenti ho paura che le si stacchi la testa.
Mi mordo le labbra. Raccontarle proprio tutto? Ma sì, infondo è grande ormai…
“Tutto iniziò nell’agosto del 1958, quando mi trasferii a Liverpool dalla mia città natale di Southport…”
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SCHOOL DAYS








Il penetrante rumore  della sveglia infranse completamente il mio sonno. Ma non importava. Ero ben decisa ad ignorarlo e continuare a dormire.
Un altro fastidioso ‘drin’. Mi sembrava che mi stessero trapanando il timpano. Magari se l’avessi spenta e avessi dormito un altro pochino, nessuno se ne sarebbe accorto…
Feci per allungare la mano e spegnere la sveglia, quando papà entro in stanza, tutto eccitato.
-Detto, fatto!- pensai sarcastica.
“Jo! Cosa ci fai ancora fra le coperte? Presto, oggi è il tuo primo giorno di scuola! Ti devi alzare, vestire, farti bella e…”
Mio papà stava decisamente sclerando. Anche per lui era il primo giorno di scuola, ma lui ci andava ad insegnare letteratura inglese, il che era forse peggio che andarvi come alunno. Stranamente lui trovava questa cosa elettrizzante.
Ma, mentre mio padre era tutto esaltato, io ero ben decisa a nascondermi da qualche parte e a marinare la scuola. I primi giorni sono orrendi. Conoscere tanta gente nuova, le presentazioni, il nuovo ambiente… a dire la verità mi mettevano un po’ d’ansia. Ansia, non paura eh. No, non era paura. O forse sì? In ogni caso non lo avrei mai ammesso, neanche a me stessa, come si è soliti dire.
“Cinque minuti, ancora… cinque minuti” provai a controbattere, ma naturalmente ‘qualcuno’ aveva da ridire.
“No, piccola mia, non ti permetterò di fare tardi il tuo primo giorno di scuola!” mi disse infatti papà, prima di togliermi tutte le coperte di dosso.
“Nooooo… freeeeeddo” mugolai, tentando di proteggermi dall’improvviso cambio di temperatura con il cuscino.
“Forza! Alzati!”
“MAI!”
“Allora mi costringi ad usare le maniere forti…” proferì con una voce inquietante.
“Che maniere fort… EHI!”
A mio padre era venuta in mente la brillante idea di prendermi per i piedi e di tirarmi letteralmente giù dal letto. Alla fine mi ritrovai con la testa sul letto, il culo a terra e i piedi fra le grinfie di mio padre. Dal momento che nella mia quasi caduta mi ero aggrappata appena in tempo al coprimaterasso, il materasso era quasi del tutto in bella vista.
Cercai a fatica di riposizionarmi sul mio giaciglio, ma quel buzzurro che mi ritrovavo per padre iniziò a farmi il solletico. Scena finale: me stesa sul pavimento a contorcermi dal ridere e papà che sogghignava  in modo sadico e che mi torturava le piante dei piedi.
“No… ti prego… smettila…” tentai di dire fra una risata e l’altra.
“Niente da fare!” pronunciò ridendo a sua volta, anche se il suo riso era dovuto al piacere sadico che provava a darmi noia.
“Okay,okay… basta mi arrendo…”
“Come scusa?” fece mio padre, facendo finta di non sentire.
“MI ARRENDO!”
Appena pronunciate quelle due magiche paroline, papà mi lasciò andare i piedi e potei finalmente riprendermi.
“Forza, va’ a prepararti!” mi incitò, con ancora il riso sulle labbra.
“Corro!” dissi, filando a prepararmi.
In cinque minuti avevo già divorato il mio pane tostato con burro e marmellata (tanto quelle calorie le avrei bruciate tutte, con l’ansia che mi ritrovavo) e bevuto il caffellatte; in seguito corsi in bagno dove provvidi alla mia igiene e mi cambiai. Indossai per la prima volta la mia nuova divisa scolastica: una gonna scozzese blu, una camicia gialla a mezze maniche, un cardigan blu navy con lo stemma della scuola, calzini scuri e scarpe scure.
Non era troppo brutta, anche se si sarebbero potuti risparmiare quella camicia gialla. Ma in realtà, nonostante il mio fisico alto e slanciato, sembrava che l’uniforme fosse attaccata ad una gruccia. Non me la presi troppo a male però: in fondo le tenute scolastiche stanno male a tutti.
Lasciai i capelli sciolti, pettinati alla bell’e meglio. Non avevo voglia di acconciarmeli, ero troppo nervosa. Non volevo neanche truccarmi se era per questo. Purtroppo, appena uscita dal bagno, incrociai Susan, la quale probabilmente stava aspettando il proprio turno per la toeletta. Sperai di uscire da questo scontro indenne, ma sfortunatamente non fu così.
 “Rientra immediatamente in bagno. Non puoi andare al tuo primo giorno di scuola ridotta in questo modo” mi disse infatti.
“Suvvia Susan, ho la divisa della scuola addosso. Lo so che mi sta da cani, ma mica posso vestirmi diversamente…” provai a dire mentre cercavo, senza successo, di superarla.
“Non è per il vestiario. Anzi, l’uniforme ti sta stranamente a pennello. Sono i capelli. La tua faccia struccata. Tutto ciò è orribile” mi spiegò con la delicatezza di un rinoceronte bianco in un negozio di cristalli.
Poi, prima che potessi protestare, mi ributtò in bagno e, chiudendocisi dentro insieme a me, disse: “Non ti preoccupare, ci penso io”
-Bene, come minimo arriverò a scuola alle dieci di sera- pensai, rassegnata.
Pur essendo tremendamente bigotta, Sue aveva un’adorazione malata per il trucco, le acconciature e i bei vestiti, indi per cui molte, moltissime, troppe volte, ero stata usata come cavia per i suoi esperimenti estetici, vestita e svestita come se fossi stata una bambola e truccata come se fossi stata una maschera.
La dura vita delle sorelle minori.
Per prima cosa mi ispezionò i capelli.
“Be’, così lisci non te li posso lasciare, ma d’altra parte non c’è tempo di arricciarli…” la sentii borbottare, mentre prendeva varie ciocche e le analizzava. 
Per quanto riguarda il trucco, a lei le sarebbe piaciuto impiastricciarmi tutta la faccia con fondotinta,  fard, rossetto, eyeliner, mascara, ombretto  e chi più ne ha più ne metta! Naturalmente mi opposi: la mia carnagione lattea era senza imperfezioni e i miei occhi erano già fin troppo appariscenti, non era necessario
l’ausilio del trucco per renderli vistosi.
Dopo che ebbe finito di truccarmi e di pettinarmi, mi diedi una breve occhiata allo specchio.
Fortunatamente mia sorella non aveva esagerato: sui miei zigomi non troppo definiti aveva messo un po’ di fard rosato, mentre sulle mie labbra lievemente carnose c’era un briciolo di rossetto, non troppo evidente, grazie a Giove. Sotto le mie sopracciglia folte ma ben disegnate, i miei grandi occhi color non-ti-scordar-di-me erano abbelliti con un bel po’ di mascara che scuriva ciglia già lunghe. Niente eyeliner, per fortuna. I miei capelli castani scuri, quasi neri, essendo troppo lisci, erano stati legati in una coda alta per mezzo di un fluttuante nastro bianco.
Beh, non male.
Borbottai un grazie e uscii di corsa dal bagno, in modo tale da sfuggire alle grinfie di mia sorella che pensava che ci fosse il bisogno di qualche altra ritoccatina qua e là.
Sicura del mio ritardo, corsi in camera, presi la borsa con i libri e mi fiondai fuori casa gridando un saluto alla mia famiglia. Un ‘In bocca al lupo’ giunse invece alle mie orecchie mentre inforcavo la bicicletta per dirigermi a scuola.
Diedi un rapido sguardo a Mendips, la casa dove abitavano Mimi la Perfida, Michael Sono-Un-Bravo-Ragazzo e John lo Stronzo. Nessuno in vista. Potevo andare.
Spingendo sui pedali, mi diressi verso Speke Road, dove era situata la mia scuola.

Non mi fu difficile trovarla: quel dannato istituto era enorme. O meglio, erano più edifici enormi.  
Bene, come minimo avrei speso la prima settimana di scuola a cercare invano l’aula.
Odiavo papà con tutto il cuore. Una scuola religiosa, enorme, piena di bigotti… un incubo. Tornata a casa avrei ucciso mio padre. Questo era poco ma sicuro.
L’unica cosa positiva della scuola era che, essendo a due passi da Woolton Wood, aveva un cortile ricco di alberi.
Mi guardai attorno e vidi, con mio grande stupore, che molte studentesse (la mia era una scuola femminile) erano ancora nel cortile, e chiacchieravano fra loro senza fretta. Diedi un attimo un’occhiata al mio orologio: ero arrivata addirittura un quarto d’ora prima del suono della campanella. E io che pensavo di essere estremamente in ritardo!
-Ma vaffanculo, va’!- pensai, imprecando contro non so chi.
Riflettei un attimo: la prima cosa da fare era trovare la segreteria, dove mi avrebbero dato la cartina della scuola e il programma delle mie lezioni.
Qui però sorgeva il primo problema della giornata: dove cazzo stava la segreteria?
Mi guardai attorno, sperando di trovare una targa su cui ci fosse indicato a caratteri cubitali il nome del luogo che stavo cercando, ma non c’era niente, neanche un fottutissimo indizio.
Non avendo voglia di cercare a vuoto, decisi che la cosa più saggia da fare fosse chiedere a qualcuno.
Mi diressi verso un gruppo di ragazzette che dovevano avere più o meno la mia età. Erano tutte belle pimpanti già ad inizio giornata, alcune di loro non indossavano neanche il blazer/pullover/cardigan scuro della divisa, nonostante quella fosse una mattinata piuttosto fresca. Tutto il contrario della sottoscritta, insomma:  avevo un’aria da zombie e un freddo tale che, se avessi potuto, avrei messo altri due maglioni oltre al golf che già portavo.
Mi avvicinai cautamente, un po’ intimorita da quella massa enorme di chiacchiere che usciva dalle loro bocche e che rimbombava nella mia testa come un eco. Tuttavia, dopo aver preso un bel respiro, le interruppi.
“Scusate…”
Non appena pronunciai ciò, il gruppetto si zittì e iniziò a scrutarmi, curioso.
L’ho già detto che odio essere fissata?
“Ehm…” iniziai, con una po’ di incertezza “Sono nuova e non so dove è la segreteria, potreste dirmi come devo fare per raggiungerla?” chiesi, cercando con vani tentativi di darmi un tono sicuro.
Le ragazze si guardarono fra loro ghignando malefiche.
Questo non preannunciava niente di buono…
“Aspetta un attimo” mi fece una di loro, una ragazzetta dai capelli rossicci e il viso pieno di lentiggini.
“Faith! Faith Johnson, qui c’è bisogno del tuo aiuto!” chiamarono le ragazze.
Un po’ più in là si girò una ragazza, che si diresse verso di noi.
“Che succede?” chiese, appena si fu avvicinata.
“Una povera pecorella smarrita ha bisogno del tuo aiuto. Vai ad aiutarla, Faith” le dissero, come avrebbero potuto dire ad un supereroe di recuperare il gatto che non voleva scendere dall’albero.
“E chi sarebbe questa anima sperduta?” chiese, spalancando gli occhi decisamente chiari e decisamente a palla.
Okay, ne avevo già abbastanza di quelle parole da oratorio.               
“Io” risposi, piuttosto seccata.
Mi lanciò un’occhiata compassionevole, mentre sulle labbra iniziò ad ostentare un sorriso comprensivo, che scopriva lievemente la bocca cavallina. Il mio sguardo cadde sulla sua collana, sfoggiata sopra la cravatta scura della divisa. Il ciondolo argentato aveva la forma di crocifisso, ed era tempestato da piccoli pezzi di vetro colorati che dovevano probabilmente interpretare il ruolo di gemme preziose.
Oddio. Quella era una fanatica. Come avevo fatto a non capirlo prima? Neanche a farlo apposta, il suo nome significava “fede”.
Merda.
“Come ti chiami, cara?” mi chiese con una voce dolce, da diabete.
“Joanna Page” le risposi secca, non volendo perdermi in stupide chiacchiere.
- Ma che cazzo te ne frega di come mi chiamo?! Domandami di cosa ho bisogno, dammi una risposta e abbandonami a me stessa! -
“JOANNA! Ma che bel nome, cara! Se non sbaglio significa ‘dono del Signore’. E’ veramente un bel nome da portare… Il Signore ci ha dato davvero un bel dono! Rendiamogli grazia!” disse, iniziando ad alzare la voce, forse per far capire a tutti quanto era caritatevole e colta e credente.
- Ma dico! Neanche un prete dice queste cose al di fuori delle funzioni religiose! Lo sapevo io che era una fanatica. E poi da dove l’ha tirato fuori il significato del mio nome? Eh? Che ha, un dizionario in testa?- pensai, rabbiosa. Più parlava e più avevo voglia di riempirla di calci negli stinchi.
Le ragazze, accanto a noi, si stavano sganasciando dalle risate. Tuttavia la nostra santissima Faith sembrava non sentirle.
“Io comunque sono Faith Johnson e mi occuperò di te e del tuo problema… Ti aiuterò a superare le tue difficoltà, ti…” iniziò a dire, come se fosse stata  di fronte ad un malato terminale.
-Allah, Buddha, Giove, Satana, Superman, anche tu Dio (se ci sei), aiutatemi!- pensai, disperata.
Niente. Faith Johnson continuava a parlare, imperturbabile. Non la finiva più.
-Vi prego, vi prego, vi preeeeeego!- pregai, rivolgendomi ad ogni santo, divinità, supereroe ed entità maligna di questo mondo.
“Quindi… qual è il tuo quesito, Joanna?” terminò infine.
- Uh, forse Dio e compagnia bella esistono davvero!-
“Beh, ecco…” iniziai, non sapendo più cosa dirle. Aveva parlato talmente tanto che non mi ricordavo più che cosa le dovessi chiedere. Maledizione!
“Il mio più grande problema è che non mi ricordo come disegnare il pentacolo per la funzione satanica della mattina, quindi mi chiedevo se qualcuno se ne ricordasse…” la battuta scivolò fuori dalle mie labbra ancor prima che avessi il tempo di elaborarne il pensiero.
Oltre al gruppetto che ci faceva da pubblico, un altro po’ di ragazze si erano fermate a vedere quello strano spettacolo. Ragazze di anni diversi, dalle facce e dalle capigliature diverse. Ma una cosa avevano in comune, a parte l’uniforme: tutte avevano dipinta sulla faccia un’espressione meravigliata,  se non sconvolta.
Faith rimase un attimo immobile, come congelata. Poi la sua bocca si torse in una smorfia disgustata. Gli occhi per un momento, si infiammarono di odio. La mano corse veloce al piccolo crocifisso che teneva al collo, come per proteggerlo dalle mie parole pagane, per non dire lievemente sataniche.
Deglutii, non sapendo cosa aspettarmi.
Accidenti a me e alla mia boccaccia. Perché in casi del genere dovevo sempre dire quello che mi passava per la testa senza ragionare?
La fanatica aprì la bocca e assunse un’espressione da crociato, forse per iniziare l’esorcismo, ma, improvvisamente, il silenzio fu rotto da una voce.
 
“JOANNA! Quanto tempo!”
A parlare era stata una ragazzetta minuta dal corto caschetto corvino, che si diresse velocemente verso di me.
“Joanna! Davvero, non ti ricordi di me?” chiese, rivolgendomi uno sguardo decisamente stupito.
“Ehm…” risposi molto forbitamente.
“Sono Molly! Non ti ricordi della tua carissima amica Molly? Ci siamo conosciute a Blackpool, due anni fa!” mi spiegò, lanciandomi un’occhiata significativa e calcando il ‘carissima amica’.
- Okay, io questa non la conosco affatto e di sicuro non l’ho incontrata a Blackpool, ci sono sempre andata così raramente… -
“Harris, conosci questa pagana?” le chiese gelida Faith.
La mora mi guardò ancora una volta, lanciandomi un’occhiata grave.
Oh.
Che stupida! Perché non ci ero arrivata prima? Quella non mi conosceva affatto, stava solo cercando di aiutarmi! Probabilmente sapeva il mio nome perché la Johnson l’aveva gridato ai quattro venti poco prima. Cara ragazza!
“Oh, giusto!” feci, battendomi la mano sulla fronte, come se mi fossi dimenticata una cosa ovvia. “Molly… Harris! La mia adorata MollyMo!” e detto questo, l’abbracciai calorosamente. Okay, non sapevo da dove mi era uscito fuori quel ‘MollyMo’, avevo detto il primo nomignolo che mi era venuto in mente.
“Tranquilla Faith, mi occupo io di lei” disse la mia salvatrice alla Johnson, la quale ci guardò con un’espressione sconvolta mentre noi, veloci, ci allontanavamo da quella pazzoide.
 
Quando fummo abbastanza lontane dal gruppetto, scoppiammo a ridere.
Ridevamo, ridevamo, ridevamo, con le lacrime agli occhi e le guance che ci facevamo male per il troppo ridere.
Quando finalmente ci demmo una calmata, la ringraziai.
“Di niente! Non potevo mica lasciarti fra le grinfie di quella là. Ti avrebbe portata in chiesa per farti un esorcismo!” mi rispose la brunetta.
“Ho avuto lo stesso timore anche io!” le dissi, lasciandomi scappare un’altra risata.
“Comunque buona la battuta sul pentacolo. Devo dire che hai una certa propensione a capire quali sono le cose che fanno incazzare la gente”
“Già. Mi dispiace solo di non aver capito subito dove volevi andare a parare, carissima amica! Tutte le chiacchiere della buona samaritana mi avevano fritto il cervello”
“Non ti preoccupare, posso capirti. Comunque” e mi porse la mano “Molly Harris. Per le amiche Mo. O MollyMo, se preferisci” si presentò, facendomi l’occhiolino e ricordandosi dello stupido nomignolo che le avevo dato poco prima.
“Joanna Page all’anagrafe. Ma tutti mi chiamano Jo” e le strinsi la mano.
Molly mi sorrise. Era davvero una ragazza particolare: pelle olivastra, caschetto corvino e grandi occhioni neri. Oltre ad essi, nel viso a cuore spuntava un piccolo naso lievemente aquilino e una boccuccia dalle labbra sottili. Era magrissima, e piuttosto bassa.
“Tu sei del ’42, giusto?” mi chiese, ma prima che potessi dire qualcosa, aggiunse: “ Ma certo, che stupida! Indossi la camicia gialla dell’undicesimo anno*, devi essere per forza del ’42!”
Alla mia occhiata interrogativa, rispose con una risata imbarazzata.
“A scuola ogni hanno scolastico ha un colore diverso per la camicia dell’uniforme. A quelli dell’undicesimo anno è capitato il giallo, purtroppo” mi spiegò poi, lanciando uno sguardo schifato alla propria camicia.
“Ah. Quindi hai sedici anni… ?”
“Ne compio sedici a novembre. Lo so, sembro più piccola perché sono solo un metro e cinquantaquattro, ma che ci vuoi fare, così è la vita!” disse, ostentando una certa allegria.
Decisi di non rispondere, anche perché non sembrava propensa a continuare a parlare della sua altezza.
“Comunque… come mai ti se rivolta alla Johnson?”mi chiese poi, curiosa.
“Mah,  ero andata da delle ragazze per chiedere un’informazione, quando quelle hanno deciso di farmi il grande favore di affidarmi alle amorevoli cure di Faith la Pazza” le spiegai, alzando gli occhi al cielo.
“Probabilmente ti sei rivolta al gruppetto di Kathleen Pierce. Sarebbe tipico loro, sono delle tali stronze! Si divertono da morire a prendere per il culo la Johnson, soprattutto quando è nel bel mezzo di un salvataggio del prossimo. Tu eri soltanto la vittima perfetta” raccontò.
“Uh, ma allora le parolacce le dite!” mi lasciai scappare.
“Beh, io sì, e anche molte altre. Anche se frequentiamo una scuola cattolica non vuol dire che siamo tutte puritane come Faith!” mi rispose grattandosi la nuca, seccata dal mio commento “Di’ la verità, tu non hai mai frequentato una scuola religiosa, vero?”
“No. In realtà non sono neanche molto credente…” le dissi, vaga “Mio papà mi ha iscritto a questa scuola perché dice che è una delle migliori, qui nel quartiere di Woolton”
“Ha ragione tuo padre: la St.Julie’s è davvero un’ottima scuola. Anche se mi chiedo perché abbia iscritto la figlia atea ad un istituto cattolico.”
“Come fai a sapere che sono…?” le domandai, sconvolta dalla sua veloce deduzione.
“Oh, semplice intuito!” fece lei, con un sorrisetto.
-Che ragazza sveglia- pensai e anche a me venne da sorridere.
“Comunque tranquilla, a parte religione, le altre materie non sono insegnate da suore o frati” mi informò.
“Oh, meno male, mi hai tolto un peso dal cuore!” le dissi portandomi una mano al petto e facendo un sospiro di finto (?) sollievo.
“Comunque, qual era l’informazione che sei andata a chiedere al gruppo sbagliato?”mi domandò.
“Non trovavo la segreteria. In realtà non penso che riuscirei a trovare niente qua, è tutto così enorme e…”
“Non dire altro” mi interruppe e, facendomi l’occhiolino, disse: “A te ci penso io!”
Detto ciò, mi prese per mano e, facendosi strada fra la fiumana di studentesse, si diresse verso la segreteria.
 
Okay, forse quella scuola non era poi così male.
In fondo, avevo già trovato un’amica.









*corrisponderebbe al terzo anno di liceo.





*Angolo dell'autrice*
Saaaaaaaaaaaaaaaalve :D
Okay, lo so, siete già pronti/e a lanciarmi i pomodori o qualcunque altra verdura avete sottomano, sia perchè sono secoli che non posto, sia perchè questo capitolo è del tutto inutile. 
Mi scuso profondamente per il disagio (*si sente molto professionale u.u*) ma ho le mie ragioni: 1- la scuola risucchia tutto il tempo e tutte le energie, riducendomi ad uno straccio sia fisicamente che mentalmente; 2- a causa del punto 1 ci ho messo secoli per terminare il prossimo capitolo e non potevo pubblicare questo finchè non lo avevo terminato (la mia regola è quella di stare sempre avanti di un capitolo); 3- non voglio scrivere una storia dove la protagonista ha per amici solo i Beatles, in quanto non mi sembrerebbe un racconto veritiero (secondo me, poi ognuno pensa quello che vuole), e per questo motivo ho voluto scrivere un capitolo dove incontrava nuove amiche (spero che l'idea non vi faccia troppo schifo).
Lo so, mi starete odiando tantissimo, anche perchè (altra 'buona' notizia) non so quanto tempo ci vorrà prima che venga pubblicato il nuovo capitolo.
In ogni caso vi assicuro che sarà molto più interessante di "School Days", il cui titolo è ispirato ad una canzone del mitico Chuck Berry ** http://www.youtube.com/watch?v=VuXz-Vbkg8A

R
ingrazio tutti coloro che hanno recensito e/o che hanno inserito la storia nei preferiti/seguiti/da ricordare. Sinceramente, vi adoro <3
Un bacio,
la vostra Scaramuccia :D
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: BohemianScaramouche