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Autore: AlexisLestrange    23/10/2012    2 recensioni
Questa è una storia che parla di una storia, vera.
La storia di due ragazze, di un fandom, di un cosplay, di un paese, e di un appuntuntamento. A Soncino.
Scritta a quattromani con -AlisLavoisier.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riaprii gli occhi, nel silenzio, ed osservai un'ultima volta la mia immagine, dallo specchio
del camerino, senza riuscire a trattenere un sorriso. Chi ero diventata, quella volta?

Il viso pallido, reso ancora più bianco, quasi perlaceo, dal trucco, le labbra perfettamente
delineate, rosse, gli occhi che tutto quel mascara, tutta quella matita nera, parevano così
grandi, allungati, e i boccoli rossicci tutti attorno.

Abbassai lo sguardo, e non riuscii a trattenere una smorfia. Il body, attillatissimo, troppo
brillante, troppo colorato, troppo irriverente; le calze a rete, la gonna semi trasparente, le
scarpe col tacco nero, e poi, mi ero forse dimenticata della piuma in testa.

Non sapevo se ridere o piangere, ma sì, alla fine andava bene così, è così che si recita,
impersonando una parte che non senti di condividere. E nemmeno il Diamante Splendente
era troppo felice del suo ruolo d'onore nel Moulin Rouge, o sbagliavo?

Così sorrisi, prima di voltarmi e quasi volare lungo le scale che scendevano sempre più in
basso, attorcigliandosi su sé stesse, fino a ritrovarmi in un angolo buio dietro le quinte,
con solo uno squarcio di palco visibile, io e la mia ansia da palcoscenico, che mette tanto
in agitazione, ma che è anche quasi piacevole, come un nodo allo stomaco con il quale
ormai si è abituati a convivere.

La musica andava avanti, non c'era modo di fermarla, mentre scandiva il tempo, nota
dopo nota, ed ogni battito era un colpo che mi spingeva un po' più in là, un po' più vicina
al momento di uscire fuori.

Le altre erano sedute in cerchio, parlavano, ridevano, cercavano di dissimulare il
nervosismo, di distogliere la mente dall'eterno nodo allo stomaco; solo io ero un po' in
disparte, a pensare ad altro. Perchè tra poco ci sarebbe stato lo spettacolo, era vero, ma
domani? Domani sarebbe stato il gran giorno.

Non potei fare a meno di pensare al mio cellulare, chiuso in un taschino nella borsa, in
cima alla scalinata, nel camerino più alto. Mi balenò in mente un'idea. Chissà se per
caso... chissà se mi aveva scritto qualcosa, un augurio, un "in bocca al lupo", se aveva
letto la mia preoccupazione, se c'era qualcosa che aveva voluto dirmi. Facevo in tempo?

Scattai in piedi, mormorai a mezza bocca che andavo su per "una cosa urgente", e poi
cominciai a correre, su per le scale, rischiando di inciampare sui tacchi neri, spingendo la
porta pesante, raggiungendo la borsa, aprendo la connessione con le dita fredde, un po'
tremanti.

Caricamento in corso. Quanto era lento, quel maledetto aggeggio? Avevo il fiato corto, per
la corsa, o per la preoccupazione. Un nuovo messaggio. Trattenni il fiato. Lo aprii, e
intravedetti qualcosa che non assomiglia per nulla ad un augurio.

Lessi tutto d'un fiato, senza pause, scordandomi quasi di respirare, e credo che per un
attimo, mi mancò la terra sotto i piedi. Nulla. Non c'era più nulla. Domani, tutto annullato.
Niente incontro, niente idillio. Non ci sarebbe stato nessuna sospirata Domenica.

Dovevo sembrare davvero sconvolta, perchè quando mi vennero a cercare non poterono
evitare di chiedermi se andasse tutto bene. Nemmeno mi ricordo cosa risposi
-probabilmente annuii bruscamente, per poi andare via, prima che qualcuno mi leggesse
in faccia cos'era successo.

Solo due gruppi prima di noi, e io che ringraziavo l'oscurità delle quinte. No, non era così
che doveva andare. Non era quello che doveva succedere. Non era possibile. Non era
giusto. Non aveva senso. Non dovevo piangere.

Mi tamponai gli occhi con un dito, e intravidi la matita nera che si stava sciogliendo. Lo
spettacolo! La coreorafia, le canzoni. Satine. Il Moulin Rouge. Con che coraggio sarei
entrata in scena, adesso? Ora che mi sentivo così vuota?

Strinsi i denti -dovetti mordere il bordo del cappello argentato, per ricacciare indietro le
lacrime che mi salivano di nuovo agli occhi, e mi costrinsi a non pensare a niente. A
niente. È così che si fa, vero? Per recitare? Ingoi i sentimenti, diventi un altro. Fai finta di
nulla. Sorridi, anche se stai morendo.

Dean. Supernatural. Il cosplay.

No, dannazione, no! Stare calma, mantenere la concentrazione. Chi ero, adesso?
Un'attrice. No, una cortigiana. Il Diamante Splendente. Che doveva entrare il scena e
sorridere al suo pubblico. Doveva farsi amare, farsi piacere, e non importava quanto stava
male dentro.

Ma Domenica...

No, non c'era nulla. Solo la disperazione di un destino che non andava come avrebbe
voluto, e un amore, un giovane amore, che doveva essere soppresso. E il pubblico -il
pubblico doveva amarla, amarmi!

E lo spettacolo doveva continuare.

Mi alzai in piedi. Presi posto dietro le quinte. Deglutii. Un respiro profondo, e quando
riaprii gli occhi, non ero più io. Perchè non dovevo esserlo, o sarei impazzita.

Camminai lentamente, passo dopo passo, fino al centro del palco. Mi sedetti. La luce
puntava verso di me, mi circondava in una circonferenza perfetta, ma i miei occhi
guardavano basso -dovevano guardare basso, perchè era il momento d'intimità in cui
Satine canta il suo sogno. E io lo cantai con lei.

In piedi, la canzone era finita senza che me ne fossi resa conta. Ora veniva il bello.
Mi rialzai, poi di spalle, mentre le note di Lady Marmalade cominciavano a rintoccare.

Schioccai le dita sul fianco, a ritmo. Poi, di scatto, uno sguardo verso il pubblico, il sorriso
sulle labbra.

Si entrava in scena.  




Mi scuso in anticipo per chi ha dovuto leggere questo capitolo.

Probabilmente mi sono lasciata prendere la mano, forse è addirittura troppo personale,
forse non interesserà.

Eppure è tutto vero, ve lo assicuro.

E allo stesso modo, voglio rassicurarvi anche voi.

E raccontarvi che lo spettacolo andò bene. Che feci la mia parte, il mio ruolo, fino alla
fine. Accolsi gli applausi con la gioia stampata sul volto, e tutti i convenevoli successivi,
come nulla fosse successo.

E solo la sera, la sera tardi, ripresi in mano il cellulare, e le scrissi di botto tutto quello che
pensavo, che avevo provato, che volevo dirle.

Si può dire che -metaforicamente parlando, purtroppo- ci gettammo una nelle braccia
dell'altra, rovesciandoci addosso tutto quel fiume di sentimenti che avevamo dovuto
trattenere per tanto, troppo tempo.

E insieme, come fossimo due bambine nascoste sotto le coperte, all'oscuro dai genitori,
riuscimmo in qualche modo a uscirne. A tornare a sperare che sarebbe diventato tutto
vero. Perchè finché stavamo insieme, qualsiasi altro ostacolo svaniva nel nulla.

Ti voglio bene, Alis.
                                                                                                                                      -Relya Lestrange
   
 
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