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Autore: DewPrincess    25/10/2012    1 recensioni
"Smettila di vivere senza vivere. Smettila di morire. Non è giusto. Non è umano. Non è democratico. Non è rispettoso. Non è educato. Non è normale. Non è nemmeno originale. Sai quanti ne muoiono? MILIONI. "
Storia di un sonno che si scatena all'improvviso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALI SCURE
Scosse, grida, ecco le bombe, 
guerra, foto mentre sorridi, 
padre, madre, giorni distanti, 
la sirena grida coi suoi denti.
(Subsonica)

 

Niente mai ci dividerà. Per sempre. Sempre. Ogni giorno, in ogni momento, in ogni ora, in ogni secondo, in modo che ogni mio pensiero sia impostato sulle tue frequenze e in modo che i nostri impulsi si incontrino. In modo che non ci siano che strade a doppia corsia, sedili a doppia seduta, porte a doppia entrata. Vite double, fit per due.
Erano tutte cose a cui non avevamo mai badato. Voglio dire, troppo scettici, troppo consumati dentro, troppe funzionalità cariate per poter credere in questi sogni o false verità. Troppo scuri, cupi, affacciati alle  nostre finestre senza mai scendere in strada.
Però a causa del mio personalizzare le favole, questo vetro mi fa proprio incazzare. Io non sono un tipo violento, ma mi viene voglia di buttarlo giù, di prenderlo a martellate, di... oh, cazzo. Non sono nemmeno che sia vetro, magari è solo maledetta plastica. Ma questo sì che ci divide.
Non è il tuo sonno a separarci, ti sei spesso addormentata, non sempre accanto a me o addosso a me o contro di me. Magari in macchina, mentre ti portavo al mare, col sedile quasi del tutto reclinato che sbatteva sul frigo da campeggio con dentro la tua Pepsi e la nostra birra e le tue mele e la mia pizza. Oppure dopo una festa, buttata sul divano, coi tuoi vestiti luccicanti ancora addosso e le scarpe col tacco vicino alla porta, che te le togli appena entri perché ti fanno male, ma una donna ogni tanto deve anche vestirsi da donna. Oppure sui libri, quando è tardi, ma non vuoi mai andare a letto e io devo spegnere la luce della lampadina, sfilarti gli occhiali, spostare le penne e i pastelli, riordinare le pagine, scuoterti un po' e poi prenderti in braccio e hai gli occhi chiusi, sigillati di sonno. Più di tutti mi piace quel sonno di quando sei nuda e hai le labbra più rosse e le ciglia più scure, la pelle più lucida e l'abat-jour sul comodino ti disegna una specie di aura lungo la schiena.
Non è la mia impotenza a dividerci. Mi hai fatto credere di poter fare per te qualunque cosa. Dalla pasta fatta proprio come dici tu, senza mai assaggiarla, regolandosi con la luce e il colore, ad insegnarti ad usare quel programma per registrare, con te che ti arrabbi perché non sei capace e ti scoccia non saper fare le cose, ma non vuoi avercela con me perché da me sei disposta ad imparare. Certe volte penso che il nostro stare insieme funzioni perché tu, Wonder Woman, hai scelto me per insegnarti quello che non sai e io, Superman, ho scelto te per curare in segreto le ferite del supereroe. Perché tu hai scelto me per chiudere gli occhi, per arrenderti, per lasciarti andare e io ho scelto te per sentirmi concretamente responsabile di qualcuno, per sentire che qualcuno avesse davvero bisogno di me e del mio aiuto e non mi avesse trovato lì di turno, per caso. Certe volte penso che dovrei smetterla di ragionarci così tanto e accettare che i due nostri meccanismi si adattino alla perfezione l'uno all'altro e non c'è serratura, non c'è chiave, ci sono solo due splendide ruote dentate che muovono il nostro mondo.
Non è l'ambiente a dividerci. Lo conosco come le mie tasche, mi ci muovo come in pochi altri posti al mondo (casa mia, casa nostra, il tuo corpo, la tua testa, meglio anche che nel mio corpo e nella mia testa, quello è compito tuo, per fortuna). Anche se ci sono persone che non ho mai visto, so perfettamente dai loro vestiti, dai loro visi e dai loro gesti chi sono, cosa ci fanno qui, cosa pensano di me e di te e di quella cosa che siamo insieme, cosa sperano che accada, cosa credono che succederà. Li conosco come le battute di un film visto molte volte, per questo i loro discorsi sono noiosi e sono costretto a dire che ho sete e vado a prendermi uno di quei bicchieri di plastica di acqua troppo fredda.
Non sono le tue persone a dividerci. Tua madre continua a dirmi di andare a riposare, ma ha degli occhi intelligenti e so che sa che riposare non si può, che la pace c'era prima e ora non c'è, anzi secondo me secondo lei non c'è mai stata pace. Un giorno ne abbiamo parlato, io e te, della normalità. L'altro giorno con tua madre ho fatto più o meno lo stesso discorso. Probabilmente se fossi nato quei trent'anni prima, avrei sposato lei. Anche se è un po' troppo gelidina per i miei gusti. Ha un qualcosa in quell'intelligenza degli occhi che mi fa paura.
Come se lei sapesse dei segreti che non so, come se lei fosse Dio o un suo assistente personale molto preciso nel suo lavoro. Tuo padre invece mi macella il cuore. Quel suo invecchiare snello e asciutto, quel suo percorrere su e giù il corridoio a passi misurati e pesanti... è un silenzio che vuol dire tanto. Molto più di quello che riesce a dire. E tu questo di lui forse non l’hai mai capito, scusa se mi impiccio. Mi rendo conto di guardarli coi tuoi occhi, oltre che coi miei. Di vederci dentro quello che tu mi hai detto, più un'aggiunta mia personale, una postilla, quei particolari che mai avresti potuto notare.
A dividerci è quello che non ci riguarda, quello che non abbiamo deciso, quello non scritto sulle tue liste della spesa, sulle tue tabelle di marcia, sui tuoi menù, sui tuoi appunti, nei tuoi quaderni. Nemmeno quello che c'è scritto sui tuoi diari, nel tuo pc, sul tuo blog, fra le tue note. E nemmeno fra la mia roba. Della mia roba parlo poco. Ma non c'è nemmeno lì, sono sicuro. Tanto lo sai, sono capace di cercarci solo io, nel mio caos. Dove non arriva la tua luce, mi ci ritrovo da solo e ci sono anche adesso. Seduto al buio.
Non è lei a dividerci. Nemmeno quando me la ritrovo nel letto di notte e mi domando come fa ad arrivare così in silenzio. Quando premo il naso contro i suoi capelli e penso che il mondo è perfetto così e non riesco a sentirmi lontano da te. Non riesco a sentirmi distante, nemmeno di notte.
Non ho voglia di pregare, mi fa sentire stupido, tu non ci credi. Però io sì. Facciamo così. Io ci credo, quindi io lo faccio per me e per te, cioè per quella tua parte su cui ho una percentuale. Insomma, io qua sono disperato e faccio quello che mi pare per risolvere la faccenda. Quello che serve, anche quello che non faccio quasi mai. Ehm, tu. Sì, tu. Dio, lì, o come ti chiami, i tuoi miliardi di nomi. Se non ci sei, va bene anche un sottoposto. Tipo quel tuo figlio masochista oppure anche la tua assistente personale, che mi pare in gamba. Mi accontento anche dei tuoi altri titoli nobiliari decaduti, tipo i santi o gli angeli e arcangeli, questi impiegati ordinari qua.
Ti racconto questa storia, poi facci quello che vuoi. Allora, ci sono io che cammino, da solo. Senza che scendo nei dettagli, capisci che non solo non è divertente, ma non è nemmeno appagante, proprio niente. Zero. Poi c'è lei che mi si affianca, per caso, che ancora non ho capito se sono stato io o se è stata lei, ma mi sa che è stata lei e poi, solo dopo, sono stato io. Comunque è stato un caso, proprio una botta di culo assurda. Se c'entri tu, bella mossa. Perché da lì la strada è diventata una discesa, con attorno un sacco di erba tagliata fina che è divertente camminarci scalzi. Con il mare e l'alba. Ora, non so se con questo c'entri tu, ma un camion ci si è parato davanti. Parato. Non so l’origine esatta di questa parola, ma nemmeno il più abile degli illusionisti avrebbe potuto farlo apparire così magicamente e all'improvviso davanti a noi. Lei non guida come un uomo (e chissà cosa avrebbe potuto fare un uomo, in fin dei conti), ha paura. Si è propriamente congelata. Ed eccola qui. Non del tutto rotta, le sue ossa sono incredibilmente dure, pensa che quando mi si siede sulle gambe mi danno quasi fastidio, tanto sono appuntite. Però dorme e non si sveglia. Non si sveglia. Tipo che proprio non mi riesce di capire perché. Potrei sciorinarti tutta la mia esperienza sull'aspirazione delle emorragie e non lo farò, che tu in queste cose non credi, come chi pratica la medicina più difficilmente crede in te. Dorme, capisci? Dorme e così non si può, perché chi dorme non parla, non vive, non ride, non mangia, non si copre gli occhi con le mani, non sorride, non cammina, non corre, non inciampa, non cade, non fa l'amore, non legge, non scrive, non cucina, non pulisce, non usa il pc la radio l'aspirapolvere, non ... Dai. Trascendiamo. Non devo spiegarti il senso. Lo sai, è la tua legge l'amore, no? Dici così. Dicono che dici così.
Amen. 
   
 
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