Capitolo 2: Do you remember me?
Te lo ricordi il mio viso, Fabio?
Ti ricordi il colore dei miei occhi, quello della mia pelle, quello dei miei capelli?
Ti ricordi le mie mani che ti accarezzavano appena nato?
Ti ricordi chi sono?
Ricordi che ruolo ho nella tua vita?
Ricordi perché sono andato via?
Ho dovuto farlo, Fabio, ho dovuto.
Ho dovuto per una serie di ragione che forse non ti hanno mai spiegato, e probabilmente non ti spiegheranno mai.
Ho dovuto perché era quello che mi era stato richiesto, e anche se tu non puoi saperlo, io faccio sempre ciò che mi si richiede.
Chi sei, Fabio?
Chi sei diventato in tutti questi anni?
Sei già un uomo o ancora solo un bambino?
Come sei fatto?
Qual è il suono della tua voce, l’espressione dei tuoi occhi, la tonalità della tua pelle?
Qual è la piega del tuo spirito?
Vorrei tanto saperlo, Fabio.
Vorrei tanto poterti vedere, poterti toccare, poter parlare con te.
Vorrei poter svolgere appieno quel compito che doveva esser mio tanti anni fa.
Vorrei poterti insegnare a parlare,
ad andare in bicicletta,
accompagnarti il tuo primo giorno di scuola,
insegnarti a farti la barba.
Vorrei poterti vedere ridere,
piangere,
urlare,
gridare di gioia,
arrabbiarti.
Vorrei semplicemente poter vedere come sei, come sei stato, come sarai.
Vorrei sentire la tua voce che mi chiama,
il tuo sguardo che mi cerca,
la tua mente che mi pensa.
Vorrei te, Fabio.
Forse credi che io non mi ricordi di te,
che io non ti abbia pensato in tutti questi anni,
che non me ne sia mai importato nulla di te.
Oh, Fabio, quanto ti sbagli.
Non c’è mai stato un momento in cui non ti ho pensato,
un’ora in cui non ho pronunciato il tuo nome,
un minuto in cui non mi sei mancato.
Sei il mio primo pensiero la mattina
e l’ultimo la sera.
Sei il mio costante interrogativo,
la mia continua domanda in cerca di risposta,
il mio invisibile punto di approdo.
Fabio, Fabio, pensi mai a me?
Ti fai le stesse domande che mi faccio io?
Dov’è adesso,
cosa sta facendo,
cosa sta pensando?
Non hai idea di come siano stati difficili questi anni lontano da te, Fabio.
Non hai idea di cosa si provi restando così lontano da chi si ama,
senza alcuna possibilità di limitare questa distanza in qualche modo.
Non ho il tuo numero,
non ho una tua foto,
non ho una tua lettera.
Ho solo un ricordo.
Solo un ricordo che resta saldo nella mia mente,
che non vuole andarsene,
che non se ne andrà mai.
E sei tu, Fabio.
Sei tu nella tua culla,
appena nato,
con quei tuoi incredibili occhi dal colore del cielo spalancati,
che guardano il mondo per la prima volta,
che si nutrono di esso,
che mi guardano,
mi fissano,
mi assaporano
e mi lacerano il cuore come la lama di un coltello.
E mi pare quasi di vederli ancora i tuoi occhi,
quegli occhi che non sono come i miei,
quegli occhi che non avranno mai la possibilità di incontrare i miei,
quegli occhi che appaiono in tutti i miei sogni e in ogni mio incubo.
Quegli occhi sgranati,
quegli occhi che tanto agogno
quegli occhi che mai vedrò.
*
So che questa storia non riscuoterà molto successo, ma ci terrei se, una volta letta, voi la commentaste, anche solo per farmi sapere cos'ha che non và.
Ah, una precisazione sul capitolo precedente: il titolo è lo stesso di una canzone degli Who, e anche se il testo della canzone non c'entra molto, il titolo mi sembrava perfetto...