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Autore: Kysa    11/05/2007    6 recensioni
Terza parte della saga, signori e signore. La battaglia fra Harry Potter e i Mangiamorte subisce nuove mutazioni con l'entrata in scena di personaggi ambigui che minacciano la nuova vita del bambino sopravvissuto, mentre il giovane Tom Riddle, ormai al suo ultimo anno a Hogwarts, rischia di rovinare la sua esistenza per colpa del suo passato. Ancora Harry Potter e i suoi compagni nell'ennesima guerra, in uno sfondo di amori e tragici avvenimenti. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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figli62

 

 


Tiziano Sclavi,
Della Morte, Dell'Amore, VI.

La morte di pietra, la morte di neve,
la morte che viene con passo lieve,
ma per averla dovrai lottare,
vivere ancora e ancora respirare.
Perché è un'amante che non si dà a tutti,
non conta che siano belli oppure brutti:
può darsi a un altro, ma un attimo appena
e anche allora ti pensa e t'incatena.


 

 


Thomas Maximilian Riddle gettò un paio di galeoni sul tavolo, attento a non bruciare con la cenere della sigaretta la tovaglia rossa. Davanti a lui Sedwigh Stanford, suo compagno, lo seguì con la stessa posta.
- Altro whisky?- chiese Stewart Travers, alzandosi per andare al bancone della stanzetta ad anticamera della Sala Duelli che Tristan all'inizio aveva usato per chiuderci dentro una Banshee.
- Si, io ne voglio.- rispose Jeff Lunn - Ragazzi?-
- Io nulla.- Tom scosse il capo.
- A me due dita appena.- Sedwigh sollevò brevemente lo sguardo dalle carte.
Spiava l'ingresso attentamente, come per vedere chissà chi.
A quell'ora di notte del primo maggio la stanza era occupata da numerosi Serpeverde e da altrettanti Corvonero.
Mancavano alcuni Caposcuola, Neely per prima che da parecchio non metteva piede fuori dal suo dormitorio o dalla camera da letto del suo ragazzo.
Dieci giorni di silenzio. Una vita intera. Dieci giorni persi.
Ne restavano a malapena quaranta di libertà. Così pochi...
Proprio in quel momento entrò Thaddeus Flanagan, tampinato da Fern Gordon che gli correva dietro con un fazzoletto sporco di sangue...per non macchiare il prezioso marmo.
- Che è successo?- chiese Matt Rogers, seduto al bancone con Adam Broody e Clyde Hillis.
- Merlino, Flanagan.- sibilò invece Lunn- Ti avevo detto di starci lontano.-
- Lontano da chi?- chiese Tom, senza interesse.
- Da Bart Owin.- rispose Fern con tono irritato - Questo deficiente è andato alla redazione della Gazzetta della scuola e s'è attaccato con lui!-
- E meno male che è tuo amico.- ghignò Stanford - Flanagan non sai cosa sia la delicatezza.-
- Non l'avresti avuta nemmeno tu con quel deficiente se avessi visto cosa stavano pubblicando.- replicò il Tassorosso inferocito, facendosi lanciare da Matt del ghiaccio dentro un panno pulito - Fa insinuazioni troppo pesanti, mi ha rotto le balle. Fine della storia.-
- Hai una copia dell'edizione di domani?- gli chiese Tom.
- Si, quella che non andrà in stampa.- ironizzò Flanagan - Ecco.-
Una pagina spiegazzata e strazzonata colma di titoloni catastrofi fu il colpo finale di quella serata.
Altre accuse su alcuni studenti e le loro famiglie, altre velate minacce, il racconto dell'incidente del giorno al campo di quidditch quando un ragazzo del quarto di Serpeverde aveva pestato uno di Tassorosso perché aveva spifferato in giro falsità sui suoi genitori.
E infine ciò che lasciò Tom a occhi sbarrati.
- McAdams.- lesse Fern ad alta voce, piegandosi sulla spalla di Riddle - "Dieci ore fa una famiglia di maghi composta di alcuni membri mezzosangue è stata trovata decimata nella loro casa nella periferia di Londra. Gli Auror hanno arrestato i colpevoli che si sono macchiati della morte di due genitori, una coppia di parenti anziani e un bambino di nove anni. Le prove fornite all'Autorità Magiche hanno fatto ricadere i sospetti sulla famiglia McAdams, già implicati il mese scorso in un incidente alla dimora di campagna della famiglia Lampert, dove sarebbe stato trovato morto il custode Magonò. Harnold e Dyana McAdams sono stati interrogati e messi sotto arresto dopo l'inconfutabile veridicità delle prove, ma solo la strega è stata condotta alla prigione di Azkaban. Harnold McAdams è tuttora ricercato."-
- Per tutti i maghi...- mormorò Mary J. Lewis.
Poi cadde il silenzio.
Le voci erano vere.
Erano Mangiamorte.
Tom accartocciò la pagina, gettandola nel fuoco.
- Hai fatto bene a far sparire tutto, Flanagan.- disse Sedwigh.
- Dici?- fece Matt.
- Lo sai come gira di recente.- annuì anche Adam Broody, allentandosi la cravatta verde e argentea - E' una fortuna che quella roba non sia andata in stampa o domani a quest'ora ci saranno già delle gogne pronte per chiunque apra bocca.-
- Gogne per chi?-
La voce conosciuta fece tremare Tom.
Tenne lo sguardo basso mentre Cloe King entrava facendo tintinnare appena i tacchi alti.
- I McAdams.- le disse Mary, quando la bionda la raggiunse al bancone per bere qualcosa, senza degnare gli altri di un saluto. Eppure, anche se lei gli dette subito le spalle, Tom notò dei graffi e un livido sulla guancia della Grifondoro.
Cos'era successo?
- Non lo sai?- gli disse Stewart, leggendogli quasi nel pensiero - Oggi, mentre non c'eri in Sala Duelli, Asteria e Kathleen Barnett hanno lanciato accuse su di te.-
Riddle non se ne stupì, ma allargò la bocca quando il Corvonero continuò.
- Cloe le ha zittite per poco e sono arrivate alle mani. La Vaughn ha cercato di separarle e se l'è prese anche lei.- sorrise Travers - Io mi sono anche preso un calcio. Alla fine le ha fermate Tristan, ma sono tutte in punizione.-
Cloe e Trix...
Tom scosse il capo, desolato.
Ora qualcosa di forte gli serviva davvero.
Finita la mano, vinta dai Corvonero, Tom fece per alzarsi e tornarsene in camera sua, quando anche la King si alzò dallo sgabello al bancone. Salutò Stewart e anche Sedwigh dando loro un profondo bacio sulla guancia che lo gelò, poi raggiunse la porta con lui. Senza una parola.
Non ce n'era bisogno.
Una volta fuori con uno sguardo imperioso, lo stesso che aveva da tempo a quella parte verso di lui, gl'impose di seguirla. E Tom già sapeva che di nuovo non sarebbe riuscito a dormire.
Ma in fondo se lo meritava.


Lord Voldemort sputò a terra, al colmo del disprezzo.
Erano anni che non lo faceva. Anni che non provava un tale disgusto.
- Le cose stanno così.- gli disse Harry Potter, dandogli le spalle nella Stanza dei Pugna Laeta - Se non ti sta bene non so cosa farci. Io mi chiamo fuori. La storia è finita.-
- Tu ti chiami fuori solo quando sarò io a permettertelo!- gli urlò il Lord Oscuro, fuori di sé dall'ira, mentre il suo nemico giurato dopo ventisette anni di guerra gli diceva "Basta".
- Mi dispiace.- Potter rise, fermo di fronte alla porta degli Auror - Ma non c'è niente che tu possa fare stavolta. Quanto a tuo figlio, anche lui ha preso la sua decisione. Non riguarda più me il vostro rapporto. Discutine con lui se vuoi. Io e te non abbiamo più niente da dirci. Addio Tom.-
La porta degli Auror si aprì e si chiuse.
Il botto leggero rimbombò come una risata di scherno.
Voldemort serrò i pugni, rischiando quasi di spezzare la sua bacchetta.
Finita.
Il suo nemico, il suo grande e invincibile nemico era morto.
Era come se lo fosse.
E suo figlio...oh...furbo, piccolo Thomas! Anche lui gli doveva un bel po' di spiegazioni!
Raggiunse la sua porta e quando se la sbatté alle spalle lo fece così forte che questa traballò i cardini.
Era tornato nella sua stanza, a Dark Hell Manor e la collera era tale che numerose fiale e boccette contenute sugli scaffali e dietro le vetrine andarono in pezzi.
Anche il fuoco nel camino esplose, provocando una vampata micidiale che annerì il pavimento di pietra.
"E' successo qualcosa di grave?"
Voldemort serrò le mascelle e la sua faccia si trasformò in un teschio grottesco.
Nagini, arrotolata in poltrona, capì che l'umore del suo padrone non era adatto alle chiacchiere in quel momento e così strisciò via dai cuscini, dirigendosi all'ingresso.
"Prima che me ne vada, i Mangiamorte richiedono la vostra presenza in sala."
- Ora non ho tempo.- sibilò il Lord Oscuro, con tono che fece vibrare i vetri delle finestre.
"Come volete. Ma credo che una loro proposta potrebbe risolvere il guaio che ha causato Harry Potter."
Silenzio.
Nagini sparì discretamente e così il grande mago del male cominciò a camminare avanti e indietro, di fronte alla portafinestra spalancata.
Dannazione.
Dannazione a Harry Potter e a suo figlio.
Maledetti tutti e due!
"Io e te non abbiamo più niente da dirci..." aveva osato dirgli Harry.
Oh, come si sbagliava.
C'era ancora molto da dire invece.
Un altro scatto di stizza e le fiamme del camino scintillarono, pronte ad esplodere nuovamente.
Ventisette anni.
Ventisette.
Da quando un neonato in fasce l'aveva sconfitto, rimediando una ben misera cicatrice.
E quasi diciotto da quando suo figlio era nato ad Azkaban.
Anni gettati al vento.
Si appoggiò alle pareti della portafinestra con entrambi i palmi aperti, fissando il vuoto della dimensione che accoglieva il suo castello nero.
Maledetti. Maledetti entrambi.
No. Non poteva finire così.
Imprecando fra i denti capì che l'ultima parola non era ancora detta.
Come quel maledetto moccioso si era tolto i poteri, bhè se li sarebbe ripresi.
In un modo o nell'altro.
Piani più sotto, nella sala riunioni dei Mangiamorte, Vanessa Lestrange spiò Harnold McAdams conversare animatamente col giovane figlio ventenne, l'ultimo dei fratelli, del defunto Mcnair morto ad Azkaban quattro anni prima.
- Il codardo scozzese è tornato senza moglie.- ghignò Theodor Nott, affiancandola.
- Già. Se non altro ha fatto quello che doveva, anche se era sua moglie il cervello della coppia.-
La Lestrange distolse lo sguardo, tornando a sedersi a tavola, seguita da Nott e dalla moglie, una ragazzina sbiadita col viso appuntito, sempre muta come un pesce.
I settanta posti erano tutti occupati, tranne quello a capotavola e molti stavano in piedi, poggiati alle colonne, altri accanto alle finestre dalle lunghe e pesanti tende nere.
Alcuni demoni si aggiravano inquieti.
Eppure la gioia folle che li aveva colti tutti quando avevano saputo che Harry Potter aveva ceduto bacchetta e poteri, non era ancora scemata del tutto.
Rafeus Lestrange ancora brindava abbondantemente.
Ma tutti sapevano molto bene che l'umore del Lord Oscuro era assai differente dal loro.
Già. Il loro Signore non aveva apprezzato. Da giorni faceva esplodere ogni cosa, organizzava incursioni suicide, scatenava agguati agli Auror, incidenti ai babbani. Ma nulla.
Harry Potter non era mai ricomparso.
Alla luce fioca dei candelabri e delle fiaccole appese alle pareti, nessuno di loro attendeva il suo arrivo.
Ma sapevano che il perpetuo malumore di Voldemort poteva essere pericoloso anche per loro. Al minimo sbaglio o imprevisto poteva saltare qualche testa.
La loro.
- Avanti.- disse Vanessa, versandosi un calice di vino - Come risolviamo questa faccenda?-
- Nel modo più facile possibile.- le disse Rafeus - Sorella, Potter è senza poteri. Ha la gola scoperta.-
- E noi dobbiamo solo azzannare.- ghignò Fenrir Greyback, appostato accanto a Lestrange - Non fare la sospettosa, ragazza mia. Tua madre con un'occasione simile non avrebbe mai esitato.-
Vanessa si portò il calice alle labbra - Già...ma mia madre ha sottovalutato una sorella più determinata di lei. Ha scambiato l'apparenza gelida di Narcissa per indifferenza. Ed è stata uccisa per questo.-
- Noi non commetteremo errori simili.- sindacò Rafeus.
- Già, alla prima occasione basterà una spada ben affilata.- disse Harnold McAdams.
- Alla prima occasione finirai in cella se non stai attento.- gli ricordò Nott - Per poi finire di fronte al Wizengamot a spiattellare tutto. No, grazie.-
- Io non tradirei mai la causa!- ringhiò lo scozzese.
- Queste parole le ho già sentite.- ironizzò acidamente Rafeus - Severus Piton, per esempio. Chi altri? Quel bastardo di Karkaroff. Mio padre invece è ancora in prigione...e non ha mai fiatato!-
- Oh, onore ai Lestrange allora.- soffiò un tizio biondo con l'aria da dandy, in fondo a destra.
- Sta zitto Barnett, porta rispetto a mio fratello.- sibilò Rabastan Lestrange, fratello di Rodolphus mai catturato e zio di Vanessa e Rafeus - Anche sul tuo conto cominciano a girarne troppe.-
- Ma non ho mai dato a nessuno i motivi per venirmi a disturbare, a differenza di voi Black e Lestrange, Rabastan, vecchio mio.- gli disse Marcus Barnett, padre di Kathleen Barnett di Serpeverde - Comunque fa come credi. Allora, come lo uccidiamo Potter?-
- Ripeto.- disse Rafeus testardo - E' indifeso ormai.-
- Sicuro? Harry Potter sarà senza poteri ma è comunque sempre sorvegliato. Giorno e notte.- gli ricordò Vanessa, rivolgendosi poi ai presenti - E ora ditemi, amici miei, qualcuno di voi ha un piano serio o volete per caso suicidarvi?-
- Io avrei una proposta.-
La voce untuosa fece sorridere malignamente la Lestrange, che si sporse come tutti gli altri verso sinistra, in fondo alla grande tavola. Lì seduto c'era Rafe Cohen, che un tempo aveva gestito la Gazzetta di Hogwarts e che aveva un solo anno meno di Harry e gli altri.
L'ex Serpeverde si accese un sigaro sottile, al fuoco di un candelabro.
- Un tempo, a Hogwarts...- disse il giovane mago -...ho sentito dire da un tizio molto saggio e molto astuto che Harry Potter, Ron Weasley ed Hermione Granger erano l'unico vero problema dei Mangiamorte.-
- Ricordo Rafe.- Nott allargò gli occhi con malizia - Mi ricordo.-
Cohen ghignò - Secondo questo tizio, che vi giuro era un genio, Potter, Weasley e la maledetta Granger erano un fottuto treppiedi. Sue esatte parole. Loro sono rimasti un treppiedi. E cosa succede se una gamba del treppiedi cede?-
Vanessa e gli altri tacquero. Alcuni però già piegavano debitamente le labbra.
- Se una gamba cede...tutto il treppiedi cade.- sibilò Cohen velenoso - Perciò ora chiediamoci amici miei...quale gamba possiamo far saltare, per farli cadere tutti?-
- Potter è protetto da mattina a sera.- sindacò la moglie di Barnett - E la famiglia Weasley è grande e potente.-
- E quindi vogliamo attaccare la mezzosangue?- riecheggiò Rafeus - Siete matti! Quella ha tutta la protezione di Cameron, per non parlare del fatto che gioca con le nostre stesse carte.-
- Già ma...- Cohen sollevò appena la sigaretta - Sempre quando andavo a Hogwarts, la Granger aveva due punti deboli. Il primo è Potter, che continua ad essere intoccabile anche ora. Il secondo...forse è più alla nostra portata.-
- Di cosa parli?- chiese Greyback con voce roca.
- Il genio che mi disse del treppiedi è ora il nostro asso. Il punto debole rimasto della mezzosangue.-
Ci fu un attimo di totale mancanza di parole. Nessuno parve capire...almeno fino a quando Vanessa non rise sottilmente, a bocca spalancata, col capo rovesciato indietro.
Si, quel punto debole lo conosceva bene.
Come aveva potuto non pensarci?
- Draco.- e rise di più, battendo le mani a Cohen - Draco Lucius Malfoy! Si, è sempre stato un genio il mio cuginetto. Aveva ragione. Sono un treppiedi e se spacchi la gamba della Granger, allora li avremo tutti in pugno!-
- E sarà il nostro cuginetto a farli cadere.- Rafeus alzò il calice - Complimenti Rafe.-
- Già.- annuì anche Nott - Devo ammettere che mi ero scordato quanto la mezzosangue sia debole quando si tratta del nostro Principe di Serpeverde.-
- Forse potremmo volgere la situazione a nostro vantaggio ancora di più.- perseverò Rabastan Lestrange - Perché attaccare noi gli Auror di petto quando gl'Illuminati possono sfinirli al posto nostro?-
- Che intendi?- fece Nott.
- Hai ragione zio.- Vanessa strinse la mano a Rabastan, sorridendo di pura vittoria - Ottima idea. Potremmo fare uno scambio equo con Mezzafaccia. Noi la facciamo pagare al mio illustre cugino traditore. E quando il treppiedi casca a pezzi per colpa della mezzosangue, diciamo a Grimaldentis di attaccare. Così moriranno tutti.-
Qualcuno dei più giovani fischiò pieno di ammirazione, mentre la sala intera si riempiva di urla di gioia.
Urla cavernose, quasi diaboliche.
Il piano era pronto.
Bisognava solo tendere la rete e il principe di Serpeverde avrebbe finalmente pagato il suo devito.


Cloe King afferrò i capelli neri come l'inchiostro di Tom, tirandogli indietro la testa per poterlo baciare meglio.
Affondò prepotentemente la lingua fra le sue labbra, schiacciata al suo torace nudo.
Da un'ora circa erano ormai immersi nella vasca ricolma di schiuma del Bagno dei Prefetti ma non era la prima volta che ci andavano.
Il dolore straziante rischiava di ucciderlo ma Riddle non aveva mai aperto bocca per protestare.
Mai. Nemmeno una volta.
Perché lei lo aveva cercato da quella notte in cui era tornato dalla ronda con Neely, perché lei lo cercava sempre e solo per uccidere il ricordo della loro unica notte d'amore con del sesso freddo e famelico.
Perché lei lo puniva così.
Parlando con altri, stando con loro davanti a lui.
Per poi trascinarlo via di nascosto e farlo suo senza riguardo, per vendetta.
Senza una parola, senza sentimento.
Ma non le aveva mai detto di no.
Mai una volta.
Solo perché quello era l'unico modo per averla ancora vicina.
Anche se lei lo odiava, anche se lei lo disprezzava.
Era l'unico modo per stare di nuovo con lei.
Nell'attimo torbido del piacere, Cloe sempre sopra di lui, gli prese il mento fra le mani.
Con durezza.
- Guardami.- gli ordinò.
Ma non era per intimità, per legarli.
Era solo perché vedesse bene quanto odio covava nello sguardo.
E come sempre, una volta che li aveva colti dal piacere, lei si allontanava. Lasciando solo freddo dietro di lei.
Ogni gesto tenero era bandito.
Com'era bandito il ricordo di quella notte, che sembrava essere stata solo un sogno.
Usato. Si, ormai lo usava solo come un giocattolo.
Rimase ammollo nell'acqua, mentre lei si rivestiva.
Non un fiato, non un saluto.
Sparì che erano le tre del mattino e senza guardarsi indietro.
Attese una mezz'ora, poi uscì anche lui per tornare a Grifondoro. Ma ogni suo passo sembrava la via di un condannato a morte.
Dormì solo poche ore di un sonno leggero, infestato d'incubi.
Quando Sedwigh andò a chiamarlo alle otto era già in piedi, chino sul lavandino del suo bagno, dopo aver vomitato.
Stanford non disse una parola, si limitò ad usargli l'Innerva almeno due volte per tenerlo in piedi e insieme a Bruce e Martin andarono in Sala Grande, per colazione.
Quando entrarono c'era un discreto brusio. Tutti avevano saputo dei McAdams bene o male. Sia la Gazzetta del Profeta che il Cavillo avevano incentrato le prime pagine su quei delitti.
Tom si sedette senza che Degona alzasse gli occhi dalle sue uova strapazzate, limitandosi a bere del caffè.
Accanto a lui tutti cercavano di discutere limitatamente dell'accaduto ma Serpeverde sembrava in subbuglio.
- La McAdams non è a tavola.- disse Martin, osservando appena verso la zona delle serpi.
- Chi vorrebbe starci, con questo casino.- bofonchiò Madeline Nolan.
- Ho sentito da Juliette Caldwell che stanotte la McAdams è rientrata ai dormitori tardissimo.- sussurrò Maggie Clark - Forse se ne andrà da scuola.-
- Fatela finita con questi pettegolezzi.- sibilò Cloe gelida, seduta a fianco di Stanford.
- Non sono pettegolezzi. E' tutto vero.- replicò Maggie irritata.
- Ma io non ho voglia di sentirli.- disse allora la King, alzando minacciosamente gli occhi nocciola - Chiaro?-
Intanto a Serpeverde arrivò Beatrix, che si sedette in tempo per sentire le ultime novità.
Non prestò attenzione alla cosa, come del resto non fece neanche Damon, troppo indaffarato a far finta di rileggere gli appunti di Divinazione.
- Qualcuno sa dov'è?- chiese Kathleen Barnett a bassa voce.
- Dove vuoi che sia?- replicò Fern Gordon acidamente - Lasciatela in pace.-
- Non roviniamoci la giornata.- disse anche Adam Broody - Mi passate il caffè?-
- E tu pensi al caffè con questo casino?- ringhiò Hillis seccato.
- Cosa dobbiamo fare?- replicò Adam - Immolarci tutti?-
- No. Ma se sapessimo cosa intende fare sarebbe meglio.-
- Perché Clyde?- soffiò Alderton, indifferente - Sono affari suoi.-
- Già, non siamo Grifondoro. Facciamoci i cazzi nostri.- ironizzò la Gordon - E adesso mangia Clyde. E zitto.-
- Ci trascinerà tutti nel fango, dannazione.-
Beatrix fece finta come al solito di piluccare qualcosa ma non staccava mai gli occhi da Damon.
Howthorne infatti faceva solo finta di estraniarsi e questo la urtava.
Specialmente quando lo pescava a fissare la tavola dei rosso oro.
- Se stai male perché non gli parli?- gli chiese serafica.
Il Legimors abbassò di nuovo il capo sugli appunti.
Non rispose.
- Falla finita Damon.-
- Oggi è il due, lo sai?-
- Si, lo so. Un mese al M.A.G.O.-
Lo sentì ridere senza divertimento.
- Già. Manca davvero poco.-
- Hai paura?- lo sfidò.
- Si. Ma non del M.A.G.O.-
La Diurna aprì il giornale proprio quando Tom si alzò dalla tavola, afferrando la sua tracolla e andando via.
Quant'era dimagrito, si ritrovò a pensare suo malgrado.
Era pallido.
Il fantasma di se stesso.
La rabbia quasi la faceva gioire.
E il dolore l'avrebbe fatta sciogliere in lacrime se solo di punto in bianco Damon non avesse rovesciato il calice mattutino.
Si volse a chiedergli cos'avesse ma quando vide la sua espressione avvertì uno spiacevole presentimento.
Stava avendo una visione.
Tutta Serpeverde si fermò a fissarlo.
E quando balzò in piedi, cominciando ad ansare pesantemente, il Legimors era ormai terreo.
- Cosa c'è?- sussurrò Trix alzandosi a sua volta.
- Oddio...- Damon tremava. Tremava come mai prima.
- Cosa c'è?- richiese Broody - Howthorne cos'hai?-
Lo videro cercare freneticamente qualcuno alla loro tavola...qualcuno che non c'era.
- Oddio...NO!- gridò di punto in bianco, spaventando tutta la Sala Grande.
Scattò come una lepre, saltando sul tavolo e per mettendosi a correre, trascinandosi dietro i compagni.
No, no, no!
C'era una cosa che non aveva detto a Lord Voldemort.
Lui vedeva e sognava.
Ma il suicidio era un'altra cosa.
I suicidi li vedeva a pochi secondi da che compiessero il passo.
Perché era un puro gesto di libero arbitrio. Un gesto che non poteva in alcun modo essere impedito.
Ed era già tardi.
Era ormai troppo tardi.

Fuori in giardino Tom Riddle passò da sotto le arcate, raso le mura e la Torre di Astronomia.
Si sedette su una panchina sotto il salice preferito di Hermione, lasciandosi andare contro lo schienale.
Era inutile, pensò fra sé.
Tutto inutile.
Non aveva abbastanza forza per sopportare l'odio, tantomeno aveva abbastanza forza per continuare ad andare a letto con Claire. E neanche sapeva dirle di no.
Vigliacco.
Codardo.
- Ciao.-
Tom levò gli occhi blu, stirando un sorriso.
- Ciao William.-
Il piccolo Crenshaw infilò una mano sotto il mantello, tirandone fuori una ciambella.
- Me l'ha data il tuo amico dei dolci. Lui andava da Hagrid, così te l'ho portata io. Mangiala.-
Riddle la prese senza la minima voglia di mangiarla, ma William rimase di fronte a lui con sguardo severo.
- Archie ti ha detto di controllare che la mangiassi?-
- Si. Anche se non te lo meriti.-
Morse appena un pezzo e lo zucchero frizzantino gli solleticò la gola.
- Perché stai qui William?-
Il Serpeverde alzò le spalle, guardando altrove.
- So come ci si sente ad essere spaccati in due.-
Già. Tom annuì comprensivo.
- E poi tua sorella è preoccupata. Anche se fa finta di niente.-
- Grazie che stai con lei.-
- Sta male come un cane.- gli disse rabbioso - Non la sopporto quando piagnucola.-
Strano giro di parole.
Strane e tenere parole.
- Come sta?- gli chiese senza avere il coraggio di alzare gli occhi blu.
- Te l'ho detto. Sta come un cane. Passa la giornata a piangere da Tristan, oppure da me. Ha perfino litigato con Lucilla, pensa che non abbia fatto abbastanza per trattenerti.-
Lucilla.
Da più di dieci giorni non la vedeva.
Gli si formò un groppo in gola.
L'aveva tradita così bassamente. Approfittandosi del suo passato.
Perché lei lo capiva. Ma non avrebbe mai acconsentito davvero a farlo rinchiudere.
Si, l'aveva ingannata.
Tom mandò giù l'ultimo pezzo di dolce sentendolo amaro come fiele e diede una pacca leggera a Crenshaw sulla spalla.
- Grazie ancora.- si limitò a mormorare e si alzò per andare in biblioteca, l'unico posto dove ormai poteva rifugiarsi quando, a cinque metri dall'ingresso delle arcate, dei ciottoli gli arrivarono addosso dall'alto.
E tutto sembrò andare al rallentatore.
I corvi che si alzavano in volo, sciamando in cielo come un ventaglio nero.
L'ombra che scivolava verso il basso, lungo le pareti della Torre di Astronomia.
William che sollevava lo sguardo verso l'alto.
Urla di studenti nel giardino.
Passi affrettati, spinte, ansimi.
Damon che correndo come un pazzo si bloccò da sotto l'arcata alla sua destra.
Damon che gridava.
Che gli gridava qualcosa che Tom non riuscì a capire.
Maledetti i suicidi.
Maledetti voi che avete la vigliaccheria e il coraggio di togliervi la vita.
Il corpo cadde al suolo con un botto.
Fece un rumore strano, quasi ovattato.
E ora quel corpo scomposto come una bambola stava lì, di fronte a loro.
Sotto Asteria McAdams si aprì un lago di sangue.
Il capo riverso da una parte. Gli occhi verdi semichiusi, coperta da alcune ciocche di capelli insanguinati.
Tom Riddle scivolò lentamente indietro...fino a cadere a terra.
Seduto.
E non sentì più nulla fino a quando, un istante più tardi, l'atroce strillo di una studentessa del secondo anno ruppe il silenzio del giardino della fontana di Hogwarts.
Asteria McAdams si era appena tolta la vita.

 

Così come su Hogwarts fino a quel momento c'era stato il sole, di colpo quel pomeriggio venne ricoperto di nubi nere.
I corvi continuavano la loro nenia, appostati ovunque sul castello.
Asserragliati sui loggioni, sulle mura, sulla cima delle torri.
Sembravano attirati da qualcosa, come avvoltoi di fronte a una carcassa.
La pioggia aveva lavato via il sangue, ma non le lacrime.
Ovunque per la Scuola di Magia e Stregoneria si sentivano brevi sussurri, gemiti, pianti.
Le Autorità del Ministero erano subito state chiamate, Silente da ore era chiuso nel suo studio con gli Amministratori e Orloff in persona, insieme al SottoSegretario Alfred Sawyer e questi avevano scatenato il caos.
Da oltre duecento anni non accadeva un fatto simile, a Hogwarts.
Duecento lunghi anni.
A tratti fra quelle pareti di pietra regnavano grida e pianti isterici di studenti increduli.
A tratti aleggiava il silenzio.
Thomas Maximilian Riddle era seduto nella sala d'attesa all'ufficio della Mcgranitt e teneva il capo basso.
Guardava i pantaloni neri della divisa.
C'era del sangue...minuscole gocce.
Seduto sul divano abbarbicato a un bracciolo fissava il pavimento, la punta delle scarpe.
Una sigaretta fra le dita, incurante del divieto della vicepreside.
Oltre il suono ritmico della pioggia contro i vetri, poteva sentirla discutere con Piton e un altro mago che lui non aveva mai visto. Abito costoso, bombetta, aria altera.
Incurante, tornò a guardare le sue scarpe.
Prestava attenzione a cose insignificanti.
Gli venne in mente che doveva terminare la ricerca per la Hilton. E che doveva consegnare i compiti a Lumacorno.
Chissà perché la Mcgranitt aveva scelto la tappezzeria di quel colore...
Sentì dei movimenti dell'altra parte del divano.
Damon Michael Howthorne, con gli occhi cerchiati di rosso, stava poggiato su un gomito.
Non stava fermo.
Non si scambiarono una parola.
Fino a quando non entrò il mago che fino a quel momento era stato con la professoressa di Trasfigurazione.
Lei li lasciò con l'uomo ma la calma dell'arrivo durò ben poco.
Appena chiusa la porta, tempo un minuto e il suono di vetri rotti la fece precipitare a vedere cos'era successo.
Damon e Tom avevano scagliato addosso al mago, lo psichiatra mandato da Orloff, il posacenere usato da entrambi, più un pomo d'argento preso dal tavolinetto davanti a loro.
Naturalmente il codardo scappò all'istante, dicendo che avrebbe fatto rapporto ma la professoressa non ebbe cuore di dire una sola parola. Mormorò loro di stare calmi e che sarebbe tornata presto.
Lasciò di nuovo soli due adolescenti ridotti a spettri.
Uno che si era ritrovato il cadavere di una compagna a un metro da lui.
L'altro che aveva visto tutto e non era riuscito a impedire che accadesse.
Dentro alla stanza ricadde il silenzio. Duro come il metallo, affilato come un rasoio.
Si era ammazzata. Si era uccisa.
Damon si passò una mano sul viso, incredulo di potersi sentire così male.
Credeva di aver toccato il fondo con Wizloon ma a quanto pareva si era sbagliato.
E di parecchio.
La finestra in fondo alla stanza di aprì di colpo, sbattendo i vetri contro le pareti.
La pioggia si riversò sul pavimento, infradiciandolo.
Tom agitò debolmente la bacchetta, richiudendola infastidito da un tuono.
Poi anche l'anta di una vetrina ricolma di libri antichi si aprì.
Riddle lasciò andare in capo all'indietro.
- Piantala.- sibilò.
- Non sono io.- rispose Damon.
- E allora chi è?-
Howthorne lasciò perdere. Non aveva più la forza di parlare, tantomeno di pensare.
Fu in quel mentre che qualcosa di simile a un ferro rovente gli sfiorò la pelle del polso.
Si girò con lentezza...e credette di morire.
Una mano pallida e sporca di sangue gli aveva stretto il polso.
Inginocchiata a terra, vicino al bracciolo del divano, Asteria McAdams gli teneva il polso.
I capelli ora molto scuri e quasi sudici e umidi le ricadevano sul volto macchiato di fango e rosso denso.
Il grido del Legimors infestò quella stanza come solo una truppa di demoni infernali avrebbero potuto fare. Balzò in piedi sul divano, saltando dietro alle schiena di Riddle, continuando a gridare.
Come un insetto, Asteria aveva gattonato fino in un angolo buio, sparendo.
- Cristo Santo!- Damon ansava, terrorizzato come quando aveva avuto il suo primo sogno, a nove anni - Cristo! Tom! Dimmi che la vedi! Dimmi che l'hai vista!-
Il grifone si alzò dal divano, facendosi indietro con espressione indecisa. Diffidente.
Lo fissava senza capire, senza sapere cosa dirgli.
- Ma che cos'hai?- sussurrò.
La vetrinetta di prima si aprì di nuovo di scatto e Damon cacciò un altro grido seguito a una bestemmia quando rivide Asteria gattonare accanto a Tom. Con forza afferrò Riddle per il braccio, trascinandolo in piedi sul divano.
- Sta qua!- alitò il Serpeverde - Non scendere!-
- Cosa diavolo hai!?- sbottò allora Riddle.
- La vedi? Dimmi che la vedi!-
- Vedo chi?- sibilò - E cos'hai fatto al polso?-
Quando Damon alzò la mano sinistra, capì che stava seriamente per svenire.
Ma che non era un'allucinazione.
Sull'epidermide del polso spiccava la presa di cinque dita. Come un'ustione.
Non se l'era sognata. No.
Era lì.
Il cigolio li fece voltare di nuovo verso una lavagna che prima era stata coperta da un telo.
Ora un gesso si stava muovendo da solo, quella superficie pulita e nera.
- Non sei tu...- alitò Tom.
- No.- negò Damon. Non era lui.

                                                                                    MIRANDA

Ecco cosa scrisse Asteria.
Miranda.
Un nome soltanto.
Poi com'era arrivata fece una smorfia grottesca ai due, come se avesse voluto gridare senza voce, e sparì facendo andare in pezzi tutte le finestre della stanza.
Restarono in piedi a lungo su quel divano, nessuno dei due aveva il coraggio di muoversi, di dire qualcosa.
Anche solo per chiedere una spiegazione, anche la più banale.
Sembrarono riprendersi solo quando sulla soglia apparve lui.
Gli occhi di Tom e Damon divennero vitrei quando Draco Malfoy li fissò con dispiacere, tristezza, dolore.
Un attimo solo e si precipitarono entrambi fra le sue braccia. Li strinse forte.
In fondo non poteva fare altro.

 

 

 

 

Tiziano Sclavi,
Della Morte, dell'Amore, XII.

La morte, la morte, la morte furiosa,
la morte maligna, la morte pietosa,
la morte sicura, la morte carogna,
la morte che ha il muso di un topo di fogna,
la morte trionfante, la morte gloriosa,
la morte che arriva, la morte mia sposa,
la morte che danza, la morte civetta,
la morte, la morte, la morte che aspetta...

 

 

 

 

 

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