Tiziano Sclavi,
Della Morte, Dell'Amore, VI.
La morte di pietra, la morte di neve,
la morte che viene con passo lieve,
ma per averla dovrai lottare,
vivere ancora e ancora respirare.
Perché è un'amante che non si dà a tutti,
non conta che siano belli oppure brutti:
può darsi a un altro, ma un attimo appena
e anche allora ti pensa e t'incatena.
Thomas Maximilian Riddle gettò un paio di galeoni sul
tavolo, attento a non bruciare con la cenere della sigaretta la tovaglia rossa.
Davanti a lui Sedwigh Stanford, suo compagno, lo seguì con la stessa posta.
-
Altro whisky?- chiese Stewart Travers, alzandosi per andare al bancone della
stanzetta ad anticamera della Sala Duelli che Tristan all'inizio aveva usato per
chiuderci dentro una Banshee.
- Si, io ne voglio.- rispose Jeff Lunn -
Ragazzi?-
- Io nulla.- Tom scosse il capo.
- A me due dita appena.-
Sedwigh sollevò brevemente lo sguardo dalle carte.
Spiava l'ingresso
attentamente, come per vedere chissà chi.
A quell'ora di notte del primo
maggio la stanza era occupata da numerosi Serpeverde e da altrettanti
Corvonero.
Mancavano alcuni Caposcuola, Neely per prima che da parecchio non
metteva piede fuori dal suo dormitorio o dalla camera da letto del suo
ragazzo.
Dieci giorni di silenzio. Una vita intera. Dieci giorni persi.
Ne
restavano a malapena quaranta di libertà. Così pochi...
Proprio in quel
momento entrò Thaddeus Flanagan, tampinato da Fern Gordon che gli correva dietro
con un fazzoletto sporco di sangue...per non macchiare il prezioso marmo.
-
Che è successo?- chiese Matt Rogers, seduto al bancone con Adam Broody e Clyde
Hillis.
- Merlino, Flanagan.- sibilò invece Lunn- Ti avevo detto di starci
lontano.-
- Lontano da chi?- chiese Tom, senza interesse.
- Da Bart Owin.-
rispose Fern con tono irritato - Questo deficiente è andato alla redazione della
Gazzetta della scuola e s'è attaccato con lui!-
- E meno male che è tuo
amico.- ghignò Stanford - Flanagan non sai cosa sia la delicatezza.-
- Non
l'avresti avuta nemmeno tu con quel deficiente se avessi visto cosa stavano
pubblicando.- replicò il Tassorosso inferocito, facendosi lanciare da Matt del
ghiaccio dentro un panno pulito - Fa insinuazioni troppo pesanti, mi ha rotto le
balle. Fine della storia.-
- Hai una copia dell'edizione di domani?- gli
chiese Tom.
- Si, quella che non andrà in stampa.- ironizzò Flanagan -
Ecco.-
Una pagina spiegazzata e strazzonata colma di titoloni catastrofi fu
il colpo finale di quella serata.
Altre accuse su alcuni studenti e le loro
famiglie, altre velate minacce, il racconto dell'incidente del giorno al campo
di quidditch quando un ragazzo del quarto di Serpeverde aveva pestato uno di
Tassorosso perché aveva spifferato in giro falsità sui suoi genitori.
E
infine ciò che lasciò Tom a occhi sbarrati.
- McAdams.- lesse Fern ad alta
voce, piegandosi sulla spalla di Riddle - "Dieci ore fa una famiglia di
maghi composta di alcuni membri mezzosangue è stata trovata decimata nella loro
casa nella periferia di Londra. Gli Auror hanno arrestato i colpevoli che si
sono macchiati della morte di due genitori, una coppia di parenti anziani e un
bambino di nove anni. Le prove fornite all'Autorità Magiche hanno fatto ricadere
i sospetti sulla famiglia McAdams, già implicati il mese scorso in un incidente
alla dimora di campagna della famiglia Lampert, dove sarebbe stato trovato morto
il custode Magonò. Harnold e Dyana McAdams sono stati interrogati e messi sotto
arresto dopo l'inconfutabile veridicità delle prove, ma solo la strega è stata
condotta alla prigione di Azkaban. Harnold McAdams è tuttora
ricercato."-
- Per tutti i maghi...- mormorò Mary J. Lewis.
Poi cadde
il silenzio.
Le voci erano vere.
Erano Mangiamorte.
Tom accartocciò la
pagina, gettandola nel fuoco.
- Hai fatto bene a far sparire tutto,
Flanagan.- disse Sedwigh.
- Dici?- fece Matt.
- Lo sai come gira di
recente.- annuì anche Adam Broody, allentandosi la cravatta verde e argentea -
E' una fortuna che quella roba non sia andata in stampa o domani a quest'ora ci
saranno già delle gogne pronte per chiunque apra bocca.-
- Gogne per
chi?-
La voce conosciuta fece tremare Tom.
Tenne lo sguardo basso mentre
Cloe King entrava facendo tintinnare appena i tacchi alti.
- I McAdams.- le
disse Mary, quando la bionda la raggiunse al bancone per bere qualcosa, senza
degnare gli altri di un saluto. Eppure, anche se lei gli dette subito le spalle,
Tom notò dei graffi e un livido sulla guancia della Grifondoro.
Cos'era
successo?
- Non lo sai?- gli disse Stewart, leggendogli quasi nel pensiero -
Oggi, mentre non c'eri in Sala Duelli, Asteria e Kathleen Barnett hanno lanciato
accuse su di te.-
Riddle non se ne stupì, ma allargò la bocca quando il
Corvonero continuò.
- Cloe le ha zittite per poco e sono arrivate alle mani.
La Vaughn ha cercato di separarle e se l'è prese anche lei.- sorrise Travers -
Io mi sono anche preso un calcio. Alla fine le ha fermate Tristan, ma sono tutte
in punizione.-
Cloe e Trix...
Tom scosse il capo, desolato.
Ora
qualcosa di forte gli serviva davvero.
Finita la mano, vinta dai Corvonero,
Tom fece per alzarsi e tornarsene in camera sua, quando anche la King si alzò
dallo sgabello al bancone. Salutò Stewart e anche Sedwigh dando loro un profondo
bacio sulla guancia che lo gelò, poi raggiunse la porta con lui. Senza una
parola.
Non ce n'era bisogno.
Una volta fuori con uno sguardo imperioso,
lo stesso che aveva da tempo a quella parte verso di lui, gl'impose di seguirla.
E Tom già sapeva che di nuovo non sarebbe riuscito a dormire.
Ma in fondo se
lo meritava.
Lord Voldemort sputò a terra, al colmo del
disprezzo.
Erano anni che non lo faceva. Anni che non provava un tale
disgusto.
- Le cose stanno così.- gli disse Harry Potter, dandogli le spalle
nella Stanza dei Pugna Laeta - Se non ti sta bene non so cosa farci. Io mi
chiamo fuori. La storia è finita.-
- Tu ti chiami fuori solo quando sarò io a
permettertelo!- gli urlò il Lord Oscuro, fuori di sé dall'ira, mentre il suo
nemico giurato dopo ventisette anni di guerra gli diceva "Basta".
- Mi
dispiace.- Potter rise, fermo di fronte alla porta degli Auror - Ma non c'è
niente che tu possa fare stavolta. Quanto a tuo figlio, anche lui ha preso la
sua decisione. Non riguarda più me il vostro rapporto. Discutine con lui se
vuoi. Io e te non abbiamo più niente da dirci. Addio Tom.-
La porta degli
Auror si aprì e si chiuse.
Il botto leggero rimbombò come una risata di
scherno.
Voldemort serrò i pugni, rischiando quasi di spezzare la sua
bacchetta.
Finita.
Il suo nemico, il suo grande e invincibile nemico era
morto.
Era come se lo fosse.
E suo figlio...oh...furbo, piccolo Thomas!
Anche lui gli doveva un bel po' di spiegazioni!
Raggiunse la sua porta e
quando se la sbatté alle spalle lo fece così forte che questa traballò i
cardini.
Era tornato nella sua stanza, a Dark Hell Manor e la collera era
tale che numerose fiale e boccette contenute sugli scaffali e dietro le vetrine
andarono in pezzi.
Anche il fuoco nel camino esplose, provocando una vampata
micidiale che annerì il pavimento di pietra.
"E' successo qualcosa di
grave?"
Voldemort serrò le mascelle e la sua faccia si trasformò in un
teschio grottesco.
Nagini, arrotolata in poltrona, capì che l'umore del suo
padrone non era adatto alle chiacchiere in quel momento e così strisciò via dai
cuscini, dirigendosi all'ingresso.
"Prima che me ne vada, i Mangiamorte
richiedono la vostra presenza in sala."
- Ora non ho tempo.- sibilò il
Lord Oscuro, con tono che fece vibrare i vetri delle finestre.
"Come
volete. Ma credo che una loro proposta potrebbe risolvere il guaio che ha
causato Harry Potter."
Silenzio.
Nagini sparì discretamente e così il
grande mago del male cominciò a camminare avanti e indietro, di fronte alla
portafinestra spalancata.
Dannazione.
Dannazione a Harry Potter e a suo
figlio.
Maledetti tutti e due!
"Io e te non abbiamo più niente da
dirci..." aveva osato dirgli Harry.
Oh, come si sbagliava.
C'era ancora
molto da dire invece.
Un altro scatto di stizza e le fiamme del camino
scintillarono, pronte ad esplodere nuovamente.
Ventisette
anni.
Ventisette.
Da quando un neonato in fasce l'aveva sconfitto,
rimediando una ben misera cicatrice.
E quasi diciotto da quando suo figlio
era nato ad Azkaban.
Anni gettati al vento.
Si appoggiò alle pareti della
portafinestra con entrambi i palmi aperti, fissando il vuoto della dimensione
che accoglieva il suo castello nero.
Maledetti. Maledetti entrambi.
No.
Non poteva finire così.
Imprecando fra i denti capì che l'ultima parola non
era ancora detta.
Come quel maledetto moccioso si era tolto i poteri, bhè se
li sarebbe ripresi.
In un modo o nell'altro.
Piani più sotto, nella sala
riunioni dei Mangiamorte, Vanessa Lestrange spiò Harnold McAdams conversare
animatamente col giovane figlio ventenne, l'ultimo dei fratelli, del
defunto Mcnair morto ad Azkaban quattro anni prima.
- Il codardo scozzese è
tornato senza moglie.- ghignò Theodor Nott, affiancandola.
- Già. Se non
altro ha fatto quello che doveva, anche se era sua moglie il cervello della
coppia.-
La Lestrange distolse lo sguardo, tornando a sedersi a tavola,
seguita da Nott e dalla moglie, una ragazzina sbiadita col viso appuntito,
sempre muta come un pesce.
I settanta posti erano tutti occupati, tranne
quello a capotavola e molti stavano in piedi, poggiati alle colonne, altri
accanto alle finestre dalle lunghe e pesanti tende nere.
Alcuni demoni si
aggiravano inquieti.
Eppure la gioia folle che li aveva colti tutti quando
avevano saputo che Harry Potter aveva ceduto bacchetta e poteri, non era ancora
scemata del tutto.
Rafeus Lestrange ancora brindava abbondantemente.
Ma
tutti sapevano molto bene che l'umore del Lord Oscuro era assai differente dal
loro.
Già. Il loro Signore non aveva apprezzato. Da giorni faceva esplodere
ogni cosa, organizzava incursioni suicide, scatenava agguati agli Auror,
incidenti ai babbani. Ma nulla.
Harry Potter non era mai ricomparso.
Alla
luce fioca dei candelabri e delle fiaccole appese alle pareti, nessuno di loro
attendeva il suo arrivo.
Ma sapevano che il perpetuo malumore di Voldemort
poteva essere pericoloso anche per loro. Al minimo sbaglio o imprevisto poteva
saltare qualche testa.
La loro.
- Avanti.- disse Vanessa, versandosi un
calice di vino - Come risolviamo questa faccenda?-
- Nel modo più facile
possibile.- le disse Rafeus - Sorella, Potter è senza poteri. Ha la gola
scoperta.-
- E noi dobbiamo solo azzannare.- ghignò Fenrir Greyback,
appostato accanto a Lestrange - Non fare la sospettosa, ragazza mia. Tua madre
con un'occasione simile non avrebbe mai esitato.-
Vanessa si portò il calice
alle labbra - Già...ma mia madre ha sottovalutato una sorella più determinata di
lei. Ha scambiato l'apparenza gelida di Narcissa per indifferenza. Ed è stata
uccisa per questo.-
- Noi non commetteremo errori simili.- sindacò
Rafeus.
- Già, alla prima occasione basterà una spada ben affilata.- disse
Harnold McAdams.
- Alla prima occasione finirai in cella se non stai
attento.- gli ricordò Nott - Per poi finire di fronte al Wizengamot a
spiattellare tutto. No, grazie.-
- Io non tradirei mai la causa!- ringhiò lo
scozzese.
- Queste parole le ho già sentite.- ironizzò acidamente Rafeus -
Severus Piton, per esempio. Chi altri? Quel bastardo di Karkaroff. Mio padre
invece è ancora in prigione...e non ha mai fiatato!-
- Oh, onore ai Lestrange
allora.- soffiò un tizio biondo con l'aria da dandy, in fondo a destra.
- Sta
zitto Barnett, porta rispetto a mio fratello.- sibilò Rabastan Lestrange,
fratello di Rodolphus mai catturato e zio di Vanessa e Rafeus - Anche sul tuo
conto cominciano a girarne troppe.-
- Ma non ho mai dato a nessuno i motivi
per venirmi a disturbare, a differenza di voi Black e Lestrange, Rabastan,
vecchio mio.- gli disse Marcus Barnett, padre di Kathleen Barnett di Serpeverde
- Comunque fa come credi. Allora, come lo uccidiamo Potter?-
- Ripeto.- disse
Rafeus testardo - E' indifeso ormai.-
- Sicuro? Harry Potter sarà senza
poteri ma è comunque sempre sorvegliato. Giorno e notte.- gli ricordò Vanessa,
rivolgendosi poi ai presenti - E ora ditemi, amici miei, qualcuno di voi ha un
piano serio o volete per caso suicidarvi?-
- Io avrei una proposta.-
La
voce untuosa fece sorridere malignamente la Lestrange, che si sporse come tutti
gli altri verso sinistra, in fondo alla grande tavola. Lì seduto c'era Rafe
Cohen, che un tempo aveva gestito la Gazzetta di Hogwarts e che aveva un solo
anno meno di Harry e gli altri.
L'ex Serpeverde si accese un sigaro sottile,
al fuoco di un candelabro.
- Un tempo, a Hogwarts...- disse il giovane mago
-...ho sentito dire da un tizio molto saggio e molto astuto che Harry Potter,
Ron Weasley ed Hermione Granger erano l'unico vero problema dei
Mangiamorte.-
- Ricordo Rafe.- Nott allargò gli occhi con malizia - Mi
ricordo.-
Cohen ghignò - Secondo questo tizio, che vi giuro era un genio,
Potter, Weasley e la maledetta Granger erano un fottuto treppiedi. Sue esatte
parole. Loro sono rimasti un treppiedi. E cosa succede se una gamba del
treppiedi cede?-
Vanessa e gli altri tacquero. Alcuni però già piegavano
debitamente le labbra.
- Se una gamba cede...tutto il treppiedi cade.- sibilò
Cohen velenoso - Perciò ora chiediamoci amici miei...quale gamba possiamo far
saltare, per farli cadere tutti?-
- Potter è protetto da mattina a sera.-
sindacò la moglie di Barnett - E la famiglia Weasley è grande e potente.-
- E
quindi vogliamo attaccare la mezzosangue?- riecheggiò Rafeus - Siete matti!
Quella ha tutta la protezione di Cameron, per non parlare del fatto che gioca
con le nostre stesse carte.-
- Già ma...- Cohen sollevò appena la sigaretta -
Sempre quando andavo a Hogwarts, la Granger aveva due punti deboli. Il primo è
Potter, che continua ad essere intoccabile anche ora. Il secondo...forse è più
alla nostra portata.-
- Di cosa parli?- chiese Greyback con voce roca.
-
Il genio che mi disse del treppiedi è ora il nostro asso. Il punto debole
rimasto della mezzosangue.-
Ci fu un attimo di totale mancanza di parole.
Nessuno parve capire...almeno fino a quando Vanessa non rise sottilmente, a
bocca spalancata, col capo rovesciato indietro.
Si, quel punto debole lo
conosceva bene.
Come aveva potuto non pensarci?
- Draco.- e rise di più,
battendo le mani a Cohen - Draco Lucius Malfoy! Si, è sempre stato un genio il
mio cuginetto. Aveva ragione. Sono un treppiedi e se spacchi la gamba della
Granger, allora li avremo tutti in pugno!-
- E sarà il nostro cuginetto a
farli cadere.- Rafeus alzò il calice - Complimenti Rafe.-
- Già.- annuì anche
Nott - Devo ammettere che mi ero scordato quanto la mezzosangue sia debole
quando si tratta del nostro Principe di Serpeverde.-
- Forse potremmo volgere
la situazione a nostro vantaggio ancora di più.- perseverò Rabastan Lestrange -
Perché attaccare noi gli Auror di petto quando gl'Illuminati possono sfinirli al
posto nostro?-
- Che intendi?- fece Nott.
- Hai ragione zio.- Vanessa
strinse la mano a Rabastan, sorridendo di pura vittoria - Ottima idea. Potremmo
fare uno scambio equo con Mezzafaccia. Noi la facciamo pagare al mio illustre
cugino traditore. E quando il treppiedi casca a pezzi per colpa della
mezzosangue, diciamo a Grimaldentis di attaccare. Così moriranno
tutti.-
Qualcuno dei più giovani fischiò pieno di ammirazione, mentre la sala
intera si riempiva di urla di gioia.
Urla cavernose, quasi diaboliche.
Il
piano era pronto.
Bisognava solo tendere la rete e il principe di Serpeverde
avrebbe finalmente pagato il suo devito.
Cloe King afferrò i capelli
neri come l'inchiostro di Tom, tirandogli indietro la testa per poterlo baciare
meglio.
Affondò prepotentemente la lingua fra le sue labbra, schiacciata al
suo torace nudo.
Da un'ora circa erano ormai immersi nella vasca ricolma di
schiuma del Bagno dei Prefetti ma non era la prima volta che ci andavano.
Il
dolore straziante rischiava di ucciderlo ma Riddle non aveva mai aperto bocca
per protestare.
Mai. Nemmeno una volta.
Perché lei lo aveva cercato da
quella notte in cui era tornato dalla ronda con Neely, perché lei lo cercava
sempre e solo per uccidere il ricordo della loro unica notte d'amore con del
sesso freddo e famelico.
Perché lei lo puniva così.
Parlando con altri,
stando con loro davanti a lui.
Per poi trascinarlo via di nascosto e farlo
suo senza riguardo, per vendetta.
Senza una parola, senza sentimento.
Ma
non le aveva mai detto di no.
Mai una volta.
Solo perché quello era
l'unico modo per averla ancora vicina.
Anche se lei lo odiava, anche se lei
lo disprezzava.
Era l'unico modo per stare di nuovo con lei.
Nell'attimo
torbido del piacere, Cloe sempre sopra di lui, gli prese il mento fra le
mani.
Con durezza.
- Guardami.- gli ordinò.
Ma non era per intimità,
per legarli.
Era solo perché vedesse bene quanto odio covava nello
sguardo.
E come sempre, una volta che li aveva colti dal piacere, lei si
allontanava. Lasciando solo freddo dietro di lei.
Ogni gesto tenero era
bandito.
Com'era bandito il ricordo di quella notte, che sembrava essere
stata solo un sogno.
Usato. Si, ormai lo usava solo come un
giocattolo.
Rimase ammollo nell'acqua, mentre lei si rivestiva.
Non un
fiato, non un saluto.
Sparì che erano le tre del mattino e senza guardarsi
indietro.
Attese una mezz'ora, poi uscì anche lui per tornare a Grifondoro.
Ma ogni suo passo sembrava la via di un condannato a morte.
Dormì solo poche
ore di un sonno leggero, infestato d'incubi.
Quando Sedwigh andò a chiamarlo
alle otto era già in piedi, chino sul lavandino del suo bagno, dopo aver
vomitato.
Stanford non disse una parola, si limitò ad usargli l'Innerva
almeno due volte per tenerlo in piedi e insieme a Bruce e Martin andarono in
Sala Grande, per colazione.
Quando entrarono c'era un discreto brusio. Tutti
avevano saputo dei McAdams bene o male. Sia la Gazzetta del Profeta che il
Cavillo avevano incentrato le prime pagine su quei delitti.
Tom si sedette
senza che Degona alzasse gli occhi dalle sue uova strapazzate, limitandosi a
bere del caffè.
Accanto a lui tutti cercavano di discutere limitatamente
dell'accaduto ma Serpeverde sembrava in subbuglio.
- La McAdams non è a
tavola.- disse Martin, osservando appena verso la zona delle serpi.
- Chi
vorrebbe starci, con questo casino.- bofonchiò Madeline Nolan.
- Ho sentito
da Juliette Caldwell che stanotte la McAdams è rientrata ai dormitori
tardissimo.- sussurrò Maggie Clark - Forse se ne andrà da scuola.-
- Fatela
finita con questi pettegolezzi.- sibilò Cloe gelida, seduta a fianco di
Stanford.
- Non sono pettegolezzi. E' tutto vero.- replicò Maggie
irritata.
- Ma io non ho voglia di sentirli.- disse allora la King, alzando
minacciosamente gli occhi nocciola - Chiaro?-
Intanto a Serpeverde arrivò
Beatrix, che si sedette in tempo per sentire le ultime novità.
Non prestò
attenzione alla cosa, come del resto non fece neanche Damon, troppo indaffarato
a far finta di rileggere gli appunti di Divinazione.
- Qualcuno sa dov'è?-
chiese Kathleen Barnett a bassa voce.
- Dove vuoi che sia?- replicò Fern
Gordon acidamente - Lasciatela in pace.-
- Non roviniamoci la giornata.-
disse anche Adam Broody - Mi passate il caffè?-
- E tu pensi al caffè con
questo casino?- ringhiò Hillis seccato.
- Cosa dobbiamo fare?- replicò Adam -
Immolarci tutti?-
- No. Ma se sapessimo cosa intende fare sarebbe
meglio.-
- Perché Clyde?- soffiò Alderton, indifferente - Sono affari
suoi.-
- Già, non siamo Grifondoro. Facciamoci i cazzi nostri.- ironizzò la
Gordon - E adesso mangia Clyde. E zitto.-
- Ci trascinerà tutti nel fango, dannazione.-
Beatrix fece finta
come al solito di piluccare qualcosa ma non staccava mai gli occhi da
Damon.
Howthorne infatti faceva solo finta di estraniarsi e questo la
urtava.
Specialmente quando lo pescava a fissare la tavola dei rosso
oro.
- Se stai male perché non gli parli?- gli chiese serafica.
Il
Legimors abbassò di nuovo il capo sugli appunti.
Non rispose.
- Falla
finita Damon.-
- Oggi è il due, lo sai?-
- Si, lo so. Un mese al
M.A.G.O.-
Lo sentì ridere senza divertimento.
- Già. Manca davvero
poco.-
- Hai paura?- lo sfidò.
- Si. Ma non del M.A.G.O.-
La Diurna
aprì il giornale proprio quando Tom si alzò dalla tavola, afferrando la sua
tracolla e andando via.
Quant'era dimagrito, si ritrovò a pensare suo
malgrado.
Era pallido.
Il fantasma di se stesso.
La rabbia quasi la
faceva gioire.
E il dolore l'avrebbe fatta sciogliere in lacrime se solo di
punto in bianco Damon non avesse rovesciato il calice mattutino.
Si volse a
chiedergli cos'avesse ma quando vide la sua espressione avvertì uno spiacevole
presentimento.
Stava avendo una visione.
Tutta Serpeverde si fermò a
fissarlo.
E quando balzò in piedi, cominciando ad ansare pesantemente, il
Legimors era ormai terreo.
- Cosa c'è?- sussurrò Trix alzandosi a sua
volta.
- Oddio...- Damon tremava. Tremava come mai prima.
- Cosa c'è?-
richiese Broody - Howthorne cos'hai?-
Lo videro cercare freneticamente
qualcuno alla loro tavola...qualcuno che non c'era.
- Oddio...NO!- gridò di
punto in bianco, spaventando tutta la Sala Grande.
Scattò come una lepre,
saltando sul tavolo e per mettendosi a correre, trascinandosi dietro i
compagni.
No, no, no!
C'era una cosa che non
aveva detto a Lord Voldemort.
Lui vedeva e sognava.
Ma il suicidio
era un'altra cosa.
I suicidi li vedeva a pochi secondi da che compiessero il
passo.
Perché era un puro gesto di libero arbitrio. Un gesto che non poteva
in alcun modo essere impedito.
Ed era già tardi.
Era ormai troppo
tardi.
Fuori in giardino Tom Riddle passò da sotto le arcate, raso
le mura e la Torre di Astronomia.
Si sedette su una panchina sotto il salice
preferito di Hermione, lasciandosi andare contro lo schienale.
Era inutile,
pensò fra sé.
Tutto inutile.
Non aveva abbastanza forza per sopportare
l'odio, tantomeno aveva abbastanza forza per continuare ad andare a letto con
Claire. E neanche sapeva dirle di no.
Vigliacco.
Codardo.
-
Ciao.-
Tom levò gli occhi blu, stirando un sorriso.
- Ciao William.-
Il
piccolo Crenshaw infilò una mano sotto il mantello, tirandone fuori una
ciambella.
- Me l'ha data il tuo amico dei dolci. Lui andava da Hagrid, così
te l'ho portata io. Mangiala.-
Riddle la prese senza la minima voglia di
mangiarla, ma William rimase di fronte a lui con sguardo severo.
- Archie ti
ha detto di controllare che la mangiassi?-
- Si. Anche se non te lo
meriti.-
Morse appena un pezzo e lo zucchero frizzantino gli solleticò la
gola.
- Perché stai qui William?-
Il Serpeverde alzò le spalle, guardando
altrove.
- So come ci si sente ad essere spaccati in due.-
Già. Tom annuì
comprensivo.
- E poi tua sorella è preoccupata. Anche se fa finta di
niente.-
- Grazie che stai con lei.-
- Sta male come un cane.- gli disse
rabbioso - Non la sopporto quando piagnucola.-
Strano giro di
parole.
Strane e tenere parole.
- Come sta?- gli chiese senza avere il
coraggio di alzare gli occhi blu.
- Te l'ho detto. Sta come un cane. Passa la
giornata a piangere da Tristan, oppure da me. Ha perfino litigato con Lucilla,
pensa che non abbia fatto abbastanza per trattenerti.-
Lucilla.
Da più di
dieci giorni non la vedeva.
Gli si formò un groppo in gola.
L'aveva
tradita così bassamente. Approfittandosi del suo passato.
Perché lei lo
capiva. Ma non avrebbe mai acconsentito davvero a farlo rinchiudere.
Si,
l'aveva ingannata.
Tom mandò giù l'ultimo pezzo di dolce sentendolo amaro
come fiele e diede una pacca leggera a Crenshaw sulla spalla.
- Grazie
ancora.- si limitò a mormorare e si alzò per andare in biblioteca, l'unico posto
dove ormai poteva rifugiarsi quando, a cinque metri dall'ingresso delle arcate,
dei ciottoli gli arrivarono addosso dall'alto.
E tutto sembrò andare al
rallentatore.
I corvi che si alzavano in volo, sciamando in cielo come un
ventaglio nero.
L'ombra che scivolava verso il basso, lungo le pareti della
Torre di Astronomia.
William che sollevava lo sguardo verso l'alto.
Urla
di studenti nel giardino.
Passi affrettati, spinte, ansimi.
Damon che
correndo come un pazzo si bloccò da sotto l'arcata alla sua destra.
Damon che
gridava.
Che gli gridava qualcosa che Tom non riuscì a
capire.
Maledetti i suicidi.
Maledetti voi che avete la vigliaccheria
e il coraggio di togliervi la vita.
Il corpo cadde al suolo con un
botto.
Fece un rumore strano, quasi ovattato.
E ora quel corpo scomposto
come una bambola stava lì, di fronte a loro.
Sotto Asteria McAdams si aprì un
lago di sangue.
Il capo riverso da una parte. Gli occhi verdi semichiusi,
coperta da alcune ciocche di capelli insanguinati.
Tom Riddle scivolò
lentamente indietro...fino a cadere a terra.
Seduto.
E non sentì più nulla
fino a quando, un istante più tardi, l'atroce strillo di una studentessa del
secondo anno ruppe il silenzio del giardino della fontana di
Hogwarts.
Asteria McAdams si era appena tolta la vita.
Così come su Hogwarts fino a quel momento c'era stato
il sole, di colpo quel pomeriggio venne ricoperto di nubi nere.
I corvi
continuavano la loro nenia, appostati ovunque sul castello.
Asserragliati sui
loggioni, sulle mura, sulla cima delle torri.
Sembravano attirati da
qualcosa, come avvoltoi di fronte a una carcassa.
La pioggia aveva lavato via
il sangue, ma non le lacrime.
Ovunque per la Scuola di Magia e Stregoneria si
sentivano brevi sussurri, gemiti, pianti.
Le Autorità del Ministero erano
subito state chiamate, Silente da ore era chiuso nel suo studio con gli
Amministratori e Orloff in persona, insieme al SottoSegretario Alfred Sawyer e
questi avevano scatenato il caos.
Da oltre duecento anni non accadeva un
fatto simile, a Hogwarts.
Duecento lunghi anni.
A tratti fra quelle pareti
di pietra regnavano grida e pianti isterici di studenti increduli.
A tratti
aleggiava il silenzio.
Thomas Maximilian Riddle era seduto nella sala
d'attesa all'ufficio della Mcgranitt e teneva il capo basso.
Guardava i
pantaloni neri della divisa.
C'era del sangue...minuscole gocce.
Seduto
sul divano abbarbicato a un bracciolo fissava il pavimento, la punta delle
scarpe.
Una sigaretta fra le dita, incurante del divieto della
vicepreside.
Oltre il suono ritmico della pioggia contro i vetri, poteva
sentirla discutere con Piton e un altro mago che lui non aveva mai visto. Abito
costoso, bombetta, aria altera.
Incurante, tornò a guardare le sue
scarpe.
Prestava attenzione a cose insignificanti.
Gli venne in mente che
doveva terminare la ricerca per la Hilton. E che doveva consegnare i compiti a
Lumacorno.
Chissà perché la Mcgranitt aveva scelto la tappezzeria di quel
colore...
Sentì dei movimenti dell'altra parte del divano.
Damon Michael
Howthorne, con gli occhi cerchiati di rosso, stava poggiato su un gomito.
Non
stava fermo.
Non si scambiarono una parola.
Fino a quando non entrò il
mago che fino a quel momento era stato con la professoressa di
Trasfigurazione.
Lei li lasciò con l'uomo ma la calma dell'arrivo durò ben
poco.
Appena chiusa la porta, tempo un minuto e il suono di vetri rotti la
fece precipitare a vedere cos'era successo.
Damon e Tom avevano scagliato
addosso al mago, lo psichiatra mandato da Orloff, il posacenere usato da
entrambi, più un pomo d'argento preso dal tavolinetto davanti a
loro.
Naturalmente il codardo scappò all'istante, dicendo che avrebbe fatto
rapporto ma la professoressa non ebbe cuore di dire una sola parola. Mormorò
loro di stare calmi e che sarebbe tornata presto.
Lasciò di nuovo soli due
adolescenti ridotti a spettri.
Uno che si era ritrovato il cadavere di una
compagna a un metro da lui.
L'altro che aveva visto tutto e non era riuscito
a impedire che accadesse.
Dentro alla stanza ricadde il silenzio. Duro come
il metallo, affilato come un rasoio.
Si era ammazzata. Si era
uccisa.
Damon si passò una mano sul viso, incredulo di potersi sentire così
male.
Credeva di aver toccato il fondo con Wizloon ma a quanto pareva si era
sbagliato.
E di parecchio.
La finestra in fondo alla stanza di aprì di
colpo, sbattendo i vetri contro le pareti.
La pioggia si riversò sul
pavimento, infradiciandolo.
Tom agitò debolmente la bacchetta, richiudendola
infastidito da un tuono.
Poi anche l'anta di una vetrina ricolma di libri
antichi si aprì.
Riddle lasciò andare in capo all'indietro.
- Piantala.-
sibilò.
- Non sono io.- rispose Damon.
- E allora chi è?-
Howthorne
lasciò perdere. Non aveva più la forza di parlare, tantomeno di pensare.
Fu
in quel mentre che qualcosa di simile a un ferro rovente gli sfiorò la pelle del
polso.
Si girò con lentezza...e credette di morire.
Una mano pallida e
sporca di sangue gli aveva stretto il polso.
Inginocchiata a terra, vicino al
bracciolo del divano, Asteria McAdams gli teneva il polso.
I capelli ora
molto scuri e quasi sudici e umidi le ricadevano sul volto macchiato di fango e
rosso denso.
Il grido del Legimors infestò quella stanza come solo una
truppa di demoni infernali avrebbero potuto fare. Balzò in piedi sul divano,
saltando dietro alle schiena di Riddle, continuando a gridare.
Come un
insetto, Asteria aveva gattonato fino in un angolo buio, sparendo.
- Cristo
Santo!- Damon ansava, terrorizzato come quando aveva avuto il suo primo sogno, a
nove anni - Cristo! Tom! Dimmi che la vedi! Dimmi che l'hai vista!-
Il
grifone si alzò dal divano, facendosi indietro con espressione indecisa.
Diffidente.
Lo fissava senza capire, senza sapere cosa dirgli.
- Ma che
cos'hai?- sussurrò.
La vetrinetta di prima si aprì di nuovo di scatto e Damon
cacciò un altro grido seguito a una bestemmia quando rivide Asteria gattonare
accanto a Tom. Con forza afferrò Riddle per il braccio, trascinandolo in piedi
sul divano.
- Sta qua!- alitò il Serpeverde - Non scendere!-
- Cosa
diavolo hai!?- sbottò allora Riddle.
- La vedi? Dimmi che la vedi!-
- Vedo
chi?- sibilò - E cos'hai fatto al polso?-
Quando Damon alzò la mano sinistra,
capì che stava seriamente per svenire.
Ma che non era
un'allucinazione.
Sull'epidermide del polso spiccava la presa di cinque dita.
Come un'ustione.
Non se l'era sognata. No.
Era lì.
Il cigolio li fece
voltare di nuovo verso una lavagna che prima era stata coperta da un
telo.
Ora un gesso si stava muovendo da solo, quella superficie pulita e
nera.
- Non sei tu...- alitò Tom.
- No.- negò Damon. Non era
lui.
MIRANDA
Ecco cosa scrisse Asteria.
Miranda.
Un nome soltanto.
Poi com'era arrivata fece una smorfia
grottesca ai due, come se avesse voluto gridare senza voce, e sparì facendo
andare in pezzi tutte le finestre della stanza.
Restarono in piedi a lungo su
quel divano, nessuno dei due aveva il coraggio di muoversi, di dire qualcosa.
Anche solo per chiedere una spiegazione, anche la più banale.
Sembrarono
riprendersi solo quando sulla soglia apparve lui.
Gli occhi di Tom e Damon
divennero vitrei quando Draco Malfoy li fissò con dispiacere, tristezza,
dolore.
Un attimo solo e si precipitarono entrambi fra le sue braccia. Li
strinse forte.
In fondo non poteva fare
altro.
Tiziano Sclavi,
Della Morte, dell'Amore, XII.
La morte, la morte, la morte furiosa,
la morte maligna, la morte pietosa,
la morte sicura, la morte carogna,
la morte che ha il muso di un topo di fogna,
la morte trionfante, la morte gloriosa,
la morte che arriva, la morte mia sposa,
la morte che danza, la morte civetta,
la morte, la morte, la morte che aspetta...
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