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Autore: Gelidha Oleron    29/10/2012    2 recensioni
Ventitré come i miei anni.
Ventitré come le stagioni in cui ero stato lontano dalla mia Sophie.
Ventitré come i passi che feci per raggiungere l'indegno.
Ventitré come i secondi che mi separavano dalla morte.
(CP9: KAKU.)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaku
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Beh, la buona notizia è che posso postarvi subito questa nuova storia…la cattiva è che, a causa dell’uragano Sandy, la mia partenza è rimandata a data indeterminata.  

Bando alle ciance: io ADORO Kaku, anche se spesso non viene preso molto in considerazione (nella lista dei personaggi c’è persino Kalifa!). In qualunque caso, devo dire che mi ha sempre ispirato tanta dolcezza (ecco perché il rating è insolitamente giallo), io credo che sia uno di quei personaggi che chiamo ‘finti antagonisti’ , perché alla fin fine non emana cattiveria, anzi: risulta essere un ragazzo responsabile, a dovere, che svolge semplicemente il proprio lavoro e che, alla fine del suo scontro con Zoro, accetta la sconfitta con sportività e dignità.

Che dire…io ho provato ad immaginare la sua storia, il suo passato e le varie motivazioni che possono averlo indotto a diventare un membro della CP9. Sperando di trovare altri fans del vento di montagna, vi saluto! ;)

 

 

Sono nato il sette agosto in una piccola isola chiamata Kodama, mio padre era un carpentiere e mia madre aveva una panetteria dove faceva il miglior pane di tutta l'isola. Avevo una sorella di nome Kyoko, sei anni più piccola di me, e un fratello di nome Milo, più giovane di me di tre anni.

Al villaggio ci conoscevano tutti, essendo mio padre uno degli uomini più cordiali e rispettabili dell'isola, ed essendo mia madre la panettiera più gentile e in gamba del villaggio.

"Hey, Kaku!"

"Buongiorno, Kaku!"

I cittadini mi salutavano sempre con calore, mentre andavo a scuola e cercavo di trascinare per un orecchio mio fratello minore alle lezioni.

"Non cambierai mai!" lo rimproveravo "Quando capirai che per diventare qualcuno abbiamo bisogno innanzitutto della cultura?"

"E piantala, sapu-Kaku!" si liberava dalla mia stretta così bruscamente da farmi quasi male "Io voglio fare il pirata! E per fare ciò non sono certo necessari questi stupidi libri!" 

Un tonfo rumoroso che ben conoscevo, riecheggiò nell'aria "Rialzali subito" sibilai con tono minaccioso.

Ma lo sguardo che mi lanciò Milo era provocatorio, quasi di sfida "Perché? Altrimenti cosa fai?" calpestò quei testi con forza, sporcandoli con il fango in cui si era lanciato poco prima.

Immediatamente, mi precipitai a salvare quegli sfortunati autori che erano capitati sotto le scarpe di mio fratello "I nostri genitori hanno dovuto fare degli extra per comprarteli" lo informai, stizzito "Potresti almeno mostrare un minimo di riconoscenza!"

"Credi di potermi dare degli ordini soltanto perché hai sedici anni!" attaccò con la sua solita litania "Ma ricorda che, anche se sono più piccolo di te, sarà il mio nome ad essere conosciuto per tutti i mari e non il tuo!" s'impuntò con le mani sui fianchi e mi guardò con rabbia.

Scossi la testa. Milo era proprio una testa dura: si piazzava ad osservarti con quegli occhietti neri e vispi e in quel momento dovevi fargli credere di essere seriamente intimorito dalla sua scenata. Guai se non si sentiva potente...avrebbe potuto continuare per tutto il giorno, e io non avevo tempo da perdere.

Raccolsi i libri e glieli restituii pazientemente, sospirando "Un giorno mi ringrazierai"

"Certo, come no" sputò a terra, dopodiché si pulì la bocca in modo animalesco "Quando gli asini voleranno"

Andare a scuola per me non era mai stato un problema: mi piaceva conoscere la storia, oppure mettere alla prova le mie capacità logiche con la matematica, o ancora imparare a distinguere le canaglie della società dalle brave persone.

Insomma, lo studio mi stimolava. Ne provavo piacere.

Ma anch'io, come tutti i ragazzini, tiravo un sospiro di sollievo quando la campanella si decideva a farsi sentire. 

Allora correvo fuori dall'istituto, contento, volando tra le casette a schiera di Kodama sotto gli sguardi sorpresi di tutti i cittadini.

"Hey, sapu-Kaku!" mi chiamava Milo dal basso "Ti sei dimenticato di me!"

Ma quelle parole non erano udibili alle mie orecchie inebriate dal vento. E continuavo a saltare gioioso per le strade del villaggio, sfiorando appena i tetti e afferrando pezzi di cielo limpido. L'aria mi solleticava il viso e mi scompigliava i capelli, inevitabilmente coperti dal fidato berretto nero. Potevo continuare per ore ed ore, dal centro dell'isola fino alla costa, fino a quando non avvertivo il profumo del pane di mia madre e i rumori dell'officina di mio padre.

"Hey, Kaku!" chiamava a gran voce quest'ultimo "Pronto per la lezione?"

"Arrivo!" allora scendevo dalle nuvole e trascorrevo del tempo con il miglior carpentiere della zona: aveva accettato d'insegnarmi l'arte del mestiere, con la speranza che tra qualche anno avrei potuto dargli una mano negli affari di famiglia.

Per lui non era un disturbo e per me era sempre piacevole imparare cose nuove: passavamo interi pomeriggi a studiare un singolo pezzo di legno, la sua derivazione, e a strutturare con cura le varie fasi della sua lavorazione.

Spesso costruivo attrezzi di cui mio padre si meravigliava persino "Che maestria!" si complimentò una volta, dopo che avevo fabbricato uno scalpello intagliato "Sei proprio figlio di tuo padre!"

"Dai, Kaku, adesso smettila di lavorare!" si lamentava mia sorella quando, di tanto in tanto, veniva a gironzolare per l'officina "Vieni a giocare con me!"

"Credo proprio che la piccola Kyoko darà di matto, se non passi un po' di tempo con lei" mi avvertiva scherzosamente il carpentiere.

Allora lasciavo il lavoro per un istante e la facevo volteggiare tra le mie braccia "Sììì!!! Più forte!!!"

Kyoko era dieci anni di pepe: alta come uno gnomo, castana come il legno, e con la lingua più lunga del diavolo. Troppo piccola per andare a scuola, solitamente si divertiva a fare compagnia alla mamma in panetteria, lasciando stupefatti tutti i clienti a causa delle sue chiacchiere.

Beh, almeno fino a quando non si annoiava e decideva di passare a trovare gli uomini di famiglia in officina.

"Cos'hai fatto oggi?" le chiesi un giorno, passandole una mano tra i capelli.

"Ho mangiato un insetto" sorrise lei, soddisfatta.

"COSA?!" io e mio padre sgranammo gli occhi, ma poi scoppiammo a ridere.

"Tua madre non può distrarsi un attimo" commentò papà con tono ironico.

"Adesso ti cresceranno tanti piccoli moscerini nello stomaco" entrò improvvisamente Milo.

"COSA?" sbottò Kyoko, terrorizzata "Non è vero! Kaku, non succederà! Non è così?"

"Ma certo che no, sorellina" la rassicurai, lanciando uno sguardo di rimprovero a mio fratello "Però la prossima volta cerca di stare più attenta, d'accordo?"

"Visto?" fece una linguaccia a Milo "Sei solo un bugiardo!"

"E tu sei una mangia-mosche!"

"Avanti, ragazzi, smettetela!" alzai gli occhi al cielo.

"Ma perché non andate fuori a giocare?" propose mio padre "Avervi tutti qui è una vera impresa!"

Per di più, quella sera si sarebbe tenuta un'importante festa popolare, alla quale avrebbe partecipato buona parte della popolazione dell'isola: la gara dei fuochi d'artificio.

I miei genitori erano molto impegnati con i preparativi, soprattutto mia madre: avrebbe dovuto cucinare un'enorme quantità di dolciumi per l'occasione. D'altra parte, io e i miei fratelli non eravamo mai stati molto bravi in cucina, per cui Kyoko e Milo si limitarono ad offrire il loro aiuto a nostro padre, il quale però aveva gentilmente declinato l'invito dicendogli che 'erano troppo rumorosi'.

E come dargli torto?

"Perché Kaku può fare tirocinio e io no?" aveva protestato Milo.

"Quando sarai più grande, potrai cominciare anche tu" l'aveva zittito il carpentiere di Kodama.

Fatto stava, che Kyoko premeva perché la portassi a fare un giro per il villaggio, e così decisi di lasciar perdere la lezione definitivamente "Riprenderemo domani, papà"

"Puoi contarci, figliolo"

"Allora, dove vorresti andare?" chiesi a mia sorella una volta che fummo fuori.

"Voglio toccare il cielo come fai tu" mi disse con sguardo sognante.

Mi venne da ridere. Tante volte mia madre mi aveva proibito di muovermi per la città in quel modo, tante volte mi aveva raccomandato di non osare coinvolgere in alcun modo mia sorella in queste azioni che lei considerava pericolose...

Eppure, di fronte a quegli occhioni imploranti non seppi dire di no "Acqua in bocca, però!"

"Evvai!" mi abbracciò, eccitata.

"Tieniti forte" la feci posizionare sulle mie spalle e, con un grande balzo, in meno di un secondo ci trovavamo già sul primo tetto.

"Che forza!" mormorò estasiata "Ancora, ancora!"

Saltai velocemente sul campanile della chiesa centrale, per poi andare a finire sul tetto della villa del sindaco "Divertente, eh?"

"Wow! Kaku, sei grandioso! Dovresti portarmi in groppa più spesso!"

Sorrisi, mentre la vedevo chiudere gli occhi e godersi il vento fresco sul volto. I gabbiani ci volavano accanto e ogni tanto ci tagliavano la strada, umani invidiosi e trasgressori sempre più vicini al loro mondo alato. 

Sfrecciammo lungo tutta l'isola, venendo illuminati di tanto in tanto dai raggi di sole che filtravano sempre più deboli attraverso le nuvole. 

Ma quando arrivammo nella zona portuale, improvvisamente persi l'equilibrio e caddi sul balcone di un'abitazione "Accidenti!"

"Ahi! Ma che fai, fratellone?" si lamentò subito Kyoko.

"Quella stupida nave mi ha distratto" bofonchiai, rialzandomi "Non ti sei fatta male, vero?"

"No, ma c'è mancato poco così!" avvicinò il pollice all'indice fino a che si sfiorassero impercettibilmente.

Non potei negarle un sorriso, ma subito dopo mi voltai in direzione dell'imponente imbarcazione che aveva causato la mia distrazione: 'Lady Catherine' c'era scritto sul suo fianco destro.

Era davvero bella: fatta di legno resistente e materiali pregiati. Mi chiesi da dove venisse, mentre i gabbiani non ci davano tregua nemmeno su quell'innocuo balcone.

"Uff!" sbuffò mia sorella "Non potremmo spostarci? Mi stanno dando sui nervi!"

"Ti va di venire con me a guardare da vicino quella nave?" le proposi.

"Perché no? Sembra carina" acconsentì, come se le fosse appena stato chiesto di partecipare ad un gioco molto divertente.

"Bene, andiamo!"

Con movimenti agili e veloci, riuscimmo a scendere da quel palazzo e ci dirigemmo con cautela verso il porto, il quale risultava sempre popolato dalla gente più insolita: persone vestite in modo strambo, turisti che si recavano a Kodama apposta per la gara, uomini in valigetta e apparenti furfanti che si aggiravano circospetti come ladri.

"Ci vorrà un salto bello grosso, per raggiungerla" confidai a mia sorella, mentre guardavo la nave con fare professionale.

"Sono pronta" mi fece un occhiolino lei.

Stretta al mio busto come una scimmietta, Kyoko affondò il volto nella mia maglia per non venire investita dal forte vento. Mi spostai abilmente tra le imbarcazioni ancorate al porto, saltando da una cima all'altra, fino a che non mi fermai dietro delle grandi scatole con su scritto 'Fragile', dove finalmente mi nascosi ad osservare la Lady Catherine silenzioso.

"Speriamo non ci veda nessuno" si lasciò sfuggire Kyoko.

Imponente, grande, maestosa: la Lady Catherine era una vera regina dei mari. Se ne stava lì immobile, solenne, mentre una folla di passeggeri scendeva dalla sua scaletta.

"Guarda, sorellina" dissi "Questa sì che è una signora nave!"

"Chissà da dove viene..." pensò ad alta voce la bambina.

Ma proprio mentre osservavamo estasiati quel capolavoro, una voce acuta e sottile alle nostre spalle ci fece sussultare "E voi chi siete?"

Ci girammo in modo repentino e, per la sorpresa, facemmo scontrare le nostre teste vicine "Ahi!"

La ragazzina che aveva parlato ci guardava accigliata, mentre io e Kyoko ci massaggiavamo le teste doloranti: indossava un vestitino rosa confetto e aveva i capelli biondi. I suoi occhi erano nocciola e aveva la pelle del bianco più bianco che avessi mai visto.

"Non venite dal Mare Occidentale, vero?" chiese con crescente curiosità.

Kyoko si nascose dietro di me "No, abitiamo qui"

"Oh" si meravigliò la bionda.

Vedendola sorpresa, mia sorella prese coraggio e si fece avanti "Sei scesa da quella grande nave laggiù?"

"Esatto" confermò "Mi chiamo Sophie, piacere di conoscervi" si aprì in un sorriso bello come il sole a primavera. Deglutii.

"Io sono Kyoko. E lui è mio fratello Kaku"

"Ciao" farfugliai.

Ma non appena ci fummo presentati, una voce femminile cominciò a chiamare il nome della nostra nuova conoscente "Sophie! Sophie, dove ti sei cacciata?"

La ragazzina si ridestò immediatamente "Adesso devo andare...ma spero di rivedervi presto!" si congedò con un sorriso cortese e corse via, oltre le scatole di legno e i furfanti travestiti da uomini d'affari. ©

 

 

 

 

 

Kodama” è un nome che ho preso dalla puntata 134: la ciurma di Cappello di Paglia sbarca su un’isola in cui si fa uno spettacolo di fuochi d’artificio e Usopp aiuta la protagonista, Kodama, a realizzare il suo sogno-ovvero far partire un fuoco d’artificio enorme che avevano preparato i suoi genitori prima di morire, o qualcosa del genere (pardon, non lo ricordo proprio bene).

 

Per qualsiasi errore (di qualsiasi genere) fatemi sapere ;)

 

 

 

  
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