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Autore: Emerald Liz    02/11/2012    9 recensioni
“Non c’è nulla di strano in un gruppo di ragazzine che parlano tra loro. Proprio niente.” Cerco di rassicurarmi. “Dopotutto, sono in una scuola femminile.”
Come si comporterà Kakashi nelle vesti di supplente in un istituto femminile?
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Mi svegliai con un gemito: ero per metà sdraiato sul pavimento, con la testa e un braccio appoggiati al divano, che decisamente non era un bel posto per addormentarsi.
Mi sedetti a terra, e i miei muscoli protestarono debolmente per il movimento, indolenziti dalla strana posizione in cui avevo dormito.
Già, che ci facevo addormentato sul divano?
Vagai con la mente al giorno prima, e la consapevolezza mi colpì come uno schiaffo: ero sul divano perché in quel momento, nel mio letto, c’era Sakura.
E questo non poteva essere un bene.
Mi sentivo stranamente in colpa, sebbene sapessi che con ogni probabilità l’avevo salvata da una fine ben peggiore dell’essere portata a casa del suo professore di letteratura.
Scossi la testa con disgusto ripensando a quella scena.
Se solo non fossi arrivato… rabbrividii.
Non volevo pensarci.
Sakura mi era sempre sembrata una ragazza forte, capace di badare a sé stessa, e non riuscivo a spiegarmi razionalmente l’iperprotettività che mi aveva preso la sera prima.
Ero solo contento di non averla persa di vista.
Mi ricordai anche delle condizioni in cui era quando eravamo arrivati a casa, e pensai che probabilmente i postumi della sbronza colossale che aveva preso la stavano torturando.
Improvvisamente lucido, mi alzai e preparai un bicchiere di aranciata fresca.
Sapevo per esperienza che era il miglior rimedio contro quel genere di mal di testa, e salii in fretta le scale per portarglielo.
Bussai piano alla porta: nessuna risposta.
Entrai in silenzio, e vidi che dormiva ancora.
Nel sonno aveva gettato via le coperte, ed ora era coperta solo dal lenzuolo, fino alla vita.
Dormiva su un fianco, rannicchiata, come una bambina piccola, e sembrava, effettivamente, più giovane della sua età reale.
I suoi strani capelli rosa erano sparsi sul cuscino e lei respirava piano, con la bocca semichiusa.
Sembrava serena, e, dio mio, era così bella.
Avvicinai il mio viso al suo.
Senza riuscire a reprimere un sorriso, le posai un leggero bacio sulla fronte.
Lei socchiuse gli occhi, e mi dispiacque averla svegliata.
Girò leggermente la testa verso di me, fino a incontrare i miei occhi.
Non mi ero ancora allontanato, ero incantato da quei luminosi occhi verde pallido, schermati appena dalle sue lunghe ciglia.
«Kakashi…?» mormorò, con la voce impastata di sonno.
«Shh... va tutto bene, Sakura. Dormi.» le dissi affettuosamente, accarezzandole la testa.
Prima che potessi anche solo pensare di scostarmi, lei alzò il viso, appoggiando le sue labbra sulle mie.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa.
Sakura sorrise dolcemente e sprofondò di nuovo nel cuscino.
Dopo pochi secondi dormiva di nuovo.
Io, invece, ero impietrito.
Non so quanto tempo passai accanto a quel letto, con lo sguardo perso nel vuoto, a chiedermi se mi fossi per caso immaginato tutto; forse solo un minuto, ma mi sembravano passate ore quando finalmente mi ripresi.
A quel punto, la mia mente si scatenò.
Perché l’aveva fatto?
Magari non mi aveva riconosciuto? Impossibile, l’avevo sentita chiaramente dire il mio nome mentre si svegliava.
Il pensiero di Sakura che pronunciava il mio nome appena sveglia mi stordì per un momento, e quasi corsi fuori dalla sua – la mia- stanza.
Quasi con timore, mi passai la lingua sul labbro inferiore.
Sentii un sapore che non mi apparteneva, non sapevo che nome dargli, ma se non altro era una prova che non mi ero immaginato tutto.
Vagavo per casa, in preda alla confusione.
Dopo parecchi minuti, mi accorsi che avevo ancora in mano il bicchiere pieno di succo d’arancia.
Lo appoggiai distrattamente sul tavolo.
Volevo uscire, ma non volevo lasciarla sola.
Dovevo parlarne con qualcuno.
“Tsunade!” pensai, trionfante.
Era la persona perfetta per quel tipo di conversazione.
E a quel punto, arrivò il secondo schiaffo mentale della giornata: avevo lasciato Tsunade sola in una discoteca per salvare Sakura.
Evidentemente, le mie abilità di cavaliere andavano riviste.
Il senso di colpa mi assalì.
Tsunade era sicuramente furiosa, e dubitavo che mi avrebbe rivolto mai più la parola.
Che stupido: rovinare così una serata perfetta.
Ero combattuto tra il sollievo per aver messo al sicuro Sakura e la rabbia per aver sprecato un’occasione con Tsunade.
Però adesso Sakura –cosciente o meno- mi aveva baciato.
E io avevo pensato di chiamare Tsunade per chiederle consiglio.
Quindi…
Quale delle due donne mi interessava davvero?
Entrambe?
Impossibile.
O forse no?
In preda alla frustrazione, mi sedetti con la testa tra le mani.
Dovevo fare qualcosa, o sarei impazzito.
Decisi di partire dalla cosa più facile, quella che senza alcun dubbio non avrebbe portato a nulla: chiamare Tsunade.
I miei peggiori presentimenti furono confermati: non rispose a nessuna delle mie chiamate.
Sbattei giù il telefono in preda alla rabbia, sbuffando per la frustrazione.
«Professor Kakashi?»
Arrossii fino alla punta dei capelli.
Sakura mi aveva praticamente visto sbattere i piedi per terra come un bambino viziato.
Mi voltai a guardarla.
Era in piedi sulla soglia, con addosso una mia t-shirt –grazie al cielo piuttosto lunga- i capelli in disordine e l’aria assonnata e un po’ confusa.
Era… sexy.
“Non pensare queste cose, Kakashi! Non farlo!” mi rimproverai.
Questo pensiero improvviso mi fece arrossire ancora di più, ma cercai di darmi un contegno.
«Sakura. Dormito bene?» risposi con tono casuale.
«Si… credo. Ehm… professor Kakashi, perché sono a casa sua?» chiese timidamente.
“Oh.”
 Già, gli effetti del dopo sbronza.
«Non ti ricordi niente di ieri sera?»
Accidenti, così suonava davvero male.
Lei arrossì «In realtà ricordo molto poco.» disse imbarazzata «Ho fatto qualcosa di stupido?»
«A parte ubriacarti e farti sedurre da sconosciuti poco raccomandabili, no.» risposi, cercando di alleviare la tensione.
Pessimo tentativo.
Sakura era sbiancata.
«Prof, che diavolo è successo ieri sera?» sembrava sull’orlo delle lacrime.
«Sakura, va tutto bene. Non è successo niente.» la raggiunsi in due passi, e senza pensarci la abbracciai.
Lei mi cinse la schiena con le braccia, quasi aggrappandosi a me, e nascose il viso nel mio petto.
«Vieni, ti racconterò tutto. Stai tranquilla, Sakura.» cercai di rendere il mio tono il più rassicurante possibile.
La feci sedere sul divano, ma lei non lasciò la stretta neanche un attimo: mi sedetti accanto a lei e per qualche secondo restammo lì ad abbracciarci, senza dire una parola.
Poi lei cominciò, con voce tremante.
«Ho solo degli sprazzi di ricordi… mi ricordo di essere entrata in discoteca con Ino e Sasori, e di aver pensato che entro la fine della serata lui sarebbe stato tutto suo.» sentii il suo debole sorriso contro il mio petto.
«Poi ricordo che all’improvviso mi sono sentita sola… e c’era un tipo con dei capelli proprio uguali ai suoi, prof! E… c’era anche lei in discoteca ieri!» si sciolse dall’abbraccio e mi piantò lo sguardo dritto negli occhi.
Aveva una buffa espressione contrariata, e non potei trattenere un sorriso.
«Sì, c’ero anche io.»
“Con Tsunade.” Questo pensiero cancellò all’istante il mio sorriso.
Anche l’espressione divertita di Sakura era scomparsa.
Fissava il vuoto davanti a sé, in silenzio.
Capii il genere di ricordo che le era tornato in mente.
Leggermente, le posai una mano sulla schiena, e lei sussultò.
La accarezzai piano.
Scoppiò a piangere.
Rimasi interdetto per un momento, ma a quel punto –per mia fortuna- l’istinto prese il sopravvento.
La attirai verso di me con decisione, abbracciandola protettivo, mentre lei piangeva appoggiata alla mia spalla.
Tra i singhiozzi mi confessò cosa ricordava: il tipo che le offriva da bere, sempre di più, che la baciava, e poi le sue sensazioni, prima l’apprensione, poi una paura vera e propria, e infine qualcuno che la prendeva in braccio -«era lei, prof?»- e poi più niente.
Continuò a piangere per un po’, buttando fuori tutte le sue emozioni, mentre io continuavo a tenerla stretta, cercando di dominare la furia che provavo vedendola così.
Non ricordava le parti più scabrose, e io non gliele avrei sicuramente raccontate: solo il pensiero di quell’uomo che le tirava su il vestito mi faceva venire la nausea.
Quando smise di piangere, sembrava senza forze.
Si accasciò contro il mio corpo e rimanemmo fermi per quelle che mi sembrarono ore.
Poi, lei ruppe il silenzio.
«Sono stata proprio stupida, vero prof?» disse con un sorriso amaro.
«Bè, l’unica cosa stupida che hai fatto è stata fidarti così di uno sconosciuto. E bere. Bere così tanto. E, ehm…» mi resi conto che probabilmente non la stavo rassicurando.
Ma, se non altro, riuscii a strapparle una risatina.
«Insomma sì, sono stata davvero stupida. Non la ringrazierò mai abbastanza, prof. Adesso capisco perché stanotte l’ho sognata.» aggiunse, un po’ imbarazzata.
Decisi di prenderla un po’ in giro.
«Mi hai sognato, Haruno?» chiesi, sorridendo. «Per caso portavo un’armatura scintillante?» finsi di darmi delle arie.
«Niente armatura, ma un molto più utile succo d’arancia!» disse entusiasta, leccandosi le labbra.
La guardai impietrito.
I miei occhi corsero subito al tavolo, su cui il bicchiere di aranciata era stato abbandonato quella mattina.
Lei seguì il mio sguardo, e, vedendo il bicchiere, si voltò a guardarmi con aria interrogativa.
«Che strano, Sakura… avevo giusto pensato di bere un succo d’arancia, prima che ti svegliassi!» abbozzai, sperando di sembrare convincente.
Ci riuscii.
«Lei mi portava il succo d’arancia» continuò «e io…» arrossì, e serrò le labbra.
«E tu…?» la incalzai.
Dovevo sapere.
«Non mi ricordo più.»
Stava chiaramente mentendo, ma non potevo insistere.
«Non mi stai raccontando tutto, Haruno.» le dissi scherzosamente.
Lei scosse la testa sorridendo.
«Si dice che se si raccontano i sogni, non si avverano. E io voglio che questo si avveri.» aggiunse a bassa voce, abbassando lo sguardo.
«Bè, Sakura, spero che si avveri, allora.» non sapevo bene cosa dire.
Mi sorrise distrattamente, lo sguardo distante.
Per uscire da questa situazione, mi proposi di prepararle qualcosa da mangiare.
Lei rifiutò, dicendo che mi aveva disturbato abbastanza.
Era diventata improvvisamente formale.
Salì di sopra per farsi una doccia e cambiarsi, lasciandomi lì a pensare.
Così, lei credeva che fosse stato un sogno.
Non ricordava di avermi baciato.
Il pensiero mi intristì più di quando credessi possibile.
«Professor Kakashi…» Sakura spuntò dalle scale, con addosso solo un asciugamano.
Mi fece un certo effetto.
«Sì?» chiesi, cercando di darmi un contegno.
«Non avrebbe qualcosa da prestarmi?» era arrossita violentemente. «Il mio vestito è in pessimo stato.»
Le sorrisi dolcemente.
«Ci sono delle t-shirt pulite nel primo cassetto e credo che dei pantaloni della tuta potrebbero starti bene, gli altri vestiti sarebbero un po’ troppo grandi per te.» mi divertì il pensiero di Sakura, così minuta, che cercava di mettersi i miei jeans.
«Grazie mille, prof!» sembrava un po’ meno in imbarazzo, ed ero contento.
Scese dopo un quarto d’ora, con un paio di pantaloni della tuta che le arrivavano al ginocchio – io probabilmente non li mettevo da decenni- e una maglietta azzurra a maniche corte.
Erano praticamente i fondi di magazzino del mio armadio, vestiti che neanche mi ricordavo di avere, ma le stavano sorprendentemente bene.
Il look sportivo le donava almeno quanto l’eleganza della sera prima.
Era davvero bella.
La accompagnai a casa –anche se era giorno, non mi fidavo di lasciarla sola- e la salutai sulla soglia di casa sua.
«Domani le riporto i vestiti, prof!» promise lei.
Risi «per quanto mi riguarda, puoi anche tenerli, Sakura. Non mi entrano più da anni.»
«Mmh… allora li terrò.» mi disse, con aria maliziosa.
Questo cambio improvviso di direzione mi disorientò, ma stetti al gioco, ripetendo che ormai erano vestiti suoi.
Il suo entusiasmo mi sembrava esagerato –in fondo si trattava solo di un paio di pantaloncini e di una t-shirt- ma mi faceva piacere che volesse indossare i miei vestiti.
Mentre la salutavo, cambiò atteggiamento ancora una volta.
Mi guardò seria, senza ombra della malizia di pochi secondi prima.
«Grazie per tutto, prof. Non so cosa sarebbe potuto succedere, se lei non fosse stato lì.»
«Ho solo fatto quello che dovevo fare, Sakura.» mi schermii.
Ero a disagio, sembrava così adulta.
«Bè, grazie, comunque. E anche prima, quando piangevo… è stato davvero comprensivo. E dolce. Mi sono sentita al sicuro.»
Le sue guance erano diventate viola, e probabilmente io non ero da meno.
«Sakura…»
Mi guardò, timida, aprendo le braccia verso di me.
Sembrava una bambina e una donna adulta allo stesso tempo, e senza pensarci due volte la abbracciai, appoggiando il mento sulla sua testa e stringendola forte.
Non volevo più lasciarla andare.
Mi sembrava di aver fatto solo questo per tutta la mattina, e ancora non ne avevo abbastanza.
Sakura strofinò il naso sul mio collo, facendomi correre brividi lungo tutta la schiena.
Sciolsi l’abbraccio prima di perdere il controllo, e le posai un bacio sui capelli, salutandola.
Lei mi accarezzò delicatamente una guancia, ed entrò in casa chiudendosi la porta dietro.
Sospirai guardando la porta chiusa, e mi incamminai per tornare a casa.
  
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