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Autore: La neve di aprile    22/05/2007    4 recensioni
Ricordo la prima volta che ti vidi, Izzy.
È una scena che si è stampata nella mia memoria, un marchio che non vuole saperne di sbiadire.
Pioveva da giorni, non c’era stato un attimo di tregua. Nemmeno il più piccolo spiraglio di sole.
Il cielo continuava a vomitare pioggia sulla città, che scintillava.
Le luci dei lampioni, le vetrine, i grattaceli: si rifletteva tutto nelle strade coperte di pozzanghere.
E adesso che gli anni sono passati, che le cose sono cambiate, mi rendo conto che forse la mia vita, la tua vita, sarebbe stata diversa se le cose avessero preso una piega diversa.
Forse ci saremmo risparmiati tante cose, forse saremmo stati persone diversi.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
REVISIONE IN CORSO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hand in glove'
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HAND IN GLOVE
#3 (Not) so sweet romance

 

 

PARLA IZZY:

Ci sono momenti in cui sono fermamente convinto che tu sia stata la cosa più bella mai capitatami in tutta la vita. E negli altri momenti ti piazzi sicuramente molto bene nella top-ten.
È matematico, però, che nelle giornate in cui benedico il cielo per averti fatta entrare nella mia vita e lo maledico per avertici fatta pure uscire, non posso fare a meno di chiudere gli occhi e immaginare cosa sarebbe stato di noi se le cose avessero continuare ad andare come nei primi giorni, quando eri l’unica cosa, oltre alla musica, a farmi desiderare di arrivare sobrio al domani.
Sei stata tu, a farmi notare quanto bevevo ogni giorno, quanto enorme fosse la quantità di alcol che ingurgitavo senza nemmeno accorgermene.
Era ormai diventato normale, per me, svegliarmi la mattina e lavarmi i denti con il whisky, non mi rendevo minimamente conto delle proporzioni del problema.
E quando l’alcol diventò troppo poco, la droga.
Sei stata una boccata d’aria fresca nelle mie giornate, la scintilla che ha fatto scattare la fiamma della consapevolezza.
Ai miei occhi, eri una roccia che non si piegava a nulla.
L’idea che anche tu potessi avere paura, che tu potessi avere delle debolezze, non mi sfiorava nemmeno.
Ero talmente preso da me e da quello che mi succedeva, che non mi resi conto che anche tu, sotto la tua facciata imperturbabile, ti stavi lentamente sgretolando.

 

 

The sun shines out of our behinds
Yes, we may be hidden by rags
But we've something they'll never have.
 

The Smith, Hand in glove.

 

 

LOS ANGELES, settembre 1987

Roxanne era seduta sul bordo del letto, tenendo tra le braccia una chitarra acustica.
Una ciocca di capelli le cadeva scomposta davanti al viso, oscurandone una parte, e danzava lieve nell’aria, mentre lei abbozzava con qualche indecisione gli accordi di Paradise City nella calda luce di una mattina di fine settembre.
Alle sue spalle, Izzy se ne stava disteso a pancia in giù, coperto solo da un lembo delle lenzuola bianche aggrovigliate per lo più ai suoi piedi, dove era accoccolata la ragazza. Aveva un sorriso dipinto sul volto, segnato da profonde occhiaie scure, e chiaramente non stava dormendo: fingeva, rubando quel momento ad insaputa di lei che continuava a strimpellare con maggior decisione man mano che la canzone andava avanti, fino a fermarsi dopo una serie di clamorose stecche.
La sentì sbuffare, la immaginò riavviare i capelli dietro un’orecchia e posare la chitarra a terra, rassegnata.
Il calore del suo corpo morbido contro il fianco, una mano che si abbandonava innocente sulla sua schiena e un bacio sulla spalla: mugolando, Roxanne tornò a distendersi, chiudendo gli occhi.

“Izzy.” chiamò piano, sussurrando le parole contro la sua pelle.
Lo sentì rabbrividire, mentre si girava verso di lei e la accoglieva in un caldo abbraccio.

“Che c’è?” le chiese con un soffio, le labbra tra i capelli che profumavano di shampoo per bambini.
Abbandonata contro il suo petto, con le sue braccia a proteggerla dal freddo del primo mattino, Roxanne sorrise.
“Niente. Mi mancava la tua voce.” rispose piano, alzando il volto per cercare gli occhi scuri del ragazzo.
“E mi hai svegliato per questo?” protestò fiocamente il chitarrista, pizzicandole un braccio.
“Mica stavi dormendo...”
“Ah no? E come lo sai?” indagò curioso, scostandosi quel tanto che bastava per guardarla negli occhi mentre gli prendeva una mano, intrecciando le dita alle sue, prima di rispondere.
“Ho passato tutta la notte a guardarti dormire e no, non stavi dormendo.” si accoccolò meglio contro di lui.
“Tutta la notte? Però!” commentò Izzy con un sorriso, ignorando quel vuoto nello stomaco causato dal repentino desiderio di aggrapparsi alla ragazza e affondare in lei fino a sciogliersi nel suo calore.
“Si, tutta la notte. Lo sapevi che parli nel sonno, ogni tanto?” riprese la ragazza, con tono leggero, lasciando che il ragazzo facesse scorrere una mano lungo la sua schiena, in lente e morbide carezze.
“Davvero?” indagò, mentre la sua mano scendeva appena più in basso e lei si mordeva le labbra, continuando ad ostentare completa indifferenza per quello che stava facendo.
“Si. Dicevi qualcosa circa un tale Bill e...” s’interruppe, guardandolo negli occhi, scuri e opachi, velati da qualcosa che si rifletteva anche nel suo sguardo.
Desiderio.
La consapevolezza che lui la voleva, in quel momento, la investì con la stessa intensità di un uragano e le strappò di bocca le parole, tanto che l’unica cosa che le sembrò sensato fare fu baciarlo.
E baciarlo ancora, e ancora, e ancora, fino a quando non si rese più conto di quello che faceva e venne trascinata via assieme a lui in un altro mondo, in un altro tempo, dove i colori erano dolci e accecanti al tempo stesso, dove c’era la musica, dove non c’era nessuno al di fuori di loro due.

Quando tornò cosciente di se e della realtà che li circondava, Izzy cercò gli occhi della ragazza, che ricambiarono il suo sguardo, limpidi.
Sentiva il nastrino che lei teneva legato alla caviglia destra premere contro il suo polpaccio, in quel groviglio di gambe e lenzuola arancioni impregnate ormai del loro profumo, e le sue braccia attorno alla vita.
Premette il viso contro il suo collo, mentre lei ridacchiando, protestava dicendogli che le stava facendo il solletivo, e fece un profondo respiro: avrebbe voluto rimanere così per il resto della sua vita, in quel letto, disteso sopra di lei, con il suo sapore ancora sulle labbra e quegli occhi, così assolutamente privi di difese che, volendo, avrebbe potuto scoprire qualsiasi cosa su di lei solo guardandola.
Sapeva che era impossibile, che tra qualche minuto si sarebbe dovuto alzare e tornare in albergo.
Già il semplice fatto di essere scomparso per ventiquattro ore, senza avvisare nessuno, gli avrebbe causato non pochi guai, se poi prendeva davvero in considerazione l’idea di restare in quel letto per il resto della vita, allora sarebbe stata la sua fine.
Chiuse gli occhi, sollevando le braccia e facendole ricadere sul cuscino dove erano sparsi i capelli castani di Roxanne.
Strinse qualche ciocca tra le dita e girò il volto in modo tale da posare le labbra contro il suo collo e baciarlo delicatamente.

“A cosa pensi?” le chiese, mordicchiandole la pelle bianca e morbida.
“Che se davvero vuoi farmi un succhiotto,” iniziò lei, mentre il chitarrista si bloccava, sollevando di poco il viso e lasciando andare quel piccolo lembo di pelle appena appena arrosato, “allora fammelo come si deve.” concluse, mentre lui tornava a lavorare febbrile sul suo collo, strappandole un basso gemito che cercò di trasformare in una risata.
Sentì la pelle tendersi tra le sue labbra, mentre lei girava il viso, nascondendosi ai suoi occhi attenti che cercavano di catturare qualsiasi cambiamento su quel volto improvvisamente arrossato.

“Ehi...” la chiamò, lasciando andare i capelli che teneva prigionieri tra le dita e sollevandosi sugli avambracci.
Lei continuò a non guardarlo, presa da chissà quale pensiero, e lui osservò in silenzio il suo profilo morbido.

“Ehi, cosa c’è?” le chiese di nuovo, rotolando sul fianco per guardarla negli occhi e cercando di non pensare al freddo che si era sostituito al tepore del corpo di Roxanne sotto il suo.
“Pensavo...” rispose alla fine, ricambiando il suo sguardo.
Gli accarezzò una guancia, facendo scendere la mano fino a raggiungere una vena pulsante, nascosta da un sottile strato di pelle calda.

“Al mio succhiotto?” cercò di farla ridere Izzy, ottenendo solo un breve sorriso e una lieve pressiono sul collo.
“Scemo!” lo rimproverò gentilmente “Mi stavo chiedendo quando mi dirai che te ne devi andare.”
Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, e lei gli avrebbe creduto.
Avrebbe potuto dirle che non se ne sarebbe mai andato, così come che aveva ancora tempo.
Una bugia, una qualsiasi bugia, e lei gli avrebbe creduto.
Ma sapeva che non era così: la luce dorata del sole entrava a fiotti dalla finestra e non lasciava spazio ai dubbi.
Era tardi, sarebbe dovuto andarsene via da un pezzo, dovevano lavorare, provare, registrare, rispondere a stupide domande.

“Tra un po’.” le rispose alla fine.
Lei si mise a sedere, facendo scivolare le gambe sul materasso e posando i piedi a terra, incurante dello sguardo di Izzy che sembrava essere in grado di perforarle la schiena.
Si allungò verso il pavimento, recuperando la felpa che il chitarrista le aveva tolto ore prima.
La tenne tra le mani per una manciata di secondi infiniti, prima di infilarla e voltarsi verso di lui, con un mezzo sorriso.

“Allora è meglio che ti prepari.” mormorò con un filo di voce, prima di alzarsi in piedi e scomparendo oltre la soglia della camera, lasciando il ragazzo solo.
Aveva bisogno di una sigaretta per soffocare i troppi pensieri.

 

Cinque minuti più tardi Izzy entrò nel minuscolo cucinino dell’appartamento di Roxanne, ritrovandosi a fissare la ragazza che, con un equilibrio che avrebbe fatto invidia ad un gatto, se ne stava appollaiata sulla finestra, apparentemente dimentica di trovarsi al settimo piano di un enorme edificio mezzo fatiscente.
Ai suoi piedi, un portacenere pieno di mozziconi abbandonati in un mare di cenere.

Teneva tra le labbra una sigaretta, guardando fisso una distesa di casermoni e cemento, e non si voltò quando Izzy si fermò sulla soglia, abbracciando la stanza con lo sguardo.
Era uno stanzino minuscolo, poco più largo del rispostiglio della suite dove alloggiava in quei giorni, con un frigorifero ammassato in un angolo vicino a un lavello traboccante di piatti da lavare e i fornelli, su cui erano elegantemente impilate qualcosa come dieci tra pentolini, padelle e terrine varie, che era poco definire sporche.
Aggrottò le sopracciglia, mentre Roxanne si girava verso di lui, soffiando una nuvola di fumo con deliberata lentezza e lo guardava senza dire una parola, con una chiara, esplicita domanda negli occhi.
Che ci fai ancora qui?

“Ti facevo ordinata.” commentò il chitarrista, raggiungendola.
“Sbagliavi.” commentò laconica “Ma del resto, non sai niente di me.” aggiunse dopo qualche attimo, aggiungendo un altro corpo nel piccolo cimitero di filtri nel posacenere.
“A questo si può rimediare, non ti pare?” inclinò il capo di lato, sorridendole.
“Adesso?”
“Anche adesso, se vuoi.” si strinse nelle spalle, sporgendosi appena oltre di lei, per guardare la strada dove sfrecciavano macchine e taxi “Però preferirei non doverti parlare con il terrore di vederti volare giù, sai?”
Lei rise, reclinando il capo all’indietro e offrendo la gola ai raggi del sole, una risata roca e bassa, graffiata dal fumo “Fossi in te, mi preoccuperei ben di altro.” gli assicurò con un mezzo sorriso.
“Ad esempio?” le domandò avvicinandosi pericolosamente al suo viso.
Lei si ritrasse appena, prima di rispondere.

“Non sono capace di vivere senza caffé e Malboro.” ammise dopo una lunga pausa che lasciava presagire chissà quale terribile verità “E ho un debole per i dolci al cioccolato, al punto che se ne vedo uno e non lo mangio vengo colta da improvvisi raptus omicidi.” chiuse gli occhi, come se avesse appena confessato di aver ucciso sua madre, suo padre e il suo cane ed esser scappata in un altro continente prima di approdare a Los Angeles.
“Tu, invece? Senza cosa non vivi?” chiese poi, facendo spuntare un sorriso curioso.

“La mia Gibson, nicotina e la musica.” abbozzò un ghigno “E il mio amico Jack.”
“Daniel’s?” si informò lei, incrociando le braccia le petto.
Izzy annuì, mentre lei gli passava le mani tra i capelli e li tirava gentilmente verso di se, per dargli un bacio a stampo, veloce, e poi scivolare giù, con i piedi a terra, sgusciando via verso il minuscolo tavolino addossato ad una parete, dove si sedette accavallando le gambe.
Il chitarrista la seguì, posando le mani sulla superficie di plastica bianca, accanto ai suoi fianchi, e intrappolandola lì.

“C’è altro che devo sapere di te?” le chiese piegando il collo fino a posarsi contro la sua fronte, ad occhi chiusi.
Si sentiva assolutamente incapace di rimanere nella stessa stanza dov’era lei senza sentire il bisogno fisico di toccarla.
Era come un ragazzino alla sua prima cotta, avrebbe voluto passare ogni singolo istante con lei.
Anche solo a guardarla fumare, si disse, senza parlare, solo per starle vicino.
Turbato per quell’insolito pensiero, si ritrasse e tornò sulla soglia della stanza, appoggiandosi allo stipite della porta.
Lei lo seguì con gli occhi, curvandosi appena il avanti.

“Sta a te scoprirlo.” replicò pacata, arrotolando una ciocca color cioccolato tra le dita “Sempre se vuoi...” aggiunse timorosa, dopo qualche attimo, strappandogli un sorriso.
“E perché non dovrei volerlo, scusa?” le domandò con una mezza risata, sollevando lo sguardo dalle scarpe da ginnastica bianche che portava ai piedi e fissandolo sul volto della ragazza “Se c’è una cosa che voglio fare, è proprio conoscerti, Roxanne.” si avvicinò di un passo, titubante quasi quanto lei, ma con le idee ben chiare in testa “Vedi, tu mi piaci. Mi piaci parecchio, altrimenti non sarei finito a letto con te e non sarei qui a parlare, ma ti avrei già strappato di dosso quella felpa e quei ridicoli pantaloncini che hai recuperato non so dove in questo buco di casa e sarei occupato in un bis di quanto abbiamo fatto prima. Ma non sono quel tipo di persona, in genere non vado a letto con la prima ragazza incontrata per strada.” La vide arrossire e abbozzare un sorriso “Quindi smettila di farti tanti problemi chiedenti se voglio o meno conoscerti, perché è inutile. La risposta la sai già. È talmente banale che non occorre nemmeno che io te lo dica, perché è chiaro come il sole che voglio conoscerti, d’accordo? Ti fidi di me?”
La ragazza deglutì, senza distogliersi lo sguardo.
Neanche volendo, ci sarebbe riuscita: lui era lì, in piedi davanti a lei, talmente bello da far paura, e le stava dicendo quello che nessuno dei suoi precedenti ragazzi era mai stato in grado di dirle.

“Ho già saltato per te una volta, Izzy” osservò “E il risultato lo vedi stampato sulla mia faccia.” lo vide trasalire, come se gli avesse appena tirato un pugno, mentre sollevava una mano e se la posava sulla faccia, sopra il livido violaceo. “Ma la vuoi sapere una cosa? Lo rifarei altre mille, fottutissime volte.” sbottò, saltando giù dal tavolino e andandogli incontro.
Lo afferrò per la camicia, tirandolo a se e premendo le labbra contro le sue senza pensare, limitandosi ad agire e basta, abbandonandosi in quel bacio che si spingeva quasi al limite della violenza tanto era irruenta e affamata della sua bocca.
Quando si separarono, ansimavano entrambi.

“Quindi adesso vattene, prima che cambi idea, vai e fai quello che devi fare.” riprese la ragazza, senza lasciarlo andare “E poi torna da me, d’accordo?”


 

This is never the life I thought you aspired to lead
Oh what has rock and roll led you to believe.
Is this what happiness is like?
 

Sophia, Last night I had a dream

 

Quando Izzy si fermò davanti alla porta della stanza di Axl, aveva già le orecchie piene delle urla che la il legno non era in grado di contenere nella camera e avevano invaso il corridoio.
Per un attimo prese seriamente in considerazione l’idea di girare sui tacchi e darsela a gambe levate: sembravano tutti molto, molto, molto incazzati.
Ma non poteva.
Non poteva fare questo agli unici amici che aveva, non poteva mollarli li senza dare spiegazioni.
Inspirò a fondo, pescando l’ultima sigaretta che gli era rimasta e stringendola tra le labbra con più forza di quanta avrebbe voluto, prima di aprire la porta e entrare nella stanza.

Il tanfo di fumo, sudore e vomito lo colpiì con la forza di uno schiaffo, facendolo vacillare, tanto che dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non cadere.
“Ma che cazzo...” iniziò a dire, trovando con gli occhi Slash – completamente fatto -, che se ne stava abbandonato sul pavimento davanti ai suoi piedi, con una bottiglia stretta in mano e la maglietta sporca da far schifo.
Lo scavalcò, mentre Axl si voltava e spalancava la bocca.

“Eccolo qua, il cazzone!” strillò con un ghignò dipinto sul viso, alzando la bottiglia di birra da cui stava bevendo “Eccolo, quello che sparisce e non dice nemmeno dove va!”
“Axl, non rompere, lascialo in pace” brontolò Duff, dall’angolo dove era seduto.
Se non ci fosse stata la parete alle sue spalle, sarebbe crollato come un sacco di patate.

“Oh, io non lo lascio in pace invece.” sbraitò ancora il front-man, con il volto madido di sudore e rosso per il troppo alcol in circolo nel corpo “Si può sapere dove cazzo sei stato, Stradlin?” urlò ancora, parandoglisi davanti a gambe larghe, in una posizione che avrebbe potuto sembrare minacciosa senza tener conto del continuo dondolare del biondino, del tutto incapace di rimanere fermo in equilibrio.
“Stai gridando come una puttana isterica.” commentò gelido, stravaccandosi sul letto accanto a Steven, con uno spinello tra le labbra.
Il batterista gli porse la canna, che Izzy rifiutò con brusco gesto della mano, accendendosi l’ultima Malboro.

Il sapore amaro e velenoso del tabacco mescolato con il catrame e la nicotina gli riempì la bocca e i polmoni, cancellando in parte lo stordimento causato dal tanfo che impregnava la stanza.
Continuò a guardare Axl, che aveva la bocca talmente spalancata che la mascella sembrava sul punto di staccarsi e cadere sul pavimento con un tonfo secco.

“...una puttana isterica?” ripetè alla fine, chiudendo gli occhi e agitando la mano con attaccata la bottiglia di birra “Mi ha davvero dato della puttana isterica?”
Steven annuì, subito immitato da Duff e Slash, che sembravano aver acquistato un po’ di lucidità solo per assistere allo scontro tra i due amici di sempre, i due inseparabili.
Una litigata tra loro due era una novità da non perdere.

“Ma chi ti credi di essere, razza di...” attaccò il cantante, subito fermato da Izzy che aveva adocchiato una bottiglia di Jack Daniel’s abbandonata per terra.
“Axl, senti.” gli disse, allungandosi e afferrando la bottiglia “Perché non ci beviamo su, eh? Non ho voglia di litigare” e come a confermare le sue stesse parole, ingurgitò una lunga sorsata di liquore, assaporandone il sapore talmente forte da causargli una lieve vertigine.
“Se non volevi litigare, potevi non sparire.” lo rimbeccò l’altro, non ancora convinto “Che poi, si può sapere dove sei stato?”
Izzy gli regalò un enorme sorriso che sapeva tanto di presa in giro, dopo aver buttato giù un’altra considerevole quantità di alcol come se fosse acqua.
“Hai presente la ragazza che al concerto ha provato a salire sul palco?”
“Chi, la sventola?” intervenne Duff, mostrando barlumi di interesse per la conversazione.
A fatica, il bassista si sollevò in piedi e barcollò verso il cantante, al quale si aggrappò dopo esser inciampato nei suoi stessi passi “Te la sei fatta?” biascicò lentamente, facendo fatica ad articolare le parole.

“Figurars.i” commentò Steven, togliendo di mano la bottiglia ad Izzy e concedendosi un generoso sorso, prima di sorridere sghembo.
“Izzy non fa porcate con la prima ragazza che gli capita sotto il naso.” proseguì Slash, che continuava a starsene disteso sul pavimento con una sigaretta in bocca.
“Perché Izzy è una brava persona.” concluse Axl, con aria solenne, portandosi la bottiglia di birra al cuore dopo averla vuotata in un colpo solo.
Il chitarrista non rispose, limitandosi a riprendere il Jack Daniel’s per scolarne un altro goccio.
Non li sopportava quando facevano così, erano insopportabili.
Che ne sapevano loro, in fondo?
Nessuno si preoccupava mai della sua vita privata, nessuno sapeva niente di lui fatta eccezione per Axl che, nei rari momenti di lucidità che aveva riusciva a tornare una persona quasi normale. Come facesse Erin a stargli accanto, solo Dio lo sapeva.
Si lasciò cadere di schiena sul letto, senza accorgersi di Axl che prendeva la rincorsa – o quanto meno ci provava, andando a sbattere contro tutto quello che lo circondava - e gli saltava addosso, conficcandogli un gomito nello stomaco.
Gli si mozzò il respiro e la vista gli si oscurò per il dolore, mentre l’ultimo sorso di whisky che aveva ingurgitato minacciava di risalire il suo esofago a una velocità spaventosa.

“Eddai, Izzy!” sghignazzò il cantante, scivolando sul materasso e circondandogli la gola con le braccia, in un bizzarro impeto di affetto mascherato da violenza “Lo sai che scherziamo, che ti vogliamo bene!”
“Si, soprattutto tu.” replicò tossendo Izzy, cercando di liberarsi dalla stretta dell’amico.
“Oh, ma come sei scontroso!” brontolò Axl, lasciandolo andare e incrociando le braccia al petto.
Si sentì vagamente in colpa, senza sapere se per aver fatto imbronciare il suo amico di sempre o se per essere somparso per tutta la mattina senza dire niente.
Si tirò a sedere, guardando ora il biondino, ora gli altri membri della band, che sembravano tutti aspettarsi da lui qualcosa. Capitolò.

“Oh, va bene, va bene.” ammise “Mi dispiace di essere scomparso senza avvisare nessuno e mi dispiace di essermela presa.”
Slash gli battè una manata sulla schiena, facendogli andare per traverso il Jack Daniel’s con cui si stava premiando per aver sotterrato il suo orgoglio e aver chiesto scusa, mentre Duff seguiva con attenzione i movimenti di Steven, intento a rollare una canna.
Incrociò gli occhi verdi di Axl, chiaramente insoddisfatti.

“Oh, andiamo, che altro c’è?” gli chiese esasperato, mentre il mondo iniziava a muoversi più lentamente e i pensieri si trasformavano in parole senza il suo consenso.
Sapeva di essere arrivare al fragile confine che sta tra l’essere brilli e l’essere completamente ubriachi, se ne rendeva perfettamente conto. Guardò il cantante arricciare le labbra.

“No, niente...” biascicò guardando da un’altra parte. Duff tirò una gomitata al chitarrista, ridacchiando vistosamente, e lui capì.
“Ahhhhh!” esclamò con un ghigno “Caro mio, te lo puoi scordare.” gli assicurò, rigirandosi la bottiglia tra le mani, come se stesse valutando se bere ancora, e ubriacarsi, o se fermarsi li.
Fu Slash, a farlo decidere, mentre Axl continuava a fare l’offeso, tirando di tanto in tanto un tiro dallo spinello sapientemente preparato da Steven.
“O bevi.” gli disse “O lo faccio io.”
Senza neanche pensarci su, il chitarrista si portò la bottiglia alle labbra e si affrettò a riempirsi la bocca con il sapore forte della bevanda.
Quando diede la bottiglia al genio della chitarra che la reclamava, era parecchio più vuota, come la testa di Izzy, che si sporse appena verso il biondino.

“Non ti chiederò mai scusa per averti chiamato puttana isterica, puoi scordartelo!” sghignazzò, sentendo la lingua inciampare nelle parole.
Molto tempo più tardi, quando ormai aveva più alcol che sangue nelle vene, si rese conto che non si stava divertendo come gli altri, intenti a scommettere quante capriole sarebbero riusciti a fare Slash e Axl prima di vomitare e chi dei due avrebbe ceduto per primo.
Si chiese perché non riuscisse ad abbandonarsi a risate sguaiate e esagerate come aveva fatto per anni.
Non trovando la risposta, seppellì il dubbio con della birra, affidandosi alla beata ignoranza degli ubriachi.


 

PARLA IZZY:

Le nostre serata seguivano sempre una precisa routine: alcol, droga e di nuovo alcol.
Iniziammo con le canne, finimmo con la coca e l’eroina.
Che fosse sbagliato, che ci portasse grane e basta, non lo pensavamo nemmeno per sbaglio.
Eravamo dei grandissimi codardi, capaci solo di cancellare i nostri problemi alterando la nostra capacità di pensare fino ad annullarla del tutto.
Axl litigava con Erin?
Una pista di coca e via, il problema si dimenticava così.

Slash sbagliava l’intro di un pezzo in un live?
Sotto con l’eroina e avanti con lo show.

Duff andava a sbattere con la macchina perché troppo ubriaco per poter guidare?
Uno spinello e tutto torna a posto

Steven non si presentava in studio e lo trovavamo svenuto nel bagno della sua stanza con una siringa ancora nel braccio?
Un po’ di pasticche e tutto veniva cancellato.

La verità è che eravamo bambini spaventati da quello che erano diventati, ci aggrappavamo a qualsiasi modo per scappare dalla realtà.
E solo il cielo sa quanto mi pento di averlo capito così tardi, ma il passato è quello che è, specie il mio.
Non ne vado fiero, non ho tanti motivi per esserlo.

Solo su una cosa non ho rimorsi: l’averti fatta entrare nella mia vita.
Lo giuro su tutto ciò che ho di più caro.
L’averti incontrata, mi ha salvato.
Fui io a non essere in grado di salvare te.

   
 
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