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Autore: valentina_D    10/11/2012    0 recensioni
non so parlare del problema che ho da 4 anni a questa parte, non parlo con nessuno di ci� che ho dentro, ma ascolto gli altri che me ne parlano, e sapendo scrivere abbastanza bene ho pensato di legare le due cose. questo testo � uno sfogo personale non vi deve per forza piacere e non deve compiacervi.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nessuno sa affrontare questa situazione, nessuno tranne cliniche, psicologi, curiosi che cercano di improvvisarsi possibili aiutanti e che comunque aiutano nel modo sbagliato.
Ciò che vorrei far capire, prima di iniziare la mia, probabilmente noiosa, storia è che questo tipo di problemi non è una cosa da far passare come una semplice esperienza adolescenziale, a volte è un vortice nero che ti porta sempre più giù, e sembrerà strano che ciò che starete per leggere è stato scritto da una quindicenne, ma è la verità.
 
Anche stanotte mi sono svegliata, c'erano il solito silenzio inquietante proveniente da fuori, e i soliti familiari che si rigirano centinaia di volte nei letti provocando rumori che fanno apparire tutto meno inquietante.
Ho aperto il primo cassetto del comodino, la lametta è proprio lì, ancora sporca da ieri sera. Mi siedo sul letto dopo aver costatato di essere effettivamente l'unica persona sveglia in casa; la luce della bajour illumina quanto basta per non farmi sbagliare e quanto basta per non farmi impazzire nel troppo buio. Rimango ancora qualche minuto in silenzio, la sveglia segna le tre e dieci; mi guardo intorno e capisco che la mia camera non mi rappresenta, tutto abbastanza in ordine, i diplomi di karate in mostra, le spade costantemente pulite sotto di essi, le pareti lilla, tutto abbastanza visibile mentre io cerco di rendermi visibile il meno possibile. Lo sguardo si posa sulle mie braccia, la voglia di sentire il dolore ora è insopportabile, non posso aspettare ancora a lungo; la lametta è fredda, le mie braccia sono piene di tagli freschi e cicatrici, le guardo credendo di odiare ciò che faccio ma non passano neanche cinque secondi prima di convincermi che mi merito anche i tagli che sto per fare. No, non sulle braccia, fanno già troppo male, ci sono troppi tagli, non riesco neanche a piegarle che sento subito dolore. Scopro la pancia, anche lì ancora i segni di alcune cicatrici; ci penso su, sulla pancia sarebbe troppo anti-sgamo, so già che stanotte non riuscirò a stare attenta alla giusta profondità, a karate mi basterebbe un calcio in pancia che tocchi il taglio per farmi piegare a terra dal dolore; scopro il polpaccio, anche lì molte cicatrici, credo che la parte davanti del mio corpo sia un campo di battaglia, una lotta contro me stessa. Mi decido, sento il bisogno di sapermi viva, di sentirmi in colpa, di ripetermi che mi odio e che mi merito tutto questo; spingo la lama e la tiro, poi la riappoggio e spingo di nuovo nello stesso punto per andare più a fondo, continuo così e poi mi fermo. Ho fatto una cazzata, il pigiama è pieno di sangue, la coperta anche... anche sta volta non mi sono fermata. Ho preso un altro pigiama e ho nascosto questo insieme alla coperta, li laverò quando nessuno sarà in casa, vado in bagno e fermo il sangue, ogni volta ci impiego sempre di più. Mi risiedo sul letto, ora la sveglia segna le 5, tra poco mia madre si alzerà per prendere una pastiglia non c'è tempo di riflettere o di farmi altre paranoie.
  
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