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Autore: Vanderbilt    11/11/2012    8 recensioni
Bella, ragazza di diciotto anni con una famiglia apparentemente perfetta. Desidera innamorarsi per la prima volta.
Edward, un passato difficile, non si è mai innamorato.
Entrambi si conosco da molti anni, ma non sono mai riusciti ad instaurare un rapporto a causa del carattere introverso di Edward.
Abitano a Savannah, sognano di andare al college, ma ora dovranno affrontare l'ultimo anno di liceo, pieno di imprevisti a grattacapi...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Little talks

Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together
At skyfall

Skyfall, Adele

 

Dopo giorni di tortura, obbligata a stare a letto a causa della febbre, ero pronta per tornare alla vita di tutti i giorni. Quel giorno sarei dovuta andare a fare colazione a casa di mio padre, poi mi sarei vista con Edward.

Erano già le otto e dovevo ancora farmi la doccia, la ceretta, cambiare lo smalto alle unghie, al momento azzurre, e infine volare da Charlie. Sicuramente prima delle dieci non sarei uscita di casa, solo per la doccia ci mettevo quasi un'ora. Sì, i miei tempi di preparazione erano più lunghi della torta più elaborata esistente sul commercio.

Per una volta cercai di sbrigarmi con depilazione e doccia, rimandando la cura delle mie unghie al giorno dopo.

Dio, che dolori ogni santa volta!, imprecai. Ma perché noi donne dovevamo soffrire così?

La depilazione era sicuramente l'unica cosa che odiavo dell'essere donna, dando ovviamente per scontati quei cinque, o otto nel mio caso, giorni mensili.

Una buona volta dovevo decidermi a trovarmi un lavoro solo per fare la depilazione laser. In quel caso sì che sarebbero soldi spesi bene e non avrei più avuto problemi. Strappai l'ultima striscia e guardai la mia gamba ricoperta di brividi. Da sempre mi faceva questo effetto.

Dopo essermi persa in discorsi futili dettati dall'irritazione per la ceretta, riuscii a fare la doccia senza perdermi nei miei pensieri sotto l'acqua calda. Era proprio vero che un bagno caldo portava ispirazione e schiariva le idee.

Scelsi dei vestiti non troppo pesanti, anche perché ormai la stagione più fredda era passata e comunque a Savannah non scendeva mai il gelo. Una camicia a quadri grigia e nera, jeans stretti, ballerine, giacchetta nera ed ero pronta.

Chiamai mio padre dicendogli che stavo arrivando, salutai mamma e presi Rain.

Entrai in auto e notai con soddisfazione che erano appena le nove e mezza. Era successo un miracolo! Stavo per partire quando mi ricordai improvvisamente di aver scordato di truccarmi, almeno una base per non sembrare cadaverica. Per fortuna portavo in borsa sempre lo stretto necessario, quindi tirai fuori la BB cream, blush color pesca e riposi tutto nella trousse. Al resto avrei pensato prima di vedere Edward.

Rain per tutto il viaggio scondinzolò felice dell'uscita mattutina dopo giorni chiuso in casa con me; per mostrare il suo entusiasmo vagò per l'auto senza fermarsi un attimo. Per fortuna almeno lui era contento, io stavo già sbadigliando dopo essermi abituata per una settimana a svegliarmi minimo alle dieci.

 

Bussai alla porta della nuova abitazione color mandarino, orribile, di mio padre e lo chiamai per palesare la mia presenza: «Papà!». Sentii un «arrivo» appena accennato. Dopo pochi secondi la porta di aprì e mi ritrovai stretta dalle braccia di Charlie. Erano giorni che non ci vedevamo, troppi visto com'eravamo abituati prima vivendo insieme.

«Amore, come stai? Sei un po' pallida». Grazie, papà, dopo che mi sono data da fare per evitare di mostrare il mio colorito post malattia.

«Mi sento molto meglio, papà». Mi trascinò in casa e slegai Rain che iniziò a girovagare qua e là nella casa a lui sconosciuta.

Il tavolo in cucina era già apparecchiato e ricco di brioches, pancakes e tortine alla frutta, le mie preferite. Ci accomodammo e iniziammo a mangiare in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.

«Allora, come va con Edward? Ti tratta bene, il ragazzo?». L'ultima domanda suonò vagamente minacciosa, almeno alle mie orecchie. Risi sotto i baffi ricordando i velati avvertimenti che mio padre fece a Edward, pensando che solo il mio ragazzo era riuscito a capirli. Purtroppo per lui conoscevo troppo bene il suo lato di papà super protettivo.

«Mi vizia troppo. Penso proprio che se non inizierà a dirmi di no a qualcosa finirò per approfittarmene». Elogiare il proprio ragazzo davanti al proprio padre era sempre il miglior metodo per far accettare al papà l'uomo che era entrato nella vita della figlia. Ma con Charlie non funzionava proprio così.

«E gli converrà continuare così», borbottò a mezza voce. Risi e finì la mini brioche con crema pasticcera. Ne passai anche un piccolo pezzo a quel cucciolo che mi guardava con occhi tristi per farmi pena.

Parlammo ancora un po' della scuola e degli esami, finché non mi suonò il telefono.

«Pronto?», risposi senza neanche guardare di chi si trattava.

«Bella, amica ingrata!». Risi del suo tono scocciato.

«Ciao anche a te, Alice».

«Sei sparita! Hai abbandonato le tue amiche per... per mio fratello!». Edward la sentì e la sua frase rimbombò nel telefonino di Alice: «E che fratello! Ammettilo, sorellina».

«Salutalo!», esclamai subito.

«La tua ragazza, non più amica mia e di Rose, ti saluta con tanto di voce da angelo sceso dal cielo», urlò per farsi sentire dal fratello; sicuramente ognuno era nella propria camera, che erano adiacenti l'una all'altra.

«Mi stai dando dell'angelo caduto?», esclamai fintamente scioccata.

«Ah, magari trovare uno come Patch. Sai che fortuna?». Alice aveva del tutto evaso la mia domanda puntando sul protagonista della saga Hush Hush che avevamo letto sia io che Rose, sotto suggerimento di Alice. Edward domandò stranito: «Chi è Patch?».

Attesi la risposta di Alice: «Un angelo. Non puoi capire, Edward!». Dal suo tono di voce immaginai i suoi occhi luccicare come nei cartoni giapponesi.

Edward interpretò la frase di Alice come "un ragazzo magnifico esistente".

«Alice, non lo istigare, poi diventa matto per capire di chi parliamo».

«Questo è il bello», mi rispose Alice furbamente.

«Chissà che sarà mai 'sto qui», disse Edward irritato.

Non ce la feci più a trattenermi e risi a più non posso. A volte diventava sciocco a causa della sua gelosia, ma era una delle caratteristiche che più amavo di lui.

«Fratello, non capiresti neanche se te lo spiegassi e non ne ho neanche voglia. Se vuoi chiedi a Bella, lei ti darà una descrizione esaustiva di ogni sua piccola caratteristica, partendo con un “meraviglioso” per finire con “figo”». Alice si divertiva sempre a istigare la gelosia di Edward, ma in questo caso mi suonava più come una ripicca per averla leggermente esclusa negli ultimi giorni, vivendo nella bolla di sapone che comprendeva solo me e Edward... e Rain, ovvio.

«Alice, quando ti ci metti sei tremenda».

Lei rise e rispose un semplice «lo so, tesoro».

Edward iniziò a borbottare indispettito e geloso, mentre Alice lo zittiva con due parole.

«Comunque, Bella, ti ho chiamato perché vista la tua recente assenza in tutto ciò che facevamo da amiche, con Rose, sei obbligata stasera a venire con noi a ballare. Lo pretendo!». Non mi andava molto di andare in discoteca, preferivo di gran lunga serate più tranquille con Edward e miei amici, ma non potevo rifiutare ancora. Alice aveva ragione e volevo far capire loro che non avevo dimenticato le mie amicizie solo perché non ero più single, come spesso succedeva. Dovevano continuare a sapere che per loro c'ero sempre e non le avrei abbandonate mai e poi mai. L'amicizia era troppo importante, qualcosa da custodire con cura, un tipo di amore eterno e quasi sempre a lieto fine. Alice e Rose erano parte di me, esattamente come in Grey's Anatomy tra Meredhit e Christina.

«Okay», risposi concisa.

«Okay?», disse un'incredula Alice. «Ero certa di dover stare ore a convincerti, corromperti dicendo che sarebbero venuti anche i ragazzi!».

Non badai molto a quello che mi disse, la mia mente si fissò sul punto “vengono i ragazzi”.

«Quindi ci sarà anche Edward? Ha già detto di sì?».

«No, stava aspettando la tua decisione, sai com'è... ah, certo che lo sai, siete uguali», concluse sarcasticamente.

«Alice, non fare così! Sai benissimo che non sono il tipo che si scatena nei locali».

«Lo so, tesoro, ma stasera farai un eccezione e infiammerai la pista». Certo, lei mi prendeva in giro, ma in fondo sapevo che avrebbe provato a non farmi uscire dalla pista per almeno quattro ore.

«Devo andare, Aly, tra poco devo vedermi con tuo fratello. Ci sentiamo più tardi per organizzarci meglio. Un bacio».

Chiusi la telefonata subito dopo la sua conferma e mi voltai verso il salottino, dove mio padre stava guardando la replica di una partita di baseball.

 

Uscii da casa di Charlie alle undici e mezza e inviai un messaggio a Edward con il luogo dell'incontro:

 

Ci vediamo in piazza, vicino alla statua di John Wesley.

Mi manchi <3

 

La risposta di Edward non si fece attendere:

 

Okay, a tra poco.

Mi manchi anche tu, amore.

 

A volte mi rendevo conto che eravamo più dolci di una meringata, il ché era tutto dire. Ma ora andava bene così, essere dolci da diabete, romantici da far alzare un sopracciglio alle persone scettiche che sottovalutavano l'amore tra ragazzi. Andava bene a noi, ci faceva stare bene. Era questo che contava più di ogni altra cosa.

 

La piazza dove stavo aspettando Edward non era altro che un piccolo parco, con qualche panchina in pietra e un po' di verde disseminato intorno. Niente di entusiasmante e di solito era il posto giusto per incontrare tutte le pettegole della città.

Edward arrivò a manca dieci a mezzogiorno e subito Rain gli corse incontro come un bambino con il proprio padre. Edward prontamente lo prese in braccio e iniziò a coccolarlo, carezzando il suo pelo morbido e arruffato.

Mi alzai dalla panchina e feci una piccola corsetta verso di loro. Subito mi impossessai della bocca di Edward, baciando le sue labbra sottili e morbide. Lui approfondì il bacio passando il braccio libero dietro la mia schiena per avvicinarmi a lui.

«Un saluto caloroso», bisbigliò Edward sulle mie labbra dischiuse.

«Visto il ragazzo che mi ritrovo è tutto meritato», gli risposi con tanto di occhiolino.

Rise divertito per poi tornare subito serio. Posò Rain a terra e poi mi prese per mano. Iniziammo a camminare e lui espose il suo cruccio: «Bella, ma chi è Patch?».

Cercai di mostrarmi seria, ma dentro stavo morendo dal ridere. «Un ragazzo affascinante e con un caratterino niente male». Corrugò la fronte cercando di capire di chi si trattasse.

«L'ho mai incontrato per caso? Già dal nome è tutto un programma», disse scocciato.

«Impossibile, non lo ha mai visto nessuno realmente». Calcai sull'ultima parole per fargli capire che effettivamente non esisteva se non nella fantasia di noi lettrici fissate con la saga sugli angeli caduti.

Stette un po' in silenzio rimuginando sulle mie parole e infine esplose: «Tu ed Alice... Voi e la vostra fissazione per i protagonisti maschili! Mi avete fatto diventare matto per cercare di capire chi fosse!».

Risi tenendomi la pancia dai crampi. Non potevo credere ci fosse cascato con entrambi i piedi. Solitamente intuiva si trattasse di qualche libro letto ultimamente, eppure ogni volta io ed Alice ci divertivamo a prenderlo in giro. Più Alice che la sottoscritta.

«Andiamo, non te la prendere», riuscii a dire tra le risa.

«Devo imparare a non cadere nei vostri tranelli e non credere a tutte le vostre meravigliose descrizioni».

«Guarda che io ed Alice non mentivamo su quell'aspetto, se davvero esistesse...», sospirai estasiata ricordando Patch ed esagerai nell'esalazione dell'estasi per infastidirlo ancora.

«Certo, certo, come volete voi. Ma tu ammetterai che tra me e lui non c'è paragone!». Attraversammo la strada per uscire dal piccolo parco, camminando di fianco alle vetrine di negozi di ogni genere. Savannah non era la capitale della moda, ovvio, ma riuscivi comunque a trovare ogni cosa desiderassi.

«Non c'è neanche da chiederlo», confessai.

«Che ne dici di pranzare alla Pink House Restourant in Reynolds Square? È qui vicino e so che ti piace la loro cucina tipica della Georgia. Senza contare che sto morendo di fame».

Gli diedi un bacio sull'angolo della bocca, con un po' di fatica vista la differenza di altezza, e annuii in risposta. Era uno dei pochi locali dove i cani erano ben accetti, per questo mi andava ancora di più a genio.

 

Una volta seduti al tavolo la mia attenzione venne catturata dal menù in pelle rossa. Iniziai a leggere e indecisa mi torturai il labbro. Oltre ad essere specializzati in cucina tipica locale, servivano anche piatti italiani visto che la nonna del proprietario era di origini siciliane.

«Hai scelto?». Edward mi riscosse dai miei pensieri tormentati sulla cucina italiana. Alzai il viso dal menù e lo guardai scuotendo la testa.

«Tu?», gli chiesi conoscendo però la sua passione per la cucina italiana.

«Penne con salsa ai peperoni e prosciutto cotto», disse soddisfatto della sua scelta.

«Non li ho mai assaggiati». Lessi dal menù gli ingredienti e decisi che avrei imitato Edward. «Li prendo anch'io!».

«Secondo?», mi domandò nuovamente.

«Pollo al marsala con patatine fritte». E questa volta Edward non seguì il mio esempio e non mi imitò, preferendo una composizione di torte salate. Tanto sapevo benissimo che avremmo diviso tutto a metà, esattamente come facevamo per i dolci.

«Quindi stasera si va a ballare?».

«A quanto pare Alice ci ha incastrato». La mia smorfia dovette esprimere molto più delle mie semplici parole.

«Non sarà così male passare una serata insieme», cercò di convincermi.

«E tu perché hai accettato? Non ne vai matto, esattamente come me».

«Sei stata un ottimo incentivo quando Alice ha fatto la sua proposta».

«Allora mi sento lusingata». Mi piacevano questo momenti tra noi, semplici, fatti da flirt come due ragazzi appena conosciuti.

Non ebbe il tempo di rispondermi che arrivò una cameriera gentile e simpatica, che scherzò sul fatto che Rain stesse aspettando le sue ordinazioni. Rain doveva sempre farsi riconoscere e far pena anche quando non ce n'era bisogno, ma con quegli occhietti da angelo era impossibile ignorarlo.

Mentre Edward ordinava per entrambi mi incantai a guardare ogni suo più piccolo particolare, come capitava spesso. Dai suoi occhi, dalle sue labbra che si muovevano mentre parlava per finire con i due piccoli nei alla base del collo, che spesso finivo per baciare e ribaciare. Ogni suo più piccolo difetto mi sembrava la perfezione ed era questo l'amore: amare anche i difetti della persona al tuo fianco e saperli accettare. Troppo spesso le persone si lasciavano per qualche imperfezione, solo scusanti alla fine, e tutto perché al giorno d'oggi quasi nessuno sapeva amare senza risorse, saper condividere ogni cosa e riuscire a trovare un punto d'incontro. La via più facile era sempre accantonare i problemi o mollare prima del dovuto.

Edward schioccò le dita davanti ai miei occhi per farmi tornare alla realtà che mi circondava.

«Dicevamo?», riprese bevendo un sorso di acqua.

«Della discoteca e degli imbrogli di tua sorella», gli ricordai.

«Ah, sì, giusto. Sono più sereno sapendo che ci siamo anche noi con voi ragazze».

Alzai un sopracciglio scettica. «Ovvero...», lasciai la frase in sospeso apposta.

«E va bene... Ovvero che sarò lì a controllarti». Strinsi gli occhi a due fessure quasi invisibili.

«Non ti fidi di me!». La mia irritazione stava salendo di molti gradi.

«No! No, Bella, non pensarlo neanche! Io non mi fido degli altri! So come sono fatti i ragazzi, troppo bene, alcuni non si fanno scrupoli a insistere con delle ragazze anche se dicono no o lasciar perdere in partenza quando non viene rivolta a loro neanche un'occhiata».

«Ciò non toglie che non ti fidi di me. Saprei benissimo respingere un ragazzo!».

«So che non capiterebbe nulla. Dannazione se lo so! Ma solo il pensiero che qualcuno ci provi con te, che si avvicini senza che io sia presente mi manda in bestia». Si passò una mano tra i capelli stringendo alcune ciocche disperato.

Gli presi una mano per fargli alzare gli occhi e guardarmi: «Non sarei comunque andata senza di te». Ciò non significava che senza il mio ragazzo non mi sarei mossa di casa, semplicemente non mi importava andare in giro per locali senza di lui.

Il nostro attimo intimo fu interrotto ancora una volta dalla cameriera che ci portò sia i primi che i secondi. Già che c'era poteva portare pure il dolce, pensai sarcasticamente.

Il primo lo divorammo nel giro di qualche minuto, affamati e presi di gusto dal nuovo piatto. Il secondo, come previsto, lo dividemmo, imboccandoci un po' l'un l'altro.

«Questa ti piace di sicuro: frittata di zucca», mi disse Edward avvicinando la forchetta alla mia bocca. Masticai il boccone e sentii il gusto dolce, ma non troppo, della zucca e feci l'okay a Edward con il pollice, in segno di apprezzamento.

«Sì, ma quella con le zucchine e i peperoni rimane la mia preferita. Senti il pollo col burro» e a mia volta avvicinai il boccone alle sue labbra.

Il secondo fu terminato con più calma e dopo una decina di minuti venne un cameriere per i dolci. Non avevo scelto nulla, mi sarei affidata a Edward.

«Pudding col cioccolato al latte e un tiramisù». Mi guardò per una conferma e io sorrisi.

Il dolce fu speciale come il resto dei piatti, anzi forse ancora di più. Il pudding aveva un cuore di cioccolato sciolto che fuoriusciva appena lo tagliavi. Il tiramisù, invece, aveva una crema soffice e perfetta che mi fece venir voglia di mangiarne altre tre porzioni.

Alla fine Edward non volle sentire ragioni e come sempre pagò il pranzo, mentre io aspettavo fuori con Rain che stranamente era stato un angelo per tutta l'ora.

Nel frattempo mi squillò il telefono e stranita lo presi dalla tasca per vedere chi era: Mamma.

«Pronto, mamma!».

«Ciao tesoro. Hai pranzato? Io sono ancora al lavoro e volevo dirti che stasera non ci sarò, ho trovato un'offerta sui voli e vado a Logan, a trovare i tuoi nonni».

«Oh, okay. Quando rientri?», domandai perplessa. Quel viaggio improvvisato mi sembrava alquanto strano.

«Rientro lunedì mattina, tanto al lavoro ho il turno di pomeriggio. Non ti dispiace stare da sola? Altrimenti puoi andare da tuo padre, ne sarà contento». Charlie sarebbe stato entusiasta, ma io avevo ben altri programmi.

«Mamma, ti dispiacerebbe se invitassi Edward da noi?», chiesi nervosa. I genitori non erano mai felici di lasciarti passare il weekend da sola, in casa, con il tuo ragazzo. Eppure sapevano benissimo che era una precauzione inutile. Diciamoci pure la verità, se volevamo stare insieme intimamente una proibizione non sarebbe servita mai a nulla.

«No, fai pure, Bella».

«A che ora parti?».

«Tra tre ore, non penso ci vedremo, tesoro. Fai la brava, ci sentiamo appena arrivo a Logan».

«Certo, a più tardi. Buon viaggio».

Chiusi la chiamata ancora più stranita, ma accantonai tutto elettrizzata di passare due giorni interi con Edward.

Uscì dal ristorante e dal mio sorriso enorme intuì avessi ricevuto qualche buona notizia, avendo ancora il cellulare in mano.

«Renèe va a Logan e torna lunedì, quindi potresti venire da me in questi giorni!».

Edward mi sorrise di rimando e annuì immediatamente. «Era da capodanno che aspettavo di passare qualche giorno con te, solo noi due».

Si avvicinò ulteriormente, eliminando i due passi che ci dividevano, per prendere il mio viso tra le mani e baciarmi come non aveva ancora fatto in quella mattinata.

Sentii l'eccitazione correre sulla nostra pelle a contatto, come una scarica elettrica. I nostri profumi si mischiarono, come le nostre lingue. Lo afferrai per il colletto della giacca per avvicinarlo in un modo impossibile.

«Sarò un weekend fantastico», affermò Edward tenendomi stretta al suo fianco e avanzando tra i ciottoli della stradina che portava fuori dalla Pink House.

«Andiamo al Corner Book Store? Voglio vedere se è arrivato qualcosa di nuovo». Il negozio si trovava lungo la via del ristorante, quindi era di strada in tutti i casi. Non trovare scusa, Bella!

«Tradotto nella tua lingua significa: “voglio vedere se c'è qualcosa da comprare”».

«Antipatico», sbuffai avanzando verso il mio paradiso personale, dopo Edward.

Edward prese Rain in braccio per evitare che combinasse qualche guaio tra i libri, visto che a casa me ne aveva rosicchiati già due.

Nella sezione novità c'era qualsiasi genere narrativo. Nella mischia vidi un libro con una copertina semplice, recava una sola scritta: College americani. Le ampie scelte.

Non so se quel momento lo presi come un segno del destino o come una spinta per parlarne con Edward, fatto sta che lo riposi subito a posto senza farmi vedere e cambiai corsia di libri con lui al seguito.

Per tutto il tempo in cui restammo in libreria rimasi distratta. Edward cercava di coinvolgermi, farmi leggere nuove trame di libri che scovava qua e là, ma io non gli prestai la dovuta attenzione. Per la prima volta da che ho memoria, uscii dalla libreria senza neanche un misero libro in mano.

Edward mi guardò stranito, confuso dal mio comportamento anomalo. Feci finta di nulla e continuammo a camminare chiaccherando del più e del meno, finché il mio cellulare non vibrò nella tasca della giacca. Lo tirai fuori per leggere il mittente e il messaggio.

 

Prima tappa: The Six Pence

Seconda tappa: Riverboat

Ci vediamo alle ventuno di fronte al pub.

Puntuali, ricordalo a mio fratello! Non perdetevi in smancerie. La notte è nostraaaa *-*

Alice :*

 

Alice era davvero pazza e dopo aver letto il messaggio ne ero sempre più convinta.

«È tua sorella, dice di vederci alle nove al The Six Pence, poi andremo al Riverboat», comunicai a Edward rimettendo il cellulare nel taschino.

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo: «Non poteva scegliere una discoteca più... tranquilla?!».

«Perché», iniziai, «ne esiste davvero una?».

Fece una smorfia in risposta senza commentare. La questione era indigesta ad entrambi, ma avremmo passato una bella serata con i nostri amici e solo questo contava.

«Che ne dici di passare a prendere la mia roba da casa mia?», mi domandò Edward tirando leggermente la mia mano come per richiamare la mia attenzione. Ero parecchio distratta, lo ammettevo, non mi ero neanche resa conto che fossimo arrivati vicino alle nostre auto.

«Sì, sì, ma io prima devo lasciare la macchina a casa». Era inutile girare con due auto.

«Ti vengo dietro», rispose per poi darmi un bacio e aprirmi la portiera dell'auto, precedentemente sbloccata dalla sottoscritta.

 

A casa Cullen prendemmo tutto il necessario, compresi i libri per lunedì, visto che si sarebbe fermato anche domenica sera.

Esme non fece storie e lasciò andare il figlio volentieri. Notavo quanto amasse Edward, come se fosse suo figlio al cento per cento e, sì, alla fine era proprio così. Contava chi cresceva un figlio, chi gli dava amore, quello era il vero genitore. Anche se in questo caso le cose erano più complesse, Elizabeth, la madre biologica di Edward, non lo aveva lasciato per una sua scelta.

Il viaggio di ritorno in macchina fu silenzioso quanto l'andata, la musica diffusa dalla radio copriva quel senso di disagio che entrambi sentivamo. Dal mio canto si trattava del tarlo del college, impossibile da dimenticare, ed ero troppo codarda per tirare fuori l'argomento. Nel caso di Edward, invece, sicuramente era una conseguenza del mio comportamento immotivato.

Davanti a casa mia aprii la porta con la testa bassa e appena lui la richiuse alle nostre spalle sospirò pesantemente, chiaro segno che stava per esprimere il suo sconcerto.

«Bella, cosa c'è che non va? Ho detto o fatto qualcosa che ti ha infastidita?», mi chiese disperato. Scossi il capo sorridendo tristemente e lo presi per mano, portandolo sul divano.

«In libreria... ho visto un libro...», buttai lì torturando le dita della sua mano destra; continuavo a toccarle, intrecciarle con le mie, giocare con l'indice come i bambini.

«Lo so, ho visto che l'hai posato subito». Alzai di scatto la testa sgranando gli occhi ed esalai un semplice «ah». Quindi non ero stata molto discreta. Sai che novità, commentò una vocina malefica.

«Amore, il problema è questo? Il college?», chiese per avere una conferma. Annuii senza dire nulla. Iniziò a ridermi in faccia e mi offesi per quanto prese poco seriamente la questione.

Mollai la sua mano di scatto e mi allontanai mettendo poca distanza tra noi. Rain abbaiò in cerca di attenzioni, ma non ero in vena neanche di dargli una semplice carezza.

Edward notò il mio disappunto e smise di colpo di ridere. Riprese una mia mano tra le sue e, anche se cercai di ritirarla, vinse la sua forza maschile. Maledetti maschi e la loro forza. Dovevo iniziare a bere uova crude.

«Amore, amore, amore, ma non ricordi il discorso che abbiamo fatto mesi fa a casa Hale?».

«No», sussurrai paurosa della risposta.

«Allora te lo ripeto: non ho preferenze di college, non me ne può fregar di meno dove studierò, l'importante è che ci sia il corso di laurea che intendo seguire».

«Tu... davvero?», domandai incredula.

«Assolutamente». Sorrise in quel suo modo speciale e io non ce la feci a resistergli, gli saltai addosso spingendolo di schiena sul divano. Gli baciai tutto il viso sotto le sue proteste, molto deboli.

In quel momento mi resi conto che tutte le mie assurdità erano, appunto, tali: assurde. Mi ero fatta mille viaggi in cui prevedevo un distacco totale da lui, lo sgretolamento del nostro rapporto e, invece, il problema non esisteva. Avremo fatto lo stesso college, saremo stati insieme.

La mia felicità non poteva essere contenuta, in quel momento. Fummo presi dalla passione, dal desiderio di dimostrare quanto eravamo uniti e più contenti che mai. Un altro cruccio si era infranto senza troppe cerimonie.

La mia maglia volò per la stanza e seguì subito la sua. Edward si tirò su a sedere con me a cavalcioni. Torturai i suoi capelli, le sue labbra e lui non fu da meno: il mio collo diventò una cosa sola con la sua bocca, poi con la sua mano. I mie capelli seguirono il suo esempio, attorcigliati alle sue lunghe dita da pianista.

Togliere i pantaloni fu un po' troppo complicato per entrambi, tanto che alla fine lui fu costretto ad alzare entrambi, per poi ricadere all'indietro, ma questa volta con lui sopra di me.

Ben presto non ci furono più risate, ma solo parole sussurrate per non spezzare la magia del momento.

Segnai la schiena di Edward con le mie unghie, mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Sentivo il bisogno di essere una cosa sola con lui, di condividere in quel momento ogni cosa.

Mi avvicinò a lui posizionando un braccio dietro il mio bacino e poi, finalmente, stremati ci lasciammo andare.

 

Rilassata me ne stavo sopra di lui, con la testa incastrata tra il suo collo e la sua scapola. Accarezzavo il suo petto ricoperto da un leggero strato di peli biondi, rilassata, come se fossi in un'altra dimensione.

«Perché non mi hai detto subito qual era il problema, Bella?».

Ad occhi chiusi, ancora in fase di trance, risposi: «Non volevo rovinare la serata a nessuno, intristendo entrambi nel caso le nostre scelte fossero state diverse. E tu perché non ne ha fatto parola?».

«Non pensavo fosse il college, il problema. Credevo fosse ovvio che ti avrei seguito ovunque, visto che non ho preferenze».

«Neanch'io ne ho, non mi sono mai posta il problema. Certo, ci sono alcuni campus che attirano la mia attenzione, ma non è importante dove studiare, purché sia felice».

«Allora sceglieremo insieme un luogo che vada bene ad entrambi».

«È anche per questo che ti amo», confessai lasciandogli un bacio sul collo.

«Io, invece, ti amo a prescindere da tutto», bisbigliò al mio orecchio, stringendomi ancora di più a sé.

Fu facile addormentarmi tra le sue braccia, cullata dal suo respiro regolare e dal battito del suo cuore. Quando mi svegliai era sera, alzai lo sguardo verso la televisione per vedere l'ora e notai che erano già le sette e mezza. Avevo meno di un'ora e mezza per prepararmi!

«Edward», lo chiamai notando fosse già sveglio.

«Ehi, dormigliona», disse dolcemente. Lasciò un leggero bacio sulle mie labbra e si tirò su con me addosso.

«Potevi anche svegliarmi», mi lamentai sbadigliando.

«Così stasera saresti crollata a mezzanotte», mi prese in giro. Gli feci una linguaccia e mi alzai in piedi.

«Andiamo a fare la doccia». Al mio invito Edward mi guardò malizioso e intuì i suoi pensieri. «Non ci pensare neanche, se arriviamo in ritardo Alice tira giù tutti i santi!».

Alzò le mani in segno di resa: «Come vuoi, mi rifarò più tardi» e mi schiacciò l'occhiolino con quei fantastici occhi verdi.

 

Alle otto e mezza eravamo stranamente già pronti per uscire. Edward indossava dei semplici jeans con una camicia nera e sopra una giacca di pelle, mentre io avevo optato per un paio di stivali in pelle, alti e un vestito nero con una cintura dorata in vita, e sopra ci avevo abbinato una delle mie solite giacchette nere con dei risvolti in pelle.

«Oddio, Edward, guarda che occhi da cucciolo che fa! Non lo abbiamo mai lasciato solo per così tante ore!». Ero accovacciata vicino al divano, dove sostava un Rain addolorato per la nostra uscita senza di lui. Solitamente in casa c'era sempre qualcuno e massimo stava due ore da solo.

«Andiamo, Bella, farà un po' di guardia, mica spariamo per un giorno intero!». Cercava solo di farmi ragione.

«È che... Okay, va bene. Rain, mamma e papà arrivano presto, fai il bravo, amore». Diedi un'ultima arruffata al suo pelo e uscimmo di casa.

«Visto che non era così difficile?».

«Se lo dici tu», borbottai contrariata.

«Perché, preferivi portarlo dai miei genitori?». Inizialmente non avevo compreso il suo tono ironico.

«Questa sì che è una buona idea!», esclamai contenta già pronta a tornare in casa.

«Bella, stavo scherzando!», confessò prendendomi in giro.

«Che simpatico!».

Il nostro siparietto si concluse arrivati al pub. Il The Six Pence era un tipico pub inglese, con all'esterno l'accogliente cabina rossa tipica dell'Inghilterra. Adoravo quel posto solo per l'atmosfera così calda e londinese. Infatti non a caso all'esterno era appesa una bandiera inglese che sventolava fiera nella notte.

Fuori dal locale c'erano già le due coppiette ad aspettarci. Erano tutti bellissimi. Emmett e Jasper erano più o meno vestiti come Edward, togliendo la giacca di pelle, mentre Alice e Rose erano l'uno opposta all'altra e, quindi, inevitabilmente, anche a me.

Alice indossava dei pantaloncini con dei brillantini che luccicavano nella notte, intonati al top e a delle decoltè blu. Rose, invece, aveva una gonna stretta a vita alta, con una canotta floreale dai toni rossi e argentati, il tutto completato con stivaletti rossi.

Erano bellissime e Jazz ed Emm lo sapevano molto bene da come se le tenevano strette, un po' come faceva Edward in quel preciso istante.

«Alice, Rose!», le chiamai a gran voce staccandomi da Edward per abbracciarle.

«Bella!», urlarono stritolandomi insieme. Noi donne eravamo sempre così, ci sprecavamo in convenevoli, baci e abbracci, mentre agli uomini bastava una stretta di mano, una pacca sulla spalla o un semplice saluto con tanto di soprannome.

«Ehi, Bellina, ti vedo sciupata, mio fratello ti consuma troppo?», disse Emmett per poi mettersi a ridere da solo.

Lo fulminai con lo sguardo, accompagnata da Edward che gli tirò un pugno scherzoso su un braccio. «In realtà avevo l'influenza».

«Se, se, tutte scuse per restare a casa con il mio fratellino» e ammiccò. Sorrisi esasperata, con lui non vincevi mai.

«Non starlo a sentire, Bella, la malattia ti dona», cercò di consolarmi Jasper senza riuscirci poi molto.

«Meglio entrare!». Alice richiamò tutti all'ordine e da bravi soldatini facemmo il nostro ingresso al TSP.

Era impossibile trovare il pub mezzo vuoto in qualunque serata, figuriamoci al sabato. Aspettammo che un gruppo se ne andasse, dopodiché prendemmo posto in un tavolo vicino alle vetrate, dove si poteva osservare la strada piena di gente. Era una delle vie più trafficate, sempre colma di vita.

«Da quanto non passiamo una serata simile? Manco la ricordo più». Emmett aveva ragione e un po' era stata colpa mia e di Edward, della nostra voglia di starcene per i fatti nostri nelle serate di fine settimana.

«Mmh, la serata al cinema? Forse», suggerì Rose al suo ragazzo.

«E quella la chiami uscita simile a questa? Nah, stasera ci si diverte!».

«Ben detto, fratello!», gli diede manforte Alice.

«Gli unici prevenuti siamo noi», dissi a Edward. Lui alzò le spalle e intrecciò le nostre mani sotto il tavolo.

«Probabilmente il Riverboat sarà pienissimo, ci sono degli universitari argentini in erasmus presso l'università della città. E si sa cosa dicono dei ragazzi argentini...», buttò lì Rose.

«No, cosa?», chiese Jazz ingenuo. Noi ragazze cercammo di trattenere i sorrisi che stavano nascendo spontanei sulle nostre labbra.

«Caliente», suggerì Alice.

«Con le single», cercò di confermare Edward.

«No, amore, con tutti», lo stuzzicai.

«Direi proprio di no!». Emmett iniziava a riscaldarsi. Era nota a tutti la sua gelosia sopra le righe. Be', certo, con una come Rose al proprio fianco non si poteva fare a meno di esserlo.

«Oh, ne prevedo delle belle», urlò Alice ridendo come una pazza.

E, infatti, le previsioni di Alice si rivelarono fondate. Entrati nel locale decidemmo di prendere il tavolo per posare le giacche e avere un posto dove sederci in mezzo a quella folla scatenata. La musica assordante iniziò a rimbombare nella mia cassa toracica e le luci blu e viola vorticavano per la sala, lasciando spazi di penombra e altri di piena luce.

«Andiamo a ballare!», gridò Rose per farsi sentire sopra le note di Fun, We are young.

Mi voltai verso Edward, ma si era già seduto con Jazz ed Emm, quindi mi attaccai alla mano di Rose, già attaccata ad Alice, per non perderci nella folla, e avanzammo verso la pista, scontrandoci con ragazzi scatenati che muovevano le braccia come impazziti.

«Non riesco a capire quali sono gli argentini», gridò Alice nelle nostre orecchie.

«Non ne ho idea, ma... penso lo scopriremo presto!». Guardammo Rose dubbiose fino a quando non capimmo appieno le sue parole: due ragazzi si stavano avvicinando a noi ballando. Ci allontanammo leggermente da loro, iniziando a ballare fra noi, formando un cerchio ristretto. Loro non si diedero per vinti e cercarono di ballare con noi, finché Rose non si infuriò con lo sconosciuto dai capelli neri che appoggiò le mani sulle sue braccia. Rose le scansò per poi urlargli in faccio un «no» che ancora risuonava nelle mie orecchie.

I ragazzi riprovarono a parlare con Rose, la quale scosse la testa non rivelando il suo nome, al ché uno provò la sua ultima chance tirando fuori un preservativo e facendo schifare tutte e tre per la volgarità. Dalle nostre facce capirono che non avevano possibilità e se ne andarono a scocciare altre ragazze di fianco a noi. Le compativo.

I ragazzi sapevano essere così insistenti da risultare fastidiosi e invadenti come mosche.

Dopo tre balli, sentii qualcuno afferrarmi da dietro. Riconobbi subito quelle mani che solo poche ore prima erano sul mio corpo, sotto strati e strati di vestiti; mi voltai e incontrai il viso di Edward chinato su di me.

«Finalmente ti sei deciso», urlai al suo orecchio.

«Non potevo di certo lasciarti in mezzo a questo branco di ragazzi in cerca di compagnia. Purtroppo conosco il sesso maschile meglio di voi e proprio per questo non mi fido!».

Voltai leggermente il viso e notai Alice e Rose ballare con i rispettivi ragazzi, a poca distanza da noi.

Continuai a muovermi insieme a Edward, che di sicuro era un ballerino migliore di me e poi diciamoci pure la verità: per i maschi era più facile, non dovevano fare grandi mosse, bastava si muovessero un po', mentre noi ragazze se ci muovevamo con determinate mosse potevamo risultare volgari, come tante altre in pista che sembrava volessero fare degli spogliarelli.

Dietro a Edward una coppia stava ballando e sembrava che da un momento all'altro si dovessero strappare i vestiti di dosso. Probabilmente agli occhi degli altri anche noi potevamo dare la stessa impressione, ma ai nostri occhi eravamo solo dei ragazzi che ballavano, con i corpi stretti tra loro e gli sguardi intrecciati che comunicavano tutta la passione e l'eccitazione del momento, e, anche se la voglia di far sparire i vestiti esisteva, rimanevano al loro posto, senza alzate provocanti di magliette come troppo spesso accadeva nelle piste da ballo. Quindi tutto era molto soggettivo per sprecarsi in giudizi.

Edward mi afferrò la mano facendomi voltare e appoggiare la schiena contro il suo petto. Ci muovevamo in modo sincronizzato, con i bacini che si scontravano e le mani intrecciate sulla mia pancia. Questi erano i momenti perfetti, quelli da custodire per sempre nel nostro cuore per ricordarli nei giorni più bui: sapere di avere avuto attimi che valgono la pena essere ricordati per tutta la vita, attimi di totale sintonia dove tutto il resto scompariva e rimanevamo solo noi due, circondati dal nostro amore.

Dopo altri due balli, impegnati per lo più a baciarci muovendoci al ritmo della musica, ci ritrovammo entrambi con il fiatone e i miei piedi iniziavano a chiedere pietà per il tacco tredici in cui li avevo costretti.

«Vado a prendere qualcosa da bere», gridò Edward a me e agli altri. Jasper ed Emmett si aggregarono a lui, mentre noi ragazze andammo a sederci al tavolo.

«Stanotte è davvero impossibile ballare in pista, troppa gente e ogni tre per due ti ritrovi spintonata o con qualche cretino che ti pesta i piedi», si infervorò Alice. Essendo anche la più piccola delle tre come statura, era più facile che non venisse vista e gli capitasse qualche gomitata puntata nella schiena.

«Giuro che se torno in pista e mi ritrovo quella con quel vestitino leopardato terribile di nuovo dietro di me, la uccido! Ogni punto in cui ci spostavamo io ed Emmett c'era anche lei!», le diede man forte Rosalie.

L'unica che non aveva fatto caso a nulla ero io?!

«Dai, pensavo fosse peggio, invece mi sto divertendo!», dissi ad entrambe.

«Solo perché non riuscite a staccarvi un attimo, peggio di due cozze allo scoglio», borbottò Alice in riferimento a me ed Edward.

Stavo per ribattere quando qualcuno picchiettò sulla mia spalla. Mi voltai e di fronte a me sostava un ragazzo alto, capelli scuri e vestito in modo casual. Lo fissai scocciata per essere stata disturbata.

«Ciao, lo vedi quel ragazzo seduto a quel tavolo?», colui che stava parlando mi indicò un ragazzo dai capelli ricci seduto da solo che si guardava intorno.

«Sì», risposi stranita.

«Vedi, so che è brutto, ma ha un bel sorriso», iniziò per poi urlare al suo amico un «sorridi, Dan!». Dopodiché riprese a prestarmi la sua attenzione non desiderata: «E le stiamo cercando una ragazza».

La mia irritazione per il modo in cui descrisse un suo amico mi indispose verso di lui in maniera irrecuperabile.

«Di certo me no. Gira che qualcuna la trovi» e mi rigirai a parlare con Rose ed Alice che guardavano il nuovo arrivato come uno strano soggetto a tre teste.

«Ma dai, almeno fammi un sorriso!», ritentò con quel suo tono da saputello arrogante.

Questa volta mi girai con gli occhi che lanciavano saette e in maniera maleducata risposi: «ARIA!».

«Mio dio, che antipatica. Magari le tue amiche sono interessate». Non si diede per vinto.

«Senti, siamo tutte fidanzate quindi gira al largo!», dissi per l'ultima volta. Dietro di lui vidi arrivare i nostri ragazzi con una faccia abbastanza incazzata, in particolare Edward che velocizzò il passo.

«C'è qualche problema?». Il suo tono era aggressivo, mai lo avevo sentito rivolgersi a qualcuno in quel modo.

Il ragazzo lo guardò e notò dietro di lui Jasper e soprattutto Emmett, o per meglio dire la sua stazza.

«No, se ne stava tornando dai suoi amici», risposi al posto del ragazzo guardandolo intensamente per fargli capire di levare le tende. Il ragazzo senza nome nel giro di qualche secondo era già scomparso, dimenticandosi anche del suo amico al tavolo da solo che lo aspettava.

«Non posso proprio allontanarmi, eh», disse Edward irritato passandomi la bevanda, un analcolico. Ero sempre stata astemia.

«Tra poco ce ne torniamo a casa», gli sussurrai maliziosa avvicinandomi a lui.

«Ecco, questo programma mi piace di più. Andiamo?». Felice si alzò in piedi pronto ad uscire dal locale.

«Dove vorresti andare, fratello?», pronunciò Alice con voce minacciosa.

«Ehm... Bella è molto stanca, è la prima sera che esce dopo una settimana di febbre alta...», cercò di giustificarsi Edward, senza riuscirci un granché.

Io feci finta di mostrarmi d'accordo con Edward con un colpo di tosse finto. «Effettivamente non vorrei mi tornasse mal di gola».

«Faremo finta di crederci», ammiccò Emmett al fratello.

«Allora un ultimo ballo tra donne e poi ti lasciamo andare», mi ricattò Rosalie.

«Ma io devo andare al bagno», si lamentò Alice.

«Bene, facciamo due tappe, voi aspettateci qui», si rivolse infine ai ragazzi.

Loro annuirono e noi ci dirigemmo verso il bagno delle donne. Appena entrammo nel corridoio che conduceva ai bagni, notammo la coda infinita per entrare.

Per fortuna Alice doveva solo ritoccarsi un po' il trucco, sbavato leggermente agli angoli degli occhi, quindi ci mettemmo davanti agli specchi e intanto parlammo.

«Martedì ho un incontro per il corso alla casa di moda di cui vi parlavo», annunciò Alice facendoci pronunciare gridi di gioia. Finalmente aveva l'opportunità di far conoscere la sua creatività a qualcuno che poteva aiutarla nel suo sogno.

«Sì, ma... se mi prenderanno dovrò iniziare quest'estate e, se fino a settembre andrà tutto bene, mi prenderanno fissa nel settore design». Il suo tono triste non combaciava con la notizia stupenda che ci stava dando. Era sempre stato il suo sogno, non era interessata all'università, voleva solo creare ciò che da anni le passava per la mente. E di certo solo perché facevi l'università non significava che era intelligente o chissà chi, c'erano grandi personaggi che erano riusciti a realizzarsi senza bisogno di un foglio di carta e Steve Jobs era uno di quelli.

«Alice, dov'è il problema?», chiesi.

«Jasper vuole studiare economia e probabilmente non farà l'università a Savannah». I suoi occhi divennero subito lucidi al pensiero di doversi separare da Jazz dopo sei anni di relazione in cui erano sempre stati insieme, nonostante alti e bassi.

«Questo non significa che il vostro rapporto sia destinato a finire». Rose aveva ragione, ma capivo Alice perché quel pomeriggio avevo avuto le sue stesse paure ed era stato tremendo pensare di non poter avere accanto Edward in ogni momento.

«Dovresti parlarne con Jazz, è lo stesso problema che abbiamo affrontato oggi io e tuo fratello. Anch'io avevo i tuoi stessi timori e mi sentivo soffocare». Alice tirò su col naso e annuì non del tutto convinta dalle mie parole.

«Cosa avete deciso?». Mi dispiaceva risponderle ora, di certo lo avrebbe saputo comunque prima o poi, ma in un momento in cui si sentiva così fragile mi sembrava di cattivo gusto sbattergli in faccia la mia felicità. Sorrisi per farle capire che avevamo risolto e lei non chiese nulla: aveva già capito tutto.

«E voi, Rose?», volle sapere Alice.

«Non abbiamo ancora affrontato il discorso, ma sono fiduciosa, Emmett non desidera nessun college in particolare».

Alice aggrottò la fronte e disse quelle semplici parole che sgretolarono le convinzioni di Rose: «Ha sempre detto di non volersi allontanare da qui».

«Oh, non... non è un problema». Rose cercò di nascondere il suo turbamento, ma non ci riuscì con noi che la conoscevamo così bene. Lei desiderava allontanarsi da Savannah, le era sempre stata stretta e sicuramente non avrebbe scelto un college a due chilometri da casa.

«Non roviniamoci la serata, andiamo a fare l'ultimo ballo!». Le trascinai in pista, ma entrambe avevano la testa da un'altra parte. Sperai per loro che risolvessero presto, restare con i dubbi e i timori di perdere qualcuno che si amava con tutto il cuore ti straziava, dilaniava ogni tua certezza e consumava la relazione prima del tempo.

E la serata non poteva non concludersi con l'ultimo ragazzo argentino che cercava di fare colpo. Le mie amiche non lo calcolarono proprio e anch'io cercai di fare del mio meglio, ma vista l'allegria che sprizzavo da tutti i pori all'idea di stare due giorni interi con Edward, il ragazzo mi fraintese.

«Stai bene?», urlò in un angloamericano stentato. Scossi la testa non capendo subito la domanda. «Non stai bene?!», mi richiese sconvolto.

«Ah, sì, tutto bene!», cercai di non mostrarmi acida come lo ero stata in tutta la serata con gli sconosciuti.

Lui se ne approfittò e cerco di ballare, infilandosi tra me ed Alice.

«Sono fidanzata!», gli urlai in un orecchio per farmi sentire bene.

«Com'è che a Savannah siete tutte fidanzate?!», si irritò.

Alzai le spalle. «Eh, sì».

«Mi sa tanto di bugia, comunque okay, ciao!» e se ne andò nero dalla rabbia. Almeno aveva capito l'antifona.

Finita la canzone tornammo al tavolo e dopo i saluti, un «ci sentiamo domani», io ed Edward eravamo pronti per uscire dal locale.

«Finalmente, non ce la facevo più!». Come ti capisco, amore.

«Le mie orecchie continuano a fischiare», mi lamentai massaggiandole.

«Andiamo a casa», mi disse stringendomi al suo fianco e passando un braccio intorno alla mia vita. Mi appoggiai a lui stanca e mi lasciai trascinare.

Il percorso in macchina fu breve e in men che non si dica fummo a letto, stravolti dalla lunga serata.

«Alice è preoccupata che il suo rapporto con Jasper sia in pericolo, sai l'università...», buttai lì prima di addormentarmi.

«Lo so, amore, spero risolvano presto, mi dispiace vedere mia sorella così triste, non è da lei».

«Sono contenta che noi non abbiamo questo problema», sussurrai sentendo le palpebre sempre più pesanti.

«Noi ci ritroveremo sempre, risolveremo tutto, qualsiasi cosa ci intralcerà non causerà mai danni permanenti. Ti amo troppo per far sì che questo succeda». Delle lacrime di felicità scesero dai miei occhi chiusi e a tentoni cercai la sua mano stringendola forte.

«Sempre. Ti amo». In risposta il suo bacio appena accennato mi accompagnò nel mondo dei sogni, stretta a lui e con il suo sapore sulle labbra.

 

 

 

Miei cari, eccomi (cori di noooo, che sfigaaa)! Sono tornata con un ritardo di... mmh, non contiamo i giorni okay? Diciamo due settimane, datemele per buone xD

Questo è uno dei capitoli più lunghi che io abbia mai scritto, ben quindici pagine con qualche accortezza da parte mia per non farle diventare venti xD Spero così non vi annoi, ho cercato di renderlo un po' più divertente rispetto al solito, non so se ci sono riuscita ç.ç Comunque, passo a fare due commenti sul capitolo:

  1. Il problema dell'università è stato risolto solo per Edward e Bella, Alice e Jazz, come Rose ed Emm, devono ancora affrontare il problema, ma avverto già da ora che non ci sarà nessun capitolo interamente dedicato a loro, se ne parlerà nel prossimo capitolo sempre con protagonisti Ed e Bella.

  2. Tutti i riferimenti ai locali, alle strade, ai parchi di Savannah, sono reali, non ho inventato nulla. E' più di un anno, da quando ho iniziato la storia che mi documento per non scrivere cavolate colossali xD

  3. Patch è il protagonista di una saga della Fitzpatrick che vi consiglio vivamente. Non potete non adorarlo!

  4. La serata in discoteca mi è venuta in mente sabato scorso, mentre anch'io mi davo alla pazza gioia e mentre mi capitavano delle scene a dir poco imbarazzanti, ho pensato “Questo devo assolutamente scriverlo nel capitolo!”. Non penso di essere normale xD Infatti, tutte le scene descritte nella parte finale del capitolo, riguardanti la discoteca, sono verissime, compresi i ragazzi in erasmus xD Solo che io non avevo un Edward Cullen al mio fianco (ç_______ç), eravamo tutte donne ù.ù

Spero il capitolo vi sia piaciuto, di risentirvi presto tutte e ringrazio come sempre chi mi segue, legge 'ste schifezze e chi mi lascia un commentino. Grazie davvero, ragazze!

La storia sta giungendo al termine, i capitoli si accorciano e ora siamo a quota – 2, so che avevo detto 5 o 6 il capitolo scorso, ma ho tagliato delle parti visto che i prossimi capitoli saranno corposi quanto questo. Ho stravolto la mia idea iniziale per quanto riguarda gli ultimi capitoli, lo ammetto, ma non disperate, sono per il lieto fine!

Ho già in mente altre trame da sviluppare e qualcosa di già pronto da postare, ma mi rifiuto finché non finisco almeno una delle due long che ho in corso (probabilmente non frega nulla a nessuno, ma mentre sto scrivendo queste note sono in modalità logorroica ahah xD).

Prossimo capitolo arriverà a breve, massimo due settimane! Vi ricordo il gruppo per gli spoiler e molto altro!

 

Chi sta seguendo la promozione di BD II? Avete visto quanto sono belli? *-* Kris sta spaccando di brutto *-*

Quanti di voi hanno già prenotato i biglietti? -3 ragazze!

 

Ora vi lascio, queste note sono infinite, me ne rendo conto e spero qualcuno le legga xD

A presto :***

Jess

 

Ps appena concluso “Scusa...”, riprendo Rules in mano ;)

   
 
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