1.
Silent Hill
Ospedale psichiatrico Brookhaven.
Lisa Garland non
aveva avuto un buon inizio di giornata. Appena arrivata si era dovuta sorbire
il richiamo della caposala perché non aveva spento le luci del braccio E dopo
il turno di notte. – Il sorvegliante notturno era nuovo – si era giustificata –
gliele ho lasciate accese di proposito perché non si perdesse. –
Nonostante la sua
giustificazione, la caposala l’aveva rimproverata per bene, aggiungendo un
altro granello alla sua clessidra mentale che le diceva di tornare da dov’era
venuta, ovvero l’ospedale Alchemilla.
Essere trasferita al Brookhaven dall’amministrazione era stata una gioia fino ai
primi giorni, salvo poi trasformarsi in una specie di prigione: sorvegliare i
malati mentali e stare loro dietro qualunque cosa facessero/dicessero, era un’impresa
davvero ardua. Soprattutto perché i criminali non avevano tutti la stessa
faccia… No. Per dirla con un’espressione che usavano spesso i colleghi di Lisa,
erano polimorfi.
E quello che stava al
braccio E, era sicuramente il più polimorfo di tutti.
Solitamente qualcuno
immagina gli assassini come delle bestie assetate di sangue, con un aspetto
orribile e modi rozzi e violenti. Invece Niall Horan (così era stato registrato alla reception quando era
arrivato) era tutto il contrario: un ragazzino di origini irlandesi neanche
ventenne, che con quei capelli biondi e quegli occhi azzurrissimi, quei lineamenti
dolci e quel corpicino atletico sembrava un angioletto… Un angioletto della
morte, in quanto autore di una strage a mano armata in una libreria del centro
di New York.
Eppure Lisa non lo
avrebbe mai detto, che avesse commesso un crimine così orrendo. Le era bastato
leggere un articolo sul The New York Post, per tenere un terzo
occhio aperto ogni volta che doveva accompagnarlo da qualche parte nell’ospedale.
Tuttavia il ragazzo
non sembrava proprio un pluriomicida aggravato. Era sempre tranquillo, parlava
poco ma bene… quello che osservava spesso Lisa era come se a volte non fosse
parte del mondo reale. Come se Niall fosse un alieno,
o per lo meno appartenente ad un’altra dimensione.
A rendere ancor più
tragica la mattinata iniziata male, ci si metteva anche il cielo plumbeo carico
di pioggia. Lisa guardò per un attimo fuori dalla finestra i neri cumulonembi,
rabbrividendo.
- Lisa – disse Sheila,
una sua collega – Stai bene? –
- Sì… Forse. Se
continua questo tempo, avrò poco da stare bene, credimi… -
- Ti capisco –
rispose la ragazza, mentre compilava un modulo – Anch’io ho seri problemi
quando c’è un tempaccio del genere. –
- Be’ – riprese Lisa,
sfogliando la rivista che teneva sulla scrivania – cerchiamo di rilassarci. Ci passerà.
–
Intanto fuori aveva
iniziato a piovere. Nel vialetto d’accesso dell’ospedale comparve un’auto, una Toyota Prius
nera. L’auto si fece tutto il viale per poi fermarsi ad un parcheggio adiacente
l’entrata coperta del complesso psichiatrico.
Il rumore di passi
nel corridoio distolse Lisa dall’articolo che stava leggendo. Alzò gli occhi e
vide un uomo alto che indossava un soprabito di pelle marrone, che avanzava
verso la guardiola. Lisa mise via la rivista che stava leggendo, e si preparò
ad accogliere l’individuo.
Arrivato di fronte a
lei, l’uomo si tolse il cappello, rivelando una testa piena di capelli neri, un
viso sbarbato e spigoloso tipico della mezza età, e due occhi neri come la
notte.
- Buongiorno – salutò
– sono il dottor Kaufmann, psichiatra. È qui che tenete l’ultima rockstar? –
- Buongiorno –
rispose Lisa – Quale rockstar, mi scusi? –
Il medico anzianotto
rise – Ma come, non lo sa? Quel ragazzino che ha fatto la strage in una
libreria a New York. –
- Ah – disse Lisa, come
cascando dalle nuvole – Niall Horan.
Certo, è un nostro ospite – confermò, prendendo il registro degli accessi.
Anche se era il 2012, al Brookhaven non avevano
ancora informatizzato quella parte burocratica, per cui ogni persona che
entrava doveva essere registrata manualmente.
- Ho bisogno di un
suo documento d’identità e di una firma sul registro. –
*****
Mentre si avviavano
al braccio E, dov’era rinchiuso Horan, il dottor
Kaufmann esaminava la sua cartella clinica, facendo di tanto in tanto qualche
domanda a Lisa.
- Il ragazzo dorme
molto? –
- No, quasi nulla.
Per farlo dormire dobbiamo iniettargli del sedativo, altrimenti è capace di
rimanere sveglio tutta la notte. –
- Hmh
– bofonchiò Kaufmann – Ha avuto episodi di pazzia, crisi epilettiche, o
qualcosa fuori dall’ordinario? –
- Per quel che mi
riguarda, quel ragazzo è totalmente fuori dall’ordinario. A parte ciò… no, non
ha mai fatto il cattivo. L’unico comportamento strano è che dà l’impressione di
essere su un altro pianeta. Come se… come se fosse in comunicazione con entità
ultraterrene. –
- Credo che sia un
classico di tutti i pazienti – minimizzò Kaufmann.
Arrivati alla porta
della sua cella, Lisa infilò la chiave nella serratura e girò, facendola
scattare.
La stanza era immersa
nel buio, quindi Lisa fece per accendere le luci.
- No – disse una voce
dall’interno della cella – Niente luce. –
Lisa ritrasse la
mano, poi guardò il dottor Kaufmann, vergognandosi un po’. Poi prese a parlare
con Niall.
- Niall
– gli disse, dolcemente, come una maestra che deve rimproverare un bambino – c’è
qui una visita per te. Non è carino starsene nell’ombra, senza accendere
nemmeno una luce. –
- La luce mi brucia
gli occhi – rispose Niall, dopo un minuto di
silenzio.
Lisa fece per
ribattere, ma con un gesto della mano molto calmo, Kaufmann la fermò.
- Niall
Horan – disse Kaufmann – Ho un regalo per te. Ma te
lo darò solo se prometti di accendere la luce una volta che sarò entrato. Che
dici, ci stai? –
Ci fu un altro minuto
di silenzio, poi Niall parlò di nuovo. – Che genere
di regalo? –
Dalla sua borsa, il
dottor Kaufmann tirò fuori una copia di un libro, e lo infilò nella stanza buia.
- Un libro. Ti piace
leggere, non è vero? –
Mentre tendeva il
libro alla stanza, una mano lo afferrò e glielo portò via. Kaufmann ritirò
istintivamente la mano, avvertendo per un secondo un principio di pelle d’oca. “Cazzo”, pensò.
- Venga avanti, Doc.
Lisa, accendi pure la luce, ma prima socchiudi la porta. –
- Va bene, Niall. –
Kaufmann entrò nella
stanza e Lisa accese le luci. La luce al neon balbettò per un secondo o due,
infine si stabilizzò, illuminando l’ambiente.
Una tipica cella da
ospedale psichiatrico, con un letto, un tavolo con sopra molti libri, e dei
fogli pieni di disegni strani e improbabili. Per lo più scarabocchi. Kaufmann
si guardò intorno, non riuscendo a trovare il ragazzo.
- Cercava me, Doc? –
Kaufmann si girò, e
vide Niall seduto in un angolo a gambe incrociate. Portava
il pigiama clinico di stoffa deperibile, i suoi capelli biondi erano tutti
arruffati e al polso destro portava un braccialetto irremovibile con i suoi
dati identificativi.
Stupito dall’entrata
in scena, Kaufmann ammezzò un sorriso. – Già. Cercavo proprio te, Niall – disse Kaufmann, quindi gli tese la mano – Sono il
dottor Michael Kaufmann. Piacere di conoscerti. –
Niall guardò quella mano grande come se non avesse mai
visto una mano così in vita sua, ma la sua espressione era quella di un alieno
che, appena arrivato sulla terra, si stesse chiedendo che cosa bisogna fare
quando qualcuno ti porge la mano. Improvvisamente se ne ricordò e gliela
strinse debolmente, senza però alzarsi in piedi.
- Che cosa ci fa qui,
dottor Kaufmann? –
- Niente d’interessante.
Ero solo venuto a farti visita. Come tutti gli psichiatri, sono un po’ curioso.
Ed ero curioso di fare due chiacchiere con te. –
Niall ridacchiò – Va bene, dottore, parliamo pure. –
- Chiamami pure
Michael, Niall. Chiudiamo le formalità dietro quella
porta. –
- Come vuoi, Michael.
– improvvisamente, il suo sorriso gli morì sulle labbra.
- Allora – esordì Kaufmann,
prendendo la sedia della scrivania di Niall e
sedendovisi sopra – Cosa ci fa un
giovanotto come te in questo albergo? –
- Aspetto. – disse Niall, guardando un punto imprecisato del pavimento.
Kaufmann intanto
prese il suo pacchetto di Marlboro e se ne ficcò una in bocca – Ti dà fastidio
se fumo? –
- No – rispose Niall, sempre continuando a fissare il pavimento.
- Aspetti, dunque? –
Kaufmann accese la sigaretta e ne prese una bella boccata. – Chi? –
- La chiamata del mio
padrone. –
- Hmh
– annuì Kaufmann – Un padrone… E chi sarebbe, questo tuo padrone? –
Niall alzò gli occhi, e Kaufmann poté vedere le iridi
cristalline del ragazzo. Pensò che qualunque ragazza l’avesse visto se ne
sarebbe potuta innamorare. Poi Niall gli sorrise
sornione, come se la cosa che stava per dire fosse la più ovvia cosa al mondo,
come gli uccellini fanno cip.
- Howard P. Jackson –
rispose, tirando fuori il libro che Kaufmann gli aveva regalato poco prima –
Lui non è solo il mio padrone. È il padrone di tutti. Di tutto e tutti. –
- Interessante –
osservò Kaufmann, cercando un posacenere – Hai un posacenere, per favore? –
Senza rispondere, Niall indicò un bicchiere di carta sul tavolo.
- Grazie – rispose Kaufmann,
spolverando la cenere della sua Marlboro – Stai aspettando il tuo padrone,
Howard P. Jackson, allora? –
- Sì. Tutti noi lo
stiamo aspettando. Tutti noi sappiamo che lui ci condurrà verso un mondo nuovo.
–
- Be’… è un po’ l’obiettivo
di tutti i messia, condurci verso un mondo nuovo. E dimmi, Niall…
tu sai qualcosa, a proposito? –
- Oh, dottore… la
verità è sotto gli occhi di tutti. Chi non conosce, conoscerà. Chi non vede,
vedrà. E chi non crede… crederà. –
- Parlamene un po’, Niall, vuoi? –
Niall alzò lo sguardo verso il soffitto, mentre
Kaufmann lo osservava attentamente. Dopo un minuto riabbassò gli occhi,
riportando il suo sguardo verso Kaufmann.
- D’accordo – rispose
il ragazzo – Venga più vicino, le dirò tutto quello che vuole sapere. -