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Autore: AnnabelleTheGhost    12/11/2012    2 recensioni
In una pianura isolata del Nord California si trova il collegio della Luna Nuova, visto come riformatorio dai genitori dei "ragazzi cattivi" o come scuola d'élite per i ricconi.
In realtà la scuola nasconde nel lato Ovest una cinquantina di ragazzi fuori dal comune, dai poteri demoniaci, e l'unico scopo per gli umani sarà essere lo spuntino dei demoni.
Dal capitolo 6:
"Tutto nella sua vita era cambiato, capovolto irreversibilmente. Niente era stato prima approvato da Albert: al destino non era mai importata la sua opinione. Aveva sempre cercato di stare in piedi in qualsiasi situazione ma poi era crollato e non era più riuscito ad alzarsi.
Albert aveva perso la speranza."
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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5. Ladri di sogni
 
La notte era più scura dell’inchiostro stesso. La luce proiettata dalle stelle era una mera illusione. Gli astri erano come schizzi di colore su una tela e rimanevano immobili nel cielo, inflessibili spettatori delle disgrazie terrene.
L’ombra celava segreti e storie che non sarebbero mai state udite; predatori astuti e inappagati; malintenzionati dal passo svelto e la perfidia negli occhi.
Battiti di ali riempirono il silenzio della notte e, oscurando la luna pallida e silenziosa, discesero sul terreno. Da lontano parevano pipistrelli o, tanto erano ineffabili, che potevano essere scambiati per transitorie ombre che spegnevano le stelle, come semplici scherzi dell’occhio umano. Ma quelle creature c’erano e non erano di certo un sogno le loro ali cornute e gli occhi rossi come il fuoco con pupille sottili come gatti.
Gli esseri erano in realtà due, con la medesima corporatura e lo stesso sguardo vispo sui lineamenti decisi. La ragazza aveva lunghi capelli di platino, che scendevano dritti come fusi lungo le curve del corpo. Lui si trovava pochi passi più indietro, col petto nudo, e indosso solo un paio di gauchos.
Le unghie laccate di nero di lei fecero un cenno sbrigativo, che indusse l’altro a seguirla lungo le vie acciottolate. I loro passi non producevano rumore; la loro presenza non sarebbe mai stata notata nè da orecchi nè da occhi: la loro stessa ombra si mischiava con l’oscurità.
Lei indicò una casa coloniale con le persiane serrate e gli infissi gialli. Si ergeva su tre piani, decorati con ringhiere arzigogolate sui balconi, circondati da piante che si schiudevan la notte. La casa era immersa in un silenzio assoluto: solo i deboli respiri del sonno e lenti battiti cardiaci turbavano la quiete.
Lui annuì e, con un sol balzo, si aggrapparono al balcone del primo piano. Le dita erano serrate sull’acciaio ed era impossibile che potessero perdere la presa.
Lei chiuse gli occhi e inspirò a fondo. I lunghi capelli turbinavano sulla sua schiena, irritando i muscoli contratti delle ali semirichiuse. Il vento la accarezzò anche sul resto del corpo e le fece provare un brivido quando passò sui seni scoperti dal gilet.
Anche lui la imitò e la gelida aria della sera gli pervase le narici. Le ali erano arcuate, in modo tale da proteggere il corpo nudo dai capricci della brezza.
I due non ebbero bisogno di scambiarsi uno sguardo per agire. Lei lasciò la presa e, con un salto aggraziato, scivolò attraverso la fessura di una finestra lasciata aperta al piano di sotto. Lui fece lo stesso, e, come un danzatore di limbo, passò attraverso lo spiraglio con agilità.
L’interno della casa era ancora più accogliente dell’esterno. Tappeti persiani, lampadari cristallini, strumenti musicali ingombranti, soprammobili risalenti al diciannovesimo secolo... Il soggiorno pareva una reggia abbandonata da qualche re di Versailles in America.
Per un ladro quello sarebbe stato il paradiso. Anche un solo oggetto avrebbe potuto sistemarlo a vita e la più minuscola cosa poteva valere qualche milione.
I due intrusi, però, erano ciechi a tanto sfarzo e si diressero con eccezionale rapidità al piano di sopra. Le ali erano contratte per non urtare nessun oggetto rumoroso. I loro respiri erano regolari, in sincrono. Parevano una sola persona.
E l’obiettivo di quella incursione si presentò dietro una porticina semplice, che non poteva reggere il confronto con l’ambiente circostante. Era seminascosta, perché non vi si potesse gettare l’occhio con troppa facilità. Le scanalature su di essa facevano presagire che si trovava in quella posizione da molti anni.
L’interno della stanza era piccolo e opprimente. Solo pochi soprammobili rendevano l’ambiente meno angusto. Erano più che altro ricordi del passato, incorniciati con affetto o adagiati su superfici curate. Una finestra dava sul cortile, ma era coperta da pesanti tende rosa pastello, che ne impedivano la visione.
Su un letto modesto era adagiata una ragazza. Aveva lunghissimi capelli castani, che giocavano a rincorrersi tra la federa del cuscino e le coperte. Una vestaglia trasparente e con pizzi sul decolleté e all’altezza dei polsi la vestiva. Le labbra carnose si dischiudevano appena quando sospirava, nel sonno.
Le ali di lei ebbero un fremito, mentre si avvicinava al letto e allungava le dita verso quel viso da bambina. Lui si trovava dall’altro lato e, uno di fronte all’altro, si chinarono sulla ragazza dormiente.
Le ali si aprirono e unirono l’uno quelle dell’altra, per formare uno spazio chiuso e solamente loro. Le mani si trovavano all’altezza del viso della giovane e sospiravano di goduria mentre le aspiravano le speranze e i desideri nascosti nei sogni.
Era così che sopravvivevano i Succubi: attraverso i sogni. Il mondo reale era per loro una sofferenza mentre il mondo della mente era il loro territorio, dove riuscivano a sentirsi a proprio agio e appagati.
I sogni più belli, puri e innocenti erano per loro come una rara bottiglia di vino lasciato invecchiare da secoli. Quella ragazza era semplice e pia; pensieri corrotti non le avevano mai sfiorato la mente.
Dopo aver recitato le preghiere della sera, era andata a letto e sognava con tanta intensità ciò che desiderava.
Nei sogni, mani callose ma forti e salde afferravano le sue, e lei si sentiva protetta. Tutta la cattiveria del mondo rimaneva fuori quando lui era al suo fianco e lei non poteva far altro che adagiarsi al suo petto e respirare piano.
I sogni di amore erano stupendi per i Succubi: erano quelli più nutriti di speranza e di affetto incondizionato.
Tutte le parole dolci sussurrate tra i due amanti nutrirono le creature demoniache finché non decisero di fermarsi e lasciarla alle sue favole. La ragazza non sarebbe stata la stessa nei giorni a seguire, privata dei suoi sogni, ma in poco tempo sarebbe tornata la stessa, e facile preda di altrettanti Succubi.
Le due creature si sollevarono dalla ragazza e ripiegarono le ali mentre aprivano la finestra della stanza. Si strinsero le mani a vicenda e saltarono giù. I piedi assorbirono l’impatto e, agilmente, tornarono alla posizione eretta.
Si librarono in volo, dietro le nuvole e sotto le stelle, abbastanza in alto da non essere visti dai mortali. Il vento che sollevavano le ali in movimento turbinava intorno ai loro corpi, sollevando i vestiti come bandiere su un’asta.
«Allora, per oggi abbiamo finito?» domandò lui, raggiungendo la compagna con un battito d’ali.
Lei annuì. «Dobbiamo affrontare un lungo viaggio e non abbiamo tempo da perdere».
«Quale viaggio? Non mi hai informato!»
Lei girò la testa verso l’altro e gli scoccò uno sguardo seccato. «Dobbiamo andare a casa».
«A casa? È da quindici anni che non ci mettiamo piede. Perchè questa decisione?»
Si udì vagamente un clacson strombazzare, ruote che traballavano sui ciottoli e la voce di una vecchia che chiamava la sua infermiera.
«Mamma ci ha chiamati» si limitò a rispondere e riprese a guardare dritto davanti a sè.
«Non ti è mai importato di lei. La odi!» urlò e inavvertitamente mosse le ali più forte.
«È vero».
«E allora? Dimmi davvero il motivo per cui vuoi tornare a casa!»
«Mi ha chiesto di tornare e ha giurato che non si sarebbe fatta più viva se avessimo esaudito il suo desiderio».
«Ma chi se ne frega! Torniamo alla nostra casa, ignorando l’esistenza dei nostri genitori nei secoli a venire come abbiamo fatto fino adesso!»
Lei interruppe il volo, ponendosi eretta; lui fece dietrofront per raggiungerla. «Che ti prende?»
«Ho detto che torneremo a casa e lo faremo!» gridò mettendosi le mani sui fianchi e incenerendolo con lo sguardo.
«Non essere stupida e ragiona! Sicuramente la mamma vorrà qualcosa da noi. Non crederai certo in una riunione di famiglia, vero?» Si avvicinò e la scrollò per le spalle. L’unico risultato che ottenne fu scompigliarle i capelli e renderla più furiosa. Gli diede uno spintone e riprese a volare molto rapidamente.
Lui rimase interdetto per un attimo poi riprese velocità per starle accanto.
«Non c’è bisogno che voli come un siluro. Non c’è fretta!» la rimproverò.
«Prima arrivo prima la finiamo».
«Talia, abbi un po’ di buonsenso...»
Prima che potesse concludere la frase, lei gli ringhiò un infuriato «NO!» e accelerò.
Lui non potè che arrendersi al volere della sorella, sempre stata una testa calda, e si unì al viaggio che gli si prospettava davanti.
Il tempo era ottimo per volare: il vento non era eccessivo e le nuvole non parevano trasportatrici d pioggia. Il sole era ben lontano e andando in senso antiorario guadagnarono ancora un’ora di buio spesa, però, in volo tra i cieli dell’Arizona.
Quando arrivarono a destinazione erano esausti ma nessuno dei due lo diede a vedere. Atterrarono davanti a una casa in campagna, appena restaurata per nascondere gli anni che in realtà possedeva.
Era cambiata dall’ultima volta che l’avevano vista: il grigio spento che colorava le pareti era stato cambiato in un bianco panna e le ante delle finestre erano dorate.
Talia, con il disappunto e il fastidio dipinti in faccia, tirò un cordoncino all’ingresso e il suono del campanello si diffuse per tutta la casa. Pochi secondi dopo un uomo imponente aprì loro la porta. La sua chioma folta era nera, insieme a barba e baffi. Indossava una vestaglia rossa con ricami rappresentanti dragoni orientali e sul volto si aprì un sorriso da una parte all’altra.
«Finalmente siete venuti». Era contento di ciò che diceva ma l’affetto che cercava di trasmettere ai ragazzi non era evidentemente ricambiato.
«Dov’è la mamma? Che cosa volete da noi?» chiese brusca la ragazza.
«Accomodatevi» fu la risposta e i due, sulla porta, ripiegarono le ali sulla schiena per poter attraversare il vano d’ingresso.
L’interno era esattamente come si ricordavano ma non si fecero travolgere dalla nostalgia e rimasero impassibili mentre il padre li guidava in soggiorno. Era molto ampio: ci sarebbero potuti stare comodamente dieci Succubi con le ali spiegate.
«Vogliamo andarcene il prima possibile da qui, quindi muoviti!» gli intimò il ragazzo con le braccia incrociate e le labbra serrate.
Il padre ignorò il commento e li guardò con un sorriso ironico. «In tutti questi anni non avete ancora imparato come nascondere le ali?»
Era ovvio che volesse prenderli in qualche modo in giro, ma la figlia sollevò le labbra per emettere un basso ringhio. «Datti una mossa, vecchio. Sarebbe uno scherzo farti fuori: sai che siamo molto più giovani di te».
Il genitore rise e scosse la testa. «Cara Talia, quando imparerai? Anche se mi vedi vestito così, non significa che non possa battere due inesperti come voi in un colpo solo».
Talia serrò le braccia come il fratello e sbuffò platealmente.
«Sappiate che non sono stato io a chiedervi di tornare, ma vostra madre; anche se mi fa comunque piacere vedervi...» Dedicò loro una seconda occhiata e commentò: «Non siete cambiati di una virgola. Speravo che in questi quindici anni foste maturati un pochino!»
«Vuoi farci la paternale o arriviamo al dunque?» lo interruppe il ragazzo.
«Dopo tutto questo viaggio sarete stanchi: sedetevi. Vi porterò qualcosa da bere...»
I due ragazzi, nonostante non volessero trascorrere un minuto di più nella loro casa natale, erano davvero stanchi e sarebbe stato meglio litigare da seduti con le piene energie piuttosto che in quello stato.
Si sedettero in due sedie vicine nel lungo tavolo, che avrebbe potuto ospitare un esercito, e aspettarono che il genitore tornasse dalla cucina.
«Quando ce ne andremo, Talia? È evidente che ci ha portati qui per vantarsi e prendersi gioco di noi. Sei stata una stupida a crederci!» bisbigliò.
«No. Anche lui l’ha detto: è stata la mamma a chiamarci. Sta solo approfittando della situazione. Sa che non ci rivedrà presto e sta rispolverando il suo lato di padre odioso che ha tenuto a bada per questi quindici anni».
Il fratello ci pensò su per pochi secondi. Guardò sua sorella negli occhi, trasmettendole il dolore e l’incertezza. Cercò la sua mano sotto il tavolo e la strinse forte. «Penso tu abbia ragione. Ma in caso le cose prendessero una brutta piega ce ne andiamo subito. Me lo prometti?»
Talia annuì e rafforzò la stretta delle dita come ulteriore conferma.
Il genitore arrivò, portando un vassoio con degli infusi alle erbe. Si sedette di fronte a loro e posò il vassoio al centro del tavolo.
I ragazzi, senza lasciarsi la mano, presero la propria tazzina. Quella di lei aveva dei fiori blu dipinti su tutta la superficie; l’altra era decorata con primule lungo tutto il manico. Erano le loro tazze di quando erano bambini.
L’infuso aveva proprietà ristoratrici e la fatica dei loro muscoli scemò pian piano. Si sentirono più rilassati e meno stanchi: i bollenti spiriti si erano placati e pareva proprio questo l’obiettivo del genitore quando aveva preparato quella bevanda. Ora poteva parlare con tutta tranquillità senza che i figli gli inveissero contro. «Allora, dove abitate adesso?»
«Abbiamo una casa a Salina, ma ci stiamo solo di giorno» rispose il maschio.
«Lontano da qui...» riflettè il padre.
«Non proprio: casa vostra dista solo un’oretta di volo, più o meno» aggiunse Talia, bevendo un altro sorso.
«Ah, bene. Perciò potreste farci visita più spesso!»
La ragazza scosse la testa ma con una calma innaturale per lei. «Non se ne parla. Abbiamo preso la nostra decisione tre lustri fa e non torneremo indietro».
«D’accordo, come vuoi... E tu, Talete, che mi dici? Come vanno le cose? Tu vorresti tornare di tanto in tanto? Non devi per forza seguire ogni decisione di tua sorella, sai!»
Scosse la testa e posò la tazzina vuota sul tavolo di legno antico. «Dovunque vada lei, io la seguirò».
«Già. Mi ero dimenticato quanto voi due gemelli foste così uniti...» borbottò, girando il cucchiaino nella sua tazzina ancora piena e fumante.
«E sai che è stato questo a farci prendere quella decisione» riprese Talia.
«Sì, ma potevate rimanere sotto il nostro tetto fino al momento giusto. Nessuno vi ha mai chiesto di andarvene...» Il padre si portò i capelli all’indietro e mise da parte la tazzina. Sollevò lo sguardo verso i figli, come se implorasse loro di tornare a casa.
Talete scosse nuovamente la testa. «Non avremmo potuto. Tu e la mamma non ve ne andaste di casa, lasciando i vostri genitori?»
«Hai ragione, ma le circostanze erano diverse...»
Talia smise di bere, lasciò la presa dal fratello e si alzò di scatto. Le ali fremevano sulla schiena. «Non potrai corromperci con nessuno dei tuoi infusi. Ora facci vedere la mamma così potremo andare via!»
Il padre sospirò – quelle bevande non avevano mai avuto un effetto duraturo sulla figlia – e si alzò. «D’accordo. Ho provato a convincervi prima che vi vedesse vostra madre. Non potrò dire di non averci provato. Ora, seguitemi al piano di sopra, così potrete smettere di fare gli indisponenti!»
Uscirono dal soggiorno e imboccarono delle scale a chiocciola. Oltre il pianerottolo si affacciava la camera da letto dei genitori, al buio. Accanto a quella porta spalancata ce n’era un’altra, serrata, con due T incise sul legno.
«Volete prima tornare in camera vostra per un’ultima volta?» domandò il padre, davanti alla porta della stanza in ombra.
Talete anticipò la sorella: «Facciamola finita una volta per tutte!»
Il genitore non riuscì più a prendere tempo e li condusse nella stanza da letto. L’oscurità era totale: un leggero chiarore filtrava attraverso le tende e gli occhi dei due giovani Succubi emanavano luce come lanterne rosse appese a un filo. Tutto era immobile tranne il piccolo fagotto nel letto, che si alzava e abbassava a ritmi regolari. Una mano uscì dalle lenzuola e accese un lumino situato sul comodino basso e praticamente invisibile dalla posizione delle persone entrate nella stanza.
La donna, rischiarata dalla tenue luce, sorrise ai figli. «Alla fine vi siete fatti vivi, eh?»
Talia annuì. «Non avevamo altra scelta».
«Sapevo che se l’avessi chiesto a te sareste venuti. Tu avresti capito» mormorò.
«In realtà non ho capito niente. Sono venuta solamente perché hai promesso che, dopo questa volta, saresti sparita dalle nostre vite!» Talia incrociò le braccia al petto e rammentò la scenata del fratello: sua madre aveva ragione, se avesse chiesto a Talete di certo non si sarebbero smossi. Ma non era stata la compassione o l’affetto a farla ubbidire e ciò voleva che fosse chiaro.
La risata della donna le illuminò il viso e arrivò fino agli occhi castani mentre osservava Talia. «Hai ragione: dopo stasera io scomparirò... Avevo sempre sostenuto che tu fossi intelligente».
Talete mosse un passo in avanti, coprendo la sorella e avvicinandosi al capezzale della madre. «Che cosa vuoi insinuare? E cosa significa che scomparirai
«Vuole dire che domani non ci sarà più» gli spiegò Talia con indifferenza.
La madre annuì a uno scioccato Talete. «Corretto di nuovo. Vi ho chiamati perché io sto per morire».
«Non c’è bisogno di fare la melodrammatica. Arriva per tutti il momento di andarsene da questo mondo. Non credere che ci farai sentire in colpa o cose del genere. Sei già stata abbastanza al centro dell’attenzione in vita» replicò Talia, acida in ogni parola pronunciata.
La donna sollevò il capo e scostò di poco le coperte perché il suo corpo fosse visibile. Indossava una tunica bianca spessa, che pareva garza. All’altezza del ventre il tessuto era bruciato e la carne in vista era insanguinata e maciullata in punti diversi.
«Che ti è successo? Non mi dire che te la sei di nuovo cercata con i lupi mannari...»
Il padre si intromise nella conversazione. «Non dovresti fare domande del genere a tua madre in queste condizioni!»
La donna morente chiuse gli occhi come in segno di assenso, poi li riaprì per osservare i figli. «Vi ho convocati per chiedervi un favore. O meglio, sono io a farlo a voi. È il mio ultimo desiderio e spero che possiate esaudirlo».
Era evidente che Talia era contraria a concedere qualsiasi favore, perciò suo padre la fulminò con lo sguardo, chiedendole di prestare attenzione alla richiesta.
«Da come posso notare adesso, in questi quindici anni siete rimasti allo stesso livello nel quale eravate quando siete partiti...» iniziò.
Talia sbuffò inviperita e le diede le spalle, dirigendosi verso l’uscita. «Questo è troppo! Sono qui da soli dieci minuti e vi divertite a prenderci per i fondelli. Ora basta! Vi ho concesso perfino più tempo del necessario! Spero che tu crepi rapidamente».
Era già arrivata alla porta quando Talete la afferrò da dietro per i polsi. Fu costretta a fermarsi. Girò la testa e strepitò: «Che stai facendo? Mi tradisci anche tu? Non eri tu il primo a non voler venire?»
Le ali di lei si mossero avanti e indietro, sollevando un gran polverone che fece tossire gli uomini nella stanza; alcuni oggetti caddero a terra e le tende si mossero appena, permettendo alla pallida luce della notte di entrare nella stanza. Talia cercava di liberarsi e incosciamente aveva mosso le ali per dimenarsi e cercare la libertà.
«Resta. Non hai niente da perdere e solo da guadagnare. Non fare la bambina e ascolta le ultime parole di mamma».
«Ma ti sei rincitrullito? Sei uno schifoso voltagabbana, ecco cosa sei! Pensavo stessi dalla mia parte! Che non volevi mai più mettere piede qui dentro e vivere a Salina per sempre!»
Talete passò la presa dei polsi in una mano e strinse più forte. Talia gemette di dolore. Lui, con la mano libera, spostò l’ala destra di lei per avvicinarsi al suo capo e sussurrarle ad un orecchio: «Dài, fa’ la buona. Ti prometto che a casa mi farò perdonare!»
Il suono vellutato e suadente della voce di Talete provocò il sorriso della sorella e l’arresa da parte sua di qualsiasi forma di resistenza. «Va bene. Ma mi devi molto».
I due fratelli si girarono e tornarono vicino al letto della madre.
«Grazie Talete» mormorò la donna. «Avete mai sentito parlare del collegio della Luna Nuova?»
I due assentirono e per Talia fu come se le si fosse accesa una lampadina nel cervello. «Ah, adesso ho capito! Ci hai riuniti qui in modo tale da costringerci ad andare in una stupida scuola, vero? Vuoi di nuovo limitare la nostra libertà e farci comportare come schiavetti alle vostre dipendenze. Ve lo potete scordare!»
«Non è questa la questione: va tutto a vostro vantaggio!» la smentì il padre. «Imparete a mescolarvi davvero tra gli uomini – che è evidente che non avete ancora appreso; a conoscere i vostri simili e a cacciare con maestria. Avrete a vostra disposizione quanti umani vorrete. Non vi stiamo costringendo, ma offrendo un’opportunità!»
La spiegazione fece riconsiderare l’idea ai Succubi e, sotto lo sguardo implorante della madre, Talete si fece avanti. «Per me va bene». Girò lo sguardo per incontrare quello della sorella. Anche lei annuì, a malincuore, e affermò: «Non sembra poi tanto una cattiva idea...»
La donna sorrise e strinse una mano, gelida al tocco, ai suoi figli. «Grazie». E spirò.
Talia non aveva alcuna intenzione di rimanere in quella stanza, in imbarazzo col padre che aveva realmente amato quella donna. Con un balzo andò verso la finestra e, sempre in aria, la spalancò. Riuscì finalmente a liberare le ali, che erano state costrette a rimanere piegate per tutto quel tempo, e fece assaporare ad esse il vento fresco della notte.
Talete fece un cenno di saluto al padre e si gettò nella notte dietro le orme della sorella. La voce di lei, che urlava, impregnava l’aria e non era certo se nelle sue parole ci fosse divertimento o rimprovero.
«Mi devi molto, fratellino!»

 
 
Nota dell’autrice: vorrei prima di tutto scusarmi per aver pubblicato solo adesso il nuovo capitolo ma non ero riuscita a terminarlo in tempo. Avevo solo scritto l’inizio ma non venivano idee...
Sono contenta di essere riuscita a introdurre un nuovo tipo di creatura! È bene che si conoscano in generale alcuni dei personaggi prima che vi “faccia entrare” al collegio della Luna Nuova, altrimenti sareste completamente spaesati. Come sarà per Albert, rivedere una figura familiare vi farà sentire più a vostro agio! (Puro parere dell’autrice – potete anche smentirmi!)
Per i nomi dei due Succubi ci ho lavorato un po’. Per lei è stato facile: l’idea iniziale era Lalia o Lelia, ma c’erano troppe L, che danno un suono dolce e lei non lo è per niente... La T era la lettera giusta e l’idea mi è venuta studiando la Divina Commedia. Se non sbaglio, una delle Muse ispiratrici (quelle che invocavano i poeti prima di iniziare un componimento) era Talia, ma potrei benissimo essermi immaginata le cose e il mio subconscio ha elaborato il tutto...
Per lui è stato più difficile: ho passato in rassegna nomi comuni (che non potevano andare bene, poichè, come vedrete, le creature demoniache non avranno mai nomi tipo “John” o cose umanoidi di questo genere) e nomi di vari filosofi. C’è stato un momento in cui volevo chiamarlo Melisso! Ma Talete assomigliava molto a Talia e dato che i due sono gemelli, nomi simili sarebbero stati il top!
Nessuno dei due ha un prestavolto preciso, anche se Talete assomiglia abbastanza ad Alex Pettyfer (non è lui, semplicemente traetene spunto per creare questo personaggio di fantasia). Fisicamente si assomigliano, quindi mi è sembrato superfluo dire che anche lui aveva i capelli biondi, ma corti e scompigliati... e molto sexy! *Sbava*
La madre non è stata descritta, ma dato che il padre non assomiglia per niente ai figli, è facile dedurre che i capelli biondi li abbiano presi dalla madre. Io me la immagino un po’ come Shizuka di Vampire Knight...
Ho altro da dire?Ben poco, direi. Soltanto che dovrete abituarvi a questa lunghezza dei capitoli. Inizialmente erano corti giusto perché erano “introduttivi” ma più si andrà avanti con la storia, più aumenterà la narrazione (Capitanessa Ovvio all’attacco!). Già al prossimo capitolo, entreremo nel collegio delle Luna Nuova, ma dal punto di vista di un nostro vecchio amico umano...
E un’ultima cosa: manterrò fissa la “regola” che, senza almeno due recensioni per capitolo, non pubblicherò l’altro. Questo perché so, per esperienza personale, che potrebbero venir fuori capitoli senza recensioni e l’interesse per la storia calerebbe...
  
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