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Autore: S t r a n g e G i r l    20/11/2012    3 recensioni
Twilight senza mostri e magie.
Jacob, affidabile e onnipresente amico d'infanzia. Edward, dolce e romantica ancora di salvezza. Fin qui niente di strano, no?
E poi c'è Bella, o meglio Beauty, come non l'avete mai vista.
Dal primo capitolo:
“Nella vita che conduco io, maglioncini a collo alto e pantaloni zebrati sono solo decorazioni inutili. Quel che importa davvero è ciò che c’è sotto. Le persone che frequento per lavoro non si preoccupano che io sia ben vestita e abbia accostato in modo decente i colori. Quello che a loro interessa è che, una volta tolto il cappotto, io sia appetibile. Come una caramella avvolta in una bella carta luccicante, per intenderci. Ed ecco un’altra cosa che odio. Anzi, a dirla tutta, è in cima alla mia lista, scritta in rosso e sottolineata tre volte: essere ciò che sono."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Jessica, Renèe | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Five. Gruesome Nightmares.

Una goccia fredda e viscida si fa largo sulla mia fronte, rotolando poi sul naso e atterrando silenziosa sul tessuto logoro di quei jeans che porto da tre giorni.
Tiro le maniche della felpa nera fin sulle dita e calco di nuovo bene in testa il cappuccio, rannicchiandomi per cercare di contrastare il freddo pungente che mi pizzica le guance.
Mi mordo le labbra screpolate e le faccio sanguinare, provocandomi conati di vomito di cui davvero non avrei bisogno. Quel poco che conservo nello stomaco vorrei riuscire perlomeno a digerirlo, senza risputarlo in una pozza dall’odore acido che mi terrebbe compagnia per ore.
Fisso il fiume marrone sporco, ingrossato dalle piogge torrenziali dei giorni precedenti, e freno l’istinto di buttarmi in acqua e lasciare che la corrente mi inghiotta, annegandomi crudelmente.
Mi sembra quasi di sentire già il sapore del fango sulla lingua e le bolle d’ossigeno che risalgono la trachea, abbandonando i miei polmoni.
Non che non abbia più voglia di vivere, ma non intendo nemmeno consumarmi poco a poco sotto questo ponte in rovina, morendo di fame o per assideramento.
La lentezza non fa per me. Meglio subito, veloce. Senza dolore, da brava codarda.
Sospiro e i contorni della mia vista si offuscano, come se stessi guardando attraverso l’obiettivo di una macchinetta fotografica non messo a fuoco.
Stringo le mani a pugno, infilandole nelle tasche per cercare di non fissare troppo le dita violacee.
Se durante la giornata il tempo di Forks è uno schifo, di notte è ancor peggio.
Pioggia e vento non mi hanno graziato mai, impedendomi di chiudere occhio per più di dieci minuti consecutivi.
Sbatto le palpebre più volte sulle cornee secche, cercando di dare di nuovo nitidezza a ciò che vedo, e realizzo che probabilmente non sarei comunque in grado di dormire.
Ho impresso nella retina il fotogramma sbiadito della bara di mia madre su cui Billy Black ha gettato una pala di terra ed un tulipano rosso, mentre in sottofondo un prete recitava sottovoce una preghiera di cui non capivo le parole.
Sono passate tre notti dal suo funerale.
Tre interminabili notti in cui non sono riuscita a scorgere nemmeno una stella in cielo, per chiederle se per caso Renèe Dwyer fosse passata a tenerle compagnia per un po’.
Tre interminabili notti in cui ho tenuto stretto al petto lo zaino di scuola, dove avevo buttato alla rinfusa tutte le mie cose, salvate dalla casa che mi era stata tolta per saldare i debiti che mia madre aveva accumulato nel corso degli anni per fornirmi un’istruzione decente.
Tre interminabili notti in cui ho rifiutato caparbia l’invito di Jacob a usufruire del suo letto caldo e della ospitalità che Billy mi ha offerto.
Non che l’idea non mi allettasse, ma i Black stentavano a sopravvivere già così con un figlio minorenne, due al college ed un padre di famiglia invalido, senza il bisogno di un’altra bocca da sfamare.
Avrei potuto essere affidata ad una coppia attempata per pochi annetti, il tempo di diventare maggiorenne, ma non ho nemmeno voluto incontrare gli assistenti sociali.
Sono fuggita via, rintanandomi qua sotto prima che venissero a sbirciare nella mia vita, mettendo sottosopra casa mia e di mia madre, la mia testa ed il mio stomaco.
Preferivo un’esistenza randagia ad una posticcia accanto a persone a cui non mi sarei mai affezionata e che avrebbero sorriso abbracciandomi in una foto di Natale, incorniciata sopra il camino.
I denti iniziano a battere, scricchiolando uno sull’altro, mentre qualcuno trivella il mio cranio con un invisibile martello pneumatico.
Soffia ancora un vento gelido eppure io brucio.
< Isabella? > una voce gentile, di una bambina intrappolata nel corpo di una ragazza, mi sfiora lieve.
Per un attimo penso perfino di essermela sognata, ma una mano fresca che mi accarezza la guancia fuga i miei dubbi.
Sollevo i miei occhi annebbiati su un viso preoccupato, incorniciato da capelli castani e anonimi.
< Sei Isabella, vero? > chiede ancora, avvicinandosi finchè non riesco a intravedere la montatura di un paio di occhiali da vista squadrati.
I restanti tratti del suo viso sono confusi, sbavati, appena abbozzati dalla mano di un disegnatore distratto.
< Ha la febbre alta... > sembra rivolgersi a qualcun altro, poi torna da me, sventolandomi una mano sotto il naso.
La sua pelle profuma di cocco. E’ familiare.
< Mi riconosci? Sono Angela Weber, siamo in classe insieme. >
Riesco appena ad annuire, aggrappandomi al suo odore più che ai ricordi che ho di lei.
< Adesso ti portiamo a casa, Bella, ok? Ti troveremo dove stare, non preoccuparti. > Alla voce morbida della mia compagna di scuola si sostituisce quella più rude di un uomo adulto, che mi prende tra le braccia.
Mi aggrappo al suo collo e chiudo gli occhi velati, illudendomi che quel signore dai capelli brizzolati possa davvero trarmi in salvo.
 
< Bella? Bella! >
< Sono tre giorni che va avanti così. La febbre non si abbassa, io non so cos'altro fare. >
< Mio padre è uno stimato dottore. Sta rientrando di corsa da un viaggio di lavoro per venire a darle un’occhiata. >
< Spero faccia presto. Sta delirando di nuovo e mi sembra che i suoi incubi peggiorino. Non fa che invocare il nome di sua madre. >
< Bella, ti prego, resisti. Io sono qui. Mi senti, Bella? Sono Edward. >
 
Le dita ghiacciate nei guanti tremano.
Piegarle mi provoca fitte di dolore acuto e la lana raschia la pelle delle nocche, arrossandole ancor di più.
Mi stringo il giacchetto addosso e infilo le mani nelle tasche dei jeans, saltellando sul posto per cercare di scaldarmi un po'.
Il mio fiato si addensa in piccoli sbuffi di vapore davanti al mio naso ghiacciato ed io continuo a scrutare la strada ammantata di foschia alla ricerca della luce della moto di Jake.
E' in ritardo ed io sto morendo assiderata qui fuori.
Se non si sbriga gli toccherà scongelarmi col phon o nel microonde insieme alla lasagna che consumeremo per pranzo.
Il mio cellulare non dà segni di vita e Jessica è uscita prima di me, portandosi via come al solito suo anche la mia copia di chiavi.
Alzo di nuovo il bavero della giacca, che sembra fatta di cartone umido, sul collo infreddolito e tremo.
Tremo un po' troppo, per la verità, tanto che inizio perfino a battere i denti in modo aritmico e fastidioso.
Decido, quindi, di canticchiare una canzone a bassa voce, accennando qualche passo di danza.
Mamma mi aveva fatto prendere un paio di lezioni quando ero più piccola e, per quanto fossi goffa, stranamente ballare non mi aveva mai causato grandi problemi.
Al contrario mi erano stati fatti anche i complimenti.
Fischietto una melodia imprecisata e tremula, zompettando sul bordo del marciapiede in punta di piedi.
Allargo le mani per stare in equilibrio e continuo a passeggiare e saltare, sbuffando ogni volta che il mignolo sbatte contro la stoffa fredda delle scarpe.
< Non sapevo che miss-ginocchio-perennemente-sbucciato sapesse improvvisare un balletto simile. > la sua voce mi fa sussultare e inciampare.
Finisco a carponi sul terreno, con i guanti che si bagnano immediatamente assorbendo l'umidità dell'asfalto.
< Bells, possibile che tu non sappia tenerti in piedi? > mi si avvicina e mi solleva tra le braccia senza sforzo, scuotendo il capo.
E' sudato e caldo.
Mi aggrappo al suo collo rabbrividendo e cerco di scaldarmi il naso strofinandoglielo sotto il mento.
< Sei un ghiacciolo, per la miseria! > esclama ridendo e io balbetto un'offesa poco originale, infilandomi di nuovo le mani in tasca.
< H-ho ffreddo, J-Jaake. > riesco a dire senza allungare troppo le lettere, nemmeno fossero chewingum appiccicate ai denti.
< Scusa, è colpa mia...ma come un coglione non ho controllato la benzina e sono rimasto a secco a metà strada. Ho trascinato la moto fin qui. Dovremmo accontentarci della tua camera, invece che... >
< Nooon ho le...siamo cccch-chiusi fuo-ri. > biascico e lui ride, divertito.
< Hai mangiato pane e simpatia a colazione, Bells? >
La sua risata gli fa vibrare il petto e mi sembra quasi che si espanda tra le mie costole, riempiendo gli spazi vuoti.
Mi sento un po' come una cassa di risonanza.
Ma far riecheggiare vicino al cuore la sua risata non è poi male. Tutt’altro.
Il mio cuore accenna qualche passo di danza, nell'udire quel suono, proprio come avevo fatto io poco prima.
Non replico e continuo a tremare tra le sue braccia, mordendomi le labbra per diminuire lo stridore dei denti.
< Oh...cazzo ma sei seria? > domanda poi, fissandomi incredulo.
< Je-Jessica si è poorta-tata via le chii-chiavi. > gli spiego strizzando gli occhi secchi.
Jacob rimane pensieroso qualche istante.
Sono sicura che sta ponderando le alternative che crede abbiamo, anche se la verità è che siamo bloccati su questo marciapiede al freddo.
Poggia, d'improvviso, la bocca sulla mia fronte e sospira.
< Bells, credo tu abbia la febbre. >
Annuisco e quel gesto porta con sé dei giramenti di testa vertiginosi.
< Conosci un fabbro per caso? > mi domanda di colpo, girando sui tacchi diretto verso il portone con la chiusura sempre difettosa, che solo lui riesce ad aprire senza chiave.
Inarco un sopracciglio curiosa e sussurro una risposta negativa appena udibile.
< Oh, beh, lo cercheremo poi. Devo per forza buttare giù la porta della tua camera. >
Ride e rido anche io, posandogli le labbra screpolate sul collo bollente.
Mi poggia a terra contro il muro, accarezzandomi la testa e fissandomi intensamente qualche attimo, prima di mormorare contro il mio orecchio qualcosa che sento appena.
< Mi prendo io cura di te. > mi sembra di cogliere.
Difficile stabilirlo con certezza: ho i timpani bombardati da un ronzio fastidioso e persistente che non riesco né a spegnere né ad abbassare.
Chiudo gli occhi qualche istante e quando li riapro sono sdraiata sul mio letto, con una pezza gocciolante sulla fronte e troppe coperte addosso.
Mi agito per toglierne almeno un paio, ma due mani brune sono più svelte di me.
< Bentornata nel mondo dei vivi, bella addormentata. > sussurra la voce di Jake alla mia destra.
Mi volto appena e mi ritrovo a strofinare il naso contro il suo.
E’ caldo e sorride.
In automatico anche a me viene spontaneo farlo. Quando c’è lui io non posso farne a meno.
Ogni mio sorriso gli appartiene, così come ogni lacrima che ha asciugato con affetto e nascosto dentro di sè per non mostrarmi il dolore che io stessa avevo intrufolato in quella stilla d’anima.
Billy, una volta, mi ha raccontato di averlo sentito mugugnare qualcosa nel sonno che somigliava a “ Non piangere più. Se piangi mi uccidi”.
Non ne ho mai parlato con Jacob, ma da allora ho sempre tentato di mostrarmi più forte, un po’ più coriacea per non caricarlo di altra sofferenza.
Doveva essere saturo sommando la mia, di cui si faceva carico da sempre, e la sua.
< Fortuna che eri seduta quando sei svenuta o saresti crollata per terra come un sacco di patate. > mi prende in giro e mi morde giocosamente il naso.
Mi rannicchio contro il suo petto e lui mi stringe in un abbraccio che mi scalda più delle coperte.
Il suo tepore mi accarezza la pelle e penetra sottocute, avvolgendo il cuore in una membrana protettiva e bollente.
Starnutisco e lui finge di pulirsi schifato e continua a ridere e a coccolarmi finchè non mi riaddormento.
Entro ed esco dal dormiveglia per ore intere.
Ogni volta che riapro gli occhi, però, Jacob è al mio fianco.
Alle volte si appisola con me, accompagnandomi per mano nei sogni confusi derivati dalla febbre, altri veglia il mio sonno, accarezzandomi i capelli o giocando con il ciondolo a forma di lupo che lui stesso ha intagliato e che penzola dal braccialetto da cui non mi separo mai.
Ciò che conta è che mi resta accanto. Non mi lascia sola. Mai.
Lui c’è da sempre e continuerà ad esserci. Lo so, ne sono sicura.
Non potrebbe essere diversamente.
 
< Allora, papà? >
< La febbre è alta. Le ho somministrato degli antibiotici. Dobbiamo solo attendere che facciano effetto. >
< Ma non si può fare nulla per i suoi incubi, dottor Cullen? >
< No, Jessica. Su quelli io non ho alcun potere, mi dispiace. >
< Andrà tutto bene, Isabella, vedrai. Tieni duro. >
 
Scendo le scale reggendomi al corrimano.
Ho la testa traballante, che resta al suo posto solo perchè sostenuta dal collo.
Strizzo gli occhi ma mi sembra di aver messo sul naso degli occhiali con la graduazione sbagliata.
Ho la vista fuori fuoco e tutto intorno a me danzano i colori in punta di piedi con fruscii vividi e intensi. Troppo.
Il solito odore di latte bollito e pane bruciato mi dà il benvenuto mentre trascino i piedi in cucina.
Mamma ha lasciato il bricco sul fornello acceso e ora tutto il suo contenuto s'è sparso sulla macchina del gas e il tostapane fuma.
Normale routine in casa Dwyer.
Strofino gli occhi pesti di sonno e le stampo un bacio rumoroso sulla testa.
Lei alza il viso dalla rivista che sta leggendo e mi sorride.
Mi sono sempre piaciuti i sorrisi di mia madre.
Anche nei periodi più neri riusciva a farlo spuntare sul suo viso giovane, quasi di bambina.
Io mi stringevo a lei e, contemplando le sue fossette giocose, riuscivo a credere che ce l'avremmo fatta, che ogni cosa si sarebbe potuta sistemare.
Prendo la scatola aperta dei cereali con le mani che tremano e mi siedo al tavolo con lei, mangiando senza fretta e in silenzio.
C'è qualcosa che non va.
Un presentimento sinistro che s'inerpica con agilità sulla mia colonna vertebrale e mi punge la nuca.
Un inquietante senso di inadeguatezza, di qualcosa di completamente sbagliato che accende di nuovo le tonalità circostanti.
Lampi abbaglianti di verde mela, giallo banana e nero caffè davanti alla mia retina.
Scatto indietro, rovesciando la sedia, e mi copro la faccia impaurita.
Fai un bel respiro, Bella.
E' autosuggestione.
Va tutto bene, non devi temere nulla.
E' solo spossatezza. Sei stanca e stressata dalla scuola.
Ora torni in camera, ti metti sotto le coperte calde e...
Uno scricchiolio alla mia destra cattura la mia attenzione.
Un tonfo ed il rumore di una crepa che s'allarga nella porcellana.
Incuriosita, allargo le dita e scopro un occhio.
Un urlo agghiacciante mi rimbalza in gola e poi muore nei polmoni.
Glaciale come un boccone di neve sporca, come un respiro di vento invernale che mi gela il naso.
Mia madre mi restituisce uno sguardo vitreo, insapore.
Mi guarda ma non mi vede davvero. Non può.
La sua pelle risplende bianca come il latte incrostato vicino al fornello. Lucida e dura come una scorza.
Una bambola di cera inanimata, priva di vita.
Lungo le sue braccia corrono fenditure quasi invisibili, espanse come i fili di una ragnatela.
Nel punto in cui toccano le nocche, spezzano il suo corpo.
Cado a terra senza far rumore.
Sul tavolo, assieme alle briciole del pane tagliato fresco, giacciono le sue dita di argilla bianca tranciate di netto.

Mi sveglio di soprassalto, gemendo e gridando.
Ansimo, spingendo via l'aria dal naso e dalla bocca.
E' contaminata.
Odora ancora di latte troppo bollito e pane bruciato.
Mi graffio il viso, cercando di strapparmi via dalla pelle quei brividi macabri, ma non ci riesco.
Si sono appiccicati lungo tutto il corpo e mi turbano.
< Isabella, amore... > due braccia asciutte e pallide mi circondano la vita.
Appoggio la fronte sulla spalla di Edward e singhiozzo sommessamente, artigliandomi le cosce per essere sicura di essere finalmente sveglia.
Nell'incoscienza ho rivissuto momenti tristi, dolorosi e di serenità, culminati tutti nel senso di atroce perdita.
Mi sento come se mi trovassi ad affrontare di nuovo il lutto, come se mia madre fosse appena stata ripescata tra le lamiere accartocciate della sua auto.
Come se stessi ancora correndo sotto la pioggia, disperata, per tornare a casa illudendomi di trovarcela.
< Ehi, B., come ti senti? >
Il profumo stucchevole di Jess mi trascina definitivamente nella realtà che conosco.
Sollevo la faccia dal petto di Edward e, da sopra la sua spalla, guardo la mia amica sorridermi incoraggiante.
< Uno schifo. >
Lei ride, coprendosi la bocca con la mano come sempre.
Deglutisco a vuoto.
Bentornata nel mondo dei vivi, bella addormentata.
Sospiro e di colpo mi ritrovo a pensare che il tessuto della maglia di Edward sia troppo morbido e non mi piaccia che profumi di biancheria appena lavata.
Dovrebbe sapere di marmitte annerite e grasso di motore e le fibre dovrebbero essere lise e consunte.
< Siamo stati così in pena. Non facevi che agitarti inquieta, invocando il nome di tua madre. >
Jessica sembra a disagio. Si arrotola la cintura della vestaglia sulle dita e poi la riannoda senza sosta.
Una, due, dieci volte.
< Ora, però, è tutto finito. Mi occupo io di te. > la voce di Edward è vellutata, così come le sue dita fresche.
Rabbrividisco quando mi accarezza e mi mordo le labbra ancora febbricitanti con ferocia.
Mi prendo io cura di te.
Pelle calda e abbronzata. Mani grandi che incorniciano tutto il mio viso.
Mi ami, Bells.
Un abbraccio possessivo nel sonno, dita che giocano con i miei capelli.
Il suo sapore.
Il sapore di una vita intera.
Fisso Jess e lei distoglie lo sguardo.
Mi stacco da Edward senza remore e m'infilo le scarpe al volo traballando sulle gambe, affannandomi poi a cercare un cappotto.
< Cosa... >
< Mi dispiace, Edward. Sono una stupida. Perdonami se puoi, ma io ora devo andare. Andare da Jacob. >
Non mi volto, non gli regalo un ultimo gesto o un ultimo sguardo.
Afferro decisa la maniglia e sto per chiudermi la porta alle spalle, ma la voce di Jessica mi blocca un istante.
Uno soltanto. Non posso sprecarne di più.
< Sta partendo, Bella. Sbrigati! >

Angolo di un'autrice-zombie:
Tenete duro, siamo quasi alla fine.
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo e poi ci sarà un epilogo breve, che darà un senso di completezza alla storia e al suo titolo, che non è affatto casuale.
Volevo ringraziare tutte le ragazze che mi hanno accompagnato in questo viaggio, anche se ne ho persa qualcuna per strada a causa di una poca chiarezza nella descrizione della trama.
Di questa storia sono particolarmente orgogliosa e fiera e spero che vi rimanga nel cuore per un pochino.
Vi abbraccio forte.
Alla settimana prossima.
Strange.
   
 
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