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Autore: phoenix__    22/11/2012    2 recensioni
-Da quando è un freak?-chiede puntandomi una lucina negli occhi.
-Pochi mesi. E mi hanno detto che senza potenziale non posso ancora considerarmi un freak.-rispondo a fatica. Odio quelle lucine.
-Beh, ognuno di noi ha un potenziale, basta solo trovarlo. Quindi lei è una freak.
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due ore.
Solo due ore mi hanno lasciata dormire in pace.
‘Scar, giochi con meee?’,’Scar, metti in ordine la tua camera!’,’Scar, com’è andata a scuola?’
Caccio un urletto stizzito, mi dirigo verso la porta della mia camera e la sbatto violentemente. La guardo per circa tre secondi, cercando la calma che ho perso a causa dell’arrivo di mia madre e di mio fratello.
-Scar, vieni a vedere cosa ti ho comprato!-urla mia madre dal piano di sotto.
Queste sono le paroline magiche, e mia madre lo sa. Oh, e come se lo sa.
Scatto.
Apro la porta e faccio un balzo, planando delicatamente alla fine delle scale. Corro in cucina e guardo mamma con uno sguardo tra il sognante e il riconoscente.
So benissimo qual è lo scopo di quei piccoli regali. E mamma sa che io lo so. Solo mio padre non sa che mia madre sa che io so. E lui non sa. Neanche dei regali.
-Cos’è stavolta?-chiedo.
Mi guarda con il suo sguardo furbetto.-Apri il forno.
Il forno?
Faccio come mi ha detto, perplessa. Tiro leggermente l’anta del forno, solo per sbirciare un pochino. Ma alla vista del regalo, la spalanco in malo modo.
-Oh mio dio, mamma! Come…dove li hai trovati?
Due biglietti per il concerto dei One Way. Sold out in dodici minuti, introvabili da mesi ormai…
Stavolta deve essere davvero imminente.
Mi siedo, sospirando.-Quando?
-Appena arriva tua padre.-mi dice dispiaciuta.
-Cosa mi faranno?-sono preoccupata. E si sente dalla mia voce.
-Oh, amore.-mi viene vicino e mi da un bacio sulla fronte.-Faranno solo qualche semplice test, come le altre volte. Non devi aver paura.
-Sono a casa!-urla mio padre, aprendo la porta.
Mia madre mi guarda per altri cinque secondi in silenzio.-Siamo in cucina!-esclama, prima dirigersi verso i fornelli.
Nascondo i biglietti in tasca, mio padre non deve vederli. Aspetto che entra in cucina, gli do un bacio e mi dileguo su per le scale, in camera mia. Metto i biglietti nel mio baule e m’inizio a preparare.
Aprendo l’armadio, una domanda si fa spazio arrogantemente tra i miei pensieri…che cazzo mi metto?
Bussano alla porta.
-Avanti.- dico sovrappensiero.
La porta si apre impercettibilmente.-Vai di nuovo dal dottore?-chiede una vocina incrinata.
Mi giro. Un visino fa capolino in camera mia, con l’espressione devastata. Mi dirigo verso la porta e abbraccio il mio piccolo fratellino, asciugandogli le lacrime.
-Non è come l’ultima volta, Al.-dico.-Non devi preoccuparti, andrà tutto bene.
Lo ripeto come fosse una cantilena, più per convincere me stessa che la piccola peste.
 
Un lago.
Dopo due ore di viaggio, quello che ci troviamo davanti è un lago.
Scendiamo dalla macchina, tutti un po’ perplessi, e ci avviciniamo all’acqua limpidissima.
-Beh, -afferma mio padre.-magari hanno voluto rendere omaggio agli italiani.
La base italiana era situata sotto un grande lago, a sua volta contenuto in un’enorme reggia.
-E perché mai avrebbero dovuto farlo?-dice mia madre, sempre più nervosa.
-Non lo so, magari a loro piace particolarmente la pizza!
Insieme, io e mia madre ci giriamo verso di lui. Alza le mani.
Doppia occhiata assassina riuscita.
-C’è un problema.-disse madre.
-Cosa?-chiesi esasperata.
-Mi scappa.-esclama con una faccia da scuse.
-Sembrate voi i bimbi, a volte.-affermo io.-Ce la fai a farla dietro un albero?
-Oh, si, non ti preoccupare.-dice pimpante.
Sospiro mentre vedo mia madre affrettarsi verso il migliore wc disponibile nel raggio di circa 20 chilometri.
-Allora…-esordisce mio padre.
-Hm?-dico.
E’ in difficoltà.-Com’è andata a scuola?
Tuffo al cuore. Solo papà sa cosa ho passato nell’ultimo anno, solo lui sa dell’inferno.
Solo lui sa il vero motivo per cui io sono rinata.
-Bene, pà. Mi sembrano tutti tipi per bene.-sorrido.
Sospira.-Anche il professore ti sembrava ‘per bene’.-mima le virgolette con le mani.
-Ero più giovane.-butto lì.
-Pochi mesi non ti fanno più saggia.-mi guarda di sbieco.
-Dipende da quello che succede in questi pochi mesi.-rispondo.
-Mi dispiace.- dice all’improvviso.
-Non è colpa tua.-mi si incrina la voce.
Mi abbraccia. Oh, papà, non sai quanto ti amo.
-Ho trovato, ho trovato!-urla mia madre.
Ci stacchiamo, e cautamente la raggiungiamo.
-Cosa? Un vestito un po’ antiquato?-dice mio padre.
Rido.-Oddio pà, come fai a conoscere quella canzone?
Mi fa una smorfia.-La amavi da piccola, mi hai costretto ad ascoltarla per anni.
Gli poggio la mano sulla spalla.-E’ per questo che sei invecchiato così male?
Sta per rispondere, ma mia madre lo ferma con un gesto stizzito.-Siete insopportabili.
-Sei gelosa?-la provoca mio padre.
Lei gli fa una linguaccia.-Certo, certo. Mentre voi confabulavate, io, oltre a fare pipì, ho trovato ciò che ci serviva!
Io e padre la guardiamo perplessi.-Una leva!-dice.
-Ma certo, andiamo in giro a tirare le leve nei pressi della base americana della Gilda. Non c’è alcun rischio di morte, no, per carità.- la prendo in giro.
-Certo, se quelle leve hanno un cartello con scritto:’tirare qui per accedere alla base(il battello è guasto)’.
Sia io che mio padre avevamo un espressione delusa. Non potevamo prenderla in giro ora.
-Oh.-diciamo all’unisono.
-Beh? Che aspettiamo?-chiede.
-Manteniamo la calma, però.-dice papà.
Sbuffa.
In realtà nessuno di noi aveva il coraggio di abbassare quella leva. Non per quello che sarebbe potuto accadere fuori, ma dentro la base.
-Oh, faccio io.-dico. Prima entriamo, prima usciamo.
Abbasso la leva, con cautela. All’improvviso, appena sotto la superfice dell’acqua del lago emerge una passerella di metallo, alla cui fine c’è una botola.
Mio padre ci guarda vittorioso.-Io lo dicevo che era un omaggio agli italiani!
Doppia occhiata assassina riuscita, di nuovo.
Mia madre sospira.-Andiamo.-dice.
Ci incamminiamo verso la botola, a passo lento e una volta raggiunta, ci caliamo al suo interno.
Quello che troviamo non ci scovolge più di tanto. Insomma, era uguale a quella inglese.
-Questi americani sono poco fantasiosi.-dice mio padre.
Percorriamo il corridoio di marmo e arriviamo alle fatidiche tre porte:’Morte’,’Ufficio’,’Vita.
Come nella base tedesca. E questo a mio padre non sfugge.
-Non esistono i diritti d’autore anche per le basi della Gilda?
-Papà, piantala.-dico esausta.
-Dove?-chiede.
Gli faccio una smorfia.-Non sei divertente!
-E’ con questa battuta che ho fatto innamorare tua madre.-le sorride.
-Se lo dici tu.-dice lei.
Rido.-Okay, mi sa che è meglio se ci avviamo.-dico trascinando un padre fintamente arrabbiato verso la porta centrale.
 
-Benvenuti nella base americana della Gilda. Possiamo considerarvi benvenuti, vero?
A parlare era stato un uomo sulla trentina, super-palestrato,verde e con le squame. Un figo.
Io e mia madre lo guardiamo sognanti. Padre cerca di darsi arie, aggiustandosi i capelli o alzandosi leggermente sulle punte, ma niente batte le squame.
-Certo che sì.-dice.-siamo stati mandati qui da Cesare in persona.
-Anche Lucio Sergio disse una cosa simile. E poi è morto.-rispose squameboy, serio.-Ma, ovviamente, questa non è l’antica Roma e il nostro Cesare non è QUEL Cesare.-ride.
Io e le persone che mi hanno procreato, ci guardiamo perplessi. Poi decidiamo che è meglio ridere.
-Seguitemi.-dice hulk x2, ritornando improvvisamente serio.
Attraversiamo la sala d’attesa e c’accomodiamo in un’ampia stanza con una scrivania, delle poltrone, una libreria piena zeppa di tomi e un lettino.
Squameboy ci lascia soli.
-Beh, -dice mio padre.-all’interno è più tedesca che italiana.
Alzo gli occhi al cielo.
-Gli italiani sono così artistici.-risponde mia madre.-anche un ufficio sembra un’opera d’arte.
-La ringrazio.-dice una voce maschile alle nostre spalle. Ci giriamo.
Quello che vediamo ci sembra più una visione celestiale che la realtà.
Uno ragazzo di pressappoco diciott’anni è fermo sull’uscio della porta e ci sorride. Ha capelli  biondi lunghi e mossi, occhi all’apparenza bianchi, pettorali evidenti anche sotto il camice da medico e denti alquanto perfetti.
-E di che!-dice mia madre, sistemandosi sulla poltrona e ricevendo un’occhiata assassina da mio padre. Ma tanto è inutile, lui non è capace.
-Come mai l’ha ringraziata?-dice mio padre.
-Sono italiano.-dice il ragazzo sorridendo. Mio dio, allora è un dio dell’antica Roma.
Si accomoda sulla poltrona dietro la scrivania e apre un fascicolo che io, e credo nemmeno mia madre, non avevo prima notato.
-Lennox, giusto?-chiede guardandomi dritto negli occhi.
Annuisco. Non sopporto essere chiamata per cognome dalla rinascita.
-Molto bene. Allora, lei è rinata, in seguito ad una morte provocata da esterni. L’ha scelta la Gilda e  né gli inglesi né i tedeschi hanno capito il suo potenziale. Se neanche noi riusciamo, andrà dagli italiani.-dice.
Gli italiani sono i capi della Gilda e a loro si chiedeva aiuto solo se il problema era davvero irrisolvibile.
Il dottore si alza e viene verso di me.-Da quando è un freak?-chiede puntandomi una lucina negli occhi.
-Pochi mesi. E mi hanno detto che senza potenziale non posso ancora considerarmi un freak.-rispondo a fatica. Odio quelle lucine.
-Beh, ognuno di noi ha un potenziale, basta solo trovarlo. Quindi lei è una freak.- mi sorride. Sorrido come un’ebete di rimando. Mio dio, è troppo bello.
-Si stenda sul lettino.- Perché mi guarda così? Ci sono i miei genitori! Perché ci sono i miei genitori?
-Con piacere.-dico sovrappensiero, facendo ridere mia madre e innervosire mio padre. Altra occhiata assassina mal riuscita. Papà, accetta la realtà, non sei capace!
Mi stendo sul lettino, consapevole e triste di non poter flirtare con quel dio. Che con movimenti delicati, si assicura che io sia sana.
-Molto bene.-dice.-Lei è sana come un pesce!-via ai doppisensi.-Ogni giorno dovrà recarsi nella palestra, penultima porta a destra del corridoio della vita, per cercare il suo potenziale.-sorride. E io, di nuovo, come una demente gli sorrido di rimando.
Mio padre tossisce.-Credo sia ora di lasciarlo lavorare.
-Oh, non vi preoccupate. Io sono un volontario, posso lavorare quando e quanto voglio.-dice il dio.
-I volontari non funzionano un tantino diversamente?-chiede mio padre.
-Beh, io sono un volontario speciale.-mi fa l’occhiolino.
-Bene, -dico di malavoglia (non la famiglia. Lo so, è facile confondersi!!)- si è fatto molto tardi…
Mi alzo dal lettino e, dopo aver salutato il ragazzo-medico-volontariospeciale, mi dirigo verso l’uscita.
 

Uè babes!
 

Zalve a everyone.
Vi ricordate di mee? Sono ancora viva, yayyyy! *stappa lo spumante*

Ho un’attenuante: efp non funzionava çç
Ma ora, it works well again, sooooo sono riuscita a pubblicare il FATIDICO SECONDO CAPITOLO! *batte il cinque a tutti*
C’è un problema. Fa schifo.
Non so se definirlo ‘capitolo di passaggio’, perché qualche informazione in più la do, ma non è così entusiasmante, so boh.
Ve l’ho detto che sono spastica e parlo a vanvera.
Quindi ora basta, stop.
Alla prossima.
-sole.

p.s. on twittah: @phoenixpowah

p.p.s. scusate per gli errori\orrori, ma anche rileggendo spesso mi sfuggono!
  
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