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Autore: CowgirlSara    10/06/2007    9 recensioni
Il colonnello Mustang ha un gamba rotta, si annoia, ha un binocolo. Ma la sua curiosità lo porterà ad infilarsi in uno scomodo mistero. Riuscirà, con l'aiuto di Riza, ad incastrare il colpevole senza far impazzire tutti?
Genere: Romantico, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rear Window 1
Allora, premetto che non sono una grande esperta del fandom di FMA, ma ho visto alcuni episodi dell’anime ed ho letto delle fanfiction, appassionandomi al pairing Royai. Quei due, per me, sono una coppia perfetta, proprio del tipo che piace a me, piena di non detto, di sottintesi, ma affiatatissima. Poi m’è venuta quest’idea e, spruzzandoci un pochino di romanticismo, ho pensato di realizzarla. Spero che anche coloro che ne sanno più di me possano apprezzarla. E, vi prego, se trovate i personaggi un po’ OOC, segnalatemelo, che provvederò a mettere l’avvertimento.

Questa storia è liberamente ispirata alla trama del capolavoro cinematografico “La finestra sul cortile” del Maestro Sir Alfred Hitchcock, ho usato il titolo originale perché nella mia lista c’era già una ff con questo titolo, che trattava tutt’altro argomento.

I personaggi di FMA appartengono ai loro legittimi autori. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.

Enjoy
Sara

- Rear Window -

- 1 -

Riza salì a passo svelto le scale rivestite di legno della palazzina. Dopo il lavoro era passata a farsi una doccia veloce ed a cambiarsi; ora indossava jeans e una maglietta color lavanda.
Era anche passata a fare una spesa leggera, adatta alle richieste di un malato molto “esigente”. Aveva troppo rispetto per il suo superiore per usare aggettivi più adatti, ma assai meno politicamente corretti. Diciamo che il colonnello, quando era malato o costretto all’inabilità, diventava simile a quell’oggetto sferico e rimbalzante con cui sono soliti giocare i bambini. Sì, una palla.
Non che le dispiacesse occuparsi di lui, solo che a volte riusciva ad essere veramente pesante. Faceva le richieste più impensabili e provare a farlo ragionare diventava un’impresa. La donna scrollò il capo, rassegnata, pronta al nuovo fuoco di fila delle sue pretese.
Aprì la porta con le sue chiavi. Sì, aveva le sue chiavi della casa di Mustang. Le aveva ormai da tanto tempo che non riusciva nemmeno a ricordarsi da quanto. Lui gliele aveva date una volta, perché andasse a prendergli un cambio di divisa, poi non gliele aveva mai richieste. Figurarsi, sicuramente se n’era dimenticato. Così era stata lei ad andare a restituirgliele e lui aveva insistito perché le tenesse, poteva sempre essere utile. Sì, specialmente quando ti rompi una gamba.
Entrò nell’appartamento. C’era silenzio, odore di caffè. La porta della camera era socchiusa e lei si diresse verso la cucina, superando il tavolo rotondo tra le due ampie finestre dalle tende chiare. Lasciò le buste della spesa sul pensile e decise di andare a vedere cosa faceva l’infermo.
Il tenente scostò dolcemente la porta della stanza da letto, cercando di non fare rumore, poiché pensava che lui stesse dormendo. Fatto un passo dentro la camera, spalancò gli occhi.
“Colonnello, ma che diavolo sta facendo?!” Esclamò Riza, non appena vide Roy che, seduto sulla grande poltrona di pelle verde scuro e con la gamba ingessata appoggiata su uno sgabello, si dava da fare per occultare goffamente un grosso binocolo.
“Hem… ecco…” Balbettò lui, colto in fallo. “Ammazzo il tempo.” Spiegò poi, ripresa sicurezza.
“Lei sta spiando i suoi vicini!” Lo rimproverò la donna con le mani sui fianchi.
“Ma no! Cosa va a pensare, Tenente!” Replicò Mustang, con la sua tipica faccia di bronzo, accentuando il tono con un gesto noncurante della mano.
“E allora, per cosa usa quell’enorme binocolo?” Domandò retorica Riza, con sguardo minaccioso.
“Beh…” Fece vago il colonnello. “…ci sono molte cose interessanti, qui intorno, le vecchiette che danno da mangiare ai gatti, i barboni che frugano nei cassonetti e i giochi dei bambini… oh, i giochi dei bambini!” Terminò enfatico.
“Vogliamo parlare, invece, della sua procace vicina che si cambia la biancheria?” Soggiunse lei, assottigliando gli occhi a livello serpente.
“Ma di quale vicina sta parlando?” Sbottò Roy, con l’apparenza di cadere dalle nuvole.
“Palazzo di fronte, secondo piano, interno B, gerani rossi sul terrazzo, che non abbassa mai le tapparelle…” Scandì professionale il suo braccio destro.
Mustang spalancò stupito gli occhi. “Lei conosce i miei vicini?!” Chiese.
“Ovvio.” Rispose lei annuendo. “Rientra nei miei compiti.”
“Humpf…” Sbuffò il colonnello, chinando il capo.
“Forza, adesso mi dia quell’affare, che le preparo la cena.” Ordinò la donna, allungando la mano per prendere il binocolo; lui glielo porse riluttante e la seguì con gli occhi, mentre usciva dalla stanza e posava l’attrezzo sul cassettone.

Dieci minuti dopo, Roy si decise ad alzarsi, lasciando la sua postazione privilegiata sulla vista del cortile. Aiutandosi con le stampelle raggiunse il soggiorno.
La tavola era già preparata, apparecchiata per due. Da quando si era rotto la gamba, avevano già cenato insieme due volte. Gli piaceva averla lì, dividere con lei i piccoli gesti quotidiani. Si faceva sempre raccontare quello che succedeva in ufficio, anche se questo voleva dire sentirsi ancora più frustrato e annoiato, ma amava sentirla parlare di lavoro.
Arrivato alla cucina, si appoggiò allo stipite dell’arco che vi conduceva e osservò la donna preparare la cena. Quei jeans aderenti e quella magliettina le donavano decisamente più della sformante divisa blu dell’esercito, constatò Roy con piacere, osservando le armoniose forme di Riza.
“Sta usando tutte e due le stampelle, vero?”
La domanda lo colse di sorpresa, mentre osservava rapito un lembo di candida pelle che faceva capolino sotto la stoffa leggera, appena sollevata, della t-shirt di lei. Mustang si sbilanciò e una delle grucce cadde a terra con un tonfo.
“Finora sì…” Rispose poi, già angosciato dall’idea di doversi piegare a recuperarla.
“Bene.” Fece il tenente, girandosi e raccogliendo velocemente la stampella; gliela porse sorridendo. “Il dottore si è raccomandato che le usi entrambe.” Gli ricordò, mentre lui prendeva la gruccia. “Adesso si sieda, è quasi pronto.”
Mustang, dopo cena, ebbe una “gradita” sorpresa. Hawkeye aveva portato dall’ufficio una borsa stipata di carte che doveva assolutamente firmare lui. Le proteste non valsero a nulla, né le scene tragiche di dolori alla gamba e stanchezza fulminante. Dovette perderci un’ora, con Riza che lo controllava da sopra la spalla, stile avvoltoio.
Quando, finalmente, la donna se ne andò, convinta di averlo messo a letto, stanco dal lavoro imprevisto, lui si rialzò e tornò sulla sua poltrona vicino alla finestra, accompagnato dal fedele binocolo. La notte era il momento più interessante delle sue osservazioni!

***

La mattinata in ufficio scorreva più tranquilla del solito. Gli uomini lavoravano regolarmente e senza troppe lamentele. La mancanza del colonnello evitava molte distrazioni, non dovevano alzare gli occhi ogni volta che scoppiava un battibecco silenzioso con il tenente Hawkeye. Silenzioso, sì. Che necessitava seguire con lo sguardo, sì. Ma quanta soddisfazione nel commentarlo poi! Chissà se quei due si rendevano conto di essere argomento di conversazione…
Il telefono sulla scrivania del colonnello squillò. Havoc era incaricato di rispondere. Tutti, in quei giorni, seguivano scrupolosamente le direttive di Riza; il rischio era ritrovarsi sforacchiati come un colabrodo. Così il giovane prese la cornetta.
“Ufficio del Colonnello Mustang, buongiorno.” Esordì, con tono professionale; ascoltò con sguardo sempre più allibito, scostando progressivamente la cornetta dall’orecchio, mentre il volume di voce dell’interlocutore si faceva sempre più alto.
“MI PASSI IL TENENE HAWKEYE!” Quell’ordine lo sentì tutto l’ufficio.
“Te… Tenente, al telefono, è… è il Colonnello…” Mormorò il ragazzo, allungando timoroso l’apparecchio al suo superiore.
Lei lo prese, perplessa. “Sì?” Fece, dopo essersi portata la cornetta all’orecchio.
“Perché fa rispondere quell’invertebrato di Havoc?! Eh?! Io ho bisogno di persone scattanti, attive!” Sbraitò Roy dall’altra parte del filo. “Si brighi, venga subito qui! Ha ucciso la moglie, capisce?! Poi l’ha occultata in un tappeto o una tenda, roba così, si disfarà del cadavere, presto! Bruci i semafori, taglie le rotatorie, ma la voglio qui tra un quarto d’ora!” E attaccò senza darle il tempo di replicare.
Tutti i presenti fissavano perplessi il tenente con ancora l’apparecchio in mano. La donna non perse la flemma. Attaccò il telefono, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi si aggiustò la giacca dell’uniforme, mentre i suoi sottoposti si arrovellavano nella curiosità.
“Havoc, dobbiamo andare dal Colonnello, ma prima ci fermiamo dal suo medico.” Affermò Riza, prendendo dal cassetto le chiavi della macchina.
“Perché ci fermiamo dal dottore?” Fece lui.
“Scusi, non le è sembrato che il Colonnello desse chiari segni di disagio?” Rispose lei, precedendolo fuori dell’ufficio.
“E non è la prima volta che lo penso…” Si rispose Jean sconsolato, seguendola.

Mezz’ora dopo erano sotto casa di Mustang. Hawkeye aveva guidato come un campione di rally e Havoc aveva i capelli più dritti del solito, quando scesero dall’auto.
“Aveva detto un quarto d’ora…” Mormorò timoroso il giovane.
“Male che vada ci riduce in cenere.” Commentò noncurante il tenente entrando nel palazzo. Lui aggrottò la fronte preoccupato.
“Secondo lei…” Fece Jean, mentre salivano le scale. “…quello che ha detto il dottore è vero?”
“Mah, non me ne intendo molto.” Rispose Riza, precedendolo alla porta del colonnello. “Però, quando ci ho parlato al telefono, non mi sembrava che stesse bene.” Aggiunse aprendo la porta. “Colonnello Mustang, siamo qui.” Annunciò tranquilla.
Rumori di cose cadute, imprecazioni e una camminata saltellante annunciarono l’arrivo di Roy, che comparse sulla porta della camera sostenendosi con una sola stampella. Era arruffato e con gli occhi rossi. Aveva addosso solo i calzoni del pigiama. E, se la visione in se non era poi malaccio, Riza si preoccupò subito di quello stato.
“Finalmente, ci avete messo una vita!” Sbottò impaziente.
“Dove ha messo l’altra stampella, Colonnello?” Gli domandò il tenente avvicinandosi.
“Ma non lo so e non m’importa!” Rispose sgarbatamente lui. “Qui è successa una cosa grossa e lei si preoccupa di una cavolo di stampella!” Continuò, saltellando verso il divano. “Perché c’avete messo così tanto, eh?”
Preso dal discorso non si accorse del bordo del tappeto e inciampò. Riza fu pronta ad afferrarlo, prima che si rompesse anche l’altra gamba. Lo prese alla vita con una stretta solida e sentì i suoi muscoli contrarsi subito, sotto il suo tocco. Si raddrizzarono in contemporanea, ritrovandosi a fissarsi negl’occhi. Havoc avrebbe voluto fargli una foto da mostrare agl’altri.
“Deve usare tutte e due le stampelle.” Gli ricordò gelida lei.
Roy sollevò le sopracciglia con aria improvvisamente maliziosa, poi spostò lo sguardo sulla mano di Riza, ben salda sul suo addome nudo, poco sopra l’ombelico. E lei se ne accorse. Si scostò quasi brutalmente, arrossendo appena. Il colonnello vacillò un attimo, ma riprese l’equilibrio grazie alla gruccia. Jean trattenne la risatina che gli era salita alle labbra.
“Allora.” Esordì il tenente, con tono comprensivo, quando Roy si fu finalmente seduto. “Si può sapere che cosa è successo?”
“Il tizio che abita davanti a me stanotte ha ucciso la moglie.” Rispose serio l’uomo.
“E perché non ha chiamato la polizia?” Soggiunse Riza.
“Ho chiamato lei!” Replicò stizzito il colonnello. “E poi…” Aggiunse titubante, abbassando gli occhi. “…non è che sono tanto sicuro…”
“Ah, ecco.” Annuì il tenente.
“Beh, ma stavano litigando e poi, all’improvviso, più niente e hanno spento le luci, quindi ci sono stati dei movimenti strani e…”
“Mi dica, si è rimesso di nuovo a spiare i suoi vicini?” Domandò comprensiva la donna. Havoc stentava a seguire il discorso: il colonnello Mustang che spiava i vicini?!
“Insomma, non mi faccia la predica!” Reagì offeso Roy. “Sono già abbastanza nervoso e muoio per il prurito a questa maledettissima gamba!” Continuò alterato, poi si girò verso l’altro subalterno. “Havoc, vada giù, al 2b vive una vecchietta, si faccia dare un ferro da calza, devo grattarmi!” Il soldato si apprestò ad ubbidire, ma fu fermato dalla voce di Hawkeye.
“Il dottore ha detto che sarebbe meglio non lo facesse, per…”
“Non m’importa un accidente di quello che dice quel rincoglionito del dottore, io DEVO grattarmi la gamba o finirò per incenerire qualcuno!” Urlò di rimando il colonnello. “Havoc, che diavolo aspetta, si sbrighi!” Il ragazzo filò fuori della porta, temendo che, tra i due presenti, l’unico che rischiava seriamente la combustione era lui.
Riza si sedette vicino al suo superiore, che intanto cercava di grattarsi la gamba alla meno peggio.
“Ascolti, Colonnello, mentre venivamo qui, mi sono permessa di fermarmi dal suo medico…”
“Ah, ecco perché avete fatto tardi! Si può sapere perché lo ha fatto?” L’interruppe lui.
“Perché lei mi era sembrato un po’ strano al telefono.” Rispose pronta la donna. “Il dottore dice che, quando c’è una frattura, può capitare che delle particelle di midollo osseo entrino in circolo e causino una forma di… di leggera paranoia, che…” Aveva cercato le parole più delicate per dirglielo, ma non poteva tirarla tanto per le lunghe; questo non le risparmiò uno sguardo più inceneritore delle dita dell’alchimista.
“Guardi che non sono affatto paranoico, quell’uomo ha ucciso la moglie.” Ribadì Roy sicuro.
“Mi ha dato dei calmanti da farle prendere.” Affermò Riza, ignorando il commento del colonnello.
“Io non ho bisogno di nessun calmante!”
In quel momento rientrò Havoc con una faccia tra il rammaricato e il preoccupato. “La signora mi ha lanciato contro una padella…” Biascicò imbarazzato.
“Quella maledetta vecchiaccia impicciona!” Esclamò Mustang agitando in aria la stampella. “Se lo scorda che le porterò più le borse della spesa!”
“Mi creda.” Intervenne Hawkeye. “Lei ha decisamente bisogno del calmante.”
Roy sbuffò, lasciandosi andare contro la spalliera del divano. “E vabbene, prenderò quella cavolo di pillola…” Si arrese quindi, ma si girò appena verso di lei. “Però deve promettermi che farà un’indagine più approfondita, io sono sicuro che sia successo qualcosa e lei ha il preciso dovere, nel caso, di assicurare un assassino alla giustizia.”
“Va bene, stia tranquillo.” Acconsentì lei, più che altro per cercare di calmarlo. “Indagherò.”

***

Quello stesso pomeriggio, Riza Hawkeye, armata di cartellina e dopo aver inforcato un paio di falsissimi occhiali da vista, si presentò davanti alla porta del sospettato. La lucida targa d’ottone dell’appartamento 3c recitava Ross Schwarten. La donna suonò.
Un uomo robusto, squadrato sia di spalle che di volto, aprì il portoncino lucidato. Aveva i capelli brizzolati, pesanti occhiaie e un’aria diffidente.
“Salve, Signor Schwarten!” Esordì la donna senza farlo reagire. “Sono un’incaricata della Mustang ltd...” Sparò a caso. “…e stiamo effettuando una ricerca statistica sulle casalinghe e l’uso degli elettrodomestici, posso parlare con sua moglie?”
“No, mi spiace.” Rispose subito lui. “Mia moglie non è in casa.” Precisò.
“Beh, ma io posso ripassare, se mi dice quando posso trovarla…”
Riza, nel frattempo, osservava l’uomo. Non sembrava titubante o incerto, ma i suoi occhi erano troppo freddi. Anche lui la stava studiando.
“Purtroppo è impossibile.” Riprese lui. “È fuori città per assistere la madre malata e non ho idea di quando potrà tornare.” Mai, dato che l’hai tagliata a pezzi e messa in freezer… pensò il tenente, in un improvviso moto di accordo con Mustang.
“In questo caso, credo che passerò oltre…” Mormorò Riza, con un sorrisetto di circostanza.
“Sì, penso sia meglio.” La liquidò l’uomo, appena prima di rientrare in casa e sbatterle la porta in faccia.
Bene, bene. Qui qualcuno aveva chiaramente qualcosa da nascondere. Gli indizi erano terribilmente lievi e nulla di concreto poteva far pensare che Schwarten si fosse davvero liberato della moglie, ma c’era una vocina nelle testa di Riza che le diceva: Roy ha ragione!
Il tenente si tolse gli occhiali e girò l’angolo; a pochi passi c’era il portone del palazzo di Mustang. Era ora di fare rapporto al suo superiore.

Roy si teneva in piedi con le stampelle, appoggiato alla finestra. La luce calda del pomeriggio investiva il suo profilo e faceva risaltare la lucidità dei suoi capelli neri. Era bello e aveva un’aria malinconica. Riza aveva appena finito di riferirgli la sua conversazione con il sospettato.
“Secondo lei mente?” Le domandò distratto.
“Sì.” Rispose la donna senza tentennamenti, dalla sua postazione vicino al grande armadio. “Ma è solo una sensazione mia, non ci sono prove oggettive.”
“Io mi fido più del suo intuito.” Soggiunse Mustang; anche se quell’affermazione la riempiva d’orgoglio non serviva certo ad arrestare il vicino.
“Quando rientro in ufficio farò un’indagine bancaria, per cercare un movente, altrimenti non saprei che fare.” Affermò Riza, leggermente arresa; Roy annuì, bastava quel gesto per confermarle che approvava la sua scelta. “Ora devo andare, stasera c’è la festa dell’esercito.”
Il colonnello si voltò verso di lei, aggrottando le sopracciglia. “E’ stasera?” Lei annuì. “Deve ritirare il suo premio come miglior tiratore, vero? Mi spiace non poterci essere…”
“Le dispiace solo di non poter fare la sua solita passerella in alta uniforme.” Commentò retorica la donna, dirigendosi in soggiorno; lui ridacchiò. “Ad ogni modo passerò qui, prima di andare, per assicurarmi che prenda le medicine.”
“Ma per chi mi ha preso?!” Protestò l’uomo seguendola.
“Per il Colonnello Roy-distratto-Mustang.” Scherzò impassibile Riza, recuperando la giacca sul divano. “A dopo.” Lo salutò, prima di uscire di casa. Lui sorrise, in fondo gli facevano piacere le attenzioni della sua bionda sottoposta.

***

Roy Mustang osservava attento la porta che conduceva dalle scale della palazzina di fronte al cortile interno. Il piazzale di selciato, comune ai due edifici, era immobile e silenzioso nella luce ormai fioca del crepuscolo. Il colonnello scrutava ogni angolo del cortile col suo fidato binocolo: le luci che andavano e venivano negli androni, i movimenti dei vicini, i rumori delle case. Si sentiva nelle ossa che stava per succedere qualcosa.
“Roy.” Lo interruppe una voce familiare, il tono era accusatorio; lui si voltò. “Basta, per favore.” Aggiunse supplichevole Riza, entrando nella camera.
Ma lui non sentì quella richiesta. E, comunque, non avrebbe potuto fare nulla, dato che era paralizzato. Sì, perché lei era entrata nella stanza, illuminandola, come fosse sorta la luna. Indossava un abito di chiffon bianco, le cui maniche svolazzanti formavano anche una specie di coprispalle. I capelli erano acconciati con cura e ricadevano morbidi sulla schiena. Il trucco era leggero e chiaro e le donava moltissimo, facendo risaltare i suoi begl’occhi nocciola.
Si avvicinò a Roy con la grazia di una nuvola, pensando che stesse lì fermo imbambolato e con quell’espressione ebete perché lei lo aveva di nuovo colto in fallo.
“Questo lo mettiamo via, adesso, eh?” Gli disse con tono materno, sfilandogli il binocolo, che ormai Roy non reggeva più; poi gli passò a fianco, sfiorandolo con un lembo del vestito.
Profumava di frutti di bosco, rifletté Mustang e questo lo faceva pensare ad una dolce meringata di lamponi e more che avrebbe tanto voluto mangiare…
Riza, col cannocchiale sotto braccio, chiuse delicatamente le tapparelle e tornò indietro. “Le ho portato la cena, insalata di tonno e gelato alla vaniglia…” Riprese tranquilla, dimostrando la solita efficienza. “E poi, naturalmente, ci sono le medicine da prendere e… Colonnello?”
“Eh?!” Il colonnello trasecolò e alzò gli occhi, trovandosela di fronte.
“Mi sta ascoltando?” Gli domandò la donna.
“Come no!” Rispose subito lui.
“Infatti, no.” Ribatté Riza ruotando gli occhi. “Si ricorda, vero, che le pillole vanno prese a un paio d’ore l’una dall’altra?” Riprese implacabile; si sentiva una maestrina alle prese con un allievo distratto, quando era costretta a comportarsi così.
“Certo!” Sbottò il colonnello, girandosi offeso dall’altra parte.
In realtà si era voltato per cercare di recuperare una parvenza di autocontrollo. Erano anni che una donna non lo turbava tanto. O meglio. Riza, innegabilmente, lo turbava, anche se non aveva mai associato i suoi pensieri su di lei con un’attrazione fisica. Forse si era sempre mentito, perché altrimenti come si giustificava il fatto che il solo tocco della sua mano gli provocasse scariche di brividi lungo la schiena? E adesso… ora quel vestito, quel trucco… oh, i suoi capelli!
“Le ho preparato la tavola.” Gli annunciò la ragazza, riaffacciandosi in camera.
“Eh?” Fece lui, torcendosi sulla poltrona. “Ah, sì, grazie…” Mormorò poi, rimanendo a contemplarla per qualche istante. Era così bella, appoggiata con leggerezza allo stipite. “Credevo avrebbe messo l’alta uniforme.” Le disse, quasi senza volere.
“Ah…” Rispose Riza un po’ imbarazzata, osservandosi il vestito. “È un ricevimento, pensavo questo fosse più adatto…” Spiegò quindi, lisciandosi la gonna.
“Le sta benissimo.” Affermò Roy, facendola arrossire.
“Grazie…” Replicò la donna, aggiustandosi i capelli con un gesto nervoso. “Allora, si ricorda tutto quello che le ho detto sulle medicine?” Domandò poi, tanto per cambiare discorso.
“Sì…” Rispose atono Mustang.
“Bene.” Annuì il tenente. “Se ce la faccio, ripasso dopo la festa.” Aggiunse quindi, prima andare via.
“Non è necessario.” Replicò lui, che non voleva darle troppo disturbo, già erano giorni che praticamente viveva lì.
“Non è necessario, ma mi fa piacere.” Precisò Riza con un sorriso, poi lo salutò con la mano e si diresse all’uscita. Roy sospirò, appoggiandosi allo schienale e cercando nell’aria ancora un po’ del suo profumo.

CONTINUA
   
 
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