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Autore: Lady Madonna    28/11/2012    1 recensioni
Una compagnia di giovani attori viene rapita e segregata in un sontuoso edificio da un misterioso ed elegante uomo che li sottoporrà a dure prove per metterli alla prova, causando ai 10 giovani vere e proprie crisi di identità...
Genere: Avventura, Erotico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1

Primo rapimento: Emily

La sveglia suonò maestosa ed assordante alle sette di quel lunedì mattina e Emily mugolò piano, come a confermare che di li a poco si sarebbe svegliata.

Era stata una brutta nottata per lei, una successione di sogni irrequieti e bizzarri non le avevano dato un minuto di tregua, tanto che era quasi contenta d'aver interrotto il sonno.

Rimase immobile per qualche istante, lo sguardo assonnato intento a scrutare la stanza in penombra, come per riprendere l'orientamento.

"7.10. Cosa diavolo ci faccio sveglia alle sette e dieci?!" pensò Emy indispettita.

Con riluttanza si alzò dal letto, si infilò le pantofole e si diresse verso lo scrittoio. Dopo una notte ghiotta di sogni come quella, era solita scrivere quelli più interessanti così da non dimenticarli.

Cominciò dapprima titubante, poi sempre più affiatata, scrivendo a più non posso corrugando la fronte, fino a spremere sulla carta anche l'ultimo sbiadito ricordo. 

Un sospiro soddisfatto le scappò una volta terminato. 

Si sentiva soddisfatta e liberata, come se il peso che prima era nella sua testa ora giacesse incatenato ed al sicuro su quei foglii.

D'un tratto si irrigidì. C'era una cosa che non era riuscita a scrivere. C'aveva provato, ma le parole non erano riuscite a rendere la dovuta giustizia a quell'immagine così penetrante che era prevalsa sulle altre per tutto il suo ultimo sogno.

Con risolutezza prese un altro foglio bianco, afferrò una matita scura e iniziò a disegnare. 

Dal suo tratto aggraziato e preciso cominciò a farsi largo una fitta foresta, illuminata da una flebile luna semi coperta dalle nubi.

Al centro del disegno, a dominare lo spazio e a sopraffare tutto quel folto e variegato bosco, v'erano due enormi e penetranti fari gialli.

Due occhi felini la fissavano attentamente dal centro del foglio.

Il manto scuro e l'esile corporatura del gatto passavano quasi inosservati una volta puntato lo sguardo su quegli inquietanti occhi catalizzanti.

Emy scrutò ancora una volta il disegno e con aria soddisfatta si lasciò andare sulla sedia. Ora si che poteva dirsi soddisfatta.

La sua mente era come svuotata da ogni pesantezza, si sentiva leggera e pronta ad affrontare la giornata.

Il disegno e la scrittura erano sempre stati per lei i mezzi che più prediligeva per sgombrare e rilassare la mente.

Sfogarsi con le persone non faceva per lei. Non riusciva a comunicare con facilità i suoi sentimenti, se non con un numero estremamente ristretto di persone ed anche con quelle faticava a parlare di sé.

Era sempre stata un'ottima e attenta ascoltatrice, capace di dare consigli preziosi se mai le si chiedesse un parere.

Ascoltando e leggendo storie, era riuscita a collezionare una variegata collezione di immagini che s'erano poi tramutate in racconti o in elaborati disegni. Era talmente acuta da non farsi sfuggire nemmeno un piccolo particolare. Lavorava così, in silenzio e riservatezza, dentro i quali si celava un fiume in piena di creatività.

Ciò si poteva ben notare dalla sua stanza, stracolma di libri d'ogni lingua e genere (anche se i gialli erano da sempre i suoi preferiti), dipinti o abbozzi di disegni, vinili di musica d'ogni sorta e fogli. Fogli ovunque, poco importava se già scritti o meno. Per lei era importante averli sempre a portata di mano.

Si alzò piano dalla sedia, andando ad aprire la finestra a fianco allo scrittoio.

L'aria fresca mattutina la travolse prepotentemente, ricordandole che aveva un appuntamento.

Cominciò a vestirsi, facendo vagare il suo sguardo sui suoi amati poster di icone del rock appese alle pareti. Si lavò e sistemò frettolosamente, impiegando più tempo per disciplinare a dovere quei suoi capelli corti e corvini, lucidissimi ma a suo dire intrattabili.

Si diede un'ultima, fugace occhiata allo specchio, sbuffando. 

"Niente da fare. Che mi guardo a fare, se è sempre il solito schifo?!" pensò Emy accigliata. 

I suoi occhi nocciola distolsero lo sguardo dallo specchio e inumidendosi le labbra carnose iniziò a raccattare libri per poi ficcarseli in borsa.

Prese sciarpa e giubbotto e con un ultimo sguardo alla stanza, uscì senza nemmeno fare colazione.

Mentre era in autobus cominciò a scrutare pacatamente le persone.

"E' incredibile quante cose bizzarre possa fare una persona senza sapere d'essere osservata".   

Era talmente assorta nei suoi pensieri che quasi si dimenticò che era quasi arrivata alla sua fermata. Dovette sbracciarsi non poco per arrivare alla porta d'uscita, data la moltitudine di gente e la sua statura minuta ma a forza di spintoni ed occhiatacce malevole riuscì ad uscire da quel caotico autobus.

Era arrivata al luogo dell'appuntamento. Ed era deserto. Era sola, davanti al piazzale che precedeva il cimitero monumentale della città e di Alease neanche l'ombra.

"Uff…possibile che sia SEMPRE in ritardo?!" pensò Emy con fare scocciato e a malincuore andò a sedersi sulle gradinate d'entrata del cimitero, a fianco ad uno dei due leoni di pietra sul quale si adagiò poggiando la testa.

Piccole gocce di pioggia cominciarono a scendere da un cielo che prometteva tempesta, facendosi poi sempre più copiose, fino a diventare insistenti.

Emily era molto legata ad Alease, le due avevano da tempo instaurato un rapporto simbiotico e unico nel suo genere che spesso consentiva loro di capirsi senza nemmeno parlare. In quel momento però, seduta sulla soglia di un cimitero, con lo stomaco gorgogliante, vento e pioggia insistenti e il freddo fin dentro le ossa, Emy sentiva di odiarla più che mai.

Immersa in una miriade di maledizioni mentali verso l'amica, la ragazza non s'era accorta che una figura scura si stava avvicinando.

Man mano che la distanza s'accorciava cominciò ad aguzzare gli occhi così da notarne i particolari.

Pareva un signore sulla quarantina, piuttosto alto e dal fisico slanciato messo in risalto dall'elegante cappotto  nero a doppio petto lungo fino alle caviglie. Ai piedi aveva degli stivaletti in pelle della stessa tinta del cappotto. Sul capo, indossava un cappello grigio, altrettanto elegante e con la mano destra impugnava un ombrello anch'esso nero ma dall'impugnatura in legno. Avanzava verso di lei con passo leggiadro ma deciso, evitando le pozzanghere.

Tutto ciò, rendeva quello strano uomo la persona più bizzarra e al tempo stesso più interessante che Emily avesse visto in vita sua. Era come se appartenesse ad un'epoca lontana…

Intanto, la strana figura continuava ad avvicinarsi ed Emy cominciò a sentire una punta di nervosismo percorrerle la pelle. Quell'uomo la intimoriva.

Man mano che si avvicinava cercò di fissarlo il meno possibile, anche se le costò non poca fatica. Era come fissare gli occhi enormi ed inquietanti del gatto nel suo disegno di poche ore prima: quell'uomo era un catalizzatore d'attenzione.

Ormai sentiva i suoi passi sul cemento bagnato. Le sudavano le mani, il respiro si fece irregolare al punto che per mascherarlo chinò la testa, lo sguardo rivolto allo scalino giallognolo ai suoi piedi.

<< Mi scusi, Signorina. >>

Trattenne il respiro. Una voce calda e profonda le aveva appena rivolto la parola. Emily alzò il capo di scatto.

L'elegante signore la fissava serio e tranquillo a pochi passi da lei. 

A vederlo da vicino e da seduta, sembrava ancora più alto di quanto avesse notato poco prima. Decise di alzarsi per colmare almeno un poco tutta questa differenza. Non cambiò molto.

<< Ehm…Si, dica pure. >> rispose Emy con voce flebile, tentando di schiarirsela.

<< Spero di non averla spaventata, non era mia intenzione. Mi chiedevo se sapesse indicarmi il teatro più vicino a dove ci troviamo ora. >> continuò il distinto signore con fare cortese.

<< Oh…Beh, vediamo…Ne..ne cerca uno in particolare? >> domandò la ragazza, disorientata dalla bizzarra richiesta a quell'ora del mattino.

<< No davvero, solo il più vicino a questo cimitero. >> ribadì lui.

<< D'accordo. Allora il più vicino da qui è senza dubbio il Camploy. Deve mantenere la sinistra per questa via laterale, tempo dieci minuti e lo vedrà senz'altro! >> sentenziò Emily annuendo con la testa.

<< Hmm…Capisco. E, secondo lei, è veramente la strada più breve, quella di sinistra? >>

Quest'ultima domanda che alla ragazza pareva tanto strana quanto insensata quell'uomo l'aveva posta scandendo bene le parole, come se volesse sottoporla ad un indovinello o ad un rompicapo estremamente complesso.

<< S..s..si. Certo che è la strada più breve. Se vuole glie la disegno, così non se la dimentica! >> propose la Emy, temendo che quello strano signore non avesse capito.

<< Le assicuro che non occorre. La ringrazio infinitamente signorina, per il suo tempo. M'é stata di grande aiuto. Le auguro una buona giornata! >> e detto ciò, la salutò con un elegante cenno del capo e tornò sui suoi passi,mettendosi subito in marcia.

<< Signore aspetti! >> gli corse dietro Emy.

L'uomo si arrestò di colpo, senza tuttavia voltarsi. 

La ragazza non osò piazzarglisi davanti e quindi si arrestò al suo fianco, mantenendo una certa distanza.

Per alcuni istanti tra i due aleggiò il silenzio, rotto solo dal persistente e continuo ticchettio della pioggia sull'asfalto. Ad Emily le parole si bloccarono in un punto indefinito tra lo stomaco e la gola.

<< Ha forse qualcosa da aggiungere, signorina? >> disse infine lui, dopo quella che ad Emy parve un'eternità.

<< Volevo solo dirle che i teatri in città non aprono prima delle undici. Sono solo le nove e mezza. >>.

<< Grazie, Signorina. >> le sorrise lui per poi rimettersi a camminare.

<< Ma Signore…Signore si fermi! >> gridò la ragazza con un coraggio inaspettato.

<< Lei…Lei sta sbagliando strada. Sta andando a destra. La via più veloce per il teatro come le ho detto prima è a sinistra! >> concluse lei con voce flebile.

A queste parole l'uomo si voltò e raggiunse la ragazza, rimasta pochi passi dietro di lui.

<< So benissimo cos'ha detto signorina. Ma, se come ha detto il teatro aprirà alle undici ed ora sono solo le nove e mezza, perché mai dovrei prendere la strada di sinistra, se è quella più corta? Le do' forse l'impressione d'essere un uomo che ama le lunghe attese? >> fece lui con calma.

<< Non saprei… Io non la conosco! >> sussurrò la ragazza, intimorita.

A queste parole il signore colmò la poca distanza che c'era tra loro così da trovarsi proprio davanti ad Emily. Con fare delicato le appoggiò una mano sulla spalla e la guardò dritta negli occhi.

Emy si sentiva in trappola. Un magnetismo innaturale teneva ancorati i suoi deboli occhi nocciola a quelli glaciali ed elettrici di quello strano signore.

Le era impossibile staccare lo sguardo da lui. Tutto ciò le ricordava qualcosa..

Un sorriso sghembo ed inquietante si allargò nel viso di quell'uomo e mentre a lei si gelava il sangue nelle vene tanto da non riuscire a muoversi, lui le si avvicinò cautamente all'orecchio e bisbigliando le disse: 

<< Ricorda senza timore il gatto dagli occhi gialli. Non avere paura di fare tardi. Goditi la scena, perché sarà interamente tua. E' una promessa. >>.

La guardò intensamente negli occhi un'ultima volta, per poi voltarsi e con passo spedito e risoluto proseguire verso destra.

Emily era rimasta sbigottita da quelle parole. Come faceva quell'uomo a sapere del gatto? No, non era possibile. C'era solo una spiegazione logica: quell'uomo era matto da legare, suonato, ecco tutto! Dove diavolo era Aleise?! Non le avrebbe perdonato facilmente di averla lasciata sola assieme a quello strambo signore. Eppure c'era qualcosa nei suoi modi…qualcosa di rassicurante e insieme tremendo, che non riusciva a spiegarsi.

"Ah!Sto diventando matta pure io!" pensò Emy preoccupata.

Nonostante ciò, la ragazza non riusciva a smettere di fissare quell'elegante figura allontanarsi.

Stava appunto fissando il lungo cappotto del signore quando vide che da esso ne sbucò da sotto qualcosa. Sembrava un pezzo di carta.

Qualunque cosa fosse, s'adagiò placidamente a terra, senza che il proprietario si voltasse a reclamarlo.

Emily si affrettò a raggiungerlo e subito si chinò ad afferrarlo: non era altro che un pezzo di carta bianco e umidiccio per via della pioggia.

Alzò lo sguardo verso la strada e vide che per terra ce n'era un altro. Sforzando l'occhio riusciva ancora a vedere la figura dell'uomo e subito notò che continuava a perdere fogli, tanto che la strada ne era piena.

Cominciò a raccoglierli, uno dopo l'atro e man mano che andava avanti i fogli si riempivano di parole, dapprima piccole citazioni, poi veri e propri pezzi di libri scritti in diverse lingue. La cosa strana era che non c'era citazione in quei fogli che lei non conoscesse, erano tutti frammenti di libri che lei aveva letto e riletto fino allo stremo.

L'agitazione saliva in lei, ormai di lui non c'era più traccia ma più proseguiva e più fogli trovava.

Non si rese conto di stare girando in torno al cimitero più e più volte. Si limitava a seguire la scia, con la speranza che tutti quei fogli finissero. Aveva le mani gelide piene di carta e nere a causa dell'inchiostro colato da essa per la pioggia. 

Il suo girare era sempre più frenetico fino a quando, esasperata, con un urlo soffocato lanciò in aria tutti i fogli. Si accuccio a terra, si prese le ginocchia e iniziò a piangere silenziosamente. Non erano lacrime di paura. Erano lacrime di rabbia per il fatto di non sapere più cosa stesse succedendo.

E in tutto questo Alease non c'era. Non c'era un'anima con lei. Nemmeno quello strano signore. Per la prima volta aveva perso l'orientamento. La sua bussola infallibile s'era rotta e in quel momento avrebbe soltanto voluto urlare dalla rabbia.

Guardò a terra e vide solamente altri due fogli, posti l'uno davanti all'altro.

Afferrò il primo, allungando semplicemente il braccio. Questa volta vi scorse un disegno e quando lo decifrò rimase senza fiato.

Era il ritratto di uno dei suoi miti del rock, David Bowie, regalatole da una sua amica lontana. Perché e soprattutto com'era finito li per terra?! Era appeso in camera sua, ne era più che certa!

Con crescente curiosità si alzò in piedi per raggiungere l'ultimo foglio. 

Lo fissò per un istante prima di prenderlo. Tutto ciò era a dir poco incredibile. Ecco l'aveva preso, quell'ultimo, dannatissimo foglio mezzo marcito. Lentamente lo girò, trattenendo il respiro. Dal centro due enormi occhi gialli la guardarono e nel medesimo istante i fari di una macchina scura la travolsero, facendola rotolare a terra con ancora il foglio stretto tra le mani. Nel suo frenetico girare e raccogliere non s'era accorta di essere proprio in mezzo alla strada. 

Dal folto parco adiacente al cimitero, apparì nuovamente lo strano signore che con passo deciso ed espressione indecifrabile sul volto raggiunse ben presto Emily, che giaceva a terra, sul ciglio della strada, con la pioggia che le bagnava volto e capelli dandole un aspetto funereo. 

Tre uomini incappucciati uscirono dalla macchina e fecero per avvicinarsi alla ragazza.

<< State indietro.Ci penso io a portarla.Voi aprite le porte dell'abitacolo. >>

A queste parole i tre uomini indietreggiarono. I primi due si risedettero davanti, il terzo invece aprì la porta posteriore della Jaguar nera, quella più vicina a Emily.

LUI intanto aveva delicatamente preso la ragazza tra le braccia ed ora la reggeva, scrutandola apprensivo.

Senza dire una parola riuscì a distenderla dentro l'abitacolo, ricontrollando per l'ennesima volta che respirasse regolarmente. 

<< Tu. Vieni qui. Siediti dietro con lei e fai adagiare la sua testa sulle tue gambe. Assicurati che respiri bene e se si sveglia, non parlarle. Attieniti al piano, intesi? >> aveva spiegato tutto molto lentamente e nonostante il tono pacato l'uomo incappucciato capì che trasgredire sarebbe stato letale per lui e per i suoi compagni.

Fece un segno affermativo con il capo così da far capire a LUI che non sarebbe stato trascurato nulla del piano e che tutte le sue disposizioni sarebbero state prese alla lettera.

LUI diede un ultimo sguardo ad Emily, la testa già adagiata sulle gambe del terzo uomo incappucciato e l'aria sofferta sul volto privo di sensi. Prima di andarsene tolse una foglia rimasta impigliata fra i suoi capelli e le accarezzò lievemente la guancia. Sul suo volto un'espressione statuaria.

<< A più tardi Emily. >> e così dicendo, chiuse la portiera e si dileguò nella pioggia, così come era venuto, mentre la macchina si metteva in moto.

 

Emy aprì leggermente gli occhi. Aveva come la sensazione che una forte luce le illuminasse il volto, dandole un gran fastidio. Era un vero peccato perché, su qualsiasi cosa lei fosse adagiata era davvero comodissima.

Aprì forzatamente gli occhi e scoprì con suo stupore che un uomo dall'aria apprensiva e con un grembiule bianco attorno alla vita era seduto a fianco a lei e le stava puntando addosso una grossa lampada.

<< Mi…mi scusi…Potrebbe abbassare la lampada? Rischio di diventare cieca! >> cercò di dire Emy, la bocca leggermente impastata.

<< Dio santo Bimba! Ti sei svegliata finalmente. Non ti dico che spavento che mi son preso… >> sbottò l'uomo, sinceramente felice di vederla sveglia.

" Bimba?!? Quest'uomo m'ha appena chiamata bimba?! C'è solo una persona a cui permetto di chiamarmi in questo modo…" pensò velocemente Emy, affrettandosi a guardare in volto l'uomo accanto a lei.

"Quarant'anni circa, capelli scuri, occhi nocciola lucidi che sorridono, viso cordiale, voce gentile…e soprattutto..Una somiglianza innaturale col figlio di John Lennon, MA SI! E' PROPRIO LUI!" pensò la ragazza, una volta dissipato ogni dubbio.

<< Julian! Che ci fai qui?! >> gli sorrise Emy, affabile.

<< Io ci lavoro qui! Tu piuttosto, com'é che sai il mio nome? >> disse l'uomo visibilmente sorpreso.

<< No che non lavori qui! Tu lavori al bar di fianco al teatro in cui noi siamo soliti fare tutte le prime dei nostri spettacoli. Quel bar è tuo! Io e Alease veniamo da te quasi ogni giorno! >> gli suggerì allora la ragazza che iniziava a preoccuparsi.

<< Ah ragazza, certo che ne hai di fantasia eh?! Mi ricorderei di una bella bimba come te se ci avessi a che fare tutti giorni! E poi io servo questa casa  come Chef da più di dieci anni, ormai.. Non trovi che sia magnifica questa sala?! E' una delle mie preferite… >>

Quel Julian con una momentanea paralisi cerebrale le fece spostare lo sguardo da lui all'ambiente che la circondava.

Era una sala splendida, illuminata principalmente da un enorme lampadario in cristallo ma anche da diverse e più soffuse lampade sparse elegantemente per l'ambiente.

Un'ampia e decorata finestra si affacciava a quello che pareva a tutti gli effetti un chiostro interno, tenuto a regola d'arte.

Tutte le pareti della sala erano affrescate da dipinti romantici ottocenteschi e diverse poltrone e divani foderati di rosso (in uno dei quali v'era adagiata lei stessa poco prima) aiutavano a rendere la sala ancora più accogliente.

Una porta sulla destra, poco distante dall'imponente finestra, portava al bagno, mentre le due porte centrali in mogano poste l'una opposta all'altra, erano entrambe sbarrate.

V'era un'altra porta sulla sinistra, e non appena Emy mise un piede in quella direzione, Julian subito la interruppe.

<< No no no no no! Quella è off limits per tutti fuorché per me! >> enunciò lui con finta solennità.

<< E perché off limits? >> chiese la ragazza incuriosita.

<< Ma perché ci sono le cucine, è ovvio! Ed io non voglio che gli ospiti del padrone vaghino per le cucine. Sai che figura che ci faccio! >> sbottò lui sgranando gli occhi.

A Emily in una situazione normale sarebbe sicuramente venuto da ridere, guardando la faccia di Julian ma sul suo volto in quel momento c'era il vuoto. Aveva talmente tante domande. Cos'era quel posto? E come mai tutte le porte erano bloccate tranne il bagno e le cucine?!

<< Senti Julian… >> iniziò lei, titubante.

<< Dimmi bimba! Non ti mangio mica eh! >> rise l'uomo strizzandole l'occhio.

<< Ehm…Mi c'hai portata tu qui?! >> suggerì lei.

<< Se ti c'ho portata io?! Ma sei pazza?!Io non esco mai di qua, figurati se vengo a pescarti la fuori! E' il padrone che decide chi fare entrare in casa, quindi penso che sia stato lui a portartici. Io t'ho solo trovata sul divano e m'è stato detto di accoglierti nel migliore dei modi, assicurandomi di farti avere tutto ciò che ti serve! >> raccontò Julian.

<< Ciò è molto carino da parte tua…e da parte sua..Ma, il fatto è…che io non lo conosco, capisci?! >> fece Emy esasperata.

<< Ah ma lo conoscerai..Voi tutti lo conoscerete. Te sei solo la prima dei tanti ospiti che alloggeranno qui! >> la informò lui, entusiasmato.

<< Ospiti…Alloggiare qui?! E chi lo dice ai miei?! Julian, capiscimi devi farmi uscire, io non ho il permesso di stare qui. Non so neanche come ci sono arrivata! >> sospirò la ragazza, sempre più sconsolata.

<< Ma io non posso farti uscire! Le chiavi mica le da' a me il padrone… >> fece Julian con fare pensoso per poi riprendere subito il suo entusiasmo.

<< Dai bimba, siediti qui. Questa è la poltrona più comoda, te l'assicuro io e visto che sei arrivata per prima io la assegno a te. Vedrai che tra poco arriveranno anche gli altri! Intanto aspettami qui che vado a prepararti una bella tazza di té caldo, così ti riscaldi quelle mani gelide. Già che ci sono ti porto anche qualche dolcetto..Ah li devi sentire i miei dolci…Sono una delizia! >> e detto questo si diresse allegro verso la cucina, cantando un motivetto sconosciuto e lasciando Emily sola nel salone.

Non aveva idea di come fosse finita li dentro e non si spiegava come mai Julian non si ricordasse ne di lei, ne del suo locale. Era tutto molto strano..

Era stata rapita forse? Dal padrone di quella sottospecie di reggia? Ma chi poteva mai essere?!

La sua attenzione fu d'un tratto catturata da un enorme cuscino, rosso esattamente come gli altri ma almeno tre volte più grande.

Si allungò per afferrarlo ed in men che non si dica lo strinse a sé come se fosse la sua unica ancora di salvezza.

Mentre lo stringeva la sua guancia cozzò con un affarino piccolo di metallo che si rivelò essere la cerniera della fodera rossa, cosa strana dato che tutti gli altri cuscini non avevano quella particolare cerniera ma la fodera era stata semplicemente cucita sopra il cuscino.

Con crescente curiosità Emy aprì la cerniera e tolse la fodera rossa all'enorme e soffice cuscino. Quello che vi vide sotto, fu sconvolgente.

Sul cuscino v'era dipinto il bosco dalla flora variegata illuminato dalla flebile luce lunare. Al centro v'era , come nel disegno da lei fatto quella mattina, lo smilzo gatto nero dagli enormi e ipnotici occhi gialli.

Istintivamente strinse il cuscino a se, come se avesse vita propria.

Almeno una cosa l'aveva capita: Sapeva chi era il padrone di casa.

 Voleva delle risposte da quello strano signore. Cosa voleva da lei e come mai sapeva così tante cose sul suo conto?!

L'avrebbe aspettato li. D'altronde, aveva forse altra scelta?!

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ANGOLO AUTRICE

Salve a tutti, lettori e lettrici!

Sono le 5.06 del mattino e sono dietro a questo capitolo dalle undici circa!

So che è parecchio lungo, ma dovevo assolutamente completare tutto il rapimento di Emily, in primis perché è uno dei personaggi più importanti della storia e poi perché il prossimo capitolo sarà dedicato al secondo personaggio rapito!

Sto investendo in questa storia quel poco di energie e tempo libero che mi restano, quindi come al solito per qualsiasi dubbio, lamentela o consiglio vi venga in mente (se mai vi venisse in mente), scrivetemelo pure senza timore alcuno. :D

Un grazie a chi ha iniziato a leggere questa storia (siete pochi ma ci siete!:D ) e per chi l'ha recensita (Blue Jay Way <3) e spero di non scoraggiare i valorosi con questo capitolone biblico!

Un grosso bacio ed a prestissimo (spero)!

Con affetto (cit. Blue Jay Way),

Lady Madonna.

  
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