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Autore: CowgirlSara    28/11/2012    2 recensioni
L'amicizia è un incontro di affinità. Una mano che ti sorregge. Una parola che ti da forza e fiducia. Un posto dove tornare. Un contatto umano. E ne hai tanto più bisogno quando sei un bambino solo che viene addestrato per diventare un Cavaliere.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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human touch
Secondo e ultimo capitolo di questa breve fic. Mi rendo conto che non sia chissà quale capolavoro, però mi aspettavo qualche commento in più, visto che l’avete letta in tanti…
Vabbè, la prossima volta m’impegnerò di più, ora vi lascio alla lettura.

Le canzoni usate – senza alcun scopo di lucro – sono “Hungry heart” di Bruce Springsteen e “Blood on blood” dei Bon Jovi.

Capitolo 2

Everybody needs a place to rest
Everybody wants to have a home
Don't make no difference what nobody says
Ain't nobody like to be alone

Era un pomeriggio di primavera limpido come solo in Grecia poteva essere. Camus si era seduto su un gradone, all’ombra della cresta di roccia che sovrastava la grande scala della biblioteca e si godeva la brezza profumata di oleandri. Milo se lo trovò davanti mentre correva giù.
“Hey!” Lo bloccò il cavaliere. “Dove vai di corsa?”
“Sono in ritardo per l’addestramento, non voglio essere punito di nuovo.” Rispose il ragazzo.
Camus si alzò lentamente e si stirò, con le braccia in alto, assumendo una posizione che lo faceva sembrare un arco teso.
“Sei giustificato, mezza sega.” Gli disse, voltandosi con un sorriso furbo. “Oggi, allenamento speciale con me.” Aggiunse.
“Oh, no.” Fece Milo scrollando il capo. “Non ti è bastato seppellirmi sotto ai libri?”
“Andiamo.” Gli ordinò l’altro, ignorando la domanda. “Non ho detto che ti farò sudare.”
“E allora, cosa?” L’interrogò l’allievo, improvvisamente interessato, mentre lo seguiva giù per le scale. Camus ridacchiò.
“Hai fame?” Gli chiese, evitando ancora di dargli informazioni.
“Ho sempre fame…” Mormorò Milo abbacchiato. “…ma non ho un soldo…”
“Pensi che ce ne sia bisogno?” Fece Camus con tono cospirativo. Lui lo fissò perplesso.
Milo capì il significato delle parole di Camus quando arrivarono al mercato del villaggio. Quando il cavaliere chiedeva qualcosa, gli veniva data senza chiedere pagamento e tutti lo riverivano, diventando improvvisamente collaborativi e chiamandolo “venerabile”.
“Perché fanno così?” Domandò Milo, quando, con la loro scorta di focaccia, formaggio e frutta, si erano seduti su un muretto all’ombra di una macchia di alberi.
“Perché sono un Cavaliere.” Rispose Camus, addentando un pezzo di pane.
“E questo basta perché tutti ti lecchino i piedi?” Il tono era curioso, mentre fissava l’amico e masticava il nuovo boccone.
“Beh, al villaggio tutti sanno che i Cavalieri sono la massima autorità del Santuario, dopo il Gran Sacerdote.” Spiegò Camus.
“Ed è sufficiente a chiamarti venerabile?” S’informò, pronunciando pomposamente l’ultima parola. Camus rise.
“Quello dipende dall’importanza che hai.” Rispose poi.
“Però, a noi hanno spiegato che è tipo un segreto.” Affermò Milo. “I Cavalieri non possono rivelare quale sia il loro grado, la casta di appartenenza e la costellazione.”
“È così.” Confermò l’altro annuendo. “Ma ciò non toglie che si sa, non di preciso, non direttamente, però si sa qual è l’importanza di certo Cavaliere.”
“Quindi tu sei uno di quelli importanti…” Ipotizzò maliziosamente il ragazzo.
“A quanto pare.” Rispose vago il più grande.
“E non puoi proprio dirmelo?”
“Tu non sei un Cavaliere e, a dire il vero, se ne parla poco anche tra di noi.” Disse Camus.
“Ma tra poco lo diventerò!” Esclamò Milo.
“Quanta fretta!” Sbottò l’altro. “Come minimo ti ci vorranno ancora tre anni e poi… non è detto.”
“Pensi che non ce la farò?” La domanda del ragazzo risultò un po’ incerta, dubbiosa.
“Non l’ho mai pensato di te, però…” Rispose gentilmente Camus. “Le armature disponibili sono molte meno, rispetto agli allievi in addestramento, sarà molto dura Milo, non te lo posso negare.”
Il volto del ragazzo si fece pensieroso, mentre fissava una fontanella di fronte a loro. I suoi occhi chiari si persero tra la terra battuta della strada ed i ciuffi d’erba rada e già secca.
“Ti hanno mandato in un posto molto brutto, per l’addestramento finale?” Gli chiese infine.
Camus s’intenerì, ripensando a quanto era dura essere un bambino solo e con nessuno che risponde a tutti quei dubbi. Lui avrebbe voluto avere qualcuno che gli spiegasse com’era diventare un cavaliere. Milo era fortunato, ora ce l’aveva. Alzò una mano e gliela posò sul capo, in una carezza ruvida, lui guardò il suo sorriso solidale con speranza.
“Orrendo.” Confessò con leggerezza. “Gelato, inospitale e ostile… e con un Maestro che era una vera merda, pace all’animaccia sua.”
“E come hai fatto a resistere?” Domandò accorato Milo. “Io odio il freddo…” Aggiunse allarmato.
Camus ridacchiò. “È stato proprio grazie al freddo.” Raccontò quindi. “È diventato parte di me, mi ha reso forte, più del mio Maestro ed un giorno lui… non ha potuto colpirmi più.”
“Davvero?!” Fece allora il ragazzo, improvvisamente entusiasta.
“Sta tutto a noi, Milo, alla nostra volontà ed a quanto siamo bravi a richiamare il potere delle stelle.” Spiegò Camus. “Io ero stato mandato là per un’armatura e sono tornato con un’altra.”
“È possibile questo?” S’informò cauto il ragazzo, a lui avevano detto tutt’altro.
“Sono Loro che ci scelgono, ricordalo.” Dichiarò il cavaliere. “Le Armature Sacre hanno un’anima e sanno chi è più degno di ricevere il loro potere.”
“Ci dicono tante cose, alle lezioni e me ne ha dette anche Nikolais, però…” Commentò Milo, sempre con espressione assorta. “…sembrano sempre delle favole assurde…”
Camus gli posò una mano sulla spalla e strinse un po’, per attirare la sua attenzione. Lui lo guardò. “Lo pensi perché sei un ragazzo intelligente, i dubbi sono normali in chi ha cervello.” Gli disse rassicurante. “Non rinunciare mai ai tuoi dubbi, ma fidati del potere delle stelle.”
Milo sorrise. “Sto imparando a riconoscere la sensazione del cosmo.” Gli confessò poi.
“Bene.” Fece Camus colpito. “Molto bene.” Aggiunse orgoglioso.
“È strano, percepirlo.” Affermò Milo.
“Già.” Annuì l’altro. “Mai quanto lo sarà indossare un’Armatura.”
“Com’è?” Domandò l’allievo, genuinamente curioso, sporgendosi verso di lui. Camus sorrise storto, poi guardò il cielo.
“È puro potere.” Dichiarò rapito. “È dolore e piacere, adrenalina, ma soprattutto è completezza.” Descrisse, sempre guardando in alto. “Quando l’ultima cerniera si chiude sul tuo corpo e Lei si adatta a te, ecco, in quel momento ti senti veramente completo.”  
Milo lo osservava colpito. Nessuno dei suoi maestri gli aveva mai parlato così della propria armatura, eppure anche loro dovevano possederne una. Si era sempre chiesto cosa si provasse con quelle corazze di metallo addosso, specie quelle poche volte che gli era capitato di vedere un guerriero portarla. Camus, però, ne parlava come se fosse una cosa viva, quasi una persona e che la sensazione di indossarla fosse un’esperienza stupenda. Forse valeva davvero la pena di tutta quella fatica, se il risultato era così.

°°°°°

Elettra era seduta davanti a lui e lo fissava, apparentemente ignorando che la cameriera le aveva messo davanti il suo piatto.
Era raro che uscissero a cena, prima di tutto perché alla ragazza non piaceva lasciare Alexi e poi perché poteva essere piuttosto pericoloso incrociare qualche scagnozzo del Gran Sacerdote. Restare nel centro di Atene, però, limitava almeno questa seconda possibilità; non erano molti, difatti, gli abitanti del Santuario ad uscire abitualmente dalla cerchia del Tempio.
Tornando alla situazione attuale, dunque, Camus era piuttosto a disagio sotto l’indagatore sguardo turchese di Elettra. Che cavolo aveva da fissarlo così? Gli era spuntato un brufolo?
“Che c’è?” Chiese infine scocciato il cavaliere, prima di affondare la forchetta nei suoi ravioli.
“Sei un po’ sparito, ultimamente.” Fece la ragazza, mangiando il primo boccone.
“Voi Niakros siete fissati con la mia presunta latitanza…” Commentò acido lui.
“Non è quello, sei sempre stato misantropo.” Riprese Elettra tranquilla. “Ma nelle ultime due settimane, ti sei fatto vedere solo un paio volte, prima eri sempre da me, me ne chiedevo il motivo.”
Stavolta fu Camus a fissarla. Il suo lungo orecchino con una goccia brillante luccicò, quando lei scosse piano la testa bionda.
“Puoi dirmelo, se frequenti qualcuno…” Continuò Elettra, con tono casuale.
“Non frequento nessuno.” Rispose lui. “Non nel senso che credi tu.”
La ragazza alzò gli occhi dal piatto e lo scrutò per un lungo attimo. Non le piaceva sentir raccontare a Camus delle sue avventure galanti, era una cosa che la infastidiva profondamente. Ma questo… questo sembrava diverso e non per il sorriso divertito che era nato sulle belle labbra dell’amico.
“No?” L’interrogò quindi, curiosa.
“Sai, l’addestramento?” Ribatté subito lui.
“So che lo odi.” Affermò compita la sacerdotessa, prendendo un altro raviolo.
“Beh, però ho conosciuto questo ragazzino che…” Elettra sollevò improvvisa gli occhi su di lui, stupita, con ancora la forchetta tra le labbra. “Ora non farti venire idee strane, so come lavora quella tua pazza testa!” Sbottò allora il ragazzo. Lei deglutì e si pulì la bocca.
“Allora spiegami.” Lo incitò con un cenno del capo.
“È uno degli allievi del corso superiore.” Spiegò Camus, con un sorriso sghembo. “Ha veramente delle potenzialità, ma è un bastardello con la lingua troppo pronta e la testa troppo indipendente.”
“Mi ricorda qualcuno…” Commentò divertita la ragazza.
“Anche a me.” Fece lui sorridendo. “Ho dovuto punirlo e l’ho spedito a fare da assistente a tuo padre.” Aggiunse soddisfatto.
“Ah…” Fu il commento sorpreso di Elettra, poi gli sorrise con furbizia. “Quindi ti stai prendendo cura di lui…”
“Beh…” Soffiò imbarazzato Camus, deviando lo sguardo. “So cosa vuol dire essere soli, non avere nessuno a cui chiedere un consiglio, o che ti conforti dopo una brutta giornata…” Elettra, allora, gli sorrise con calore e dolcezza. “Volevo che avesse una possibilità, come l’ho avuta io.”
La ragazza allungò una mano e prese la sua. “A quanto sembra, anche se si deve scavare un po’, sotto tutto quel ghiaccio siberiano, anche il Signore delle Energie Fredde ha un cuore.”
“Smettila.” La pregò lui, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, lo vedo! Basta grattare ancora un altro po’!” Insisté lei, troppo divertita.
Camus, però si fece serio, girò la mano e strinse quella morbida e bianca di Elettra, poi la guardò negli occhi con intensità.
“Lo sai che ho un cuore.” Le disse con tono profondo. “Meglio di tutti, lo sai.”
Lei gli sorrise. “Certo che lo so.” Replicò tranquilla. “Sei il mio Cavaliere, sarei persa senza di te.”
Camus sperò con tutto se stesso che fosse vero, che lei non avesse detto questo anche a lui, di essere rimasto sempre – e per sempre – il suo unico cavaliere. Quello che l’avrebbe salvata davvero.
“Me lo fai conoscere?” Chiese la voce di Elettra, riportandolo alla realtà.
“Chi?” Fece lui confuso.
“Il tuo nuovo amico.” Rispose lei ovvia.
“Non credo proprio!” Sbottò Camus negando col capo.
“Perché?” Domandò la ragazza delusa.
“Ha visto una tua foto ed ha detto che non sembri vera.” Raccontò infastidito il cavaliere.
“Oh, ma che carino!” Esclamò estasiata Elettra. “Quanto è dolce.”
“Vedi?” Soggiunse lui, indicandola con un gesto. “È bastato questo ad innescare il tuo istinto materno, che farai quando vedrai il suo bel faccino ed i suoi occhioni azzurri?”
“Per quanto io sia lusingata dalla tua gelosia, Jean.” Replicò tranquilla la ragazza, appoggiandosi alla spalliera imbottita della sedia. “Quanti anni ha questo ragazzo? Undici, dodici?”
“Dodici.” Rispose vago Camus. Elettra sorrise retorica.
“Capisco tu creda che la mia continenza sia innaturale, ma da qui a concupire un dodicenne ce ne passa, Jean.” Affermò poi, sarcastica. Lui sbuffò infastidito e lei rise.
“Scherzaci, ma diventerà bellissimo.” Biascicò il cavaliere.
“Ci crederò!” Rise ancora la ragazza.
“Quanto alla tua continenza…” Riprese Camus, con tono fintamente disinteressato.
“Hm?” Fece lei.
“Potresti superarla facilmente…” Continuò lui, fissandola negli occhi con uno sguardo più che eloquente. “…se solo lo volessi.”
“Oh, ti prego!” Glissò Elettra, ignorando il palese invito. “Preferisco ordinare un dessert con molto cioccolato, dicono che sia sostitutivo…”
Ecco, rimpiazzato da un Chocolate Fudge Cake*… E dire che le altre facevano la fila per lui…

°°°°°

L’allenamento del mattino era appena finito e Camus aveva tutta l’intenzione di portare Milo a mangiare la deliziosa zuppa di fagioli, funghi e melanzane che facevano all’osteria del villaggio.
Si fermò fuori dalla recinzione, osservando i ragazzi che si lavavano il viso nella lunga fontana di pietra. Milo lo vide e lo salutò con la mano, lui rispose allo stesso modo.
“Te lo stai tirando su bene, il ragazzino, eh?” Fece una voce antipatica alla sua sinistra. Camus si girò e vide la faccia di Death Mask ghignare ad un passo dal suo viso.
“Fatti i cazzi tuoi.” Gli rispose, prima di tornare a guardare il campo.
“Oh, come siamo permalosi!” Sbottò l’altro, con fastidioso divertimento. “Volevo solo dirti che te lo sei scelto bene, è carino ed ha un bel culetto…” Continuò, lascivo. “Se te lo lavori bene, in un annetto te lo da.”
“Adesso basta.” S’impose Camus interrompendolo; si era girato verso di lui con sguardo minaccioso. “Stagli lontano, non è roba per te.” Gli sibilò in faccia.
“Chi te lo tocca!” Replicò lui, sempre con un sorrisetto irritante. “Ho già fatto acquisti, io.”
“Non sono capi di bestiame, Mask.” Affermò serio Acquarius.
“Quanto siamo sensibili…” Commentò sarcastico. “Il pidocchio è capitato bene.”
Camus decise, per la propria sanità mentale e la buona pace tra i cavalieri, che era meglio ignorare la meschinità di Death Mask. Tanto più che Milo si era avvicinato. Diede le spalle all’altro cavaliere e si rivolse con sguardo serio all’allievo.
“Vieni Milo, andiamo a mangiare.” Lo invitò, spingendolo delicatamente avanti a se. Mask, nel frattempo, ridacchiava malignamente.
“Che vuole quello stronzo?” Domandò il ragazzo.
“Zitto!” Gl’intimò Camus a bassa voce. “Stagli lontano e tappati la bocca, non è la persona giusta per essere arrogante.” Aggiunse serissimo.
“Quello è un sadico, sapessi cosa ci fa fare, quando dirige l’allenamento…” Disse Milo.
“Ascoltami.” Proclamò Acquarius, fermandosi e prendendolo per le spalle, una volta lontani da Mask. “Qualunque cosa succeda, ti prego, ti prego, non metterti mai contro di lui, è troppo pericoloso.” Gli disse, con un’espressione che non fece dubitare a Milo nemmeno per un attimo che non dicesse la verità. Annuì convinto.

La zuppa era stata veramente deliziosa, col formaggio filante ed il sapore delle spezie, una delle cose più buone che Milo avesse mai mangiato. Del resto, era abituato alla mensa degli allievi…
Camus, al ritorno, aveva deciso di percorrere una strada diversa, all’interno del bosco, lungo il crinale est. Era certamente più fresca, ma Milo era preoccupato per il posto in cui passava.
“C’è il campo d’addestramento delle femmine, di qua.” Disse al cavaliere.
“Ah, sì?” Rispose lui con tono malizioso.
“Ehm… credo che sia abbastanza proibito…” Tentò ancora il ragazzo.
“Non per me!” Esclamò allegramente Camus.
“Ah, già, tu sei il venerabile Camus.” Commentò lugubre Milo.
“Eh, sì!” Gongolò l’altro.
“Ma io no!” Sbottò il più giovane. “Mi faranno un culo così, quando lo scopriranno!”
Camus si girò verso di lui, con espressione rassicurante. “Non temere, sei con me, so quello che faccio, non corri rischi.”
Milo, ancora poco convinto, continuò a seguire l’amico, finché non giunsero ad una radura dove era stato costruito un grande recinto in legno. Due casupole di mattoni erano, invece, al limitare dell’area. Le ragazze erano in pausa, infatti non ce ne erano molte nei dintorni del recinto e tutte con la maschera d’ordinanza.
I due ragazzi passarono vicino ad un gruppetto. Loro salutarono il cavaliere con un cenno del capo molto rispettoso e lui rispose con un sorrisetto vomitevole – almeno secondo il giudizio di Milo. Quando le ebbero sorpassate, quelle parlottarono tra di loro e risero come galline.
“Le ragazze sono veramente stupide.” Commentò Milo, quando furono quasi dall’altra parte.
“Oh, no, non dire così!” Esclamò deluso Camus.
“Insomma, cosa hanno da ridacchiare sempre e fare le cretine?” Insisté l’allievo.
“Datti tempo, un anno o due, e le ragazze ti sembreranno improvvisamente molto interessanti.” Gli rispose l’amico, mentre continuavano a camminare.
“Ho i miei dubbi…”
“Aspetta che ti crescano i peli pubici e cambierai idea.” Fece Camus con un sorriso sghembo. Milo fece una smorfia.
“Sarà…” Biascicò. “Tu perché hai sorriso in quel modo a quelle tipe?” Chiese poi. Camus gli sorrise ammiccante.
“Beh, si gettano degli ami, sai com’è…” Rispose poi, con noncuranza. “…se uno vuol pescare…”
“Ma non eri fidanzato?” La domanda colse di sorpresa Camus, che guardò il ragazzo con la fronte aggrottata.
“Io? No davvero, sono libero come l’aria.” Affermò quindi.
“E Elettra?” Fece Milo, senza sapere cosa poteva causare quell’interrogativo.
Camus si fermò, come colpito da qualcosa. Milo era dietro di lui e lo vide prendere un lungo respiro, poi il cavaliere si voltò a capo basso e sedette su un tronco.
“Non è la mia ragazza, Milo.” Dichiarò infine, senza guardarlo.
“Io credevo di sì, da come hai guardato la sua foto…” Replicò intimidito lui.
“È… complicato.” Confessò Camus. “Lei aveva un fidanzato, che è morto… ha molto sofferto per questo e…” Tentò di spiegare.
“Ma sei innamorato di lei?”
Camus sollevò di scatto il capo, con gli occhi spalancati. Era l’innocenza che aveva involontariamente colpito dove faceva più male. Questo ragazzino è un chirurgo del dolore…
“Io…” Provò Camus, ma poi cambiò discorso, abbassando di nuovo il viso. “L’amore è un’illusione Milo. Passi la vita a dirti che potrai amare solo lei, che è perfetta, è quella che terrà insieme la tua vita, ma poi… poi scopri che non è lo stesso per lei e allora puoi solo uscire dal mondo dei sogni.”
Milo lo fissò perplesso per qualche secondo, poi incrociò le braccia, fece una smorfia un po’ sdegnata e scosse la testa.
“Senti, io non mi sono mai innamorato, però…” Esordì con tono goffamente saggio. “Se questo tizio è morto, non capisco perché ti fai tutte queste paranoie.”
Camus scrollò le spalle sconsolato. “È complicato, te l’ho detto!” Commentò arreso.
“Cosa c’è di complicato? Tu sei vivo, lei è viva, l’altro è morto.” Ribatté pratico il ragazzo. “Dovresti dirle che ti piace, al massimo ti manda a quel paese.” Aggiunse con un’alzata di spalle.
“Tu non la conosci!” Sbottò il cavaliere. “Mi ha preferito un dolce al cioccolato!”
“Allora sei sfigato.” Sentenziò il ragazzino.
“Fanculo!” Esclamò Camus con un sorriso allibito. “Mi sto facendo dare consigli da un dodicenne che non s’è ancora mai fatto una sega!”
“Beh, se sei sfigato mica è colpa mia!” Affermò compito Milo.
“Santi Numi!” Borbottò Camus. “Andiamo, e spero che Mask ti faccia un culo come una rosa, nell’allenamento del pomeriggio!” Aggiunse esasperato, mentre spingeva un ridacchiante Milo per la nuca.

°°°°°

Le ancelle erano sempre le sue preferite. Il loro era un ruolo fondamentale, al Santuario. Fornitrici da secoli di servizi indispensabili ai cavalieri. E poi portavano quei pepli pieni di pieghe e panneggi, ma spesso sotto non avevano niente…
“Scusa, ma non credo di ricordare il tuo nome.” Mormorò Camus alla ragazza spalmata su di lui.
“Non fa niente, mio signore, sono qui per servirti…” Rispose lei lasciva.
Il ragazzo sorrise e spostò una gamba per farla aderire di più al proprio corpo. Ecco un’altra cosa che adorava delle ancelle: non avevano pretese e non facevano domande.
Questa era arrivata una mezz’ora prima, probabilmente per le solite faccende nelle stanze private di Acquarius, ma quando lo aveva visto uscire dal bagno con addosso solo un asciugamano, il suo sguardo si era dimostrato molto interessato a ben altro. E lui non era uno che sprecava le occasioni.
Le fece scendere le spalline della tunica e percorse con le mani la sua schiena liscia e magra, mentre lei gli leccava e baciava devotamente il collo. Camus si lasciò sfuggire un sorrisetto storto, mentre le passava le mani sul petto. Hm, tette piccole, quasi inesistenti, non molto il suo genere. La ragazza affondò le mani dietro di lui, fino alle natiche, sfilandogli l’asciugamano da sotto.
“Oh, mio signore! Il tuo corpo merita tutta la mia devozione!” Esalò la donna, prima di cominciare a lasciare una scia umida di baci lungo il suo petto, l’addome, fino a parti molto piacevoli…
Camus sorrise ancora, furbo, poi si lasciò andare ad un sospiro di piacere, quando lei cominciò ad usare la bocca non più per pronunciare idiozie.
Ma fu in quel momento che bussarono pesantemente alla sua porta. Il cavaliere roteò gli occhi, infastidito, mentre la ragazza sollevava il viso dal suo inguine e lo guardava interrogativa.
“Cosa c’è?” Sbottò scocciato Camus.
“Ti mandano a chiamare dal campo di addestramento, mio signore.” Riferì il ragazzo dietro la porta.
Camus sbuffò esasperato. L’ancella era ancora stesa su di lui e non sembrava minimamente intenzionata a mollare la presa sui suoi glutei marmorei.
“Ho già fatto il mio dovere, oggi, togliti dai piedi!” Ordinò al valletto. “E tu: continua…” Disse alla ragazza, a bassa voce. Lei annuì entusiasta.
“Mi hanno detto che è urgente, uno dei ragazzi sta male ed ha chiesto di te.” Insisté però il ragazzo.
Quelle parole ebbero il potere di scuotere Camus. Bloccò di nuovo l’ancella, prima che tornasse alla sua ludica attività e si tirò meglio a sedere sul letto.
“Milo?” Interrogò preoccupato.
“Sì, Venerabile Camus.” Rispose il valletto.
Il cavaliere non perse tempo, scostò la giovane ancella e balzò giù dal letto, in tutto il suo nudo splendore. Lei sospirò delusa. Lui, nel frattempo, saltellava col sedere al vento cercando d’infilarsi i calzoni di una tuta grigia, poi prese una maglietta blu.
“Portami lì.” Ordinò al valletto. Quello, poco più che un bambino, si era incantato a fissare la ragazza seminuda distesa sul letto che lo salutava con un sorriso ironico. “Imparerai domani cosa sono un vero paio di tette.” Sbottò Camus impaziente; il ragazzino sussultò e gli corse dietro.

La baracca in cui dormivano gli allievi era una costruzione bassa e lunga, con una fila di finestre dalle persiane sgangherate. Non era accogliente e nemmeno calda d’inverno, ma le intemperie erano uno dei prezzi da pagare se vuoi diventare un cavaliere.
Camus si avvicinò prima alla casupola dei custodi, fuori dalla quale aveva riconosciuto la figura severa di Shura, evidentemente il cavaliere di turno.
“Ti ho fatto chiamare solo perché so che ci tieni.” Gli disse subito Capricorn, mentre lui non si soffermava, costringendolo a seguirlo verso il dormitorio. “Non sarebbe la procedura…”
“Me ne sbatto!” Esclamò Camus, continuando a camminare. “Cosa è successo?” Chiese quindi.
“Oggi l’allenamento è stato particolarmente duro, lo dirigeva Death Mask…” Spiegò Shura con tono amaro. “Ho una decina di ragazzini in infermeria, un paio… forse non ce la fanno.”
“Merda.” Imprecò Camus, soffermandosi un attimo nei pressi della baracca grande. “Milo perché non è in infermeria?”
“Stava bene, quando sono arrivato io.” Rispose l’altro. “Poi gli è venuta la febbre.”
“Potrebbe avere un’emorragia interna, cazzo!” Gli sbottò in faccia Acquarius.
“Chi di noi non ne ha avuta una?” Replicò controllato Shura.
“Vaffanculo.” Ringhiò Camus, spalancando la porta ed entrando nel dormitorio.
Due file di vecchi letti di legno con materassi imbottiti di foglie di granturco erano disposti lungo le pareti, divisi ogni tanto da qualche tenda improvvisata. Le cassapanche maltrattate dal tempo e qualche sedia di paglia erano tutto il resto dell’arredamento. In fondo, un arco conduceva alle latrine, l’unico modo in cui si potevano chiamare quegli orridi gabinetti.
Circa a metà della parte di sinistra c’era il letto di Milo. Il ragazzo era steso supino e respirava male. L’unica luce era una candela consumata sul traballante comodino.
Camus si sedette sul bordo del letto ed osservò l’allievo. Aveva il volto tumefatto: un grosso, brutto livido prendeva tutto l’occhio destro e lo zigomo, le labbra spaccate, l’altro occhio gonfio e rosso, il naso incrostato di sangue. Anche le mani, sopra la coperta, erano piene di escoriazioni. E poi… il respiro era affannoso e rantolante. Gli posò pianissimo una mano sulla fronte, scottava.
“Milo.” Lo chiamò delicatamente.
Lui aprì lentamente l’occhio più sano e gli sorrise appena. “Camus…”
“Shh, va tutto bene, ci penso io.” Lo rassicurò il più grande, prima di stringergli una mano nella propria; quindi prese un lungo respiro e si alzò, diretto verso Shura.
Lo trascinò lontano dal letto del ragazzo, in un angolo e lo guardò negli occhi risoluto.
“Chiedo la procedura speciale, per Milo.” Gli disse.
“Non te lo affideranno mai, sei un Gold Saint e non sai quale missione…” Ribatté l’altro; lui lo prese per un braccio, interrompendolo.
“A me no, ma conosco qualcuno a cui non lo negheranno.” Affermò sicuro. “E ora lo porto via con me.” Aggiunse e, senza ascoltare repliche, tornò verso il letto di Milo.

°°°°°

Era quasi l’alba. Camus si appoggiava inquieto al muretto delle scale, mentre Nikolais era in piedi, a qualche passo da lui, con le braccia incrociate. La porta della camera si socchiuse ed entrambi si voltarono di scatto in quella direzione.
Un giovane dai corti capelli biondi uscì nel corridoio, il bel viso contratto in una smorfia seria. Sospirò e posò la propria borsa professionale sulla consolle di legno scuro alla sua destra.
“Come sta?” Domando preoccupato Camus, mettendosi in piedi. Nikolais gli si era avvicinato.
“Quando la smetterete con tutto questo schifo?” Replicò invece il medico. Il ragazzo si ritrasse colpito. “C’è qualcosa per cui valga veramente la pena di ridurre così un bambino?”
“Ci… ci siamo passati tutti… e siamo qui.” Fu l’unica cosa che riuscì a balbettare il cavaliere.
“Pensa a tutti quelli che invece non ci sono, Jean.” Dichiarò l’altro.
“Aristoteles…” Lo bloccò Nikolais, con tono severo.
“Padre.” Fece lui, rivoltò all’uomo. “Quel ragazzino è ridotto male, non ha un’emorragia interna per puro miracolo, ha almeno cinque costole rotte!” Sbottò contrariato. “Una spalla lussata, così come il polso destro e l’occhio… andrà bene se ci vedrà ancora.”
Camus chinò il capo sentendosi terribilmente colpevole. Era difficile che lui si sentisse inferiore a qualcuno, ma Ari aveva dieci anni più di lui, era un chirurgo ed aveva scelto volontariamente di lasciarsi alle spalle la vita del Santuario. Una scelta coraggiosa che lui gli aveva sempre ammirato. E poi, somigliava così tanto a Elettra.
“Sono pratiche incivili anche per un posto come questo…” Continuò il medico; Camus, finalmente, stava per rispondergli per le rime, ma intervenne Nikolais.
“Adesso basta, Ari.” Disse al figlio. “Hai infierito abbastanza, lascialo andare dal suo amico.” Aggiunse, indicando il cavaliere con un cenno. Aristoteles prese un lungo respiro.
“Vai, ma non farlo stancare.” Incitò poi, con un gesto distratto. Camus si diresse subito alla porta di quella che era stata la sua stanza. “Io devo fare delle prescrizioni…”
“Andiamo di sotto.” Suggerì il padre e scesero insieme le scale.

Poco dopo, seduti al tavolo della cucina, Nikolais ed il figlio stavano in silenzio, mentre quest’ultimo scriveva le prescrizioni per curare Milo. L’unico rumore erano le stoviglie che Danae usava già per preparare la colazione.
“Sei stato duro con lui, Ari, non è colpa sua.” Esordì l’uomo, osservando il figlio scrivere le ricette con la sua grafia orrenda da dottore.
“Non mi è mai piaciuto quello che succede qui, lo sai.” Ribatté l’altro, senza alzare il capo.
“Infatti non ti ho mai impedito di andartene.” Gli ricordò il padre. Lui smise di scrivere e buttò la penna con un sospiro esasperato.
“Quello che non capisco è perché voi non ve ne andate.” Sbottò quindi, guardando negli occhi Nikolais; lui rimase calmo.
“Noi non possiamo.” Affermò ineluttabile il custode della biblioteca.
“Oh, adesso non venirmi a fare i soliti discorsi sul destino, la chiamata degli dei e la difesa della giustizia! Li ho già sentiti!” Esclamò battendo la mano sul tavolo, cosa che fece sobbalzare Danae. “A che cosa sono serviti, eh?”
“Aristoteles…” Cercò di bloccarlo Nikolais.
“Guarda Jean, te lo ricordi quando è arrivato qui? Era solo un bambino innocente e adesso? È una macchina di morte, solo gli dei sanno cosa è capace di fare.” Dichiarò implacabile. “E quel bambino di sopra? Poteva morire stanotte… E mia sorella? Ha soltanto vent’anni ed ha già visto il peggio della vita e solo perché lo ha voluto un fantomatico Destino…”
“Oh, Santi Numi, che discorsi!” Borbottò scandalizzata Danae, girandosi verso i fornelli. “Io faccio di tutto, ma in questa casa crescono dei selvaggi!”
“Non venirmi a dire che devono accettarlo perché è il filo tessuto dalle Moire…” Soffiò infine, adagiandosi contro lo schienale di legno della sedia.
“Non te lo dirò, perché so che soffriranno.” Gli disse serio il padre. “Ed è proprio per questo che non posso lasciarli soli.”
Ari sospirò scuotendo il capo. “È che sono in pensiero per voi, per te, Elettra e anche Jean.” Ammise infine, ad occhi bassi. “Al Santuario sta… sta succedendo qualcosa e m’inquieta il fatto di rendermene conto, ho sempre questa sensazione di oppressione…”
Il padre si allungò sul tavolo e gli prese la mano, si guardarono negli occhi. “Non puoi farci niente, è parte di te, sei nato qui e saresti potuto…”
“Ti prego, evita di dirmi cosa sarei potuto diventare restando.” Lo interruppe il figlio. “La mia vita mi va bene così com’è, vorrei solo sapervi al sicuro.”
Nikolais gli strinse di più la mano. “Farò di tutto perché sia così.” Gli garantì poi.
“Credi a tuo padre, figliolo.” Lo implorò Danae; lui la guardò e le fece un piccolo sorriso tirato, poi tornò a rivolgersi a Nikolais.
“Mi hanno offerto un posto in un ospedale di Salonicco, è una struttura prestigiosa e… la famiglia di Toula vive lì.” Confessò poi, il padre annuì. “Vogliamo avere un bambino e lei si sentirebbe più sicura ad avere i suoi vicino.”
“Capisco.” Fece l’uomo. “I desideri di tua moglie sono importanti, Ari, come i tuoi.”
“Io…” Replicò lui, abbassando di nuovo gli occhi. “…ho bisogno di cambiare.”
“Fai la scelta che ritieni migliore per te e la tua famiglia, Aristoteles.” Gli disse il padre. “Ma devi sapere che Elettra resterà a combattere fino alla fine.”
“Se dovesse avere bisogno di me, io ci sarò.” Garantì il figlio, guardando Nikolais dritto negli occhi. Lui gli diede un’ultima stretta di mano, poi fece un sorriso amaro.
“Era quello che volevo sentirti dire.” Dichiarò quindi, con sguardo orgoglioso.

°°°°°

“Camus…” Lo chiamò una vocina stentata, destandolo dal dormiveglia sulla scomoda poltrona.
Lui sbadigliò e si passò una mano sul viso, poi guardò verso il letto e vide gli occhi chiari – l’occhio – di Milo osservarlo smarriti.
“Hey!” Salutò a bassa voce, cercando di essere allegro, quindi si spostò sul bordo del letto. “Ti sei fatto pestare veramente bene, stavolta, scommetto che non hai tenuto chiusa la bocca.”
Il ragazzo fece un sorriso amaro, per quando gli permettevano le labbra spaccate e doloranti; si guardò poi intorno, nella penombra che attraversava la persiana socchiusa. Non sembrava un’infermeria. Il letto era molto più comodo del suo e le lenzuola profumavano di bucato.
“Che posto è questo?” Domandò al cavaliere con un certo sforzo.
“Sei a casa di Nikolais, questa era camera mia.” Gli rispose Camus.
Milo osservò ancora la stanza. Era piccola e rettangolare, c’era un armadio dipinto di chiaro, vicino alla porta. Le pareti azzurrine erano interrotte ad una certa altezza da una greca blu. C’era una scrivania con una sedia di paglia e una libreria scura piena di volumi.
“Che cosa ci faccio qui?” Chiese allora.
“Beh, d’ora in poi starai qui, ci vivrai.” Gli spiegò l’altro.
“Ma è possibile?” Replicò sorpreso il ragazzo.
“È stato possibile per me e lo sarà per te.” Lo rassicurò Camus, mentre gli scostava i capelli dalla fronte. Bene, non aveva più la febbre.
“Io… non so se…” Balbettò Milo, abbassando gli occhi. Camus contrasse la mascella.
“Non domandarti se te lo meriti, Milo.” Gli disse poi, duro. “E non chiederti se lo meriterebbero di più altri, è la vita che ci costringono a fare che esige un po’ di egoismo, quindi non farti domande, come non me ne sono fatte io, ringrazia la fortuna e goditelo.”
Milo rifletté qualche istante in silenzio, senza guardare l’amico. Si era già chiesto perché Camus stesse facendo tanto per lui. Il cavaliere, però, non sembrava interessato a quelle cose di cui parlavano i suoi compagni, facendo risolini allusivi. Sembrava volerlo aiutare davvero. Ma lui era grande, ormai, e sei anni di baracche e stracci non te li dimentichi solo perché non devi più usare le latrine del dormitorio. Sapeva che non avrebbe mai smesso di pensare a chi stava peggio.
“Come ti senti, ora?” Gli chiese Camus, tornando ad un tono più delicato.
“Insomma… mi fa male tutto…” Rispose stentato Milo. “Il dottore è stato un po’ brusco, ma gentile.” Aggiunse con un timido sorriso.
“È il fratello di Elettra.” Affermò il cavaliere.
“Sembrava arrabbiato.” Constatò il ragazzo. “Ma non con me…”
“Non gli piace molto quello che facciamo qui.” Dichiarò Camus a capo chino. “Ma è una brava persona, col suo aiuto ti rimetterai presto.”
Milo, a quel punto, afferrò saldamente una mano dell’amico, costringendolo a guardare il suo viso tumefatto. Aveva un’espressione seria, troppo adulta.
“Perché hai scelto me? Che cosa vuoi da me?” Gli chiese con intensità.
Camus lo fissò per un lungo istante, poi abbassò di nuovo gli occhi, si alzò dal bordo del letto e raggiunse la finestra. Il cielo cominciava a schiarirsi, una lunga notte finiva.
“Non… non voglio niente da te.” Affermò infine il cavaliere, guardando fuori. “Tu mi ricordi un po’ come ero io alla tua età e so quanto sia difficile affrontare l’addestramento… e quanto si è soli nel farlo.” Continuò pacato, nonostante l’emozione che provava. “Non è giusto essere soli, c’è troppa violenza e troppo dolore, e troppa responsabilità dopo, per essere lasciati ad affrontarla in solitudine.” Le sue parole suonavano rassegnate, come di chi sa di cosa sta parlando. “La famiglia di Nikolais mi ha aiutato, mi ha sostenuto, non sono stato solo.”
Milo cercò di sollevarsi un pochino, contro i cuscini, non ci riuscì bene, rimase appoggiato su un gomito, reggendosi le costole doloranti. Aveva capito quello che gli voleva dire Camus: nessuno può crescere bene senza degli affetti veri, qualcuno che si occupi di te, anche quando ti addestrano per diventare un imbattibile guerriero. Capire il significato dei gesti del cavaliere quasi lo commosse, ma non voleva mostrarsi debole.
“Che cavolo fai?!” Esclamò Camus, quando, voltandosi, lo vide sollevato. “Stenditi subito!”
Milo avrebbe voluto ridere, ma gli uscì solo un rantolo strozzato, mentre si sdraiava di nuovo sul materasso, aiutato dall’amico.
“Non vuoi proprio che diventi come Death Mask, eh?” Domandò divertito il ragazzo.
“Provaci e ti staccherò la testa personalmente!” Rispose Camus, aggiustandogli le coperte.
“Grazie, davvero, di tutto…” Mormorò allora Milo, con voce flebile e stanca. “Non saprò mai come sdebitarmi.” Aggiunse, con un sorriso debole.
“Per quanto mi riguarda, non hai alcun debito con me.” Replicò sicuro il cavaliere, lui gli sorrise di nuovo. “Adesso riposati, Milo, da domani andrà tutto meglio.”

L’aspirante cavaliere si addormentò poco dopo, mentre l’alba schiariva le brulle colline del Santuario di Atena. Sognò una donna bellissima, che gli porgeva il suo medaglione sorridendo. E, anche se le ossa facevano tutte male, gli sembrò un buon segno per il futuro.

°°°°°°

Through the years and miles between us
It’s been a long and lonely ride
But if I got that call in the dead of the night
I'd be right by your side

Atene, tre anni dopo

La grande scalinata bianca bagnata dal sole si arrampicava tra le pietre in direzione del tredicesimo tempio. Milo guardò l’imponente costruzione adombrare il piazzale antistante e solo una figura restare immobile nello spicchio di sole accanto alle grandi statue di marmo.
I larghi copri spalle d’oro dalla curva flessuosa trattenevano un mantello di seta bianca, le braccia erano incrociate sul petto ed un sorrisetto beffardo gl’incurvava le labbra. Era una faccia da schiaffi che non avrebbe confuso con nessun altra, seppure rivestita d’oro.
Il ragazzo si fermò a qualche gradino di distanza e guardò l’altro cavaliere dal basso in alto, sorridendo furbo. Si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi il più giovane ammirò l’armatura dell’altro, dandogli una lunga occhiata.
“Hm, e così adesso sono degno di vedertela addosso.” Commentò infine.
“Ora sei un Cavaliere anche tu.” Replicò l’altro.
Milo salì i gradini che lo separavano dall’amico e si fermò davanti a lui. Camus lo guardò perplesso, alzando un sopracciglio.
“È bella la tua armatura.” Affermò poi. “Non come la mia…” Aggiunse beffardo.
“Hey!” Sbottò indignato Milo, che aveva già sviluppato una discreta venerazione per le vestigia dello Scorpione. “La mia armatura è stupenda!”
“Humpf, carina, sì… mi piace l’elmo, originale…” Ribatté distratto Camus, sorridendo sotto i baffi, quindi guardò negli occhi l’amico. “Come stai?” Gli chiese sincero.
“Bene, sono qui.” Rispose Milo, allargando le braccia.
“È stata dura?” Fece ancora l’altro.
“Di più.” Rispose soltanto il giovane cavaliere e non c’era bisogno di essere più espliciti con chi ci era passato prima di lui.
Camus, infatti, gli sorrise solidale, dandogli una pacca sulla parte di braccio libera, tra il bracciale ed il copri spalle. Poi lo studiò di nuovo.
“Non starai diventando troppo alto?” Gli domandò, mentre lo scrutava.
“Hai paura che ti raggiunga?” Rispose impertinente Milo, Camus arricciò il naso.
“Sempre la solita linguaccia, eh?” Commentò poi, divertito.
“C’è chi l’apprezza…” Replicò enigmatico il ragazzo.
“Ah, ma non dirmi che stiamo parlando di femmine…”
“Me lo hai detto tu che avrei cambiato idea…” Sottolineò Milo con furbizia. Camus rise e lo prese per le spalle, facendo cozzare le loro armature.
“Con questa faccia da stronzetto, le donne non ti daranno pace!” Scherzò Acquarius, ridendo ancora, ora insieme all’amico. “Stai andando a presentarti al Gran Sacerdote?” Gli chiese poi.
“Sì.” Annuì l’altro cavaliere. “A tal proposito… non dovresti chiamarmi Venerabile Milo?”
Camus lo guardò seriamente, aggrottando la fronte. “Scordatelo.” Negò poi, con tono solenne. “Sono un tuo pari – e tu sei sempre un pivello – non ti devo nessun titolo!”
“Sei uno stronzo!” Esclamò Milo, prima di scoppiare di nuovo a ridere.
Le loro risate si persero nel grande spazio vuoto e straniante del colonnato, mentre la tramontana smuoveva i loro mantelli. Camus guardò Milo, poi gli posò una mano sulla spalla coperta dalla pesante protezione dorata.
“Sono felice che tu ce l’abbia fatta, c’è bisogno di persone come te qui.” Disse il cavaliere di Acquarius all’altro, con tono orgoglioso.
“Se tu non mi avessi aiutato, forse non ci sarei.” Replicò sereno Milo.
“Non ci giurerei, fossi in te, sei il migliore che mi sia capitato sotto gli occhi.” Dichiarò Camus; Milo sorrise storto, ma lusingato.
“Grazie, di tutto, comunque.” Affermò quindi, stringendo a sua volta la spalla dell’amico.
“Dai, adesso.” Lo spronò allora l’altro, mentre gli dava una piccola spinta. “Vai a fare il tuo dovere, poi ti offro da bere.”
“Ehm…” Fece Milo incerto, prima di andarsene. “…io sarei ancora minorenne…”
“E a chi interessa? Hai un’armatura d’oro adesso!” Sbottò incurante Camus; risero ancora.
“Grazie ancora.” Ripeté Milo, camminando all’indietro verso l’entrata del tempio. Acquarius gli sorrise con sincero affetto.
“Vai.” Lo incitò. “Io ti aspetto qui, fratello.”
Milo gli sorrise riconoscente, poi si voltò e scomparve nell’ombra dell’entrata, consapevole che, nelle incognite che la sua nuova vita gli riservava, avrebbe avuto almeno la certezza di un amico vero.

FINE



Nota:
*non so se lo avete mai assaggiato, ma si tratta di una delle cose più lussuriose che si possano mangiare, stretto parente dei brownies, di solito viene servito caldo accompagnato da gelato alla vaniglia. Io sceglierei sempre il dolce, e questo la dice lunga di come son messa con gli uomini…

Non vi implorerò per un commento, ma mi farebbe piacere, ecco, tutto qui. Grazie in anticipo anche a chi ha soltanto letto.
See you soon!

   
 
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