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Autore: Stateira    16/06/2007    11 recensioni
Raccolta di shots varie ed eventuali, a tema romantico. Parings per tutti i gusti, yaoi e non, canon caparbi e crack stratosferici.
Mi scuso per non accennare alla trama, ma una trama, disgraziatamente, non c'è.
Genere: Generale, Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Zoophilia (Shino/Kiba)

Zoophilia (Shino/Kiba)

 

 

 

Kiba si raggomitolò sulle ginocchia.

– Davvero non ti fa alcun effetto perdere i tuoi animali? –

- Dipende. –

- Cosa intendi dire? –

 

Kiba sbuffò sonoramente, allungando una mano per appoggiarsi al primo appiglio sottomano. Akamaru zampettava diligentemente al suo fianco, scavicchiando qualche zolla d‘erba con le zampette bianche. Sembrava un po’ meno stanco del suo padrone, nonostante la corsa.

- Mi dispiace. – ansimò Kiba fra i denti. – Sono in ritardo. –

 

Shino non lo era. Naturalmente.

 

- Non importa. Cominciamo. –

 

Kiba diede un mezzo gemito agonizzante a cui Shino non concesse considerazione. Si rassegnò a mettere mano ai suoi shuriken e a prepararsi al peggio, e a farlo alla svelta.

 

Avevano iniziato da un paio di mesi, o giù di lì, ad allenarsi assieme, andando anche oltre l’orario di normale addestramento con la maestra Kurenai.

Tutta la faccenda, per la verità, era cominciata in quel modo. Kiba all’inizio si era sentito in colpa da morire per aver organizzato tutto ciò alle spalle di Hinata. Non c’era niente da fare, era impossibile non mangiarsi il fegato per uno come lui, uno buono dentro, ma Hinata era semplicemente fatta così, e lui dal canto suo, si sentiva frenato, troppo. Per questo ne aveva parlato con Shino, che aveva accettato di esercitarsi assieme a lui in vista di missioni future, magari più pericolose. C’era tempo, per occuparsi di Hinata e del suo carattere irrecuperabile, ma nel frattempo bisognava fare qualcosa, bisognava rendersi indipendenti e capaci di proteggere se stessi e gli altri.

Gli altri soprattutto.

Perché Kiba ci pensava, non troppo spesso, però ci pensava. C’erano carriere da valutare, scelte da fare in molti sensi, rischi a cui andare incontro, e lui si sentiva responsabile per Akamaru tanto quanto per se stesso, e forse anche di più.

 

E poi…

Poi?

 

Mah, chi poteva dirlo, come fossero andate esattamente le cose. Era stato tutto un gioco di sensazioni che non si potevano ignorare, di sguardi un po’ così, un po’ obliqui, un po’ curiosi, un po’ troppo allusivi ed incoscienti.

 

Shino Aburame parlava poco, e diceva ancora meno. Kiba, poi, era selvatico nel senso più sporco del termine, scostante e ringhioso.

Si andavano bene perché era così, il ragazzo che parlava senza dire, e quello che ringhiava per non mordere.

 

Bisognava ammettere che Shino era il genere di persona che diventa leader del gruppo senza aver bisogno di chiedere niente a nessuno, e Kiba si fidava di lui ciecamente, nonostante fosse recalcitrante quando si trattava di eseguire gli ordini che Shino impartiva senza alcun senso del tatto, senza il benché minimo rispetto per l’orgoglio altrui.

“Fai questo. Fai questo perché sì, perché è così.”

Kiba borbottava come un fiumiciattolo in piena, ma poi eseguiva, e si metteva persino a ridere. Era il suo modo di fare, quel ridere che sembrava latrare, e Shino era stato il primo ad abituarsi a queste sue declinazioni senza battere ciglio.

 

Probabilmente era proprio da quella reciproca fiducia incondizionata che era nato tutto, che erano germogliati i primi germi, perché a furia di stare con Akamaru, Kiba si era abituato a ragionare come un cane, e si sa, per i cani la fiducia è una cosa seria, la fiducia la si concede soltanto al proprio padrone.

La fiducia, per un cane, è sinonimo di amore.

 

Kiba si raggomitolò sulle ginocchia.

– Davvero non ti fa alcun effetto perdere i tuoi animali? –

- Dipende. –

- Cosa intendi dire? –

 

Mani nelle mani, mai. Sorrisi, carezze, bah, smancerie buone soltanto per sigillare compromessi di cui loro non avevano bisogno.

Si allenavano, loro.

Si inseguivano con le armi in pugno, si sfinivano, si colpivano, non si davano tregua finché quel poco di buon senso di cui le loro teste scombinate potevano vantarsi non imponeva loro di smettere per riposare.

Allora, forse, parlavano un po’. In codice, si intende: nessuno dei due avrebbe mai parlato chiaro con l’altro.

 

- Quel cagnetto è davvero tutto per te, vero? –

- Dovresti capirmi. Tu hai lo stesso rapporto con i tuoi insetti. –

- Non è del tutto vero. I miei insetti sono alleati preziosi, nulla di più. Io accetto la morte di molti di loro, in battaglia. Tu riusciresti a perdere Akamaru? –

- No, mai. Perché lui non è un semplice alleato. –

- Lo immaginavo. È questa la differenza fra noi due. –

- Mi consideri debole? –

- Ho detto differenza, non debolezza. –

- Ma tu credi che il mio legame con Akamaru sia una debolezza, in battaglia. –

Shino si diede una sistemata incurante agli occhiali. – In battaglia. – confermò. – Pochi minuti al giorno. –

- Che cosa vuoi dire? –

Shino tese pigramente una mano sul ginocchio piegato. - Akamaru è come un compagno per te. Ti preoccupi per lui, perché sai di metterlo in pericolo, ma quando siete lontani dalle battaglie lui ti tiene compagnia. -

Kiba si morse pensierosamente un labbro. – I tuoi insetti non sono… -

- … Una compagnia? No, direi di no. Sono una presenza rassicurante, al massimo. -

 

Kiba aveva sempre pensato alla solitudine come a un qualcosa di lontano da lui, come ad un demone costretto a restare fuori dalla sua porta. Perché aveva Akamaru, e lui era il suo amico più prezioso, era il suo alleato, e sì, era la sua compagnia, il suo scaccia incubi personale.

 

Ma poi era arrivato Shino.

 

E Kiba si era improvvisamente reso conto che la solitudine è un paio di occhiali scuri che tu cerchi di penetrare, è un sorriso nascosto dal bavero del cappotto, è una voce che tu non puoi nemmeno più sperare di confondere con nessun’altra voce al mondo.

 

La solitudine è Shino, e lui, maledizione era uguale.

 

Sia lui che Shino coltivavano un amore per gli animali che era qualcosa di più di un semplice affilare le armi per la battaglia, ma restava comunque troppo piccolo per potersi fregiare del nome di amicizia.

L’uomo ha bisogno dell’uomo, è questa la verità se si osa spingersi un po’ oltre la banalità più superficiale, e per quanto affetto lui potesse provare per il suo cuccioletto bianco, era Shino che gli dava i brividi con le sue poche parole, era Shino che cercava per sentirsi capito, era a lui che si rivolgeva quando non sapeva contro chi sfogare la sua sete di libertà.

 

Era Shino, quello della sua stessa razza.

 

Kiba si raggomitolò sulle ginocchia. – Davvero non ti fa alcun effetto perdere i tuoi animali? –

- Dipende. –

- Cosa intendi dire? –

 

Tenne gli occhi costantemente bassi, mentre faceva leva sulle mani per avvicinarsi a lui. Shino lo guardò senza dire niente, e senza dire niente gli passò un braccio attorno alle spalle. Rimasero fermi per un po’, senza aver bisogno di aggiungere legna al fuoco.

 

Si andavano bene così, si erano sempre andati bene così.

 

Kiba aspirò con concentrazione l’aria che si muoveva leggera attorno a loro, impregnata dell’odore di Shino, tipico ed acre, un odore che lui aveva imparato a riconoscere da subito, e che non aveva dimenticato mai.

Reclinò la testa sulla spalla di lui, facendosi consapevolmente più vicino alla sua bocca. Se avesse voluto, Shino lo avrebbe fatto, altrimenti no. Era questo il loro modo di cercarsi, senza insistenze e senza pretese.

La sensazione di baciarsi era sempre qualcosa di curioso e di strano, persino di fastidioso, per certi versi.

Erano due ragazzi, e si baciavano.

E c’era il sapore della saliva con cui fare i conti, e quello delle labbra, più sapido. C’era la questione del respiro, e dei brividi che provocava sentirlo sulla pelle, e poi c’erano le mani da tenere controllate, sempre e comunque, anche quando si trovavano soli, anche quando decidevano di dormire assieme, perché cercarsi e scoprirsi era una cosa, saltarsi addosso era un’altra.

E loro due erano entrambi molto prudenti in proposito.

 

A dire la verità, la prima volta che si erano spinti un po’ oltre era stato proprio Kiba a trascinare Shino, ed era ancora strano pensare a come invece la situazione si fosse ribaltata quasi subito dopo. Ricordava momenti confusi e tesi, il senso di colpa esagerato per aver lasciato Akamaru a casa da solo per quel pomeriggio, e poi il sole sulla pelle nuda, l’odore inequivocabile dei vestiti che si tolgono, il respiro che perde ritmo, e Shino, Shino con lui, Shino ovunque, Shino a dare un senso a tutto questo.

 

Da allora, il rimorso per Hinata era andato scemando e sfumando nella necessità di tenere quella faccenda per loro, anche se sarebbe bastata un po’ di onestà in più per ammettere che non erano gli allenamenti a costituire un alibi per la loro relazione, ma la relazione ad essere la scusa perfetta per continuare ad allenarsi, perché loro si stimavano innanzitutto come guerrieri, e nonostante le loro mani avessero assunto giorno dopo giorno significati molto differenti l’uno per l’altro, quando stringevano un kunai affilato erano ancora assolutamente pericolose.

 

Shino non aveva mai finto di colpire Kiba, lo aveva sempre fatto con forza e senza pietà. E di questo Kiba gli era sinceramente grato. La loro non era una questione di sfide maliziose, ma di lame scagliate per colpire, e solo dopo, solo alla fine di tutto, soltanto quando i lividi erano diventati troppi per reggersi in piedi, si poteva concedere un po’ di spazio per una carezza, una carezza data dove fa più male, dove la ferita ancora sanguina.

 

Kiba si raggomitolò sulle ginocchia. – Davvero non ti fa alcun effetto, perdere i tuoi animali? –

- Dipende. –

- Cosa intendi dire? –

Shino si lasciò scivolare comodamente contro il grosso bersaglio di legno dietro di lui, e tese il dito indice verso l’alto con fare vagamente solenne. – C’è un animale, uno soltanto. Se perdessi lui, impazzirei di dolore. –

Kiba inclinò il capo disordinato e lo guardò in tralice. – Capisco. È la regina dello sciame, vero? –

 

Sulla bocca di Shino guizzò un sorriso fugace. – E’ il re. Il mio re. –

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

 

QUALCUNO (…Mela …coff coff) aveva casualmente buttato lì una Shino/Kiba. E, come si suole dire, quando la sfida slash chiama, Stateira risponde.

E non chiedetemi come mai, ma la primissima cosa nata di questa fic è stato il titolo, strano ma vero visto che di solito scrivo la fic in tre ore, e poi ne perdo cinque o sei per il titolo.

Cara la mia Melina, spero tanto che apprezzerai questa ode al team 8. non che non intenda ritornarci ancora, si intende! *evil grin*

 

 

 

Artemisia: Ti ringrazio con tutto il cuore. Povera me, detesto ritrovarmi senza parole adeguate per ringraziare come si deve. Mi emoziono a leggere le tue recensioni, e non solo perché mi dedichi sempre parole bellissime, ma perché capisco di essere riuscita a trasmettere qualcosa, e soprattutto se si tratta di uno come Gaara, che è un personaggio a cui tengo molto, questo mi rende non lo so, felice è dire poco.

 

Tinebrella: sono io che non ho parole adatte per ringraziarti, sul serio.

 

Little Star: tesoro mio, come ringraziarti abbastanza? Argh, non potete restare senza parole, altrimenti resto senza anche io!

 

Kamusa: concordo con te, anche a me quella folla mette paura, e anche tanta rabbia. Quando ho letto nel manga il background di Gaara giuro che avrei voluto strappare le pagine. Poi ho pensato che non fosse un’idea furbissima, quindi grazie al cielo mi sono trattenuta!

 

Dark: Ma certo che troverà l’amore, glielo troviamo noi, e se vuole gli organizziamo matrimonio e tutto!

 

Sprpr: ti ringrazio moltissimo per entrambe le tue recensioni!

  
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