Tolto
tutto il male, muori
Non si
fugge da
una prigione di specchi: rischi solo di andare a sbattere contro te
stesso.
Io e
Sasuke ci
abbiamo provato, davvero. Io ho sbattuto contro la mia solitudine, lui
contro
il suo odio.
La cosa
peggiore
è che, se tentassimo insieme, ce la faremmo; da soli
però non siamo niente.
- I’ll stand up with you forever -
Non
ho ricordo né di
mia madre né di mio padre: l’unica nozione che
appresi dai direttori
dell’orfanotrofio riguardava la loro morte, avvenuta in
circostanze poco chiare
e che non mi furono mai spiegate nel dettaglio. Non mi sorpresi molto
quando
venni a conoscenza del fatto che la maggior parte dei ragazzi che
vivevano con
me condividevano un vissuto, se non identico, simile al mio.
L’unica
eccezione era
Sasuke. Lui era orfano perché suo fratello aveva trucidato
entrambi i loro
genitori, insieme a tutta la famiglia, e poi era scappato. Non potevo
immaginare quanta sofferenza il mio compagno di sventura si portasse
dentro, ma
anche da fuori mi appariva così amara che non volevo nemmeno
provarci.
Per
avere queste
misere indicazioni sul suo passato avevo collezionato una frase alla
volta,
estorcendogli informazioni con molta pazienza, perché alle
mie domande
rispondeva con monosillabi oppure non rispondeva affatto. Forse era
egoistico
da parte via voler scavare in quell’ammasso purulento di
dolore, ma ritenevo
che solo mettendo a nudo la sua anima sarei potuto entrare dentro di
lui.
Non
ci riuscii
comunque: Sasuke Uchiha rimase per sempre il mistero più
insondabile della mia
vita. Non gliene feci mai una colpa.
La
parte più intima
di sé che accettò, seppur malvolentieri, di
condividere con me, era quella
riguardante il suo unico desiderio. Anche in questo si discostava da me
e da
tutti gli altri: non voleva fuggire da lì, gli bastava solo
uccidere suo
fratello e poi riposarsi morendo. Mi faceva venire i brividi, ma mi
affascinava
pensare che ci fosse qualcuno libero dall’ossessione di
abbandonare tanta
miseria, sebbene la sua agonia fosse molto più crudele della
nostra. Lui moriva
più lentamente di noi e i suoi coltelli erano più
affilati dei nostri.
Quando
aveva quindici anni era stato adescato da Orochimaru, colui che gestiva
il
nostro incubo, e per lui era stato l’inizio della fine.
L’uomo aveva promesso
che lo avrebbe aiutato a trovare Itachi se si fosse unito alla sua
schiera di
ragazzi maledetti e Sasuke ci aveva creduto. Erano passati tre anni e
ancora ci
credeva. O almeno faceva finta di farlo.
Forse
si era accorto
del mio stupore nello scoprirlo tanto ingenuo, perché per
giustificarsi aveva
aggiunto che Orochimaru era stato in contatto con Itachi per lavoro, in
passato. Quale fosse il genere di lavoro
di cui si erano occupati non aveva voluto dirmelo, ma non facevo fatica
a
immaginarlo, considerando la principale fonte di introiti del nostro
aguzzino.
Trafficking.
Anche
dopo due anni non riuscivo a credere di essere coinvolto in una
situazione di
cui prima sentivo parlare solo al telegiornale. Non riuscivo a credere
nemmeno
di essere stato tanto stupido, in realtà: ero fuggito
dall’orfanotrofio quando
avevo appena sedici anni e avevo vissuto per strada, chiedendo
l’elemosina e
rubacchiando quel che potevo. Non ci era voluto molto prima che i
trafficanti
di prostitute mi acciuffassero.
Al
contrario di tutti
quelli che vivevano con me, non mi preoccupavo minimamente dei soldi:
sarei
potuto fuggire anche senza niente in mano, per me
l’importante era andarmene.
Avevo già vissuto con le tasche piene solo di paura.
L’unico
problema era
che, avendo o non avendo del denaro con sé, era impossibile
scappare: forse era
per questo che tutti gli aspiranti fuggitivi si affannavano a mettere
da parte
quel che potevano.
Perché
era l’unica
cosa che potevano fare per illudersi di starsi avvicinando alla
libertà. Il
ricordo di Kiba che si fa ammazzare per qualche moneta e un paio di
banconote
ancora mi tortura.
Io
avevo provato a
rubare, all’inizio, giusto per impegnarmi in qualcosa, e i
lividi non si erano
cancellati dalla mia pelle per una settimana; lo sguardo che mi aveva
lanciato
Sasuke quando se ne era accorto mi aveva fatto pensare che volesse
aggiungerne
qualcun altro, ma non lo fece mai.
Bastavano
i suoi
occhi. Erano quelli la mia punizione più grande: vederli
vuoti anche quando era
arrabbiato era come ricevere una pugnalata nei polmoni a ogni respiro.
Tenevo a
lui in un modo che non capivo, ma andava bene lo stesso.
L’affetto mi salvava
dal baratro, per quanto assurdo e malato fosse, anche se penso che mi
abbia
fatto male più di tutto il resto. Quando tocchi il fondo
arrivi a un tale punto
di annullamento da non accorgertene nemmeno, quando sei a
metà strada tra la
vita e la morte ogni secondo è una consapevolezza che ti
distrugge.
Sasuke
si infuriò
anche quando persi la mia unica occasione di lasciare
l’inferno. Probabilmente
perché avevo preso la scelta che aveva preso anche lui.
Eravamo
appena
all’inizio di un turno e il guardiano si era allontanato di
qualche passo per
pisciare, ignaro che il suo collega nel furgone si fosse appena
addormentato.
Ino, non ancora morta, si dava da fare nel vicolo lì accanto
con un cliente.
Non c’era nessun Cerbero a sbarrarmi la strada, eppure non
potevo
approfittarne.
Avevo
un istante per
decidere e una vita per pentirmi. Sasuke mi sibilava
all’orecchio, furioso, di
correre, di sbrigarmi, di andare via da quella fogna.
«Ti
copro io, idiota!
Vattene, cazzo, muoviti!»
Era
così agitato da
confondermi. L’unica cosa che riuscii a dire fu una frase che
entrambi non
scordammo più.
«E
tu?»
Lui
no, lo sapevo. Ma
non potevo andare senza chiederglielo, non sarei potuto andare
comunque. Mi
sentivo appiccicato al suo destino come un prigioniero alla sua catena.
Non era
amore, né un sentimento fraterno: nemmeno adesso so cosa
fosse, so solo che,
pur inconsciamente, capivo di non doverlo spezzare.
Quelle
due parole
segnavano la mia rinuncia, e lui ne era così consapevole da
odiarsi.
I
suoi occhi, a metà
tra la rabbia e lo shock, mi spiegavano ogni cosa: mi voleva lontano da
sé
perché non poteva seguirmi, né io dovevo restare.
Avrei fatto qualsiasi cosa
per lui, ma questo no.
«Se
non alzi il culo
da quella panchina giuro che ti…»
Poi
ammutolì. Il
guardiano era tornato e per il puro gusto di esercitare il suo potere
mi aveva
appioppato un calcio sugli stinchi. Aveva colpito solo me, ma ci aveva
ucciso
entrambi.
Sasuke
non me lo
disse mai, quello che mi avrebbe fatto, né lo fece. Mi
odiò soltanto con tutto
il cuore e mi spinse via con cattiveria quando un uomo si
fermò davanti a me:
fu ancora più doloroso del solito vederlo scendere da quella
macchina al posto
mio, con le tasche piene e il cuore vuoto. Gettò i soldi ai
miei piedi con
tutto il disgusto che riuscì imprimere in quel gesto e la
sua rabbia mi fece
bene. Avevo bisogno di lei, volevo sentirmi male. Volevo che il mio
dolore
fosse acuto quanto il suo.
«Prendi
– disse solo.
– Continua a vivere per niente. Muori per niente, se
è quello che vuoi.»
Non
gli dissi che
avrei voluto morire per lui, né mi chiese perché
avevo rinunciato alla fuga.
Credo lo sapesse, comunque.
Sapeva
tante cose,
Sasuke, anche se non ci voleva credere.
Orochimaru
non gli
avrebbe consegnato suo fratello, lui non sarebbe comunque stato in
grado di
uccidere Itachi, noi saremmo morti entrambi lì e io
probabilmente per primo,
lasciandolo solo col suo odio e costringendolo così a
rivolgerlo verso se
stesso.
Sapeva
tutte queste
cose, Sasuke, ma faceva finta che non esistessero.
Non
poté però
ignorare il fatto che, quella stessa sera, lo presi per mano e iniziai
a
correre un attimo prima di salire sul furgone che ci avrebbe portato a
casa.
Volevo scappare dal primo momento in cui ero stato catturato, non
l’avrei mai
negato, ma avevo bisogno che lui venisse con me perché da
solo non potevo
farcela. Da solo non potevo vivere e senza di lui non potevo morire.
Durò
appena pochi
istanti e fu bellissimo: l’aria era più fresca e
la luna più brillante, in
quella porzione di spazio e di tempo in cui avevamo smesso di essere
puttane
che si drogavano l’uno dell’altro ed eravamo
più simili a due ragazzi
innamorati.
Sorrisi,
stupido, e
il mondo, bastardo, ricambiò.
Poi
Sasuke mi
strattonò all’indietro, riportandomi bruscamente
nel luogo della mia mente dove
eravamo di nuovo schiavi, ed evitò che il coltello del
guardiano contro cui
stavo correndo mi infilzasse la pancia.
L’uomo
alzò il
braccio e la lama incise un taglio verticale tra le sopracciglia. Il
sangue mi
colò sugli occhi e il mondo ridiventò rosso,
esattamente come prima.
«Salite
sul furgone,
pezzi di merda.»
Sasuke
mi guidò verso
il veicolo e io mi lasciai condurre, ferito come se il pugnale mi
avesse davvero
squarciato lo stomaco. Mi voltai e vidi i nostri fantasmi che
scappavano e
andavano a vivere.
«Sei
un imbecille.»
Non
mi sforzai
nemmeno di annuire, ma rifiutai di lasciare la sua mano e lui
accettò di
stringere la mia. Non eravamo sicuri se eravamo appena scampati alla
morte o se
era stata la morte ad evitare noi, fatto sta che eravamo ancora suoi
prigionieri.
Non
c’era bisogno di
spiegargli perché avevo tentato così scioccamente
di scappare, pur sapendo che
non ci sarei mai riuscito: avevo bisogno di provarci e fare finta che i
suoi
sacrifici per me non fossero stati inutili. Lui non mi aveva impedito
di
trascinarlo via perché sapeva che ci avrebbero fermato e che
necessitavo di
quella pietosa corsa verso il nulla come dell’aria.
Così come per lui era
indispensabile rimanere lì e pensare di avvicinarsi ogni
giorno di più a suo
fratello, anche se non era vero.
Eravamo
così diversi.
Lui odiava, io – nel mio egoistico modo di farlo –
amavo. In realtà volevo
amare per non essere solo. Lui odiava per provare qualcosa. Non so chi
dei due
fosse più miserabile, forse lo eravamo entrambi
così tanto da stare insieme per
illuderci di essere persone.
Quella
notte lo
baciai. Non volevo ringraziarlo per avermi salvato ancora una volta: lo
facevo
per me, avevo bisogno di sentire cosa si provava ad essere liberi come
i nostri
fantasmi che erano scappati via da noi. Lui accettò senza
scomporsi e io non
capii se lo stava aspettando da quando ci eravamo conosciuti o se
voleva solo
accontentarmi.
Eravamo
stesi su un
letto pagato con la sua dignità venduta, sotto lenzuola
sottili come carta
scambiate con la sua anima in pezzi, ma non ci importava. Eravamo
sporchi,
stanchi, pieni di lividi e con le occhiaie, magri da far paura e vuoti
da fare
schifo, ma non ci importava. Non avevamo alcuna possibilità
di sopravvivere né
di poterci innamorare l’uno dell’altro, ma non ci
importava.
Avevo
il labbro
spaccato perché la guardia mi aveva punito con un pugno in
piena faccia, ma
Sasuke mi leccò via il sangue senza badarci. Mi eccitai
subito sentendo il suo
corpo contro il mio, ma non ci venne neanche in mente di scopare.
Quella
era la nostra
rivincita contro tutti i bastardi che ci compravano ogni giorno.
Potevano avere
il nostro corpo, ma tutto il resto apparteneva a noi e non glielo
avremmo mai
consegnato. Ci stavamo baciando e quello bastava, quello non lo
avrebbero mai
preso. Sarebbe stato per sempre nostro: era un puro e semplice inno a
quella
vita che ci stava abbandonando.
Non
ne parlammo, né
lo facemmo più: troppa speranza non fa bene a coloro che
camminano sul braccio
della morte.
Quella
notte rimane
ancora oggi il mio ricordo più prezioso, che non
cederò mai a nessuno.
Quella
notte capii
che anche i morti possono amare.
Riuscii
ad
aggrapparmi solo a quella notte quando Sasuke mi lasciò.
Note
dell’autrice:
Innanzitutto
devo
ringraziare tantissimo tutte le persone che hanno recensito: non sapete
davvero
quanto mi ha fatto piacere che la storia vi piaccia! Sarà
che sono indecisa per
natura, poi anche per il fatto di questo tema un po’
“inusuale” ero molto in
ansia. Intendevo aggiornare una volta alla settimana, ma le recensioni
dello
scorso capitolo mi hanno colpita tanto che ho deciso di farvi aspettare
un po’
meno (anche perché ho un briciolo di tempo oggi per farlo
:DD). Vi ringrazio
tutti ancora una volta, anche chi ha dato una possibilità a
questa storia leggendola.
Ci sentiamo la settimana prossima per l’ultimo capitolo, e
magari per chi è
interessato con qualche informazione sull’eventuale raccolta
di spin-off di “Tolto
tutto il male, muori” (che d’ora in poi per ragioni
di tempistica chiameremo
TTMM). Saluti e abbracci,
shirangel