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Autore: Ryo13    06/12/2012    5 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Nel cuore della notte, proprio come da titolo, vi lascio il nuovo capitolo xD
Mi scuso enormemente per il ritardo al rilascio... ma ho davvero avuto milioni di cose da fare **
Spero che con questo capitolo un po' di appetito per la storia sarà saziato XDD
Non vi trattengo troppo a lungo, vi chiedo solo di lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate ^^
Baci,

Rita <3



Capitolo 11 - Visita notturna

 

Il sogno era agitato, quasi claustrofobico. Mi vedevo correre incessantemente in un bosco oscuro, senza seguire apparentemente alcun sentiero e nessuna traccia: era come se stessi fuggendo: da cosa, non avrei saputo dirlo. In realtà, la mia mente non funzionava lucidamente; nessun pensiero mi guidava in quella fuga notturna e nessuna luce rischiarava la selva che appariva, così, tenebrosa e terrificante. Gli alberi, alti, formavano un muro quasi impenetrabile, e io a stento riuscivo a passare in mezzo ai tronchi senza schiantarmici. I rami si protendevano in avanti, contorti, come dita incancrenite che minacciavano di afferrarmi e trattenermi. Ogni tanto i vestiti si impigliavano tra i rovi freddi ma io, con uno strattone, proseguivo incurante della stoffa che si lacerava lasciando dietro evidenti tracce.

A tratti, innanzi a me, potevo scorgere la figura di un uomo incappucciato che mi accompagnava in quel cammino senza mai voltarsi e senza parlare. La scena aveva una certa familiarità, come se l’avessi sognata altre volte prima di allora.

La tensione dei muscoli raggiunse il culmine quando persi, d’un tratto, il contatto col suolo e mi sentii precipitare in una pozza d’acqua dolorosamente fredda. Mi agitai, scalciando con le gambe e tendando come potevo di risalire in superficie, ma per quanti sforzi facessi, una pressione mi spingeva in basso e mi serrava il petto, contraendomi gola e polmoni. La sensazione del respiro mozzato era terribile e mi gettava di attimo in attimo in una disperazione sempre più profonda: il terrore della morte mi attanagliò le viscere e diede un colpo secco al mio cuore, che batteva frenetico, fin quasi a scoppiare.

L’acqua attorno a me era scura, come prima la notte, ma ora il freddo pareva essere concentrato tutto sul collo nudo, da dove cercavo, invano, di far passare l’aria vitale.

Con uno strattone violento, aprii gli occhi e sbattei le palpebre più volte, riprendendo coscienza della realtà. Tuttavia, in un primo momento, la scena che mi si parò innanzi mi sembrò priva di senso, proprio come prima mi era sembrato il sogno.

Un uomo incombeva su di me, un'espressione feroce sul volto. Non lo riconobbi sùbito, stordita com’ero dal sonno e, mi resi conto, ancora impossibilitata a respirare.

Ma cosa diavolo…?, mi domandai e poi capii. Il tremore delle braccia, la stretta combattuta, il sudore che gli imperlava la fronte… quell’espressione angosciata sul volto altrimenti superbo…

Chev… perché così presto…? Ma non era certo il momento di esitare. Tentai di strapparmi alla sua stretta; diedi prima uno, poi due e tre strattoni violenti, senza riuscire a smuoverlo. E intanto ero sempre più tragicamente a corto di fiato…

«T-ti… pre… go…» sussurrai col poco fiato che avevo. Le mie parole, parvero sortire qualche effetto poiché la presa si allentò leggermente. Approfittai di quell’attimo di titubanza per far scivolare i pollici sotto le sue mani, a protezione del collo esposto, e tentai nuovamente di distrarlo.

«È il giuramento, Chev? È tornato c-così presto?» balbettai freneticamente.

Sbatté le ciglia, riacquistando un po’ più di lucidità.

«Sì», ringhiò tra i denti, come se pronunciare quell’unica sillaba gli fosse costato uno sforzo eccessivo. Per un attimo la sua presa tornò salda, tanto che temetti di non poterlo più contrastare.

Poi lo sentii grugnire «labbra» e la speranza mi inondò stordendomi. Si era ricordato cosa bisognava fare!

Calarsi su di me, però, non fu così facile come avevo sperato, né così veloce. Fare qualunque altra cosa al di fuori di strangolarmi pareva richiedere tutte le sue energie. Così presi una decisione istintiva e azzardata. Abbandonai la flebile difesa delle mani al collo e le tesi verso di lui. Gli accarezzai una guancia e feci scorrere il palmo fino a cingergli la nuca per invitarlo a completare il faticoso movimento.

Quando finalmente le nostre labbra si toccarono, traemmo entrambi un respiro violento; io di sollievo, lui di vittoria. E per un attimo, dimentichi di tutto il resto, indugiammo in quel contatto salvifico. Chev mi baciò sulla bocca con gratitudine e sollievo, come se volesse attingere ancora alla forza del legame che gli aveva restituito lucidità e libero arbitrio, mentre tremava per lo sforzo che aveva fatto e respirava affannoso; anche io ansimavo violentemente e, sebbene in quel contatto intimo avevo ritrovato un po’ del calore che mi era stato tolto prima dall’incubo e poi dal tentativo di uccisione, ben presto esercitai una pressione sulla spalla del Cavaliere e lo allontanai da me. Mi sollevai dal letto con impazienza come se l’aria attorno a me, fredda e pungente della notte, non bastasse da sola a soddisfarmi.

Per qualche minuto rimanemmo ai capi opposti del letto, riprendendo fiato e ricomponendoci.

«Cosa è successo? Perché mi hai attaccato?» gli domandai infine.

Scrollò la testa, desolato. «Non lo so di preciso… stavo dormendo e andava tutto bene… poi mi sono svegliato che mi trovavo già sopra di te, nel tentativo di strangolarti e, nella confusione, ho pensato solo a impedirmi di farlo. Non riuscivo a parlare e… tu non ti svegliavi… ho temuto che morissi nel sonno!»

«Stavo facendo un incubo…»

«Che cosa?»

«Stavo sognando… pensavo di soffocare e mi sono resa conto troppo tardi che si trattava della realtà.»

Mi fissò in silenzio e gli rimandai lo sguardo. La domanda, non posta, aleggiava come un fantasma tra noi.

Fu lui a rompere quella tregua, ponendola. «Perché ho perso il controllo così in fretta? Non sarebbe dovuto passare più tempo? Forse che il tuo potere non ce la fa a contrastare quello di Drogart?»

Aprì la bocca per rispondere a quanto potevo; in realtà non avevo una spiegazione valida ma, prima che proferissi parola, la risposta venne da sé, sotto forma di un colpo secco alla porta – che ci fece sobbalzare ­­–, e della voce di Calis, tonante nonostante il basso volume.

«Violet, Chev! Svegliatevi, abbiamo visite!» Un altro colpo al legno.

Saltammo giù dal letto in contemporanea, ma fu Chev ad afferrare il pomello della porta e a spalancare l’uscio.

Calis aveva una faccia scura e un’espressione irritata.

«Abbiamo ospiti sgraditi che sono venuti a recriminare.» ci spiegò. Poi aggiunse, borbottando infastidito: «Nel cuore della notte! Non c’è più ritegno…!»

Afferrai una vestaglia e la indossai perché la sottile veste di lino, che portavo per la notte, non era adatta a proteggere, da sola, il mio pudore. Nel frattempo rimuginavo senza posa.

«Sono loro, non è vero? Sono Stenton e Drogart… o almeno Drogart, con qualche altro dei suoi… con che pretesto si sono presentati a quest’ora della notte?»

L’omone sbuffò, esasperato. «Che pretesto vuoi che abbiano? Non si sono preoccupati nemmeno di fornirne uno! Per quei vermi è normale disturbare il sonno della povera gente! Ho sempre detto che Vasil è troppo tenero! Non dovrebbe permettere che gli si manchi di rispetto in questo modo…!»

«Ah ah ah!» ridacchiai di gusto, «Vasil, tenero? Attento a non farti udire da lui…» gli consigliai.

Sputacchiò fuori un “farò attenzione”, seccato. Calis era un uomo simpatico e caloroso però guai a chi gli toglieva il sonno! Se veniva destato prima del dovuto, era scontroso e scostante e pareva avercela col mondo intero. Ma la situazione insolita e potenzialmente pericolosa ebbe l’effetto di farlo riprendere più velocemente per concentrarsi sulle cose più pressanti.

«Pretendono che l’incontro sia stato irregolare e rivogliono indietro il Cavaliere. Probabilmente tireranno fuori la storia del Giuramento di Sangue che lo lega a Drogart.»

«Non ho mai sentito che un Giuramento fosse d’ostacolo alla vincita di un Campione. Certo, non servirebbe a nulla averlo se non lo si potesse utilizzare al meglio delle sue capacità, ma è più una questione logistica che di validità dell’intero procedimento.»

«Vallo a raccontare a quegli idioti presuntuosi!» esclamò Calis.

Chev, che aveva ascoltato tutto con attenzione, chiese: «C’è qualche possibilità che mi riprendano con loro?»

Lo guardai dritto negli occhi e per un momento vi scorsi rassegnazione.

«Non credo proprio! Dopo tutto quello che ho fatto per averti, devono passare sul mio cadavere!» dichiarai ardente.

Fu un altro istante e la sua espressione si addolcì con i contorni di un sorriso: tanto repentino a mostrarsi – e poi a sparire – che ci si chiedeva sempre se lo si fosse visto davvero. D’altro canto, iniziavo a capire che questa era una caratteristica di Chev: mostrava la maggior parte del tempo un’espressione neutra, un po’ cupa a essere sinceri, come se niente e nessuno potesse toccarlo… ma ogni tanto balenava sul volto, e negli occhi, il lampo di un sorriso o l’ombra di una preoccupazione che mostrava qualcosa del suo animo, celato al mondo. E si intuiva che c’era del buono in lui, sebbene tutto il resto rimanesse avvolto dal consueto alone di mistero.

Anche Chev si rivestì in fretta e tutti e tre ci dirigemmo verso il salone, dove eravamo attesi dai nostri fastidiosi ospiti.

«Eccovi qui!» esclamò a tutta prima Stenton con il suo accento acuto. «Iniziavamo a pensare che ve la sareste data a gambe come conigli, nella notte!»

«È per questo che non avete potuto attendere fino al mattino per venirci a far visita, come vuole la buona creanza?» lo pungolai duramente. «Bene, in ogni caso, ora siamo qua. Di cosa volete parlare?»

Stenton fece una smorfia di disprezzo ma per fortuna lasciò perdere il discorso e si concentrò su ciò che era venuto a fare.

«Tu mi hai imbrogliato!» quasi gridò, puntandomi addosso il dito ossuto. «Sei venuta strisciando come una serpe in seno alla mia casa e mi hai ingannato, dicendomi di voler comprare il mio Campione! E ora non permetterò che mi venga rubato sotto al naso! Pretendo che mi venga immediatamente restituito!»

«Sapete benissimo che l’incontro è stato del tutto regolare… abbiamo testimoni più che bastevoli che hanno assistito agli incontri.» Vasil intervenne dallo scarno nel quale si era seduto, l’espressione ombrosa e accigliata. Una volta ottenuta l’attenzione desiderata, continuò: «Diteci cosa siete venuto a fare veramente. Sapete benissimo di non poter riavere indietro Chev con un pretesto così insulso!»

Stenton strinse in pugni minacciosamente e sbuffò trasudando stizza. «Certo che posso riaverlo! Voi dovete obbedire alle leggi dell’onore!»

«Il nostro onore non ci impone nulla di simile», chiarì Calis, «Violet si è prestata a noi come Campionessa poiché era a conoscenza della situazione disagevole in cui ci trovavamo e ci ha proposto un’alleanza temporanea.»

«Ecco! Lo dicevo io che c’era imbroglio! Lei è una finta Campionessa!» Stenton tornò alla carica facendosi forza di parole in cui leggeva un sostegno alla sua tesi inesistente.

«Gli incontri sono stati regolari», ripeté Vasil. «Sai che al Surdesangr non è vietato avere Campioni temporanei o addirittura volontari: l’arena esige solo il prezzo della lotta e del sangue… e quello noi lo abbiamo abbondantemente pagato. La mia ragazza ha vinto regolarmente tutti gli incontri e si è proclamata Campione, pari agli altri. E con la sfida noi abbiamo vinto il nostro premio. Non riavrai il Cavaliere, Stenton, né questa sera, né mai!»

«Villani! Farabutti!» inveì a quel punto, perdendo del tutto la calma. Ma prima che potesse arrivare a offese più ingiuriose, offrendoci su un piatto d’argento il pretesto per buttarlo fuori casa, Drogart, che fino a quel momento aveva assistito allo scambio silenziosamente, lo redarguì con calma glaciale mediante il semplice tocco della sua mano sul braccio. Questo parve risvegliare qualcosa nel vecchio, forse la speranza di un asso nella manica che volgesse le sorti della partita a suo favore. Fatto sta che smise di lamentarsi quasi istantaneamente e, respirando affannosamente, si ritirò d’un passo dietro all’alleato, liberando il campo per lui.

Vasil, cui non era certo sfuggito il significato di quel particolare gesto, gli rivolse allora la parola: «Drogart. Ci chiedevamo appunto perché Stenton fosse venuto accompagnato da voi. Non ci risulta che abbiate a che fare con questa questione.»

Capii perché avesse preferito tenere ancora ben nascoste le proprie carte, mentendo a proposito del fatto che sapevamo molto bene per quale interesse egli si trovasse nella sua casa: sperava di spingerlo a smascherare il proprio gioco e contemporaneamente mettersi in una posizione tale da poter valutare le sua onestà. Drogart avrebbe fatto accenno al Giuramento cui aveva costretto il Cavaliere? O avrebbe tentato di avanzare pretese in qualche altro modo?

«Io credo che il ragazzo», spiegò facendo un cenno della mano in direzione di Chevalier, «non desideri rimanere con voi. Non è forse così, Cavaliere?» aggiunse poi rivolgendo tutto su di lui il peso del suo sguardo penetrante.

Chev si irrigidì e impallidì visibilmente. Teneva i pugni stretti lungo i fianchi ma tremanti. Intuii che doveva stare subendo l’influsso del potere di Drogart. In qualche modo egli lo aveva diretto con maggiore forza attraverso qualcos’altro che non fosse la lama rituale: quella, infatti, non la vedevo da nessuna parte.

«Ritengo che il ragazzo volesse sfogarsi un po’», continuò il Signore del Sangue, come se nulla fosse. «Non si può negare che questa donna non tenti l’appetito di un uomo!» Rise brevemente delle sue parole, come se stessimo discutendo scherzosamente del più e del meno.

«Cosa vuoi dire con ciò?» gli domandai.

Drogart mi guardò come se fossi solo un intralcio insulso sul suo cammino già ben prestabilito. «Abbiamo visto tutti come lo avete tentato sul campo. Un bacio? È così che siete abituata a vincere le vostre battaglie? Non mi meraviglia che abbiate fatto tanta strada, avvenente come siete!»

Per un attimo, il suo commento aspro mi fece arrabbiare, proprio come capitava in passato, quando l’offesa era nuova e ugualmente immeritata. Ma quasi subito mi ripresi e mi dissi che gli insulti al mio onore non erano che armi vecchie, già ampiamente impiegate al fine di piegarmi all’ottusità dei miei avversari, fortunatamente sempre invano: non avrei perso le staffe proprio ora, quando stavo chiaramente vincendo. No, mi sarei mostrata fredda e anzi lo avrei schernito di rimando. Dalla sua invettiva gratuita, però, avevo avuto modo di constatare come egli non avesse affatto compreso il mio gesto all’arena. Come credeva che avesse potuto resistere Chev, da solo, alla forza del vincolo che li legava? Attribuiva forse più merito di quanto gliene spettasse a quel Campione, ipotizzando che questi fosse riuscito con le proprie forze a resistere al suo comando? Del resto – mi resi conto –dal suo punto di vista doveva apparire molto più improbabile che fosse una femmina ad avere un potere tale da obnubilare, anche se temporaneamente, il proprio.

«Perché credete, signore, che Chev si sia già stancato di me? Se giudicate la mia bellezza tale da tentare un uomo a farsi vincere in battaglia per un mio bacio, non ritenete, allora, che i miei baci siano bastevoli per trattenerlo al mio fianco più a lungo?»

Detto ciò con quel pizzico di irriverenza birichina che veniva ritenuta da sempre un’arte femminile, mi avvicinai languidamente al Campione discusso e, allungando lentamente una mano, gli percorsi il petto verso l’altro, fino a incontrare l’incavo della clavicola e poi su per il robusto collo. Tracciai lievemente con le dita le labbra tirate in una linea dura di tensione, e mi sollevai in punta di piedi per carezzare le sue labbra con le mie soffiando, delicatamente, il mio potere dentro di lui.

Chev rabbrividì di calore e sentii i suoi muscoli sciogliersi sotto le mie mani. Il suo corpo iniziava, infatti, a riconoscere il tocco del mio e ciò mi dava motivo di credere che ben presto, il nostro legame si sarebbe fatto più saldo.

«Puttana!» esclamò stizzito Stenton, ma di nuovo Drogart con un cenno lo zittì. Non sembrava particolarmente colpito da quella scenetta. La sua espressione era di piatta pazienza.

«Intendete offenderci, con questo spettacolo, milady?»

«Non era affatto nelle mie intenzioni, signore. Mi godevo, invece, il frutto di tante fatiche. Capirete di certo che sedurre un guerriero non è cosa semplice!»

«Sì, davvero molte fatiche…» ripeté con un sorrisino di scherno.

«Lo avete ottenuto con l’inganno!» proruppe nuovamente Stenton, incapace di trattenersi oltre. «Avete finto di volerlo acquistare col denaro e poi me lo avete portato via con la forza!»

«Al contrario, signor Faredon. Io sono venuta da voi con la chiara richiesta di avere il vostro Campione ed ero ben disposta a pagarlo a peso d’oro. Ma voi non vi siete lasciato convincere, o sbaglio? Mi mandaste via da casa vostra e non prendeste seriamente la mia offerta. Ho soltanto pensato a un altro modo per ottenere ciò che volevo. E vi assicuro che il modo che ho scelto era dei più regolari possibili visto che vi ho lanciato una Sfida formale! Avreste potuto rifiutare se il vostro orgoglio non vi avesse impedito tanta codardia… ma questi sono affari vostri, che non hanno nulla a che fare con me.»

«Stenton aveva tutta l’intenzione di cederlo a me, il suo Campione.» intervenne prontamente Drogart.

«A voi, dite? E che? Forse che il mio denaro vale meno del vostro, Drogart? In ogni caso, non c’è più nulla su cui discutere dato come si sono svolti gli eventi. Il Cavaliere ora mi appartiene e lo sapete tanto bene quanto noi, altrimenti avreste protestato al momento di firmare le carte del passaggio di proprietà!»

«Mi avete costretto voi a rivolgermi a Drogart e a cederlo a lui, stupida donnetta! Avete voluto forzarmi la mano e non potevo accettare che tutto finisse così, senza che mi opponessi in alcun modo!» Stenton si era fatto tutto rosso in volto, fin quasi a soffocare nella propria bile.

«Quindi una volta compresa la mia vera identità, dietro al volto mascherato del Campione del vostro rivale, avete pensato bene di correre ai ripari e guadagnare quanto più possibile da un affare pericolosamente in perdita? Vi siete rivolto a Drogart, sperando di vendergli il vostro Campione, poiché credevate che a lui non potesse essergli strappato, per via del Giuramento di Sangue che impone agli uomini più forti? Il vostro obiettivo è che non fossi io ad averlo, non è così? Perché prendeste la mia sfida come un affronto personale alla vostra autorità! Ebbene, ora dovrete convivere con le vostre scelte.»

«Non vi affrettate così, ragazza!» disse Drogart. «Avete dedotto tutto al meglio, è vero e non lo si può più negare, ma io farei più attenzione a tagliare in maniera frettolosa la questione.»

Mi guardò ora col volto più severo, come se la mia sfrontatezza lo avesse indignato e leggevo in lui la volontà di mettermi a tacere una volta per tutte.

«Hai detto bene: Stenton mi ha ceduto, con un accordo, lo schiavo. E ora egli mi appartiene.»

«In virtù di cosa è vostro, vi domando?» insistetti impassibile.

«Proprio del Giuramento di Sangue che avete per caso menzionato, ragazza!» annunciò trionfante. «Credevate che non avessimo avuto il tempo di mettere in atto la cerimonia? Mi dispiace per i vostri piani, ma ho preso il suo sangue e lui il mio! Il legame è stato creato ed è indissolubile!» sentenziò.

Con la bocca contorta di vile soddisfazione si rivolse con lo sguardo a Chev che si trovava ora un po’ dietro di me. Strinse gli occhi, concentrato e ordinò: «Vieni a me, mio schiavo! Il tuo sangue mi appartiene e non puoi fare a meno di ubbidirmi!»

Tese la mano nella sua direzione, come a intensificare ulteriormente il tono imperante.

Sebbene sentissi quasi come un peso fisico sulla pelle l’influenza del vecchio Signore sull’uomo alle mie spalle, altrettanto tenacemente percepivo il mio potere contrastare quel comando.

Chevalier prese ad ansimare sempre più forte e rapidamente, avvertendo sulla propria anima gli effetti di tale conflitto, ma dovette non avvertire troppo duramente la necessità di piegarsi alla volontà crudele di Drogart, poiché con uno sbuffo e una risata roca, sostenne: «Potete aver preso il mio sangue, vecchio Drogart, ma io non vi appartengo come vi appartiene il Toro. Io non voglio venire da voi e non voglio sottomettermi al vostro potere. Scelgo di rimanere con chi ha avuto la forza di vincermi con armi oneste.»

«Come osate…?!» sbraitò questi, perdendo finalmente parte della sua compostezza. Stenton, dal suo canto, appariva sempre più arrabbiato e incredulo.

Il Signore del Sangue non si arrese al suo rifiuto e si apprestò a lottare più strenuamente. Fece un passo avanti, estraendo dal lungo mantello che indossava una lama che, sapevo, doveva essere quella rituale. Mi frapposi tra loro prima che lui potesse avvicinarla ulteriormente.

«Mettete via quel pugnale, Drogart Abelhtram!» tuonò Vasil. «Non vi permetto di mancarmi di rispetto, introducendo un’arma in casa mia! Riponete quella lama prima che chiami le mie guardie e vi faccia buttare fuori!»

Egli allora si rivolse a me direttamente. «Voi sapete cos’è questo pugnale, non è così? Dovete sapere che se toccassi lo schiavo con la sua lama, egli non potrebbe più oppormisi!»

«Non vi lascerò farvi forte di un potere così ignobile! Riponete l’arma!»

Drogart la nascose nuovamente sotto al mantello, ma continuò dicendo: «il Giuramento di Sangue lo lega a me indissolubilmente, anche se non lo toccassi ora con questo ferro, la mia influenza rimarrebbe e sapete quanto me che non potrà opporsi ancora a lungo! Riconosco che si sia dimostrato più forte e tenace di quanto avrei creduto, ma tutti prima o poi cedono e si consumano nella vana lotta contro la magia. Davvero vi terreste al fianco un uomo del quale non potrete mai veramente fidarvi? Riconoscete di buon grado il vostro errore e consegnatemi lo schiavo.»

«Siete tanto convinto che non possa resistere alla prova della lama. Se vi lasciassi provare e falliste, accettereste voi il vostro errore e lo lascereste a me, senza più recriminare nulla?» risposi.

A quelle parole Vasil e Calis si mossero nervosi ai margini della mia vista periferica. Percepii più che vedere Chevalier irrigidirsi per la tensione. Aveva dubbi sulla sua forza di resistenza? Mi voltai indietro a incontrare il suo sguardo cupo. Dovette comprendere la mia muta domanda perché ricambiò con un cenno impercettibile del capo. Dopodiché raddrizzò maggiormente la schiena, come a prepararsi per la prova che lo attendeva.

Drogart ghignò e fece cenno a sua volta.

«Sono pronto a farmi da parte qualora il tocco della lama non serva a persuaderlo.» giurò ad alta voce.

Allora egli estrasse per la seconda volta il pugnale e si avvicinò a Chevalier. Io mi feci da parte, senza allontanarmi troppo.

Chev sollevo il polso ingiuriato e non proferì parola. Quando la lama toccò la carne un brivido lo scosse profondamente.

Allora, trionfante, Drogart disse: «Ora ubbidirai ai miei ordini!»

Per un lungo momento Chev se ne stette ritto, immobile, a occhi chiusi. Sudava terribilmente, tanto che la tunica leggera era ormai zuppa.

Dentro di lui forze immani si scontravano, cercando di prevalere una sull’altra. E Chev era il loro campo di battaglia. Fu probabilmente la forza di volontà di quest’ultimo, sostenuta dall’orgoglio, che decise la fine della contesa poiché diede sostegno alla forza dentro di lui che voleva aiutarlo anziché assoggettarlo.

Un po’ pallido in volto, rispose nuovamente: «No! Non eseguirò mai i tuoi comandi!»

Scioccato, e chiaramente preso alla sprovvista, Drogart si staccò di colpo dal Cavaliere. La lama giaceva sulla mano abbandonata a mezz’aria, come se non sapesse bene cosa ci facesse là.

«C-come… è… possibile…?» bisbigliò il vecchio. Successivamente un’intuizione parve colpirlo ed egli si volte a guardami.

«Siete stata voi…? Avete fatto qualcosa… voi… avete…» non riusciva a concludere le frasi tanto era il timore suscitato da quel pensiero che lo aveva colto quasi per caso.

Non trovai più motivo di continuare a celare la verità. Dunque risposi sinceramente ai suoi dubbi.

«È così. Anche io ho preso il suo sangue, ma non gli ho dato il mio.»

«Quel bacio…» bisbigliò e capì. «Non avete completato il Giuramento…»

«Non c’è stato alcun giuramento, solo il rito del Sangue affinché qualcosa di lui mi appartenesse. È quella parte che ha lottato col vostro potere e l’ha sconfitto.»

«Ma questo non è… non può essere! Non avete nemmeno completato il Giuramento, eppure la vostra forza, che dovrebbe essere più debole, quasi di influenza irrilevante, gli dà invece la forza di lottare e resistere! Ha respinto il pugnale!» sottolineò tendendolo verso l’alto, a mostrare palesemente l’assurdità di quella teoria.

«Drogart, cosa…?» Stenton tentò di attirare l’attenzione del suo alleato, di modo che gli spiegasse per bene cosa di preciso non andasse. Ma questi l’ignorava, perso nei ragionamenti e nelle ipotesi.

Dopo qualche momento, durante il quale nella sala aveva regnato il silenzio, rotto di tanto in tanto dalle esclamazioni di frustrazione di Stenton, Drogart si riprese e parlò.

«Dovete essere più di quel che date a vedere.»

Non risposi. Mi limitai a scrollare le spalle.

«Non avreste dovuto essere in grado di mettervi in mezzo a un legame così potente e quasi assoluto» ribadì. «Voi non lo cederete, ho ragione?»

«Esatto.»

«Allora sarà meglio per noi andare. Non me ne faccio nulla di uno schiavo che non obbedisce ai miei ordini.»

«Vedo che ci siamo intesi.»

Mi lanciò un’ultima occhiata ostile e non rispose. Salutò con un cenno Vasil, ignorando del tutto Chev e Calis, poi ci voltò le spalle e lasciò l’abitazione. Stenton, all’inizio, rimase immobilizzato dallo stupore, forse non aveva ancora del tutto compreso le implicazioni di quanto era accaduto davanti ai suoi occhi. Scialacquò un “non finisce qui” e seguì l’altro Signore del Sangue sbraitando ingiurie.

Quando nel ritrovato silenzio sì udì forte il rumore del portone che si chiudeva, sospirai di sollievo e di esasperazione e mi abbandonai sulla panca più vicina.

«Che seccatura!» mi lamentai. «Possiamo tornare a dormire?»

Calis esplose in una risata tonante. Era evidente che aveva ormai messo da parte l’irritazione ritrovando il suo consueto buon umore che lo portava sempre a cogliere il lato comico delle situazioni.

«Credo che per questa notte non torneranno, ragazza!» sghignazzò. «E io me ne torno a letto.»

Detto, fatto. Come se nulla d’importante fosse avvenuto, lasciò la stanza, ridacchiando al suo solito modo e tornò nel suo lettone.

«Non abbiamo null’altro da aggiungere mi pare», disse a un certo punto il vecchio Vasil. «Sarà meglio che mi ritiri anch’io.»

Rimasti da soli, io e Chev ci guardammo ai capi opposti della sala vuota.

«Quello che è successo…» cominciò.

«Deve essere stato piuttosto doloroso, non è così?»

«Già…»

«Vuoi del vino?»

Gli allungai un calice che era stato preparato di fretta e furia per gli ospiti inattesi e che era rimasto inutilizzato sul tavolo.

Lo accettò e bevve. La scena stava diventando fastidiosamente familiare.

«Hai altre domande?» gli dissi.

Dopo un momento di riflessione scolò il bicchiere e proruppe: «Perché mi sono svegliato, questa notte, per ucciderti? La presa del tuo potere su di me si era già esaurita, oppure è dipeso dalla vicinanza di Drogart?»

Sospirai. «Beh, suppongo si tratti della seconda opzione. Se si fosse trattato della prima, a quest’ora saresti diretto con lui alla sua dimora. Se non potevi resistere nel sonno, sicuro non avresti potuto alla prova del pugnale.»

«Ho sentito la pressione del comando crescere attraverso il suo solo sguardo!»

Le sue parole confermavano quanto già avevo avuto modo di notare da me.

«Quando ha preso il tuo sangue, hai notato che se ne spalmasse un po’ sugli occhi?» gli chiesi sapendo già cosa avrei ottenuto in risposta.

Chev corrugò la fronte, riflettendo. «Sì, mi pare di sì… ha sollevato il pugnale e con il piatto della lama ha sfiorato le palpebre… questo che significa, Erin?»

«Come temevo… ha usato un rituale un po’ diverso, o meglio, ampliato, rispetto al solito.»

«Che vuoi dire? Spiegati.»

«Poggiando la lama rituale sugli occhi, ha inteso trasferirne l’effetto alla vista. Sarebbe stato quasi come toccarti col pugnale, ogni volta che ti avesse guardato.»

Alzandomi, mi avvicinai a lui e presi il suo polso tra le mani. Tracciai col dito la cicatrice procuratagli dal Signore del Sangue e proseguii.

«Quando ti ha fissato, questa notte, e ti ho visto irrigidirti in maniera innaturale, ho capito che… ho ipotizzato che fosse ricorso a questo particolare stratagemma. Si tratta di un rito molto antico – quasi dimenticato – ma non per questo meno potente. Sulla base di questa ipotesi, vedendo che sei stato in grado di resistergli, ho accettato che ti sottoponesse alla prova della lama. E tu l’hai superata. È stato doloroso, lo so… ma ciò che è importante è che ti sei fidato abbastanza di me da servirti del mio potere, che ti avevo fornito, per erigere una barriera a difesa della tua coscienza contro il potere di Drogart.»

«Credo che ora possiamo stare tranquilli. Tramite questa prova abbiamo collaudato la forza della nostra alleanza» dissi. «Suppongo che non ti sveglierai mai più nel tentativo di soffocarmi a morte.»

«È stato un azzardo da parte tua», fece presente.

«Chevalier... non ho fatto altro che passare il mio tempo ad azzardare, da quanto mi sono messa in testa di prenderti al mio servizio!»

Sbuffò, sottraendo il polso dalle mie mani. «Forse allora non dovevi batterti per me. Si chiama cattivo affare.»

«L’unico cattivo affare qui è la tua bocca linguacciuta», borbottai, dandogli le spalle e tornando in camera da letto.

Mi parve di sentirlo sussurrare: “in tutti i sensi”, ma avevo troppo sonno per pensare di ribattere ulteriormente.

 
 
   
 
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