Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: La Jackson    06/12/2012    2 recensioni
|Sterek Story|
____________
Quanto segue è un continuo di mia invenzione della seconda stagione di Teen Wolf, con tema principale la coppia Stiles-Derek. Durante il corso della storia, si presenteranno suspense, sofferenza, felicità, dolore, sangue, ossessione, amori corrisposti e contrari, lacrime, tormento, sentimenti celati...
Non mi concentrerò unicamente sulla coppia che bramo di più, ma darò spazio anche ad altre coppie ed avvenimenti che vedranno partecipi ciascuno dei personaggi – più qualcuno di mia inventiva – che siano situazioni rischiose o gioiose.
Breathing underwater, il titolo della suddetta FanFiction, tradotto prende il significato di "Respirare sott'acqua". Ovvero che ciascuno dei personaggi è costantemente in apnea, in procinto di sbagliare, perdere la vita o essere salvato. Tutto spetterà a loro e, ciò che il fato ha da offrirgli, sarà inevitabile e al di fuori di ogni loro aspettativa.
Bé, che altro dire. Questa è la prima FF che pubblico. Spero di non deludervi. Godetevi la prima razione di storia e le prossime a seguire. E se ne avete voglia, lasciate una recensione. :)
Talora lo riterrò necessario, prenderò alcuni piccoli spunti dagli spoiler della terza stagione.
- La Jackson vi saluta. (♥)
Genere: Erotico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Free fallin – Caduta Libera

3








Non si può scappare da quello che si è.
Non importa quanto si corre veloce e lontano.
Si può arrivare ai confini del mondo e tornare.
L’ombra del nostro passato ci sarà sempre un passo dietro.
Ho cercato di seminarla, ho cambiato il mio nome.
Credevo di potermi lasciare tutto alle spalle.
E invece eccomi qui, di nuovo agonizzante nei miei ricordi.
La vita è così.
 


 
Era sempre così le prime volte, e adesso, anche a distanza d’anni, gli era sembrata la prima volta. Da tempo aveva smesso di soffrire così tanto. Aveva smesso di soffrire per gli attacchi di panico, inattesi e strazianti. Ma adesso erano tornati, più amari e demolenti di prima. Come sarebbe riuscito a reggerli ancora una volta? Aveva consumato metà infanzia a soffrire a causa loro. Lo sceriffo e Scott erano stati gli unici ad assisterlo, gli unici a stargli accanto. Non era mai stato solo per paura che accadesse da un istante all’altro, quando ancora la vita viaggiava in una linea di regolarità, niente di paradossale o anomalo. E adesso? Adesso che la vita viaggiava in una linea sottile – pronta a spezzarsi da un momento all’altro – chi l’avrebbe sostenuto, chi avrebbe vegliato su di lui? Faceva male non avere le capacità di ribellarsi. Faceva male non poter controllare il proprio corpo, le proprie emozioni, quando accadeva.
Le prime volte ci vuole un po’ prima di abituarsi, anche se non si è mai sufficientemente sicuri di esserlo. È una continua lacerazione, una morte repentina, ripetitiva e confusa, tanto confusa, da cui risorgi all’incirca dieci – eterni – minuti dopo, se sei fortunato. Ebbene è un miracolo? Affatto. È la cosa più funesta e deleteria che un ragazzino di sedici anni possa patire.
Ti si accappona la pelle. Il battito si ferma. La vista si offusca. I rumori che prima ti accerchiavano sono spariti. La paura di morire. Il timore di impazzire ed essere strappato via dal proprio corpo. I tremori. Il senso di asfissia. Vertigini. Debolezza. Tutto ciò deve essere subìto da un ragazzino che non ha ancora vissuto appieno la vita. Ma che ha un mondo di supplizi che l’attende a braccia aperte.
Pervengono così, senza preannuncio, nessuna avvertenza. Ti avvolgono il cuore in una stretta morsa e lo stringono fino a che tu inizi a lottare contorcendoti e urlando per far porre fine alla sensazione di caduta libera nel nulla più assoluto, un vuoto tutt’altro che ospitale.
Questa è la sua vita e non sa cosa farsene.


 

*°*°*


 
Otto minuti dopo.
Si rese conto di riuscire a sentire di nuovo le braccia e le gambe, la bocca amara, le labbra impregnate di saliva, il respiro fioco, il cuore martellante. Riusciva a sentire i rumori, le sensazioni che il suo corpo provava a contatto con qualcosa di estraneo e madido. Era vivo, un superstite scampato a qualcosa che non riusciva ancora a sopportare. Adesso sentiva freddo, una sensazione di umido e bagnato abbracciava il suo corpo, totalmente. I brividi si facevano meno violenti, ma pur sempre presenti. Il battito cominciava ad accelerare, seguito dal respiro che si faceva ansante, mentre cercava di ristabilirsi.
Era come se il tempo si fosse sospeso in quell’attimo, come se l'eternità – tutto d'un tratto – si fosse rivelata davanti ai suoi occhi. Come se l'ossigeno si fosse congelato a rilento, come se il suo ventre si fosse stretto in una turbinosa morsa che era in grado di recidere quel che ne restava del suo fiato vitale. I muscoli erano intorpiditi, perfettamente immobili, paralizzati. Le labbra schiuse in un'espressione di smarrimento, le iridi colorate di avellana che fissavano un ambiente a lui familiare – ma astratto – e decisamente indefinito per quegli occhi stanchi di vedere il male circondarlo. E poi vide qualcosa, un movimento a ralenti che tendeva ad amplificare quel senso di perennità, quel senso oppressivo che gli dava la percezione di essere schiacciato al suolo. Non riusciva a pensare, né a parlare, né a respirare, nulla gli era permesso. Era morto, caduto in una trance senza via di fuga? La cosa certa era che stava precipitando nell'oblio delle terre più profonde e buie. L'udito non percepiva nulla ed era come un flash, un déja-vu del suo passato. Fotogrammi confusi. 


 

*°*°*



Flashback
Un urlo.
Due urla.
Tre urla.
Quattro urla.
Quella condanna doveva finire. Lui provava a risolvere il problema ma fallire era più forte dell’istinto di provarci.
Ci provava. Falliva. Ci riprovava. Rifalliva. Un susseguirsi ininterrotto di fallimenti.
Anche lui aveva iniziato a gridare.
“Genim?” Una voce giunse – sommessa – dalla porta. Una voce calda, accogliente, così tanto rassicurante. “La mamma è qui e ti vuole bene.” Lo raggiunse nel letto e lo strinse forte al torace ossuto.
“Ho paura, mamma.”
“Non devi averne. Tu sei un bambino forte e questo lo sai bene.” Un sorriso sostò sul volto della donna, così avvilita, segnata dal dolore. Il viso era pallido, trasudante. Emanava fiacchezza.
“Mamma, stai tremando.” La voce del bambino si sfumò di una preoccupazione intensa.
Solo allora si accorse che il piccolo le aveva afferrato la mano. Era presa dai tremori. “Torna a dormire, non è niente. La mamma è solo un po’ stanca.” Il solito sorriso rassicurante. “Ho fatto un brutto sogno, tutto qui.”
Come fa ed essere così forte e allo stesso tempo delicata? Decisamente delicata. Così tanto da toccarla e vedere il suo corpo inerte frantumarsi dinanzi a quello sguardo innocente. “Resta qui, con me.” Genim sapeva che c’era qualcosa di sbagliato in tutto quello che stava passando la madre. In un modo o nell’altro, voleva sorvegliare la donna, assicurarsi che passasse la notte indenne. Aveva ancora cinque anni, ma era perspicace. Lui capiva. Più cercavano di occultargli la verità, più si avvicinava al sapere.
La donna emise un sospiro fiacco, debole. Non aveva voglia di opporsi. Non aveva le forze necessarie.
“Tesoro.” Un’altra voce. Molto più intensa paragonata all’altra, vigorosa ma indiscutibilmente affranta. “Torniamo a dormire?” Sfumature di fiacchezza nel suo volto, voglia di smettere di opporsi alla malattia della moglie.
Genim lanciò un’occhiata fiduciosa alla donna. Voleva essere rassicurato che quella notte sarebbe rimasta al suo fianco. Per salvaguardarla. Lui era il valido cavaliere pronto a difenderla in qualsiasi istante, nessuna eccezione.
“Credo che farò compagnia a Genim, stanotte.” Sorrise gioiosa.
“Ti va di venire a letto con noi, campione?” Non voleva lasciarli soli. Non in un momento indefinibile come quello, dove la cosa più giusta da fare era restare uniti. Nel bene e nel male.
Genim non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti e corse verso il papà, abbracciandolo per le gambe, l’unica cosa che poteva afferrare alla sua altezza. Poi tese la mano, aspettando che la madre lo raggiungesse. Era lì, pochi passi e l’avrebbe presa, stringendola con vigore. Pochi passi e quelle mani avrebbero creato un contatto indissolubile, crogiolato dai loro calori.
Poi un botto. Un’ombra accasciata al suolo. L’urlo del papà. Nient’altro.


 

*°*°*


 
“Stiles!” Un pugno dritto in faccia.
Lui era lì, immobile e rassegnato. E c’era una voce ferma, decisa ma confortante a chiamarlo. Una voce che gli ricordava quella di sua madre, gli riportava in mente tanti ricordi, per lo più malinconici. Quella voce lo riportava indietro, quasi prendendolo per mano, obbligando i polmoni a riprendere fiato e il cuore a battere con normalità. La dolorosa morsa che gli stringeva lo stomaco iniziava ad alleviarsi. Istanti, attimi, secondi o forse ore dopo, l'eternità svanì e l’umano riprese a respirare, dopo un intervallo perenne di agonia. Gli occhi lucidi, aveva voglia di far uscire il lato da bambino che nascondeva in sé, ma riuscì a trattenerlo. Aveva imparato a farlo durante gli anni di convalescenza dopo che la morte si era – ingiustamente – presa la vita della madre. Il respiro era sempre affannato.
“Stiles” venne richiamato una seconda volta. “Torna da me.”
Gli occhi vagarono, la vista annebbiata.
“Stiles, respira” Una mano lo schiaffeggiò saldamente. “Hai capito? Devi respirare, stupido umano.”
Gli occhi del ragazzo cercarono quelli dell’alfa. Per un attimo riprese a respirare regolarmente. Il primo poggiò le mani sulle sue spalle e lo avvicinò adagio a sé. Qualche centimetro a distanziare i loro volti. Gli occhi fissi sul suo sguardo ancora vagante. “Il pericolo è passato.” Lo rassicurò. Gli era difficile farlo. Oramai non sapeva cos’era il conforto. Non sapeva cos’era la compassione o qualsiasi altro sentimento. Aveva cercato di eliminarli dalla sua vita anni fa, come tutte le emozioni, del resto. Ma tentò di rievocarli. Derek Hale non sapeva come gestire la situazione. Era chiaro. L’unica soluzione che gli era parsa quantomeno adeguata, fu quella di mettere il ragazzo sotto una doccia di acqua gelida. E aveva funzionato.
“Dove mi trovo? Vuoi uccidermi?” Stiles deglutì pervaso dal terrore. Il ricordo di aver cercato di sfuggire all’ombra misteriosa, che lo aveva accerchiato intimorendolo, si fece viva nei suoi ricordi. Adesso temeva il peggio. Era stato lui istanti prima ad intimorirlo? “Non farlo.”
“Non voglio ucciderti, idiota” Era quella tutta la gratitudine che gli stava dando dopo che l’aveva salvato nel bel mezzo di un attacco di panico? “Non ora.” Maledisse di aver preso quella decisione. Avrebbe voluto farlo lì stesso, senza rimorsi. “Siamo negli spogliatoi. Hai perso i sensi.”
“Un attacco di… p-panico?” Più che una domanda sembrava una certezza che voleva essere precisata, decretata.
Derek si limitò ad annuire, lo sguardo enigmatico. Era l’incarnazione di un mistero criptico. Un mistero per chiunque. Era preoccupato, felice, arrabbiato, triste?
Magari è l’espressione che assume quando sta per trangugiare qualcuno. Questo non mi sarebbe per niente d’aiuto. Qualcuno mi spieghi cosa cazzo sta provando.Stiles notò l’acqua che scorreva imperterrita sul corpo incolume, sul viso gocciolante di sudore. Poi rise.
“Cos’hai da ridere?” Accigliò il lupo. Finalmente un’espressione decifrabile.
Ringraziò il cielo. Questo continuò a ridere, obliando l’angoscia provata prima.
L’alfa sospirò divaricando le narici. Un leggero ringhio eruppe dalle sue fauci.
Lo indicò alzando un dito debole. “Sei tutto bagnato.” Strano da ammettere, ma la maglietta aderente che ora traspariva gli addominali del lupo lo rendeva piacente. Attraente. Un tipo interessante, insomma. Persino per un uomo. Persino per Stiles. Ogni lineamento era delineato dalla maglia; il tessuto marcava alla perfezione ogni tipo di muscolo maturato negli anni.
Il sarcasmo dell’umano fece capire all’alfa che egli si era ristabilito completamente. “Non ti reggevi in piedi, ho dovuto farlo.” L’aria di chi voleva uccidere, sterminare chiunque gli capitasse sott’occhio. “Dovresti ringraziarmi, Stiles.” Il lupo bastardo e privo di cuore aveva dovuto reggergli la testa, si era dovuto mettere dietro di lui per farlo stare fermo, per sostenere il suo corpo percosso dal panico, seduto lì con l’acqua a infradiciarlo. Aveva dovuto stringerlo contro il suo petto e il ragazzo sembrava essersi accucciato a lui con piacere, durante il momento di black out. Che intralcio. Avrebbe voluto strangolarlo con le sue stesse mani e poi divorare la carne tenera di quel corpo in procinto di morire a causa della mancanza d'aria, ma c’erano troppi problemi al momento, non voleva aggiungerne un altro alla matassa. Magari più avanti, quando le acque si saranno placate, pensò l’alfa.
“In alternativa mi avresti lasciato lì a morire.” Ne era certo, più che certo.
Entrambi erano seri, adesso. Stiles era intimorito da quello sguardo da serial killer che aveva davanti. Impossibile evitarlo. “Cos’era?”
“Non lo so.” Derek aveva mentito e stavolta era percettibile. Voleva farlo capire o solo non era riuscito a controllare la voce – ora come ora – tremante? Era turbato, più del sedicenne che aveva dinanzi, più di chiunque altro. Per quale motivo? Non era forse stato lui – da sempre – il lucido della situazione, quello calmo e controllato? La frangente doveva essere al di fuori di ogni sua – loro – aspettativa, dunque.
“Il tuo non lo so la dice lunga.”
L’alfa gli lanciò un’occhiata rabbiosa.
“Non tenermi il broncio, lupo brontolone.” Una pausa. Forse in attesa di risposta, forse in attesa di essere divorato. “Cos’era quell’ombra?” Tentò una seconda volta, ma l’altro si disinteressò totalmente. “Dannazione!” Esultò, stavolta guardando l’orologio al polso. Si alzò con estrema fretta per poi raggiungere la porta inciampando più volte lungo il percorso. Poi tornò indietro. “Grazie!” Non sembrava essere sincero, ma nemmeno falso, anche lui stava recitando la parte del personaggio criptico. Derek rimase lì ignaro, con espressione corrucciata, mentre Stiles lasciava gli spogliatoi.



To be continued...



 

 

 


Angolo dell'autrice:
Innanzitutto, vorrei scusarmi con ognuno di voi per aver ritardato l'uscita del terzo 'capitolo'. Sciaguratamente ho subìto problemi al computer, che è rimasto inutilizzabile per un bel po' di tempo -dire mesi è dire poco- e siccome il continuo era lì, ho dovuto aspettare e sperare che niente mi fosse stato cancellato. Non vi dico che collera. #*!@?! Mi dispiace tantissimo! e.e
Anyway, in questa terza parte ho voluto mostrarvi la parte amara della vita di Stiles, quella che lo tormenta tutt'oggi, i ricordi strazianti e ciò che credeva di essersi lasciato oramai alle spalle.
E' sempre stato un tipetto forte questo qui.
Spero che sia di vostro gradimento. E non esitate a lasciare una recensione, piccola o grande che sia.

Au revoir, dudes!
La Jackson vi saluta.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: La Jackson