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Autore: wrjms    09/12/2012    2 recensioni
John è solo. Non ha nessuno. È per questo che bazzica ogni sito possibile e immaginabile, è per questo che scrive fanfiction drammatiche: perché è alla disperata ricerca di amici e di qualcosa che gli faccia capire che non è la situazione peggiore al mondo.
E poi... poi su internet incontra Sherlock. Spontaneo, sagace, brillante. E a John non importa quanto a volte Sherlock sia impulsivo, irritante o schietto: Sherlock l'ha salvato, e John sente il bisogno disperato di stare con lui per sempre.
Passano i giorni e i due passano da un social network all'altro, scoprendosi piano piano sempre di più...
... Fino a quando, un giorno, Sherlock non viene rapito.
Dal capitolo 8:
“Prometti che non mi lascerai mai solo?”
“Lo prometto, John. Lo prometto”.
Non hai rispettato la promessa.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I don't have friends. I've just got one.'
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Nota
Ccccciorno!
Questa volta la nota la metto all’inizio, perché ho la leggerissima sensazione che se la mettessi alla fine non se la filerebbe nessuno, questa volta – Wary, pensi davvero che qualcuno legga i tuoi sfasi, eh? -. Sì, beh, in realtà il capitolo non l’ho ancora scritto, ma ho già in mente tutto, a grandi linee – UDITE, UDITE! Primo capitolo con descrizioni e tutto il resto! - , e temo che potrebbe traumatizzare i cuoricini più dolci (mio compreso. :cc).
Perciòquindicui. Non posso lamentarmi di quando sia schifoso/breve/mal scritto/ecc., dato che il capitolo mi accingo a scriverlo ora, ma posso comunque ringrasssssiarvi. Grazie. Anche se stan calando le recensioni… capizco e ringrazio comunque per le due che sono arrivate. ♥♥♥
Vi lascio al capitolo e smetto di rompervi, adieu.
Un’unica cosa: quando arriverete al pezzo in cui John tenta di capire dov’è Sherlock, fermatevi anche voi a pensare. Cercate. Frugate. Potete trovarlo anche voi.
WJ

«MERDA».
Calma, John, calma. Prenditi cinque secondi, sdraiati sul divano, beviti dieci tazze di camomilla… ma calmati. Calmati.
Inutile. Ormai John si artigliava il braccio da più di dieci minuti, lasciando profondi solchi nella pelle e camminando scalzo sul parquet del suo discreto appartamento di periferia. E mordersi il labbro a tal punto di far gocciolare il sangue sul mento non aiutava un granché, dato che aveva appena appreso del rapimento del suo migliore-e-unico amico.
«Porca p…». Il telefono giaceva ancora sul terreno, distrutto. Era caduto dalle mani di John appena due minuti prima – i due minuti più lunghi della sua vita -, per poi finire inesorabilmente sotto i piedi d’un John in iperventilazione, che si era aggrappato al tavolo nel complesso tentativo di non svenire. I pezzi ora giacevano ovunque: i vetri dello schermo rotto, la plastica della copertura. John si rimproverò per aver preferito un cellulare così nuovo e fragile a uno di quelli bellissimi e indistruttibili di dieci anni prima. «Andiamo, per la miseria, DAI!», piagnucolò il dottore, pigiando i tasti alla rinfusa su un vecchio telefonino trovato nel cassetto, appena rifornito della schedina tolta da quello rotto. Il display, quasi ansimando per lo sforzo, si accese miracolosamente.
«Sì cazzo. Sì!», mormorò, e poi compose il numero.
“Il numero che ha appena chiamato è inesistente”.
John si lasciò cadere a peso morto sul divano.

«Adesso ti calmi, John. Prendi un bel respiro profondo e ti calmi. Ti ha chiesto di aiutarti. Sherlock potrebbe essere perfino morto. Vuoi davvero negargli di aiutarlo solo perché hai paura?
E poi ti chiedi perché sei senza amici. Complimenti, John, complimenti!».
John tremolava di paura mentre parlava a sé stesso ma, arrivato all’insultarsi da solo, l’ultima frase lo scosse e lo risvegliò come una doccia fredda.
Devo. Trovare. Sherlock.
Su, John, su. Ce la puoi fare.

John scese nel cortile del suo palazzo, munito del suo laptop e senza nemmeno indossare il giaccone, attraversò la strada e sedette su una panchina. L’unica cosa che riusciva a bruciare nel suo petto era la paura, e per porre fine ad essa avrebbe fatto qualsiasi cosa. Qualsiasi.
Ansioso, premette il tasto d’accensione del PC, terrorizzato all’idea di aspettare anche un altro secondo. Lo sguardo vagava disperato per l’isolato, cercando disperatamente, ansiosamente, inesorabilmente un qualcosa a cui agganciarsi, un mezzo per bloccare la paura che gli attanagliava l’intestino.
I suoi occhi si soffermarono su un piccolo ristorante-bar proprio lì, vicino a casa sua. Ogni tanto scendeva lì a prendere il caffè, prima di andare all’ambulatorio per lavorare, e si metteva a chiacchierare con il proprietario. Tizio simpatico, quello. Ricordò un giorno in particolare:  proprio giorni prima, stranamente, il proprietario non era venuto al suo tavolo a servirlo. Di solito lo faceva sempre lui, apposta per avere un pretesto per parlargli, e John era ben lieto di avere qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Ma quel giorno, quel giorno… John l’aveva osservato incredulo, intristito mentre sedeva al tavolo con un uomo che non aveva mai visto – altissimo, con i capelli scuri e ricci, un cappotto nero e lungo fino alle ginocchia e una strana sciarpa azzurra - e nessuno era venuto a servirlo, nemmeno gli altri camerieri. John si era sentito malissimo, in quel momento, intristito dalla forte verità: lui era solo, era solo nel mondo. Proprio quel giorno se n’era lamentato con Sherlock, quando questo gli aveva dato quella rispostaccia su Facebook, in merito al non avere amici. John era crollato. Era davvero solo, solo nel mondo…
Ma proprio quel giorno aveva scoperto di avere un’eccezione. L’aveva capito quando Sherlock lo aveva chiamato per la prima volta e lo aveva rassicurato mentre lui piangeva, quella sera.
Era solo al mondo, ma almeno era solo con Sherlock.
Mentre attendeva che lo schermo del computer s’accendesse, rimpianse di non averlo chiamato un’ultima volta, quella mattina.

Ecco che il computer decrepito tornava alla vita. John si risvegliò, scuotendo dalla mente l’immagine di quell’uomo etichettato come “stronzo che ti ruba uno dei pochi amici che hai”, quello che parlava con il proprietario del bar. A un certo punto si era voltato, aveva scosso i suoi riccioli scuri e gli aveva addirittura fatto l’occhiolino.
Bastardo.
John scosse le spalle, avviando internet.  Fruga, John, fruga. Cerca. Gliel’aveva detto Sherlock, proprio una trentina di minuti prima. E John, senza rendersene nemmeno conto, si ritrovò proprio a scavare in tutto ciò che avevano condiviso assieme: le e-mail, i DM su Twitter, i messaggi su Facebook e EFP. Rimpianse di non aver salvato in qualche modo la conversazione avuta su Omegle. E se fosse lì l’indizio a cui si riferiva Sherlock? Se fosse morto per una sciocchezza che John s’era dimenticato di salvare?
John tremò, e, improvvisamente, realizzò una cosa.
Sherlock sapeva.
Se aveva lasciato l’indizio da qualche parte, prima di essere rapito, questo significava che lui sapeva che sarebbe successo qualcosa di lì a poco.
Non ti ha detto niente, John.
E John fu sul punto di piangere. Perché lui, alla fine, non sapeva niente. Sherlock sapeva tutto di lui, l’aveva capito praticamente tutto da solo… ma lui, di Sherlock, non sapeva proprio nulla.
E nulla continuava a sapere. Per quanto si sforzasse, nei messaggi di Sherlock non ci trovò nulla. Intere facciate di discussioni amichevoli gli passavano davanti agli occhi, i messaggi di Sherlock erano tantissimi, ma dentro per i suoi occhi c’era così poco…

“Sapevo che mi avresti trovato, John”.
No, Sherlock, io non ti ho trovato. Non ti trovo, non ti trovo…
L’indizio era semplice, dai! Non credevo che avresti avuto bisogno del mio aiuto”.
E invece sì che ne ho bisogno. Quella volta mi avevi messo negli autori preferiti per aiutarmi, ma ora non mi stai aiutando affatto, e io ho paura…
“Sai, sto iniziando a ricredermi su di te. Anche tu sei dolcissimo quando non rispondi alle mie domande, soldato.”
Scusami, Sherlock. Scusami, ma non riesco a rispondere alle tue richieste di soccorso. Tu mi hai salvato, ma io non riesco a salvare te.
“È così poco comprensibile desiderare di vedere il viso di qualcuno, senza schermi di vetro a dividerci?
È così disumano?”.

Vorrei poterti dire quanto ora ti capisco, Sherlock.

E quella chiamata, quella chiamata…
Prometti che non mi lascerai mai solo?”
“Lo prometto, John. Lo prometto
”.
«Non hai rispettato la promessa», disse John ad alta voce, ritrovandosi incredulo con le lacrime che gli bagnavano le guance. Tutti i passanti lo osservavano, una donna al lato della strada sembrava indecisa se avvicinarsi a porgergli aiuto o no. L’occhiata frustrata di John sembrò farle cambiare idea, e questa corse via, senza soffermarsi a fissarlo più del dovuto.
John gemette. Il cellulare sostituto era scarico, e John era impossibilitato a rileggere qualsiasi altro messaggio.
«Perché tutto è contro di me, PERCHÈ?».
John era distrutto. Si prese la testa fra le mani e fece scorrere le pagine di conversazione su Facebook cercando disperatamente qualcosa... Ma non leggeva, non fece nulla di nulla. Invece cliccò sul nome di Sherlock, soffermandosi a soffiare quelle lettere perfette mentre il suo profilo si apriva, e cliccò sulla sua immagine.
Era la sua unica immagine, l’unico pezzo di lui a cui aggrapparsi. E quell’immagine era minuscola, sfuocata, riusciva a distinguere solo i riccioli neri e il collo lungo coperto dal bavero alzato di un cappotto scuro…
E, improvvisamente, John capì.
Riccioli neri. Un cappotto scuro.
Era lui.
L’uomo che parlava con il proprietario del bar. L’uomo così interessante da far sì che questo si distraesse ad ascoltare le sue parole. L’uomo che gli aveva fatto l’occhiolino dall’altro lato della stanza.
Sherlock.
John si sentiva svenire. Sherlock l’aveva visto. L’aveva guardato. Sapeva chi era, e lui era stato così tanto stupido da non riconoscerlo… Se solo l’avesse fatto, Sherlock probabilmente sarebbe stato salvo. O sarebbero morti tutti e due sotto le mani di quel Moriarty… poco importava. Sarebbero stati insieme.
Ma Sherlock, Sherlock… Sherlock era lì. E lui l’aveva visto. E non c’era cosa più forte, più motivante del fatto che Sherlock fosse a pochi metri di distanza da lui, motivo per il quale c’erano grandi probabilità che in effetti lui non abitasse molto lontano da lì.
Tremò. Sherlock, Sherlock.
E, improvvisamente, per un tocco distratto e involontario della sua mano sul mouse, la scheda si chiuse lasciando vedere quella aperta sotto di sé. Era la scheda dei DM di Twitter, forse. John si ritrovò ad osservare il suo nome, “Iperuranio”, notandolo veramente per la prima volta e sorridendo lievemente a quella scelta.
E, al fianco di esso, balenò qualcosa.
Era l’immagine di Sherlock. Non quella di Facebook, quella sgranata, no. Quell’immagine era quella strana, quella che aveva anche su EFP e che l’aveva appunto aiutato a trovarlo sul social network.  Non l’aveva mai capita: erano dei simboli strani, criptici, sembravano fatti con Paint.
La girò un po’, invertì i colori, la capovolse verticalmente e orizzontalmente, ma l’immagine continuava a non avere un senso. Una volta, dopo diversi tentativi, gli era parso di leggere un numero. Sembrava un “2218”, ma lo aveva scartato subito. Probabilmente non era altro che la camera del manicomio che lo avrebbe ospitato da lì a poco, se fosse andato avanti così.
Forse se gli fosse balenata in testa l’idea di chiedergli qualcosa di lui sarebbe riuscito a decifrare quell’immagine. Ma, a quanto pare, l’unica cosa di cui era conoscenza era il suo passato da panettiere a Londra.
Panettiere. Ecco. Forse poteva partire da lì. Girare tutti i panettieri di Londra e chiedergli delle informazioni su Sherlock…
“Scusate, conoscete Sherlock Holmes? Sì? Ottimo! Una domanda: se vi balenasse in testa l’idea di rapire Sherlock, dove lo portereste?”.
Geniale, John, geniale.
Si lasciò andare e cadde in posizione fetale sulla panchina. Il laptop era piombato sul prato, ma non
sembrava aver subito grossi danni. Forse era spento. Forse era andato in stand-by. Forse si era rotto. In quel momento non avrebbe potuto importargliene di più.
Lo sguardo vagò per la strada, vitreo, fino a fissarsi sul cartello che indicava il nome della strada. John faticava a trattenere le lacrime.
Northumberland st.”
St.
Street.
Strada.
Non era “dal panettiere”, era in “Baker Street”.
Non era un “2218”, era un “221B”
Baker Street, 221B.
Sto arrivando, Sherlock.


Quando Sherlock Holmes si svegliò faceva freddo.
«Buongiorno».
Spalancò gli occhi. Era legato, ovviamente, con le gambe assicurate a quelle della sedia e le braccia strette dietro la schiena.
«Mi hai fatto cacciare nei guai, caro mio».
Sherlock sputò sul terreno. «Divertente, Moriarty. Io sono quello legato alla sedia e adesso tu pensi d’essere quello messo peggio».
«Sei tu stesso la causa dei tuoi problemi, Sherlock.  E ora anche di quelli di John… che peccato!».
Sherlock rabbrividì. John. Come diavolo aveva potuto fare una cosa del genere? Come aveva potuto cacciare John in un simile casino?
«Sono un coglione».
«Abbastanza. Ma, se hai bisogno di alzare un po’ la tua autostima, sappi che ti avevo drogato».
«Tu…».
«Avevo bisogno di informazioni, Sherlock, e credo di non sbagliare quando dico che probabilmente non avresti bevuto con me un po’ di liquore». Rise.
Jim aveva un taglio profondo sulla fronte: Sherlock gongolò d’orgoglio, accertandosene, e prese appunti mentalmente di appendere una foto di Moriarty in camera per lanciargli addosso i coltelli, se mai fosse uscito di lì. Fargli del male era estremamente gratificante, per essere una nemesi appena acquisita.
«Sebastian è sulle sue tracce. Prima di sera sarà morto, se ti diverte pensarci. Lo porterò qui davanti a te, prima di ucciderlo. Sarà più carino, no?».
Sherlock ribollì di rabbia. Moriarty scoppiò a ridere.
… E crollò sul pavimento mentre un proiettile gli attraversava la schiena.
Sherlock quasi urlò di gioia: John era davanti a lui, con il braccio teso che ancora stringeva la pistola.
E poi, proprio prima che il corpo di John si riversasse su quello di Jim, Sherlock notò la ferita profonda che gli squarciava il petto.


Nota 2
Non è vero, sono ancora qua. lol
Non uccideeeetemi. *fugge a prendere l’armatura*
Andrà tutto bene, ragazzi.
Cioè, credo.
Il capitolo prossimo sarà l’ultimo, ma forse allungherò la cosa e ne farò uno o due in più.
Ma questo capitolo è lunghissimo! Sono stata brava? :c C’ho messo l’anima, vi giuro, spero che sia venuta fuori una cosa decente.
Sherl e Jawn usano un sacco di parolacce, I know, serviva per enfatizzare la cosa.
E so che ci sono taaanti punti di domanda lasciati lì anche in questo capitolo… ma nei prossimi si spiegherà tutto, giuro.
Voi c’eravate arrivati a trovare Sherlock? Vabbé, Jim lo tiene rinchiuso nel suo stesso appartamento, non era difficile, ma per John era mooolto complesso.
Vi abbandono e torno nel mio angolino polveroso.
Grazie grazie grazie,
WJ

   
 
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