Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Bonniewiwa    09/12/2012    4 recensioni
Il mio cervello cercava di pensare a tutto, tranne che all’accaduto. Non dovevo assolutamente piangere.
Le lacrime cominciarono a scendere, violente e amare, e il mio cuore si frantumò in mille pezzi, scagliando schegge in tutto il mio corpo e danneggiandomi in profondità.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1.




Era davvero successo. Non riuscivo ancora a capacitarmene. Andrew è sempre stato un punto fisso negli ultimi 3 anni. Lui era stato il mio primo vero amico e l’amore più importante della mia vita. Con lui ho avuto la mia prima volta, magica. Mi sentivo amata, fino a quando non l’ho beccato a farsi una nella (quasi) nostra casa. Mi aveva davvero distrutta. Avevo emozioni contrastanti in me, volevo chiedergli spiegazioni, ma allo stesso tempo non volevo mai più vederlo. Mi aveva preso in giro e questo non potevo e non riuscivo ad accettarlo. ‘Si chiude una porta e si apre un portone’. Era vero, ma quella porta era quella della mia felicità, era quella della mia rinascita, era la porta della mia vita. E si era chiusa.

Tornai a casa a piedi, erano circa 30 minuti, ma io li feci di corsa. Scappavo. Scappavo dal dolore che mi aveva segnata, ma che io dovevo eliminare. Sapevo che era stato meglio scoprirlo adesso, sapevo che non si doveva permettere a nessuno di essere tutto.
Entrai in casa con le lacrime agli occhi e sperando che ci fosse qualcuno ad accogliermi, a consolarmi. Ma ovviamente non era così. Mio padre era morto quando io avevo circa 11 anni, non ricordavo molto di lui. Sapevo solo che era sempre stato freddo e un po’ distaccato nei confronti della sua famiglia, forse perché si sentiva che gli sarebbe successo qualcosa. Mia madre mi aveva ‘abbandonato’ all’età di 16 anni, per andare a vivere con il suo nuovo compagno al sud dell’Inghilterra. Inizialmente la trovavo una cosa carina, ma poi mia madre si fece sentire sempre di meno. L’ultima chiamata che mi fece fu per avvertirmi che si era trasferita in America, di punto in bianco. Diceva che voleva una nuova vita e che, anche se le dispiaceva sapeva che me la sarei cavata, che ce la saremo cavata. Già, ora la mia famiglia era composta da me e da mio fratello, Louis. Era due anni più grande di me e per me significava tutto.
L’unico meritevole di essere il mio tutto. Era molto estroverso e ciò mi aveva aiutato tantissimo. Aveva tanti pregi e un senso dell’umorismo che spesso andava sul ridicolo. Ma io lo amavo, non solo come un fratello, ma come un amico, un confidente, un amante, tutto. Ma purtroppo neanche lui era lì, era partito per andare in Spagna. L’aveva sempre amata e io non potevo frenare i suoi sogni.
“Sei sicura Elle? Posso anche non andarci, non è importante.” Lo era eccome per lui.
“Ti ci mando a pedate io in aeroporto se non ci vai da solo.”
“Ok, ok. Ma non combinare guai e qualsiasi cosa chiamami che io prendo il primo aereo che trovo e corro da te.” Ecco perché lo amavo, era disposto a fare di tutto per rendermi felice.
Chiusi gli occhi e ripensai a quella conversazione tutto il tempo per frenare le lacrime, finché non mi calmai.
Decisi di chiamarlo, mi mancava troppo. Erano già passati 5 giorni e sarebbe tornato dopo 2, ma avevo bisogno della sua voce, ora più che mai.
“Pronto Elle! E’ successo qualcosa?” mi chiese subito preoccupato.
Si. Mi sento sola senza di te e ho lasciato la persona che avrei voluto sposare e con cui avrei voluto fare dei figli. Mi sento sola e mi manchi. “No, è che mi manchi.”
“Piccola, se vuoi posso tornare. Tanto se perdo due giorni non muoio mica.”
“E io se resisto due giorni non muoio mica.” Gli dissi per tranquillizzarlo. Forse si, forse sarei morta. Di solitudine. Di dolore.
“Anche tu mi manchi. Ora devo andare. Mi raccomando, non combinare guai e non fare entrare i ladri in casa nostra che senza la mia XBOX non potrei vivere! Ti voglio bene, un bacio!” Sempre il solito. Fui capace di dire solo un flebile ‘anche io’ prima che attaccasse.
Stavo per ricadere nella depressione, ma questa volta dovevo reagire. Per me ora, non contava più l’amore, eccetto quello di mio fratello. Erano le 19. Avrei avuto tempo per prepararmi e andare da qualche parte. Non avrei permesso mai più a nessuno di farmi sentire così. Dovevo pur ricominciare prima o poi, e io scelsi il prima.
Corsi a farmi una lunghissima doccia, per rilassarmi un po’. Mi avvolsi nell’accappatoio e corsi in camera mia a cercare qualcosa per uscire. Optai per un vestitino nero attillato con una scollatura che si fermava sul fondoschiena e che risaltava le giuste curve. Aveva le maniche a tre quarti e nessuna scollatura davanti, ma il mio seno era comunque valorizzato da una collana lunga di finte perle. Niente tacchi vertiginosi quella sera, avrei messo le mie converse ‘eleganti’. Decisi di lasciare i capelli sciolti, per risaltare i miei ricci di un castano chiaro. Passai infine al trucco, odiavo truccarmi. Misi un po’ di blush sulle gote, eye-liner sulle palpebre, del mascara sulle mie folte ciglia che incorniciavano degli intensi occhi marroni e un rossetto rosso sulle labbra carnose. Uscii senza niente, se non con dei soldi e nascosi le chiavi di casa nel solito posto, dentro il portaombrelli davanti all’ingresso. Portarmele sarebbe stato troppo pericoloso, distratta com’ero. Presi un taxi e mi feci portare al ‘Some Nights’, una piccola discoteca, ma molto carina, di Londra.
Avevo deciso. Quella sera mi sarei divertita, a modo mio. Mi avvicinai al bancone e ordinai una qualsiasi bevanda alcolica. Dopo il secondo drink, già non ragionavo più, non reggevo affatto bene l’alcol. Dopo otto, nove? bicchierini ormai ero letteralmente partita. Vedevo gli unicorni, i bicchieri che mi parlavano, le poltrone che mi corteggiavano, alcuni ragazzi che ballavano con smile al posto della faccia. E poi ridevo. Ridevo per tutto e per niente. Era una risata isterica che non sapevo fermare. O che forse non volevo fermare. Mi sentivo in un certo senso libera, felice. Ora volevo solo scatenarmi sulla pista. Da lontano adocchiai un ragazzo riccioluto, con un fisico mozzafiato. I suoi riccioli incorniciavano un viso dolce e da bambino. Non raccolsi molti dettagli di quel ragazzo perché, sia le luci sia il fatto che ero ubriaca marcia non aiutavano. Ballava con altre ragazze, ma decisi che mi sarei buttata. Da sobria probabilmente non mi sarebbe neanche sfiorata l’idea, ma ero ubriaca e il coraggio lo cacciavo da tutti i pori. Mi avvicinai barcollando al ragazzo, mi abbassai il vestito, mi sistemai i capelli e feci una cosa che mai avrei immaginato di fare in tutta la mia intera vita. Lo presi per il collo della camicia, che indossava abbinata a dei jeans e a delle scarpe dell’Adidas, e avvicinai le nostre labbra con voracità. Fu un bacio lungo ed intenso, e io l’avrei continuato all’infinito. Fu uno di quei baci avidi, passionali, nonostante non ci conoscessimo. Non sapevo precisamente cosa mi piacesse in quel bacio, ma mi piaceva. O forse era solo l’effetto della sbornia. Le sue labbra si staccarono un po’ troppo presto da me e quando riaprii gli occhi, non potei non notare un sorrisetto ebete sul suo volto. Un sorrisetto che mi riportava a poche ore prima, che mi faceva cadere di nuovo nel baratro, che riaprì quella voragine che mi squarciava il petto, e che durante quelle ore avevo cercato di rimuovere. Stava per riavvicinarsi, più ubriaco di me. ‘Non combinare guai ’. Le sue parole risuonavano nella mia testa come una fastidiosa sveglia a prima mattina, e quel briciolo di lucidità che avevo mi fece capire che se avessi continuato avrei commesso un grave errore. Mi allontanai da lui e scappai letteralmente dal locale, sotto gli sguardi stupefatti ma speranzosi di ragazze che volevano subito rimpiazzare il mio posto. NO. Io non ero una stronza, non ero una da una scopata e via, non ero una puttana. Avevo cercato di esserlo, per sentirmi forte, fiera di me. Ma l’unico risultato che avevo ottenuto era sentirmi ancora peggio e soprattutto paragonabile alla stessa persona che era sul divano di un lurido bastardo. Io non ero così. Fortunatamente trovai un taxi già lì e traballando mi infilai dentro. Dopo aver riferito la meta al tassista, mi lasciai andare completamente al sedile e gli occhi mi cominciarono a pizzicare. Alcune lacrime cominciarono a rigarmi il viso e io le lasciai andare. Arrivai a casa prima del previsto e salii le scale con molta fatica. Arrivai davanti alla porta di casa mia per miracolo e subito mi assalì un giramento di testa, seguito da conati di vomito sempre più insistenti. Stavo per vomitare. Volevo almeno arrivare al portaombrelli, ma non riuscii a trattenermi e vomitai sulle scale. Il solo pensiero di aver vomitato suscitava in me altri spasmi ed ormai non riuscivo quasi più a controllare il mio corpo. Dopo circa mezz’ora avevo vomitato anche l’anima. Mi accasciai a terra, con la schiena appoggiata alla mia porta di casa, distrutta. Improvvisamente sentii qualcosa cadere sulla mia mano: era una goccia d’acqua, era una lacrima, stavo piangendo. E non feci niente per fermarmi, non ci provai neanche. Mi sentivo sola ed incredibilmente debole, indifesa. Quello era un pianto liberatorio. Mi addormentai distrutta con le lacrime che scendevano silenziose dai miei occhi, lasciandosi una scia nera di trucco.
Fui svegliata da delle mani che agitavano freneticamente le mie spalle. Aprii gli occhi e un fascio di luce mi accecò, facendomi cacciare qualche lacrima per il bruciore.
“Signorina, signorina Michelle!” una donna mi chiamava. Aprii gli occhi e misi a fuoco la persona davanti a me. Era la mia vicina di casa, con in volto un’espressione preoccupata ma allo stesso tempo curiosa.
“Cosa le è successo?” mi chiese. La solita scassapalle.
“Oh, signora Kraig. Niente, ieri sera non mi sono sentita bene.” Dissi con la bocca ancora impastata e spostando lo sguardo sulle scale pulite.
“L’avevo capito. Non sa cosa ho trovato su queste scale. Menomale che sono mattiniera e sono riuscita a pulire tutto prima che qualcun altro potesse vedere. E’ successo qualcosa?” insisteva.
“No, solo che ho l’influenza. – tagliai corto – Grazie per le scale.” Mi affrettai a prendere le chiavi di casa e, seccata di dover cambiare il loro posto perché non si sapeva mai, feci per aprire la porta.
“Vuole una mano? Se mi facesse entrare io potrei aiutarla a …” SCASSAPALLE.
“No, grazie. Ora corro a farmi una doccia.” Le risposi senza farla finire di parlare e chiudendole la porta in faccia con un finto sorriso stampato sul volto.
Guardai l’orologio in cucina e vidi che erano le 7. Pensai di buttarmi di nuovo nel letto, ma capii che prima era proprio il caso di farmi una bella doccia. Così, scocciata e anche parecchio assonnata procedetti con la velocità di una lumaca verso il bagno. Mi tolsi tutto con parecchia goffaggine, caratteristica mia da ben 19 anni. Decisi che la cosa più urgente era lavarsi i denti e così lo feci. Mentre li spazzolavo, non potei fare a meno di guardarmi nello specchio. Ero un mostro. Le occhiaie incorniciavano i miei occhi, avevo trucco sparso ovunque e i capelli erano andati a farsi benedire. Ero più simile ad un panda che a un qualsiasi altro essere umano. Finito di lavare i denti, riempii la vasca di acqua e buttai dentro mezzo litro di bagnoschiuma. Mi ci infilai dentro e mi feci trasportare totalmente dall’acqua bollente. Sentivo pian piano i miei muscoli rilassarsi e quando il sonno stava prendendo la meglio su di me, improvvisamente il mio cellulare squillò. Non andai a vedere chi fosse, ma quel suono mi irritò a tal punto da farmi uscire dalla vasca nervosissima. Dopo un ulteriore controllo, capii che un’altra lavata di denti era necessaria, dopodiché usai colluttorio e mi ficcai in bocca due gomme trovate in camera mia. Mi asciugai velocemente i capelli e mi infilai il pigiama. Chiamarono di nuovo, dopo altre cento volte, ma non avevo voglia di parlare al telefono. Così quando ne fui piena decisi di spegnere il cellulare, vidi l’orario. 8:35. Cazzo, quanto tempo ero stata lì dentro? E 21 chiamate perse. LOUIS. 7 della mattina e 14 della sera prima. Cazzo. Ora avevo paura di rispondere al telefono, altro che scocciarmi. Ed ecco di nuovo il display del telefono illuminarsi. Sono fottuta. Mi sforzai di fare una voce assonnata e risposi: “Pronto?”






Saaaaalve a tutti!
Eccomi con il primo capitolo della storia, ovviamente già in ritardo :s 
Purtroppo ho avuto vari problemi con il pc, la connessione e via dicendo..
Solo per dirvi, ma li avete visti i ragazzi al MSG? Ho pianto per circa un'ora e mezzo, ma vabbè. Bravissimi come sempre. 
Una cosa che ho dimenticato di dirvi: io cercherò di pubblicare 'con regolarità' ogni 10 giorni, due settimane massimo.. 
E che altro.. spero vi piaccia questo inizio e sarei felicissima se lasciaste anche un piccolo commento per dirmelo. Anche se devo perdere le speranze, anche se sono critiche negative.. servono per farmi migliorare in fondo c: 

Beh, allora ci sentiamo presto! Ciao ragazze! :D


-Bonnie.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Bonniewiwa