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Autore: Aitch    12/12/2012    9 recensioni
“Shhh…” mi sussurrò vicino all’orecchio e cominciò a baciarmi il collo. Con le braccia mi aggrappai alla sua schiena, mentre il suo viso si era spostato, le mie labbra danzavano con le sue, la sua lingua, ormai padrona, abbracciava la mia. Sentivo una leggera e piacevole pressione del suo bacino sul mio. In quel preciso istante non ero più Cora, non ero più un essere umano, ero semplicemente un’anima in balia di quell’angelo riccio. Non mi importava della gente che avevamo attorno a noi, forse avrebbero potuto perfino denunciarci. Sicuramente un luogo con così tanti bambini non era adatto per scambiarsi certe effusioni, ma tra le sue braccia nulla aveva più importanza. Il vocio della gente presente era scomparso, così come la musica di sottofondo. Eravamo solo io, lui e i nostri respiri leggermente affannosi. Restammo legati così per molto tempo, anche se sapevo che mai sarebbe stato abbastanza.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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"Ti amo" e lo fece per l'ennesima volta. Dannazione Styles, quanto odioso volevi essere?
"Ti amo anche io" mugugnai sconfitta, accovacciandomi sul sedile e guardando fuori dal finestrino.

Il paesaggio scorreva sotto i miei occhi e a poco a poco notai come la macchina si stesse indirizzando verso un unico posto plausibile. Dopo tutto, aveva parlato di biglietti, no?
“Arrivati. Dai che siamo un po' in ritardo...” disse Harry parcheggiando e scendendo dall'auto.
“Che novità per te Styles...” lo stuzzicai io beccandomi una spintarella non appena il riccio tornò ad avvicinarsi con entrambe le borse in mano.
“Harry, sei sicuro di voler...”
“Si!”
“Ma guarda che non è...”
“Lo so!”
“Quindi se...” e senza lasciarmi dire altro, mise fine a quell'inutile movimento delle mie labbra appoggiandovici sopra le sue, delicatamente, dolcemente, quasi timidamente. Il mio cuore cominciò a galoppare, non ancora abituato a certe sorprese e consapevole che mai si sarebbe potuto abituare ad un tale sentimento. Decisi di starmene zitta, seguendo Harry all'interno dell'aeroporto e imitandolo in tutti i suoi movimenti. Era rapido e sicuro, non esitava un secondo in quello che faceva. Quel suo comportamento, mi metteva i brividi. Di piacere, sia chiaro. Era come se quel ragazzetto del '94 fosse già esperto e pratico in tutto quello che faceva e vederlo così tranquillo in qualsiasi ambiente, mi dava sicurezza. Sempre.
Come quando eravamo rimasti chiusi fuori casa di sua sorella lasciando in cucina le chiavi: mentre io avevo cominciato a preoccuparmi, lui mi aveva tranquillizzata con un bacio a fior di labbra e in pochi secondi era salito su un muretto, aveva raggiunto una finestra socchiusa per poi saltarci dentro con l'abilità di un gatto. Qualche secondo dopo eravamo già sul divano a coccolarci.
Era una bella sensazione, stare al fianco di una persona e fidarsi ciecamente di qualsiasi sua mossa, non dubitare nemmeno un secondo della sua forza, del suo carattere e della sua determinazione.
Mentre lo vedevo occuparsi efficientemente dei documenti parlando con l'assistente al bancone, sorrisi ripensando invece a come si fosse imbarazzato quella volta quando aveva fatto cadere sul divano l'intero contenuto del pacchetto di caramelle gommose, facendo rimanere entrambi a bocca asciutta, o a quando, testardo, aveva veramente creduto di potersi arrampicare su un albero per poter aiutare un cucciolo di gatto che salito fino in cima, non riusciva più a scendere. Con tutta la sua convinzione fece un balzo ricadendo qualche secondo dopo a terra supino. Per fortuna, Liam era prontamente intervenuto portandogli una scala che gli permise di prendere il cucciolo e riportarlo a terra dopo averlo coccolato un po'. Quel ragazzo, cocciuto com'era, avrebbe potuto continuare per tutto il giorno a saltare per cercare di arrampicarsi su quel tronco rischiando di rompersi qualche osso.
Harry era così, capace di perdersi nelle cose più piccole, ma di tirare in fuori tutta la sua sicurezza nel resto.
“Andiamo” si voltò prendendomi per mano e conducendomi verso il check-in. In poco tempo arrivammo al gate ma prima che potessi leggere la destinazione del volo sullo schermo, il riccio mi si parò davanti.
“Lo so che sei curiosa, ma...ce la faresti a non guardare?” mi chiese rendendosi conto subito dopo dell'impossibilità della cosa. Gli risposi con una smorfia divertita facendo comparire sul suo volto quelle fossette che mi mandavano in estasi ogni volta,
“E va bene...” disse spostandosi e lasciandomi leggere il nome di quella città. Lessi due o tre volte per assicurarmi di aver capito bene di cosa si trattasse. Spalancai gli occhi e guardai il ragazzo.
“Che c'è, non ti piace? Ti avrei portata a New York, ma non è esattamente quello che intendo quando dico “stare in pace”...” disse stringendo tra le mani i biglietti. Eccolo. Ecco lo Styles che nelle piccolezze si rivela insicuro e così dolce e premuroso. Preoccupato del fatto che la meta mi importi veramente qualcosa. Non capiva che con lui sarei andata anche a Timbuctu? Di quel pensiero mi bastavano solo due parole “con lui”.
“Harry, è perfetta. Parigi è perfetta” lo rassicurai sorridendogli e abbracciandolo stretto. Il ragazzo cominciò ad accarezzarmi i capelli mentre io mi ero già inebriata del suo profumo dolce e penetrante che tanto amavo. Il solo pensiero di passare tre giorni a Parigi con Harry mi mandava in delirio. Era una città banale per due innamorati? Era scontato passare un fine settimana nella città dell'amore? Era forse poco originale? Può darsi, ma non me ne importava un bell'accidente. Mi eccitava da morire l'idea che saremmo stati un po' per conto nostro, in una città sconosciuta ad entrambi.

Il volo fu piacevole e veloce, così come lo spostamento all'hotel in pieno centro città.
“Harry è meraviglioso! Quanto ti sarà costato?” gli chiesi allargando le braccia e facendo un piccolo giro su me stessa in quella camera così spaziosa, sfarzosa e accogliente. Appena entrati, ci eravamo trovati in un salottino con un divano comodo coperto di cuscini, e televisione al plasma dotata di qualsiasi collegamento satellitare; in camera, il letto a due piazze, rigorosamente a baldacchino, aveva un magnifico copriletto blu con dei ricami bianchi; il bagno sembrava un centro bellezza con uno specchio enorme e una vasca da bagno altrettanto spaziosa.
Il riccio in tutta risposta fece spallucce come se nemmeno avesse dovuto sborsare un centesimo, ma semplicemente sorridere alla ragazza in reception per farsi dare il passepartout di quella suite a Parigi. Non gli sarebbe risultato poi tanto difficile, con quel sorriso che si ritrovava, effettivamente.
“E, il panorama? Hai visto che roba?” continuai quasi in preda ad un attacco isterico. Mi avvicinai alla porta-finestra e la spalancai uscendo nel piccolo terrazzino. Parigi era veramente meravigliosa. La camera affacciava sulla Senna, lasciando scorgere parte del Louvre. Restai qualche minuto ad osservare, rapita da quello spettacolo che mi si parava davanti. Dietro di me, sentii i passi del ragazzo farsi sempre più vicini, fino a quando, le sue braccia mi strinsero in un abbraccio, costringendo la mia schiena ad appoggiarsi al suo petto che sentivo caldo sotto la maglietta. Le mie mani raggiunsero le sue, che sostavano sulle mie braccia poco più in basso delle mie spalle. Percepivo nettamente il battito del suo cuore attraverso la stoffa dei nostri indumenti. Lui era veramente lì con me, non era un sogno,
lui era lì.
Sentii la sua testa abbassarsi fino a raggiungere il mio collo. La mia pelle fresca si incendiò al semplice sfioramento delle sue labbra. La sua bocca, impertinente, baciava, a tratti leccava o mordeva, quasi come avesse trovato del nettare prezioso, del quale non avrebbe fatto più a meno. I brividi avevano cominciato a trasformarsi in vere e proprie scosse di piacere, tanto da farmi inclinare la testa all'indietro, poggiandola su di una sua spalla, concedendogli ancora più libertà di movimento, evitandogli qualsiasi forma di resistenza, accettando quella tortura in grado di inibire i miei sensi, eliminare le mie capacità di ragionare razionalmente e soprattutto, abbassare completamente ogni mia difesa. Era sempre così, e lui lo sapeva. Lo sapeva benissimo. Lo sapeva talmente tanto bene, che quando mi concessi un lieve gemito del quale mi vergognai, lo sentii sorridere compiaciuto sulla mia pelle. Lui era così, abile ed impertinente. Sensuale e scaltro. Provocatore e pericoloso. Tutto questo e molto altro insieme lo rendeva lui. Lo rendeva quel Harry Styles di cui mi ero follemente, pazzamente, incondizionatamente e irrimediabilmente innamorata. Che mi facesse male provare tutti quei sentimenti tutti insieme? Me lo chiedevo spesso. E proprio quando cercavo di trovare una risposta, quelle labbra mi distraevano dai miei ragionamenti bruciando la mia anima, quelle mani modellavano la mia pelle come sabbia tanto da farmi incespicare tra i miei pensieri e quel corpo condizionava così profondamente il mio, tanto da impedirmi di pensare ad altro, se non a lui.
“Tesoro...” sussurrò lasciandomi riprendere fiato,
“Dimmi...” risposi vedendolo sorridere divertito,
“Vogliamo fare un giretto?” domandò baciandomi la fronte.
“Io direi che...” cominciai indietreggiando di qualche passo e rientrando in camera,
“Chi arriva ultimo nella hall paga penitenza!” continuai afferrando la borsa e correndo verso il corridoio. In pochi secondi le nostre risate contagiarono quel piano d'albergo e correndo verso l'ascensore, mi intrufolai dentro proprio qualche secondo rima che la porta scorrevole mi schiacciasse. Ridacchiai pensando che Harry era rimasto fuori e probabilmente avrebbe dovuto scapicollarsi giù dalle scale. La coppia di vecchietti che avevo spaventato entrando in ascensore all'ultimo secondo, mi guardava perplessa mentre io non potevo smettere di sorridere. Appena arrivammo al piano terra corsi verso il centro della hall per assicurarmi la vittoria. Mi voltai verso le scale, osservando un ammasso di folti capelli ricci rimbalzare giù per gli ultimi gradini. Arrivato ai piedi della rampa, il ragazzo alzò lo sguardo per controllare se fosse ancora in temo per vincere, ma quando i suoi smeraldi incontrarono la mia espressione soddisfatta, si alzarono al cielo e sbuffando. Harry si avvicinò,
“Non vale, tu hai...”
“Vinto, lo so!” lo interruppi. Al che il riccio mi mise un braccio attorno al collo e ci indirizzammo così, verso l'uscita dell'albergo.

“Allora? Ti sono piaciute le lumache?” gli chiesi divertita mentre dopo cena uscivamo dal ristorante,
“Per favore, non voglio più sentir parlare di animali viscidi fino alla fine della settimana, ok?” mi rispose toccandosi lo stomaco e sgranando gli occhi,
“Ma sembrava che volessi fare il bis!” lo presi ancora in giro,
“Credo che il cameriere si sia accorto che ne ho buttate tre sotto il tavolo...mi guardava male”
“No, ma che dici? Sembrava gli stessi addirittura simpatico, sopratutto quando gli hai chiesto se aveva del ketchup!” e scoppiai a ridere, tanto da dovermi fermare e piegare su me stessa.
“Pensavo potessero essere più buone!” allargò lui le braccia innocentemente, mentre io non riuscivo a smettere di ridere.
“Il ketchup, sulle escargots, in un ristorante di classe, in Francia?” scandii le parti del discorso ridendo di gusto,
“Pensavi veramente che te lo portasse?” continuai sghignazzando, tanto da dovermi asciugare una lacrima che mi stava bagnando l'angolo dell'occhio destro,
“Pfff, non è divertente!” disse incrociando le braccia facendo una smorfia,
“Oh, io dico di si!”
“Forse avrei dovuto ascoltare te e prendere qualcosa di più semplice...” si rassegnò lui, prima di cominciare a sorridere divertito. Io tornai a riassumere una normale posizione eretta, guardando il ragazzo. Harry mi tese la sua mano, e in pochi secondi la afferrai, intrecciando dolcemente le sue dita con le mie. Quella mano così grande stringeva saldamente la mia, riscaldandola poco a poco. Lo spiavo da sotto i suoi ricci mentre non sapeva che sarei stata disposta a non lasciarla mai più andare.
Passeggiavamo sulla riva della Senna, guardando passare qualche imbarcazione turistica, salutando allegramente i passeggeri con la mano, indicando tutto quello che ci appariva nuovo o strano, commentando le espressioni perplesse che il cameriere a cena aveva rivolto ad Harry. Mai avevamo riso così tanto insieme in tutta la nostra vita. Era come fossimo stati colpiti da una malattia che ti faceva vedere le cose più colorate e belle di quanto non apparissero, più allegre e divertenti di quanto non fossero. Una malattia che aveva contagiato entrambi, profondamente, instillando nella nostra anima una misera goccia di quel virus che si era propagato ed espanso ad una velocità inimmaginabile. Una malattia che forse non aveva cura. Una malattia che in molti avrebbero chiamato
amore.
“Uh, guarda laggiù!” indicai sorridente,
“Fanno le crêpes! Prendiamone una, dai!” quasi lo supplicai,
“A che gusto la vuoi, pozzo senza fondo?” mi domandò avvicinandosi alla crêperie,
“Nutella” gli sorrisi ebete.
Mentre lui era andato a comprarle, io mi appoggiai al parapetto, guardando in basso. Era veramente una bella città Parigi. Ci ero stata un paio di volte con i miei, ma mai avrebbe potuto stancarmi: così raffinata, così precisa, così romantica, così...
Parigi.
“Ehi baby!” sentii una voce alle mie spalle e una risatina in sottofondo. Mi voltai vedendo una figura barcollante avvicinarsi.
“Cosa ci fai tutta sola a quest'ora?” la voce era impastata e veloce, tanto che compresi a fatica le parole di quel ragazzo francese visibilmente ubriaco, accompagnato da un amico che non la smetteva di sogghignare compiaciuto.
“Non sono da sola...” risposi indietreggiando insicura e lanciando uno sguardo verso il negozio di crêpes dall'altra parte della strada.
“Ah no? Io non vedo nessuno qui con te però!” continuò lui. Il mio francese arrugginito non mi permise di cogliere cosa farfugliò l'altro ragazzo, così tirai fuori il cellulare, fingendo indifferenza.
“Non sei francese vero? Hai un certo accento inglese” intervenne anche l'altro avvicinandosi altrettanto barcollante,
“Si, infatti...” sussurrai, girandomi verso la strada, intenzionata a raggiungere Harry nella crêperie. Una mano che mi afferrò il polso
però, non me lo permise. Rabbrividii.
“Dove vai? Non mi
hai nemmeno detto come ti chiami cara...” il primo ragazzo mi aveva bloccata,
“Harry!” chiamai io guardando dentro il locale. Inutile, non mi avrebbe mai sentita. Con tutta la mia forza cercai di liberarmi, ma non avrei potuto niente contro la forza fisica di quel ragazzo.
“Henry, proprio così mi chiamo, come hai fatto ad indovinare?” continuò il tipo tirandomi a sé e portando l'altra mano sulla mia schiena.
“Non dicevo a te pezzo di idiota...” ringhiai cercando di intimorirlo,
“La ragazza è tosta...” solo quello riuscii a comprendere della frase pronunciata dall'altro ragazzo, ma la situazione stava prendendo una piega che non mi piaceva per niente. Riuscii a tirare una ginocchiata nel basso ventre del tipo che, sulle risate del compagno, si piegò dal dolore, senza però mollare la presa dal mio polso,
“Harry!” urlai ancora in preda al panico, cercando magari di attirare l'attenzione di qualche
inesistente passante. Ovvio.
“Cazzo lasciami!” gli urlai quasi supplicandolo e leggendo nei suoi occhi una certa rabbia fermentata dopo quella ginocchiata che gli avevo tirato. Non stavo più ascoltando quello che usciva dalle bocche di quei due, ero impegnata a stare lontana il più possibile dal ragazzo che ancora serrava il mio polso nella sua presa ferrea, e a lanciare occhiate disperate verso la porta della crêperie. Quanto ci voleva per una maledettissima crêpe? Improvvisamente, un nuovo strattone mi fece inciampare tra la stretta del ragazzo che di nuovo mi attirò al suo corpo, portandomi ancora più vicina a lui, impedendomi qualsiasi movimento. Sentivo il suo respiro puzzare di alcool e fumo contemporaneamente. La sua mano stringeva sempre di più il mio polso mentre l'altra dalla mia schiena stava scendendo, sempre più bassa. Chiusi gli occhi in preda al terrore quando, una nuova stretta mi cinse la vita. Quando riaprii gli occhi vidi il ragazzo che prima era impegnato a tenermi prigioniera sul suo corpo, con una crêpe spalmata in faccia. Alle prese con i lamenti più incomprensibili, le mie orecchie riuscirono solo a comprendere “i miei occhi” e “brucia”.
“Prendi” mi disse freddamente il riccio porgendomi l'altra crêpe. L'afferrai stordita e lo osservai avvicinarsi ai due.

Bam, un pugno in pieno viso al ragazzo che si stava ancora pulendo gli occhi e
Bum, un secondo colpo all'altezza dello stomaco.
Il ragazzo era ansimante a terra mentre l'altro sbraitava qualcosa nervoso. Quando quest'ultimo aiutò il suo amico ad alzarsi, il quale si asciugò con la manica un rivolo di sangue che gli usciva dal labbro, entrambi guardarono Harry,
“Venite avanti se avete il coraggio che vi spacco la faccia” li invitò con un inglese perfetto. Nonostante non avesse parlato la loro lingua, entrambi avevano capito perfettamente le parole del riccio che avanzava tranquillo vedendoli indietreggiare. I due in poco tempo se ne andarono a gambe levate, gridando ancora, qualcosa di incomprensibile.
Le mie mani ancora tremavano e dalla crêpe che sorreggevo a fatica, qualche goccia di Nutella calda era caduta a terra sull'asfalto. Osservai il ragazzo sciogliere i pugni e massaggiarsi il dorso della mano con la quale aveva colpito il volto dell'ubriaco. Ancora non si era voltato verso di me, il che, non era un buon segno. Improvvisamente nacque in me una sensazione di disgusto nei miei confronti. Come potevo non essere capace di stare lontana dai guai nemmeno una volta? Cominciai a temere che quello che era appena successo avrebbe potuto rovinare quella magnifica vacanza.
“Harry...Harry io...” cominciai sussurrando,
“Stai bene?” mi chiese dopo essersi voltato. Annuii. Il riccio cominciò a fare avanti e indietro per il marciapiede, agitando e aprendo e chiudendo in continuazione la mano che aveva inferto i due colpi.
“Ti sei fatto male?” gli chiesi qualche minuto dopo osservando la sua mano. Non rispose.
“Harry io non...” cercai di scusarmi quasi, ma lui, come al suo solito, mi interruppe.
“Perchè devi sempre ficcarti in certe situazioni?” ringhiò senza smettere di camminare e guardare il cemento,
“Io...loro...”
“Cosa? Non l'hanno fatto apposta? ...Perchè non sei venuta con me? Perchè non mi hai seguito a prendere quelle fottute crêpes, uhm?”
“Come potevo sapere...”
“Pensando che è notte e ti trovi in una grande città, piena di gente e che per di più non conosci! Cose del genere succedono ovunque! Se ti avessero caricata in macchina e...Dio! Non voglio nemmeno pensarci!” disse portandosi le mani alla testa e spingendole con forza di nuovo verso il basso.
“Ma...”
“Ma cosa, Cora? Cosa? Vuoi dire che è colpa mia? Si, forse è colpa mia, da oggi ti porterò in giro con un guinzaglio come i cani, va bene? Almeno non ti allontaneresti da me...”
“Stai facendo tutto da solo, Harry...” farfugliai,
“Io sono quasi morto di paura, lo capisci questo?” continuò guardandomi negli occhi, finalmente. Annuii.
“E allora, per favore Cora,
per favore...Stai più attenta alla gente che ti ronza intorno quando non ci sono...” annuii ancora, abbassando lo sguardo, quando, sentii il ragazzo ridacchiare. Ritornai a fissarlo interrogativa.
“Mi sembri un cartellone che pubblicizza un dolce di cattiva marca...” mi disse guardando prima me e poi la crêpe che ancora tenevo in mano. Poi si avvicinò, e con la punta dell'indice raccolse dal bordo della pastella la Nutella che colava e me la spalmò sul naso, facendomi sorridere.
“Scusami” accennai, poco prima che il ragazzo si avvicinasse per baciarmi la stessa punta del naso che aveva sporcato e in quel momento ripulito con le sue labbra,
“Sembra buona...” mi disse leccandosele e raccogliendo altra cioccolata che però si portò in bocca.
Assaggiai il dolce che tanto avevo desiderato e con un sorriso scemo, gli feci capire quanto era buona. Continuando a masticare gli avvicinai la crêpe perchè potesse assaggiarla di persona, e con un morso abbondante, sorrise altrettanto soddisfatto. Mangiammo il dolce insieme in silenzio, tornando verso l'hotel.
In camera, ci mettemmo entrambi in pigiama e solo a letto, dopo che le luci si spensero, Harry riaprì bocca,
“Sei sicura di stare bene? Ti stringeva parecchio forte il polso...” in effetti ero un po' indolenzita, come avessi preso una botta e si stesse formando il livido, ma preferii non farglielo sapere,
“Si, io sto bene. Tu piuttosto, la tua mano?” lo sentii avvicinarsi sotto le coperte,
“La mia mano non potrebbe stare meglio...” mi rassicurò accarezzandomi i capelli,
“Sei arrabbiato con me, Harry?” gli chiesi rannicchiandomi e sprofondando nel suo petto caldo e profumato,
“Perchè dovrei esserlo?” rispose abbracciandomi. Mi sentivo talmente tanto bene in quel momento, nonostante fossi terribilmente mortificata per quello che era successo. Avevo le sue braccia attorno al corpo e niente mi avrebbe fatta sentire più protetta.
“Perchè creo casini...senza nemmeno sapere come...sono...sono una stupida...io non...” ma non seppi nemmeno come continuare. Mi avvicinai ancora di più a lui, facendomi stringere più forte.
“Oh si, quello si...” proseguì,
“...cosa?”
“Stupida. Sei una stupida se pensi che possa essere arrabbiato
con te per quello che è successo. Lo sai come sono fatto...quando si tratta di...certe cose, esplodo. Ma no, non ce l'ho con te tesoro, assolutamente.”
“Grazie Harry...”
“E di cosa mi ringrazi? Dai
scricciolo, dormi che altrimenti domani non riusciamo a visitare bene la città” disse baciandomi la fronte e continuando per qualche minuto ad accarezzarmi i capelli fino a quando, Morfeo non ci accolse tra le sue braccia.

Il sole era già alto quando mi stropicciai gli occhi e mi stiracchiai sedendomi a gambe incrociate sul lettone. Immediatamente mi apparve la figura di Harry, in piedi, di fronte a me. Diedi uno sguardo all'orologio sul comodino: le 9.34 e lui era già bello vestito. Mi stava dando le spalle ed era indaffarato a fare chissà cosa sul tavolino vicino alla porta della camera. Il suo corpo mi impediva di spiare, così aspettai paziente inclinando la testa su un lato.
“Buongiorno
scricciolo, dormito bene?” mi chiese dopo essersi finalmente voltato. In mano sorreggeva un vassoio bianco pieno di leccornie adatte alla prima colazione. Nel vedere un vasetto con una rosellina rossa sbucare timidamente, mi accesi in un sorriso di gioia. Il riccio sorrise di rimando.
“Et voilà: cafè au lait, brioche, pain chocolat, jus de fruit et une rose...une rose...” cominciò interrompendosi e chiudendo gli occhi con fare concentrato. Mi limitai a guardarlo perplessa.
“Ah, cavolo! Me l'aveva detto come si diceva rossa, ma non me lo ricordo!”
“Rouge...” completai,
“Esatto! Ehm, et une rose rouge!” concluse dopo essersi schiarito la voce. Poi mi posò il vassoio sulle gambe e mi guardò sorseggiare il caffellatte e azzannare il pain chocolat, uno dei più buoni che avessi mai assaggiato. Il succo di frutta era leggermente aspro, ma si accostava bene alla dolcezza del ripieno di cioccolato ancora caldo.
“Coma mai l'idea della colazione a letto?” gli chiesi tra un morso e un sorso. Alzò le spalle.
“Com'era?” mi chiese poi,
“Ottima...però...”
“Cosa? Il latte era freddo? Avevo esplicitamente detto tiepido, non freddo! Ah, ma dopo mi sentono...” cominciò lui facendomi ridere,
“Ma no scemo! Il latte era perfetto...”
“E allora che c'è?” mi chiese allargando le mani con fare interrogativo,
“Sai qual'è la parte migliore...” cominciai prendendo il vassoio e posandolo a terra cercando di non rovesciare niente per poi rimettermi a sedere sul letto,
“...della colazione a letto?” continuai,
“La comodità del mangiare senza doversi alzare?” disse dopo averci pensato,
“Questa è una risposta da Niall Horan non da Harry Styles, mi sorprendi!” esclamai mentre lui continuava a non capire,
“Io parlo del
letto Styles...del letto...” precisai avvicinandomi e baciandolo. Per una volta ero stata io ad averlo sorpreso, ad aver preso l'iniziativa. Quel mio bacio lo compiacque perchè lo sentii sorridere sulle mie labbra giusto prima di sprofondare completamente sulle mie. Con le mani lo afferrai per il collo della camicia tirandolo a me. Di certo non si fece pregare perchè ben presto ci ritrovammo stesi, io supina e lui prono su di me. Affondai le dita tra i suoi ricci per averlo ancora più vicino, mentre le sue mani erano saldamente poggiate sulla mia vita. Con le gambe abbracciai il suo bacino, permettendogli di avvicinarsi ancora di più, di incastrarsi di più su di, di farmi sentire ancora di più la sua persona, dapprima timida per non mettermi fretta e poi sempre più prepotente e impertinente per togliermi il respiro e uccidermi con ogni suo movimento o ogni suo respiro leggermente affannato. I primi bottoni della sua camicia pianca erano già aperti, mentre una sua mano era abilmente sgusciata sotto la maglietta del pigiama, accarezzandomi il fianco e l'addome. Sentivo il desiderio di farlo mio aumentare sempre di più, secondo dopo secondo, bacio dopo bacio, tocco dopo tocco. Quella mattina le sue labbra sapevano un po' di cioccolata, forse per il dolcetto appena mangiato, fatto sta che forse, Parigi avrebbe potuto aspettare qualche minuto, qualche ora...perfino qualche giorno.
“Service en chambre!” urlò una voce di donna aprendo la porta principale. Quella frase fece balzare indietro Harry, tanto da fargli perdere l'equilibrio e farlo precipitare a terra. Io scoppiai a ridere divertita mentre il ragazzo si era rimesso in piedi alla velocità della luce, guardandosi in giro disorientato, mentre si riallacciava i bottoni che poco fa avevo accuratamente sbottonato,
“Posso entrare?” continuò la donna che probabilmente aveva sentito il tonfo di Harry e la mia risata,
“Si signora entri pure!” la invitai trattenendo le risate. Mi affacciai verso la sala e vidi una robusta signora sulla cinquantina, con un carrellino pieno di flaconi colorai, stracci e scope. Sorrideva tranquilla.
“Può fare prima la camera da letto così vado in bagno a vestirmi, per favore?” le chiesi ricambiando il sorriso,
“Certamente signorina” disse. Dopo averla ringraziata scappai in bagno con qualche vestito in mano. Mi lavai, mi vestii e mi diedi una sistemata cercando di non metterci troppo. Quando tornai in sala, la donna aveva già rifatto il letto, sistemato il divano e spolverato i soprammobili, infatti la ritrovai a parlare un francese rapido e preciso con un Harry che gentilmente sorrideva e annuiva senza capire una sola virgola di quello che la donna gli stesse dicendo. Sorrisi tra me e me e mi avvicinai per salvare il ragazzo,
“Grazie signora, mi scusi se ci ho messo tanto”
“Non si preoccupi, il suo fidanzato è un ottimo ascoltatore!” disse regalando al riccio un'energica pacca sulla spalla che lo fece sorridere sorpreso e divertito al tempo stesso.
“Vado a lavorare e ricordatevi che se avete bisogno di qualcosa, Charlotte è a vostra completa disposizione!” terminò allargando le braccia e dirigendosi verso il bagno intonando “Non, je ne regrette rien”, una tipica e solenne canzone francese di Edith Piaf, che ricordavo così bene perchè la mia vecchia professoressa di lingua ce l'aveva fatta cantare più volte in classe.
“E' brava, perchè non la prendete nella band?” sussurrai ai riccio dandogli una leggera gomitata e recuperando subito dopo la borsa.
“Si, potrebbe essere un valido acquisto, hai ragione...” scherzò lui,
“Ma, da quando sai parlare il francese?” mi chiese dopo qualche secondo,
“Oh, ci sono tante cose su di me che ancora non sai, bello mio...” gli risposi con fare misterioso.
Nella hall, la ragazza dietro il bancone della reception ci sorrise gentile, augurandoci una buona giornata. Usciti dall'albergo prendemmo una fresca boccata d'aria parigina, pronti a camminare avanti e indietro fino a non sentire più i piedi. Il cielo era limpido e terso, qualche ciuffo bianco di nuvola lo decorava. Il sole splendeva. Il via vai di gente indaffarata era già cominciato da ore. Il profumo di baguette appena sfornate invase le nostre narici. Le risate di qualche bambino ci allietarono le orecchie.
Parigi sembrava sorriderci.




Image and video hosting by TinyPic Si, lo so. SCUSATEMI. E' tanto che aspettate, ma...ho avuto un blocco!
Accidenti, sono stata a pensare a lungo a questo capitolo e poi, ad un tratto, è venuto fuori da solo.
Spero che l'attesa sia valsa almeno un pochino-ino-ino-ino.
Per l'immagine si curamente si dai ;)
Si, ecco, ci tengo a precisare che questa dannata immagine mi ha fatto perdere ancora di più la testa. Sì. Sì.
E' il mio sfondo sul cellulare e del desktop, oltre che costantemente visualizzata nella mia testa. Bene.
Che c'avrà mai quel suo dannato sorriso?
Beh, non vi annoio oltre.
Un bacio belle e grazie come sempre.
Fe.

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Twitter? @CallmeAitch seguitemi e vi seguo prima che Harry finisca di pronunciare il suo nome per intero...ahahaha, ne ho di tempo allora! Ahaha!

  
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