Capitolo 1
Come un modello di Abercrombie
È da quando sono scesa
dall’aereo che non fa altro che
piovere. Non sopporto la pioggia, fa diventare tutto grigio, freddo e
soprattutto mi arriccia i capelli e ci ho impiegato tre ore a
pettinarli
stamattina. Che poi, a pensarci bene, che cavolo li ho pettinati a
fare? Sto
per finire nel terzo mondo, o forse quarto e quinto.
La Push. Non l’avevo neanche mai sentita nominare fino a
due settimane fa e adesso ci devo andare in esilio. È
lì che vive la migliore
amica di mia madre, mai sentita nominare neanche lei, proprio una
grande
amicizia la loro. E lì che i miei hanno deciso di mandarmi
dopo che… dopo
quello che è successo.
Sbuffo e l’autobus inizia a decelerare. Controllo sul
cellulare, a quanto pare è questa la mia fermata.
Forks.
Chiudo la zip della giacca di pelle e scendo. Mi guardo
intorno, se questa è la cittadina non oso immaginare come
sarà il resto. Do' un'altra occhiata al cellulare, forse mi sono sbagliata…
sì, sicuramente, magari è
la fermata dopo.
“Rose?” Mi volto e un ragazzo alto e moro mi
sorride.
“Sei Rose, giusto?” Chiede gentile.
Annuisco. Ma questo da dove spunta? Esiste una filiale di
Abercrombie a Forks? Mi pare impossibile.
“Io sono Embry.” Mi allunga la mano.
Non che non sia contenta di conoscerlo ma “E tu chi
diavolo sei?”
Ride. Non ho mai sentito nessuno ridere così di gusto.
“È
una gioia anche per me conoscerti, Rose. Io sono il figlio di
Tiffany.”
“Non ti chiamavi Erold?”
“Erold? Ti sembro una con la faccia da Erold?”
Mi stringo nelle spalle e lo guardo. No, mi
sembri solo uno che vedrei volentieri senza vestiti.
“Beh, vogliamo andare?”
“Le mie valigie”, affermo indicandogli il
bagagliaio.
Mi guarda.
“Ti sembro una che si porta le valigie da sola?” Sarai
pure bello ma in quanto a buone maniere lasci a desiderare.
“Bene.” Sbuffa e mi passa accanto chinandosi sul
bagagliaio. Sedere notevole non c’è che dire.
“Quali sono?”
“Quelle rosa.”
“Ovviamente”, esclama tirandole fuori e dirigendosi
verso
la macchina.
“Stai attento le rovini.”
Mi guarda male e apre la portiera facendomi segno con la
testa di salire. Lo seguo dentro e sospiro.
“Sai la carrozza era in manutenzione”, dice ironico
mettendo in moto.
Accende l’autoradio, canticchia sottovoce una canzone e
ogni tanto si volta a guardarmi. Punto lo sguardo sul finestrino, non
ho
nessuna voglia di fare conversazione. Voglio solo tornarmene a casa mia
e se
mostrarmi stronza può aiutare la causa, allora
sarò la regina delle stronze.
“Quindi, sei di Los Angeles.”
Annuisco continuando a fissare la strada.
“Com’è?”
“Migliore di qui, sicuro”, rispondo sbuffando e
sfregandomi le mani. Si gela qua dentro.
Lui non sembra
scoraggiarsi alle mie laconiche risposte, accenna un sorriso e alza il
riscaldamento. Come diamine fa ad indossare solo una maglietta?
“Mia madre ha detto che i tuoi nonni abitano nella
riserva Makkah.”
Mi stringo nelle spalle. Cosa vuole la mia
storia familiare? “Mia
madre ha vinto una borsa di studio per
il college, ha conosciuto uno stronzo pieno di soldi, che poi sarebbe
mio padre
e se l’è sposato. Vuoi sapere pure il mio numero
di sanità?”
“Volevo solo fare conversazione.”
“Evita, grazie.”
“Come vuoi.” Alza di più il volume dello
stereo e
picchietta le dita sul volante. Ha ancora quel sorriso sul volto.
È talmente
bello da essere irritante. E tanto per sapere, dove cavolo è
questa riserva? In
mezzo alla giungla? L’ultima volta che sono stata dai nonni
avevo sei anni, mia
madre a detto che La Push è simile ma…
“Ok, siamo arrivati.” Embry spegne il motore e apre
la
portiera. Sgrano gli occhi. Che vuol dire che siamo arrivati? Ormai
piove talmente
forte che non riesco neanche a capire dove
siamo arrivati.
Scende dall’auto e lo sento aprire il portabagagli,
probabilmente scarica le mie valigie e dopo un paio di minuti torna
indietro,
apre la portiere e sorride.
“È ora di scendere, principessa.”
“Sta diluviando.”
“Diluvia sempre qua. Meglio che ti ci abitui.”
“Se scendo mi bagno.”
Alza le spalle e sorride ancora. “Allora resta qua, ma se
vieni attaccata da un orso non è colpa mia.”
“Come fa ad attaccarmi un orso se sono chiusa in
macchina.”
“Potrebbe rovesciarla”, afferma tranquillamente
infilando
le mani in tasca.
“Stai bleffando.”
“Forse, ma sono sicuro che non vuoi scoprirlo,
principessa.”
Non possono esserci orsi qua , o forse sì? Sono in mezza
al nulla dopo tutto. Mi mordo le labbra
e scendo dall’auto. Lui mi sorride compiaciuto,
allunga una mano e la
stringe intorno al mio polso trascinandomi dietro di lui,
finché non arriviamo
al riparo sotto un portico. Scrolla la testa e si sposta un ciuffo di
capelli
fradici dagli occhi.
“Ma l’asfalto non è arrivato da
voi?” Dio,
le mie scarpe.
Stavolta mi ignora ed entra dentro casa. Lo seguo.
“Ti faccio fare il giro, non ci vorrà
molto.”
Mi levo la giacca bagnata, mentre lui indica con un dito
il piccolo salotto dove siamo.
“Questa è la sala, la c’è la
cucina – mi fa segno di
seguirlo, attraversa un corridoio e indica una stanza chiusa
– quella è la
stanza di mia madre, lì a destra c’è il
bagno, e questa è la mia stanza.” Apre
una porta e allungo il collo guardando dietro di lui.
“E io dove dovrei dormire, scusa?”
“Ma nella mia stanza, mi pare ovvio.”
“Cosaaaa?” Urlo indignata, questo si è
bevuto il
cervello, dovrei…
“Non ti eccitare, principessa, io sto sul divano”, dice avvicinandosi di un
passo e posandomi le
mani sulle spalle. Sento le guance colorarsi pericolosamente, ne mordo
l’interno e lo spintono via.
Lui scoppia a ridere e si allontano per tornare poi con i
miei bagagli che posiziona al centro del pavimento. “Ti ho
liberato qualche
cassetto”, afferma tranquillamente sedendosi sul letto.
“Quindi adesso questa è la mia stanza.”
“Già”, dice portandosi le mani dietro la
testa ed
osservandomi.
“E allora sparisci.”
Scuote la testa e si alza in piedi. “Sarà proprio
uno
spasso averti qua in casa, principessa.”
“Non ho intenzione di restarci molto, tranquillo.”
“Se lo dici tu.” Fa un altro passo ma poi sembra
ripensarci e torna indietro. Mi fissa. “Sai la cosa degli
orsi? Hai ragione
bleffavo. È ai lupi che devi stare attenta.”
Sgrano gli occhi mentre lui scoppia a ridere ed esce di
nuovo chiudendosi la porta alle spalle.
Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Sospiro, ora li
riapro e sono di nuovo a casa mia, nel mio letto, nella mia camera, con
la mia
cabina armadio, ok proviamo, uno, due,
tre… niente da fare. Ancora questa stanza con questi dannati
poster. Col cavolo
che dormirò con una donna nuda appesa sopra alla testa.
Mi alzo in piedi e salgo sulla scrivania, cercando di
arrivare a quella stupida immagine di Megan Fox che sorride con solo
indosso
una maglietta bianca bagnata. Ma che razza di maniaco è
quell’ Embry? E
perché diamine lo ha messo così in alto?
“Principessa, ho dimenticato di dirti… che stai
facendo?”
Volto la testa e osservo Embry fermo sulla porta e non so
perché mi sento incredibilmente idiota, qua in piedi sopra
la sua scrivania.
Incrocio le braccia al seno e lo guardo inviperita cercando di
mascherare il
mio imbarazzo.
“Perché diavolo non bussi?”
“È la mia stanza.”
“Non più, ora è mia.”
“E suicidarti è un modo per marcare il
territorio?”
Alzo gli occhi al cielo e gli indico il poster appeso al
muro.
“Bello, eh?”
“Sì, Embry, una vera opera d’arte. Ora
levalo.”
“Non ci penso proprio.”
“Io non dormirò con quello in camera.”
“Allora resta sveglia… o prova a dire per
favore.”
Cosa? Neanche
morta. “Bene
faccio da sola.” Salgo
sulle punte e provo ad allungarmi il più possibile, i tacchi
alti non aiutano
certo il mio equilibrio, barcollo e chiudo gli occhi per preparami
all’ impatto
ma due mani mi sorreggono per i fianchi.
Li riapro e Embry mi sorride tenendomi in braccio. Porca miseria, così vicino è
ancora più bello.
“Mettimi giù subito, animale.” Sbotto
mordendogli un
braccio.
“Come vuoi, principessa.” Molla la presa ed io
finisco a
terra con un tonfo secco.
Apro la bocca per mandarlo al diavolo ma lui è
più
veloce. “Ho fatto solo quello che mi hai chiesto.”
Mi rimetto in piedi e lo guardo male. Dio vorrei poterlo
bruciare con uno sguardo. Mi accontenterei anche di incenerirgli solo i
vestiti
… ma a che diavolo penso?
Gli do le
spalle e mi piego sulle valigie aprendone una. “Beh, che
volevi dirmi”, sbotto
infine.
“Se devi farti la doccia il boiler per l’acqua
calda ha
un autonomia di mezz’ora.”
Spalanco la bocca incredula, mentre tiro fuori dalla
valigia un paio di stivali dal tacco alto.
“E cerca di non consumarla tutta, serve anche a
me.”
“Embry, stai scherzando, vero?”
Lui si avvicina e si inginocchia accanto a me dandomi un
buffetto sulla guancia.
“Non scherzo mai sulle cose serie, principessa.”
Voglio, tornare a
casa subito, ora, adesso.
Angolo dell’autrice che non ha resistito
e
torna a tediarvi con le sue storie
Quindi come prima cosa vorrei
tranquillizzare chi segue le altre mie
storie: gli appuntamenti con Lotte&Tay e Jake&Bells
restano invariati
il Lunedì e il Venerdì.
Ma a volte capita che la notte fai un sogno e questo ti
rimane addosso tutto il giorno, ci pensi e ci ripensi, alla fine cedi e
lo
metti nero su bianco. Il risultato del mio sogno lo vedrete in queste
pagine.
Di nuovo nell’universo di Twilight, di nuovo una storia
di lupi ma stavolta senza vampiri. La Push dopo lo scontro con i
volturi,
quando la vita ha ripreso per tutti il suo normale corso. Embry, Jake,
Quil,
Kim, Jared e qualche nuovo arrivo. La scuola, ragazzi di diciassette
anni come
tanti o forse diversi da tutti.
Grazie e Sandra che come sempre si presta a betare ogni
mio delirio.
Grazie a Angel per i suoi dubbi, le sue reazioni ad ogni
capitolo che mi aiutano a vedere la strada giusta da prendere e poi per
il bellissimo
banner.
Grazie a Ellie perché il mio Embry è diventato
suo (o
forse è stato viceversa) e ormai lo è pure Rose.
Grazie a Ania, Vi, Maria e Erika che aspettavano questa
storia già da troppo tempo.
E grazie a chiunque leggera queste righe o aprirà per
caso questa storia.
Per ora non ci sarà un
giorno fisso in cui posterò ma gli
aggiornamenti saranno abbastanza
frequenti.
Con affetto
Noemi