Eccone
un altro.
Non
so se mi faccia ancora pena vederli piegati in due sul pavimento, o se
ormai ci
sia talmente abituato da poterci passare sopra senza neanche rendermene
conto.
Non che mi importi: fa schifo comunque. Noi, questo posto, chi ci
compra. Schifo
totale.
«Ehi,
alzati» questo è nuovo, lo riconosco dalle spalle.
C’è ancora un po’ di carne sopra.
«Dico a te, levati dalle palle.» Tempo tre
settimane e verrà spolpato vivo. Gli
do al massimo un mese.
Il
ragazzo tossisce e uno schizzo di sangue mi arriva sulle scarpe. Mi
sono quasi
deciso a dargli un calcio per spostarlo e poter raggiungere il mio
letto,
quando mi afferra un polpaccio. Non so per quale motivo il suo gesto mi
blocchi;
sarà la forza con cui mi stringe, o il fuoco che ha negli
occhi mentre si gira
a guardarmi, ma io lo vedo vivo, così vivo da non morire.
Non subito, almeno.
«Dammi
una mano» dice, e il suo tono riesce a mostrarsi baldanzoso
anche se sta
strisciando con almeno un paio di costole incrinate su un pavimento
lurido.
Sono tentato dal mandarlo a farsi fottere, poi penso che mancano ore al
mio
turno e che posso anche spendere qualche minuto per rimettere in piedi
quell’idiota. Almeno potrò passare, visto che si
trova proprio davanti al mio
letto.
Lo
afferro per la collottola e lo tiro su senza troppi complimenti. Lui
non si
regge in piedi e quasi mi cade addosso.
«Mi
chiamo Naruto.»
«Pensi
che mi interessi anche solo lontanamente?» lo spingo verso il
muro perché possa
appoggiarvisi. La mia buona azione quotidiana l’ho fatta.
«Cerca di non starmi
troppo tra i piedi, idiota.»
Sembra
indeciso se ringraziarmi o sputarmi addosso. Sii grato, pivello,
perché nessun
altro ci avrebbe pensato due volte a lasciarti lì per terra.
«Non
mi dici il tuo nome?» la mia totale indifferenza sembra non
tangerlo nemmeno.
Devo essermi arrugginito. «Bene, allora. Ti
chiamerò semplicemente bastardo.»
Sogghigna,
l’idiota. A quanto pare non si è ancora reso conto
in che razza di posto è
capitato, ma non sarò certo io a fargli da guida turistica.
Lo sorpasso con un
menefreghismo così plateale che lui mi grida dietro
qualcosa. Non lo ascolto,
non lo farà nessuno. È solo un altro poveraccio
che fra poco, se sarà
sfortunato, morirà restando in vita. Se ha un minimo di
culo, schiatterà
davvero.
Non
gli dico il mio nome perché non ha bisogno di chiamarmi. Se
avesse bisogno di
una mano non lo aiuterei.
Che
muoia da solo, come facciamo tutti.
Nostalgia
del
totalmente Altro
Il
ragazzo nuovo ha contraddetto le mie aspettative.
Tempo
una settimana e già ha mollato. Noi almeno ci proviamo, a
sopravvivere, a lui
sembra che non importi. Si rifiuta di salire in macchina con i clienti
e questo
ai guardiani non è sfuggito; sembra che godano come bestie
quando trovano l’ennesima
scusa per tormentarci, ma non me ne sorprendo. Loro sono
bestie, proprio come noi.
Gli
altri ridono, gli chiedono che sapore abbia il cemento. Io lo guardo e
sto
zitto. Lui si rialza e mostra loro il dito medio. Perde sangue dal
naso.
Ai
nostri aguzzini non piacerà. Basta una settimana, in questo
posto, per capire
se sarai uno di quelli che fra cinque anni sarà ancora qui a
vendere il culo
oppure uno che fra cinque ore dormirà dentro a un cassonetto
o in fondo al
fiume. Il biondo tende pericolosamente verso la seconda ipotesi, ma non
so
quanto questa sia una brutta prospettiva. Se non hai niente per vivere,
allora
fatti un favore e muori. Qui nessuno di noi vive. Sopravviviamo ed
è penoso.
Quel
ragazzo è così stupido da darmi sui nervi. Ecco,
si avvicina un’auto e lui
manda il proprietario a cagare. Un altro volo sul marciapiede; stavolta
il naso
se lo è rotto davvero. È un miracolo che abbia
ancora tutti i denti, ed è
decisamente assurdo che non ci pensi un attimo a rialzarsi. Un pugno
tra le
scapole, di nuovo con la faccia sul cemento. Basta poco per capire che
non imparerà
mai.
Il
cliente cambia preda e accosta davanti a me; io gli chiedo il doppio
della
tariffa e lui sbuffa ma comprende che non è serata. Tra il
biondo psicopatico,
Kiba che ne ha prese tante da essersi ridotto a un cumulo di ecchimosi
ambulanti, e quel
tipo, Gaara, che
sembra perennemente pronto a uccidere qualcuno, non so chi sia il male
minore.
Il bastardo accetta il fatto che, se vuole scopare, gli tocca pagarmi a
peso
d’oro. È conveniente essere l’unica
scelta.
Nemmeno
ci provo, a compiacerlo. Fa tutto da solo e pare non dargli fastidio;
ormai mi
illudo che non ne dia più nemmeno a me. Quando torno dagli
altri quel povero
cane del ragazzo nuovo è seduto per terra con
l’occhio sinistro già in procinto
di gonfiarsi.
La
mia mano si allunga verso di lui dotata di volontà propria.
Guardarlo mi dà
fastidio.
«Il
cliente era tuo» sbotto. «Prendi questi dannati
soldi.» gli lascio cadere le
banconote sul grembo. A me non servono, ho già racimolato
abbastanza da pagarmi
il letto. Domani niente porzione extra,
però, ma tanto il cibo fa cagare e moriremo
tutti di fame comunque,
quindi che importa? Fame di cibo, di libertà, di vita,
ognuno ha la sua. Qualcuno
anche di morte, e sono fortunati perché è la
più facile da raggiungere. Basta smettere
di lasciarsi vivere.
Lui
sembra interdetto. Cristo, perché non ci arriva? Se torna a
mani vuote anche
stanotte quelli lo ammazzano. E meno puttane hanno, più
turni fanno fare a
quelli rimasti. Non ho intenzione di farmi rompere il culo
più del dovuto per
colpa di un ragazzino piagnucoloso, quindi farà meglio ad
accettare quei
dannati soldi.
«Nella
merda ci siamo tutti. Alzati e smetti di piangerti addosso.»
Lui
è seriamente intenzionato a picchiarmi, lo vedo dai suoi
occhi. Non gli
conviene, dato che parte decisamente svantaggiato, ma non mi tirerei
indietro. Sfogare
questa rabbia che mi mangia il fegato sarebbe una buona cosa, una volta
tanto.
«Sei
proprio un bastardo.» dice. Poi si ferma una macchina e forse
è per questo che
non mi colpisce, ma ha una paura fottuta e non ce la farà
mai a salirci. Io gli
lancio un’occhiata di sfida e in quel momento capisco che
invece ci riuscirà,
anche solo per non darmela vinta. Gli trema la mano sulla maniglia
dello sportello.
Poi la macchina lo inghiotte, lo fotte e lo vomita venti minuti dopo.
La
distruzione totale di un essere umano, sia nel corpo che nello spirito,
non
dura nemmeno mezz’ora. Non servono che venti schifosi minuti
per ridurci a
patetiche imitazioni di vita. Basta così poco che non
abbiamo nemmeno il tempo
di disperarci mentre succede: accade e basta.
Il
biondo ha le tasche appesantite ma sospetto che non siano i soldi a
piegargli
le spalle verso terra
Dio,
se piange dovrò davvero prenderlo a calci in culo.
Quasi
a volermi contraddire di nuovo, alza gli occhi e il suo viso
è fermo. Si ficca
una mano in tasca e rovescia il suo contenuto ai miei piedi.
«Tu
non hai nessun diritto di trattarmi come una
nullità.» Solo un tipo come lui
può mostrarsi agguerrito dopo essere stato trattato come il
più misero degli
oggetti da un pervertito qualunque. Gli altri ragazzi dopo il primo
cliente si
chiudono in se stessi fino a inghiottirsi, forse cercando
un’anima che non c’è
più. Lui sta in piedi come un gladiatore sopravvissuto
all’arena, e mi dà sui
nervi perché prima di diventare un guscio vuoto anche io ero
così. Vorrei esserlo
ancora.
Vorrei
fargli notare che si sta trattando come una nullità da solo,
ignorando quella
che probabilmente è l’unica possibilità
di sopravvivere che ha, invece mi
limito ad accennargli con il mento alle banconote sparse sul
marciapiede.
«Fra
neanche un mese sarai pronto a uccidere per una manciata di yen in
più.»
sogghigno. «Proprio come tutti noi. Raccoglili o li
rimpiangerai a ogni calcio
che ti spezzerà le ossa.»
Con
al coda dell’occhio vedo Kiba che guarda tutto quel denaro
con la bava alla
bocca. Lui viene pestato da tre sere di fila perché non
guadagna abbastanza e
sembra pronto a confermare la mia ipotesi; Hinata di tanto in tanto lo
aiuta,
ma stasera non c’è e posso capire il limite che un
essere umano non può in
alcun modo oltrepassare. Kiba vuole vivere. Kiba non può
sopportare di venire picchiato
una sola volta in più. Kiba ha raggiunto l’ultimo
stadio: è una bestia in tutto
e per tutto.
Kiba
vuole quei soldi. Kiba è pronto a qualsiasi cosa per averli.
Poi però vede la
mia occhiataccia e resta dove si trova.
«Non
voglio debiti con nessuno, tanto meno con un bastardo come
te.» blatera intanto
il biondo.
Io
gli volto le spalle senza nemmeno guardarlo perché mi ha
stancato e qui si
devono conservare le energie per qualcosa che valga la pena.
«Qui
c’è la vita o c’è la morte.
Non ci sono
vie di mezzo. Dei tuoi debiti non importa niente a nessuno.»
Lui
non vale la pena. Uno stupido in grado di gettare la sua vita al vento non può valere la pena.
Non
risponde e io quasi sorrido quando, un paio di minuti dopo, sento il
tintinnio
delle monete che vengono raccolte e cozzano l’una contro
l’altra. Allora pure
lui si spezza.
Sto
ancora ghignando quando una mano si infila di forza nella tasca dei
miei jeans.
Sento il peso di qualcosa che prima non c’era e provo
l’irresistibile impulso
di picchiarlo. Cristo, allora è davvero così
stupido come sembra! Non lo pesto solo
perché ci penseranno i guardiani tra poche ore, e poi
perché se comincio a discutere
con uno in procinto di finire schiacciato dalla realtà
significa che sono
davvero messo male.
«Te
ne pentirai.» gli dico solo. Anche se sono girato
dall’altra parte, sento
comunque che sta sorridendo. Pensa davvero di aver vinto una battaglia?
La
guerra non si combatte tra di noi, ci siamo tutti talmente indifferenti
che non
avrebbe senso. È la morte a sfidarci ogni giorno,
l’idiota lo capirà presto. Forse
smetterà di perdere tempo e si deciderà a
svegliarsi. Altrimenti, ci sarà una
puttana in meno a battere la notte. E basta. Non cambierebbe nulla: noi
siamo
invisibili anche a quelli che ci fottono.
Mi
sfilo le banconote dalla tasca e le getto a Kiba, che le prende al
volo. Vorrei
vedere la faccia stravolta dalla rabbia del biondino, ma resisto giusto
per non
abbassarmi al suo livello. Deve capire che siamo inutili, che non
possiamo
esserci d’aiuto nemmeno l’uno per
l’altro. Kiba stasera ha il culo parato –
sempre che abbia rinunciato all’assurda mania di nascondere i
soldi, visto che
lo beccano sempre – ma domani sarà nella stessa
situazione di oggi e non lo
aiuterà nessuno. Arriverà a chiedersi se
è valsa la pena di sopravvivere un
giorno in più, visto che lo sappiamo tutti che ha le
settimane contate. Quando
si arriva al punto in cui si trova lui, è impossibile
tornare indietro. È
troppo a fondo per risalire; lo sa solo lui quanto ossigeno gli rimane
prima di
affogare, ma a occhio e croce direi che la sua scorta d’aria
è quasi a secco.
Quando
torniamo a casa perdo di vista l’Idiota – ho deciso
che lo chiamerò così, non
mi interessa il suo nome e non sono nemmeno sicuro di ricordarmelo
– ma
immagino che si stia prendendo la sua dose di carezze.
Non ha trovato nessun altro cliente e i soldi che aveva non
bastano. Kiba si è infilato quelli che gli ho dato io nelle
mutande e ora sputa
sangue. Mentre Hinata lo medica vedo che gli mancano un paio di denti.
Mentre
mi avvicino al letto trovo proprio la persona che non volevo vedere
prona sul
pavimento lì accanto. Lo ignoro completamente, ma noto
comunque la posizione
innaturale in cui è crollato: di sicuro lo hanno colpito
alla schiena. Vorrei
proprio vedere come dormirà, stanotte, dato che non
può stendersi né sul dorso
né – le sue costole non sono ancora guarite
– a pancia in su. Rantola e
tossisce mentre uno stronzo che passa lo urta senza nemmeno
accorgersene. Quello
che avrebbe dovuto capire già dal primo giorno: non ci
vediamo nemmeno tra di
noi. E va bene così, o morire ogni giorno farebbe ancora
più male.
Non
mi interessa. Davvero, me ne frego. Ma non mi farà dormire
per tutto il resto
della notte se continua così, e in fondo il denaro che ho
gettato a Kiba era
suo.
«Li
sognerai, quei soldi» lo sbeffeggio, senza riuscire a
trattenermi. Magari imparerà
la lezione. «Sempre che riuscirai a prendere sonno. Il
pavimento non deve
essere troppo comodo, dopo i calci che ti sei beccato alla
schiena.»
Si
muove appena. Deve stare male sul serio. «Muori.»
«Non
prima di te. Lo sai, vero?» sono duro, ma ne ha bisogno.
«Non reggerai ancora a
lungo se continui così.»
Esplode
in un attacco di rantolii prima di poter ribattere. «E a te
che cazzo te ne
frega? Non so nemmeno come ti chiami.» Quindi è
questo che vuole. Non lo
accontento.
«Assolutamente
nulla.»
«E
allora sta’ zitto.»
«Idiota.»
Ce
ne stiamo in silenzio per un
po’.
Respira male.
«Senti,
ma come fai? E poi, mi dici come ti chiami?»
«A
far cosa?» non so nemmeno perché gli rispondo. Non
mi interessa, voglio solo
dormire. Meno stai sveglio, meno devi pensare.
«La
puttana.»
Sospiro
e mi sbatto una mano sulla fronte. Sarà una conversazione
lunga, accidenti a me
che perdo tempo a parlargli. Me ne pentirò per il resto dei
miei giorni, ma lo
afferro per la collottola e lo trascino sul letto. È molto
più leggero di quel
che pensassi, o forse i calci gli hanno tirato via tutto quello che
teneva
dentro. Sospetto che se lo scuotessi sentirei che non
c’è più neanche l’anima,
lì dentro. È successo troppo presto perfino per
gli standard di questo posto.
«Non
ti muovere troppo, non tirare calci e non disturbarmi per nessun
motivo» lo
avverto. «O ti sbatto per terra prima ancora che tu riesca ad
aprire la bocca.»
Lui,
da perfetto idiota, sta per dire qualcosa. Sono più veloce
di lui.
«Zitto, ho detto.» lo minaccio.
«Non ho
nessuna delle risposte che cerchi. Non le ha nessuno. L’unica
cosa che devi
fare è sopravvivere, tutto il resto non conta. Se per tirare
avanti devi
pugnalare il tuo migliore
amico, lo fai.
Se devi mangiare un sacco di merda, lo fai.»
Mi
guarda come se stessi enunciando il discorso del secolo. Non so come,
ma riesco
a trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo.
«E
soprattutto, se devi fare sesso con uno sconosciuto, anche se ti fa
schifo non
ti tiri indietro. Lo fai e basta.» Perché gli
parlo? Non mi ascolterà e morirà
nel giro di due settimane. È fiato sprecato, e se non voglio
finire come Kiba
devo conservarlo. «Ora dormi.»
Non
faccio in tempo a girarmi dall’altra parte che lui
già sta parlando. Maledetto
idiota.
«Come
fai?»
«Che
cazzo ne so, lo faccio e basta!» esplodo, ma non lo butto
giù dal letto.
«Inventati qualcosa. Senti la mancanza di qualcosa, qualunque
cosa sia lontana
da questo mondo, anche se non esiste, e pensa che quando uscirai
– anche se, ovviamente,
non uscirai mai – la riavrai. Scegliti una speranza qualsiasi
e credici,
dannazione, ma non chiederlo a me. Non sono la tua balia e mi stai
anche sulle
palle.»
Il
silenzio dura appena un po’ di più.
«Tu
che cosa sogni?»
Chiudo
gli occhi, esasperato. «Mi chiamo Sasuke.» sbotto.
«Contento?» Spero che gli
basti perché non posso dargli altro. Non ho
nient’altro.
Lo
sento sorridere – diamine, perché riesco a sentirlo sorridere? – ma almeno adesso
tace.
Evidentemente
gli basta.
Note
dell’autrice:
In
teoria sì, doveva esserci una bishot con Suigetsu, Kakashi e
Zabusa. In pratica
no perché ho scritto solo un capitolo e non riesco ad andare
avanti. E mi
mancavano questi due idioti di Sasuke e Naruto. E poi ho trovato
finalmente
Minima Moralia di Adorno, e da Adorno ho pensato a Horkheimer, e da
Horkheimer
mi è venuta in mente questa bellissima espressione del
“Nostalgia del
totalmente Altro”, da cui Sasuke-lo-stronzo ha tratto il suo
discorso
incitatore <3
E
poi volevo sapere come si erano conosciuti i nostri due eroi
ç_ç Spero vi sia
piaciuta almeno un pochino e vi ringrazio ancora per tutti i vostri
adorabili
commenti. E un grazie particolare va a ladyaoi
che ha segnalato la storia per inserimento tra le scelte del
sito. Non ho
parole per dire quanto sono commossa. A presto (spero),
shirangel