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Autore: Nefelibata    17/12/2012    1 recensioni
'In lontananza scorsi il mare e per l'ultima volta provai l'impulso di scappare, ancora, di fare un'inversione a U e tornare nel mio modesto appartamento di New York, sorseggiando caffè e sfogliando il giornale, ignorando la sezione dedicata alla cronaca.'
Pairing: Larry
Note: Fisher!Louis
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazioni veritiere dei caratteri di queste persone, ne offenderli in alcun modo. Sfortunatamente nessuno dei personaggi mi appartiene.
*
Scritta in collaborazione con _larrysmoments
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The only exception.
capitolo 4


HARRY (Nefelibata)

When you feel my heat
Look into my eyes
It's where my demons hide
It's where my demons hide
Don't get too close
It's dark inside
It's where my demons hide
It's where my demons hide
[Imagine Dragons - Demons

Ciao papà,
Come si sta lassù? O meglio, come si sta laggiù?
Sai, più volte ho avuto l'impulso di immergermi, tuffarmi in quelle gelide acque e cercarti, solo per vedere ancora il tuo viso, solo per vedere ancora quel sorriso che mi rivolgevi sempre.
Perchè io ero il tuo piccolo, me lo dicevi sempre.
Ho tanti momenti che mi vorticano nella mente.
“Harry, vieni a vedere!” mi chiamasti, i piedi nudi sull'erba bagnata, il cielo in scala di grigi, il rumore delle onde, un sorriso felice, la mia corsa con i ricci al vento.
“Wow” mormorai con occhi ammaliati.
“ Che te ne pare?” Mi guardasti orgoglioso ma timoroso, quasi temessi un mio giudizio negativo.
Ma come avrei potuto giudicarti male? Eri il mio idolo.
“ è bellissima 'pa!”
“E dai un'occhiata al nome” sorridesti, come ogni volta che mi guardavi.
Mamma diceva sempre che io ero il tuo sorriso, e in quel momento me ne resi conto e ne fui felice.
“ARY?” lessi confuso, le sopracciglia aggrottate, una smorfia che ti fece ridere di gusto mentre ti abbassavi per raggiungere la mia altezza.
“Sai, avrei voluto chiamarla HARRY, perchè ho pensato sempre a te quando l'ho costruita, io l'ho costruita per te, per renderti orgoglioso di me, per usarla sempre e solo insieme a te, per regalartela quando sarai più grandicello.
Ma ad una barca non si danno nomi maschili, perciò togliendo due lettere al tuo nome è uscito ARY, un nome femminile!” Di nuovo sorridesti, e io mi persi nei tuoi occhi che avevo sempre invidiato.
Non dissi nulla, ti abbracciai soltanto, e tu mi feci ruotare in aria.
Ho ancora quelle risate nella testa, sai?
Di notte gli incubi mi perseguitano, i demoni tornano per torturarmi ancora, regalandomi un'immagine di te accanto ad un albero, seguita da una di te in mezzo alla tempesta, e poi l'immagine del tuo corpo a testa in giù sulla superficie del mare, l'immagine della tua bara vuota che viene calata nella terra fredda, le lacrime di mamma che si infrangono sul pavimento.
Poi sangue, sangue dappertutto. Cora terrorizzata, io a New York..
Vorrei solo ucciderli papà, uccidere quei demoni, farli a pezzi, perchè mi lascino in pace.
Cora stamattina, dopo aver sospirato alla vista delle mie occhiaie ha detto “Santo cielo, dovresti proprio innamorarti..”, non ho capito cosa volesse dire, ma non ha importanza, visto che non mi sono mai innamorato e mai lo farò.
Non so cosa significhi amare, o meglio faccio finta di non saperlo, perchè la prima ed ultima volta che ho amato ho perso tutto.
Mio padre, mia madre, me stesso.
Ieri ho parlato con Louis, sai?
Sto sorridendo al pensiero, perchè nel mio cuore aleggia la speranza, l'ultima, di aver trovato un amico.
“Papà, cos'è un amico?” “Un amico è colui che nella strada della vita non ti cammina avanti, non ti cammina dietro, ma cammina al tuo fianco, e la sua mano è allacciata alla tua, e rimane per sempre, e non se ne va mai, nemmeno quando tu gli dai 1, 5, 100 motivi per farlo.
Un amico ti difenderà, ti proteggerà, si fiderà di te e ti amerà.”
Lo so 'pa, lo conosco solo da due giorni, non posso dire che sia un vero amico, ma vedo qualcosa in lui, qualcosa che mi fa stare bene, mi fa sentire al mio posto.
Quando sono con lui i demoni si offuscano, e c'è una tiepida luce che riscalda e illumina il mio cuore.
Sai, oggi abbiamo un appuntamento, proprio qui, allo scoglio.
Chissà se ora mi stai guardando.
Se lo stai facendo per favore, non fare che Louis scappi da me, un'ancora mi è stata lanciata ed ora è il mio unico appiglio.
Mamma ha pianto ieri notte, l'ho sentita da sotto le mie fredde coperte, sono andato in camera sua e l'ho abbracciata. Te l'ho promesso papà, non la lascerò sola, mai più.
D'ora in poi sarò io a prendermi cura di lei, perchè lo so che nonostante tutto tu l'amavi e la ami ancora.
Ti ama anche lei, papà.
Cora dice che un tuo vecchio amico vuole vedermi.
Non so cosa voglia da me, non mi va di andarci, ma sono curioso.
Sto rimpiangendo il traffico di New York, qui è tutto così calmo, silenzioso e tranquillo che solo Louis mi sembra vivo e colorato in mezzo a questa nebbia.
Papà, riuscirò ad amare ancora?
Ti lascio con questa domanda, sperando che un giorno il tiepido vento mi sussurri la tua risposta.
Ti voglio bene.
                                                                                                                                                                                          -Harry


 

Seguii con lo sguardo una barca che si dirigeva al largo, mentre alcuni uomini sbrogliavano delle reti prese da una cassa e nel frattempo chiacchieravano, dandosi pacche sulla schiena e ridendo rozzamente.
Il mio primo pensiero fu che avrei tanto voluto provare di nuovo quella sensazione di leggerezza che si ha quando si galleggia sullo specchio d'acqua.
Avrei tanto voluto ancora camminare facendo scricchiolare le tegole di legno sotto di me, posare le mani sul timone, con le sue sopra le mie a guidarmi perchè ancora inesperto.
Avrei tanto voluto vedere l'arancio dell'alba riflesso in quel mondo che nascondeva chissà quali segreti, chissà quante persone, chissà quante meravigliose creature.
Mentre mettevo il tappo di sughero sulla bottiglia e la scagliavo il più lontano possibile da me, dai miei demoni, ricordai che quando mio padre urlava addosso a mia madre chiamandola “puttana”, correvo a nascondermi sul letto sotto le coperte.
Quel lieve pezzetto di stoffa, leggero ma pesante abbastanza da tenermi caldo, mi dava sicurezza, quasi fosse stato un suo abbraccio, quasi fosse stata una casetta in cui nessuno mi avrebbe potuto fare del male.
Mi tappavo le orecchie cercando di non piangere, mi rannicchiavo su me stesso e sognavo ad occhi aperti i racconti che mi narrava: racconti su Tritone, miti su come si erano formati dei pesci, storie di sirene, di creature magiche, crudeli, che vivevano nelle nere profondità.
Quando poi sentivo le urla scemare, le porte smettere di sbattere, i vetri smettere di infrangersi a terra mi levavo il lenzuolo di dosso, prendendo un profondo respiro di quell'aria di cui avevo brutalmente deciso di fare a meno e lui era lì.
Sguardo amorevole, occhi caldi, sorriso reale e corpo rilassato, era lì, seduto sul mio letto, a guardarmi quasi fossi la sua unica ragione di vita, mi dava la buonanotte si scusava dicendo “Amore, io e la mamma non riusciamo più ad andare d'accordo, ma passerà, sono cose che capitano, io e lei ci amiamo.” ed io sapevo che lo pensava davvero, pensava davvero che tutto si sarebbe risolto, pensava davvero che l'amore sarebbe bastato.
<< Sapevo che ti avrei trovato qui >>
Riscuotendomi da quella massa intricata che erano i miei ricordi mi voltai per scorgere, con un dolce sorriso in volto, quella che era la mia ultima speranza.
Fissai per l'ennesima volta quegli occhi confortanti, quei lineamenti gentili, quelle labbra rosee e pallide che quando sorridevano era come se il suo cuore abbracciasse il mio.
Lo fissai ancora, pensando nuovamente a quanto fosse bello, con quella camicia bianca, quei pantaloni beige, quelle bretelle bianche e rosse.
Pensai nuovamente a quanto quegli stessi occhi sarebbero potuti essere gli stessi che avrebbero supplicato i miei di non piangere, quelle mani sarebbero potute essere le stesse che mi avrebbero sorretto quando quei demoni avrebbero provato a buttarmi giù, sempre più in fondo, sempre più nell'oscurità.
Forse anche io ero destinato a diventare come una di quelle creature, malvagie perchè incapaci di provare emozioni, perchè segregate in fondo, sotto a tutti, senza la possibilità di scorgere la luce.
Pensai che non l'avevo ancora ringraziato per essere ancora lì, pronto a starmi accanto, a chiedere la mia fiducia, senza scappare.
'Un amico non se ne va mai, nonostante tu gli dai 1,5,100 motivi per farlo'
Questa volta, solo per questa volta, mi concessi di sorridergli.
Era un sorriso reale il mio, non costruito.
Non avevo obbligato nessun muscolo a muoversi, era stata una reazione involontaria e spontanea.
Lui ricambiò, e io mi sentii rinascere.
Ero come un fragile fiore, un cenno di vita che lotta per sopravvivere, per sbocciare un giorno.
Louis era la primavera, che lentamente scacciava il gelo che mi circondava, salvandomi.
Era il sole che sorridendo scioglieva la neve, un raggio che con delicatezza mi accarezzava scaldandomi, il canto degli usignoli che mi ridava speranza.
Era la vita che rinasceva.
<< In realtà è l'unica certezza che ho, di te >> continuò lui, come per spronarmi a smettere di vagare con la mente e rispondere.
<< E quante altre vorresti averne? >>
Volevo sentirmi dire quelle parole, volevo sentirmi dire che lui voleva conoscermi nel profondo, esplorarmi, scoprendo ogni giorno cose nuove e beandosi di quelle conoscenze.
Lui si avvicinò piano, il sorriso ancora vivo, le mani in tasca perchè troppo attive per penzolare sui fianchi, troppo pigre per posarsi da qualche parte.
Le Vans che, con dolcezza e agitazione smuovevano la terra, accarezzandola.
Le iridi che si puntavano ovunque tranne nelle mie, che invece cercavano il suo sguardo, ne bramavano l'intensità.
Si sedette alla mia sinistra, come ogni volta.
Ma questa volta, invece di guardare in basso o di fronte a noi si girò verso di me e si avvicinò fino ad avere le sue labbra ad un centimetro dal mio orecchio.
<< Voglio sapere tutto di te, voglio avere tutte le certezze che possiedi, fino a che la mia memoria non sarà troppo stanca per assorbirle. Voglio sapere il tuo nome, e forse non me lo dirai mai ma.. >>
<< Harry >> lo interruppi immediatamente.
La sua risposta mi stava lasciando senza fiato, e per queste richieste non avevo abbastanza cemento da costruire un altro muro, non avevo abbastanza armi per difendermi.
Stava sorvolando sulle mie insicurezze, sul mio essere acido, stava penetrando dentro di me, arrivando persino a spalancare le porte più blindate.
Dirgli il mio nome era un segno di gratitudine, un modo per fargli capire che tutto ciò che avrebbe voluto fare, io gliel'avrei permesso.
Perchè mi era già chiaro, dopo due giorni, che Louis aveva qualcosa di speciale.
Era chiaro che io avevo bisogno di lui, mi piaceva stare insieme a lui e non l'avrei barattato con nulla al mondo.
Mi guardò stupito, pensai che non avesse capito.
<< Harry. Mi chiamo Harry. >> ripetei, più lentamente, un leggero rossore sulle mie guance mentre il vento iniziava a soffiare tra i miei e i suoi capelli.
Lui si aprì in un sorriso e mi sembrò di vedere i suoi occhi brillare.
<< Harry. Mi piace >> mormorò più a se stesso che a me.
<< Questo significa che potrò cercarti? >>
<< Si >> sorrisi.
<< E potrò salutarti se ti incrocio per strada? >>
<< Si >>
<< Potrò venire qui tutti i giorni e stare con te? >>
Si, si, si.
Puoi tutto, Louis.
<< Se non hai di meglio da fare, va bene >> ridacchiai imbarazzato.
<< Posso sapere come è morto tuo padre? >>
A quella domanda mi immobilizzai, mentre perdevo battiti.
Non ero ancora pronto, non a questo.
Mi voltai verso di lui senza più sorridere.
I suoi occhi erano lì, mi fissavano, leggevano dentro i miei, scavavano nelle mie viscere per cercare risposte che probabilmente aveva capito che non avrebbe ricevuto a voce.
Deglutii, quegli occhi mi facevano paura.
Vederlo che provava a capirmi, fissarlo mentre con la mano cercava di raggiungere la mia, rendeva tutto più reale.
Lo vedevo, il suo bisogno di toccarmi, di tastare la mia pelle.
Sapevo che se mi fossi lasciato andare, avrei potuto ricominciare a vivere con quel mio nuovo amico, nuovo compagno di avventure.
Era come gettarsi da un burrone sperando che qualche ramo avrebbe attutito la caduta.
Un rischio che non potevo correre.
Mio padre era ancora colui che popolava la mia anima, la controllava.
Non potevo svelare i miei segreti a quel ragazzo con gli occhi del mare, non potevo permettergli ancora di visitare quella parte di me.
Era stata una domanda troppo diretta, e ora li sentivo, quei demoni.
Li sentivo avanzare nel mio corpo, prendere possesso di quel battito, oscurare i miei occhi.
Sentivo i ricordi sbattermi in faccia, la speranza vacillare, quelle immagini ripopolarmi la mente in pochi istanti.
Sangue.
Sangue dappertutto.
E lui stava guardando, lui mi guardava negli occhi e forse si o forse no, vedeva il vuoto regnare in me.
E, se avevo chiesto a mio padre di non permettere a Louis di scappare, fui io a farlo.
Cercai di non piangere mentre i miei piedi affondavano nella sabbia in riva al mare, prima che un'onda mi bagnò i piedi.
Mi allontanai ancor più spaventato da quell'acqua, non l'avevo più sentita sulla pelle da quel giorno, non avevo più permesso al mare di toccarmi.
Corsi, corsi e corsi.
Non seppi per quanto tempo, il terrore mi guidava.
Le nuvole avanzavano minacciose coprendo quel celeste tanto familiare, quasi fossero i miei stessi sentimenti che si accavallavano, i demoni che sempre avevano la meglio.
Alzai gli occhi al cielo mentre continuavo a correre senza sentire più il mio corpo, le gambe che si muovevano da sole e supplicavo.
Pioggia, porta via questa tristezza, trascinala giù e distruggila sull'asfalto. Colpiscimi in faccia e copri queste lacrime che la bagnano. Scendi, pioggia, e porta con te tutta la durezza di questo mondo. Vento, spazza via il male, rendilo polvere. Porta la primavera, regalala a quella donna che, a casa mia, piange lacrime di dolore. Nubi, portatemi una parola, una melodia, un qualsiasi suono mormorato con quella voce roca e profonda che a malapena ricordo dire “Vai in camera tua”.
Una volta giunto davanti a casa mia mi sdraiai sull'erba fresca e cercai di regolarizzare il respiro, il bussare frequente del cuore contro la gabbia toracica che mi doleva la testa.
Rividi davanti ai miei occhi quel verde acqua pieno di delusione, di sensi di colpa, quasi già si pentisse di aver fatto un passo falso, di essere andato troppo di fretta.
Mi pianse il cuore a pensare a lui triste, lui era sorriso, era gioia, era una porticina in una stanza senza uscita.
Appena mi fui calmato decisi di cercare mia madre, avevo bisogno di parlarle.
Salutai Cora che nel frattempo stava stendendo dei panni sul terrazzo e corsi fuori alla parrocchia, il posto che mia madre frequentava di più da quel giorno.
Eccola lì, bellissima come sempre, bellissima e distrutta.
La raggiunsi malinconico, nutrendo dentro di me la segreta speranza di rivedere quel sorriso illuminargli il volto, un giorno.
<< Mamma! >>
Lei si girò, stupita e gioiosa di vedermi lì.
Da quando ero arrivato avevamo parlato poco, utilizzando solo frasi di circostanza, e sapevo che soffriva per questo.
Perciò mi presi la cura di stringerla a me come fosse la prima volta, solo per farle capire che io ero lì, ero lì con lei, ero lì per lei.
<< Harry, che ci fai qui? >> sapevo che aveva voglia di sorridere, ma non era ancora pronta a farlo.
<< Mamma, devo farti una domanda. >>
<< Dimmi pure >> rispose lei, guidandomi dentro la parocchia vuota fino alla prima panca, sedendosi e fissando i suoi occhi sul crocifisso che riempiva la parete di fronte.
<< Ti è mai capitato di trovare una persona, con la quale ti trovi bene, e non riuscire ad aprirti per colpa delle catene del passato? >>
Lei sembrò capire, perchè dopo un minuto mi guardò e annuì debolmente.
<< Certo che è capitato, sai, tuo padre ha dovuto rincorrermi per due mesi prima di ottenere un mio appuntamento >> sguardo sognante, lieve sorriso, sapevo che stava ricordando e guardarla fece sorridere anche me.
Spalancai gli occhi sorpreso, non mi avevano mai raccontato di come si erano conosciuti, al massimo si gridavano “Maledisco quel giorno che ti ho conosciuto!”.
Lei non aspettò domande e continuò a parlare.
<< Sai, inizialmente non riuscivo a fidarmi. Mi intrigava, vedevo che cercava di aiutarmi ad uscire dal mio guscio ma non ci riuscivo, ogni volta che mi decidevo a dirgli di si avevo la gola secca e le parole non uscivano. Non so come mai, ma avevo la convinzione che sarei rimasta in quel modo per sempre. Poi lui, dopo due mesi che provava a convincermi, mi disse di amarmi, e nei suoi occhi lessi sincerità. Se prima non riuscivo a rispondere, in quel momento non ero riuscita a scappare, e quel “Si” mi era uscito da solo. È stata la cosa più giusta che io abbia mai fatto nella mia vita. >> sorrise, stavolta davvero, e il mio cuore gridò di gioia per un attimo.
Poi mi prese il viso con una mano, mi guardò negli occhi e parlò.
<< Harry, so che il ricordo di papà ti impedisce di ricominciare, ma solo due cose possono aiutarti a vivere: l'amicizia e l'amore. Se trovi una persona che ti rende felice non lasciarla andare mai. Ricorda: se senti che quello nei tuoi confronti è un sentimento sincero, prova a lasciarti andare.
Solo tu puoi spezzare quelle catene, Harry. Solo tu puoi uccidere quei demoni. 
>>
Quel discorso mi spiazzò, e rimasi un'altra mezz'ora seduto su quella panca a riflettere mentre mia madre, con un saluto, era uscita lentamente.
Solo io posso uccidere quei demoni.

 



LOUIS (_larrysmoments)

Il tempo cominciava ad imbrunirsi e sentivo l’odore di pioggia nell’aria, nonostante fossi certo che non avrebbe piovuto. Ero seduto sul marciapiedi proprio sotto il portone di casa di Stan, senza avere il coraggio di bussare.
Mi sarebbe piaciuto parlare un po’ con lui, ultimamente mi respingevano tutti e passavo troppo tempo da solo nell’auto commiserazione più totale; mi facevo schifo da solo, non ero affatto quel tipo di persona autolesionista o piagnucolone; semplicemente cercavo di vivere la vita giorno per giorno reagendo ogni volta d’impulso, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni.
Ma da quando conobbi Harry, sembravo essere cambiato. Reagire d’impulso anche questa volta non aveva portato nulla di buono, soprattutto per me. Continuavo a mangiarmi la testa in preda al panico del mio gesto. Vederlo scappare via in quel modo, mi aveva fatto male, molto più di quanto fosse lecito fare; lo guardai silenzioso attraversare l’acqua visibilmente pensante sui suoi piedi schizzare ovunque. ero stato troppo diretto, okay, questo potevo anche riconoscerlo, ma perché proprio ora che ero sulla buona strada per riuscire ed instaurare un rapporto con lui? E perché continuavo a restarci male nonostante sapevo di essere stato io ad aver sbagliato?
<< Louis! >> sentì alle mie spalle.
Mi voltai di soprassalto, distolto da quella voce famigliare.
<< Che ci fai seduto sotto casa mia? >> domandò ancora.
<< Stan! >> risposi con un mezzo sorriso.
<< Da quanto tempo se qui, e perché non hai suonato prima? >> domandò stranito.
<< Non volevo disturbarti. >>
Mi guardò per qualche secondo, cercando di decifrare la mia espressione; ad essere sincero, non riuscivo a riconosce neanche io stesso che espressione avessi in volto. Probabilmente ero felice che fosse qui, ma una parte di me sarebbe voluta rimanere ancora un po’ a riflettere sul colore che gli occhi di Harry assumevano quand’erano colpiti dai raggi del sole.
Scoppiò a ridere, e mi venne in contro abbracciandomi forte.
<< è da tanto che non ci vediamo, ti va di fare quattro passi? >> mi feci avanti con ancora il viso affondato nell’incavo del suo collo.
Era proprio così. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che lo vidi. Con lui potevo sentirmi me stesso, con lui potevo parlare di ogni cosa mi passasse per la testa e si, piaceva anche a lui venire con me giù al porto ed aiutarmi nel curare la mia piccola barca, mentre si dilettava in imbarazzanti spettacoli canori proprio mentre puliva accuratamente i remi che fungevano da microfono. Erano momenti che condividevamo insieme, solo io e lui, e ad essere sincero ne ero più che geloso.
Erano poche le volte in cui il silenzio iniziava ad averla vinta su di noi; io ero un tipo che parlava sempre, ed anche tanto. Insomma c’era sempre qualcosa da dirci, ma quando ciò non accadeva diventava quasi imbarazzante.
In situazioni come queste però da raccontare c’erano solo pessime novità da parte mie, era per questo che preferivo stare semplicemente zitto ed ascoltare ciò che aveva da dirmi, tendendomi tutto dentro. Il peso del sopportare senza esplodere iniziava a diventare sempre maggiore, quasi impossibile da sopportare. Dovevo precederlo nel fare domande, dovevo rompere il ghiaccio, dovevo farlo e basta.
<< Allora Loueh, come va? >> mi batté sul tempo.
Sentì un vuoto impossessarsi del mio stomaco, avevo quasi paura di parlare, avevo paura che dalla mia bocca potessero proferire parole sbagliate o semplicemente cariche di odio per questa vita che non mi apparteneva.
Iniziai ad inventare qualcosa, parlavo di qualcosa che non esisteva, descrivevo una vita che non era la mia. Forse era la vita che sognavo, forse era semplicemente la vita di un tempo quando tutto appariva più semplice.
Parlavo di come mi sentissi libero, di come il mio tempo speso al porto di stesse triplicando, e di come i miei genitori erano fieri di me. Pareva contento, e nei suoi occhi si riusciva ad avvertire anche un pizzico di stupore, non aveva mai sentito pronunciare quelle parole da me, si vedeva che gli facevano strano. D’altro canto non avevo idea di quanto sarebbe durata questa farsa, Stan mi conosceva fin troppo bene, prima o poi l’avrebbe scoperto.
Mi resi conto che la mia risatina isterica diventava sempre più irritante per le mie stesse orecchie, lui continuava a guardarmi con ancora addosso quell’aria scrutante che quasi mi intimoriva.
Sentivo il dovere, l’obbligo di continuare a mentire, anche solo immaginare quei momenti vivi nella mia mente, accurati in ogni minimo dettaglio, erano come un dolce suono che mi scaldavano il cuore e l’anima. Quelle parole un giorno, si sarebbero mai avverate?
<< Così è tutto perfetto, vedo. >> sputò di colpo lui zittendomi.
<< Già.. >>
Continuavo a torturarmi le mani gelide e pallide, tenute al riparo nelle tasche dei miei pantaloni, lo sguardo basso per paura di incontrare il suo così rassicurante, in cerca di verità. Strascicavo i piedi, la brecciolina rimbalzava ovunque sue mie scarpe, e seguendo il loro percorso, cercavo altro a cui pensare.
Mi passai una mano sul volto, mentre un altro sospiro incontrollato fece scoppiare Stan.
<< Louis. >> ringhiò. << Adesso mi dici cosa ti sta succedendo. >>
<< Niente Stan, te l’ho detto. >> cerai di rassicurarlo.
Ad essere sincero se c’era una cosa che sapevo fare era recitare, ma un falso sorriso mai e poi mai sarei riuscito a fingerlo.
<< No, non è vero. >> continuò alterandosi. << Tu sei quel ragazzo dalla battuta sempre pronta, sei il ragazzo che ha l’ironia nelle vene, ma sei anche il ragazzo che non viene accettato dalla sua famiglia, che farebbe di tutto pur di fare ciò che desidera. >> fece una pausa. << Non puoi venirmi a dire che tutto è cambiato in così poco tempo, Louis. >>
Avevo le lacrime che faticavano a restare ferme, non dovevo piangere, non doveva vedermi in quello stato, debole, emotivamente distrutto, fuori e dentro. No, non dovevo.
<< Per una volta tanto Louis, lascia che sia io ad aiutarti. >> mi posò un braccio sulla spalla mentre, con una mano asciugavo l’unica lacrima che si era permessa di rigarmi il volto.
Mi voltai verso di lui, con una rabbia che non riuscivo a controllare, mi era fottutamente impossibile da gestire.
<< Ho semplicemente voglia di sparire Stan. >> mi lasciai scappare poi. << Hai ragione tu, la mia famiglia non mi accetta, sono solo, e beh, non ho ancora capito se è davvero la gente a respingermi o sono io a respingere tutti. >> continuai con il cuore in mano. << Mio padre mi ha praticamente sbattuto fuori di casa, sentivo mia madre piangere ogni notte chiusa in di bagno. Poi? Usciva come se nulla fosse successo, come se la sua vita fosse perfetta e non si rendesse conto dello schifo che lei stessa ne era consapevole. >> presi una pausa, cercando di dire per la prima volta tutto ciò che realmente pensavo. << E vuoi sapere cosa mi fa più male? Il fatto che la causa di tutto ciò, sono io, io Stan. Vorrebbero vedere in me ciò che in realtà io non voglio diventare. Uno stupido burattino interessato solamente al denaro, che non ha una vita, delle passioni, dei sogni. Tutto ciò non potrà mai cambiare, ma ogni tanto mi piace pensare che la mia vita in realtà non faccia tanto pena. >>
Vidi i suoi occhi cambiare di colpo, divennero più grandi, e fissavano i miei penetrandoli. Un abbozzo di sorriso apparve sul suo volto, chiunque avrebbe pensato a lui come un vero stronzo dopo una confessione del genere ma, la verità era che Stan era contento del fatto che per la prima volta in vita mia ero riuscito a parlare di cosa realmente provassi.
<< Finalmente. >> esclamò ancora compiaciuto.
Mi sentivo più libero, forse era vero, iniziavo a sentirmi meglio per davvero. Mi buttai, istintivamente ad abbracciarlo, lo strinsi forte, sentivo il calore della sua pelle sul mio petto, forse non avrei più avuto paura nel mostrarmi davvero per ciò che ero, forse non era poi così brutto soffrire ogni tanto, sta di fatto che la voglia di sdrammatizzare quel momento mi colpì d’un tratto, ma ad essere sinceri no, non volli per niente accoglierla.
Mi allontanai da lui, continuando a mantenere il contatto fisico tra noi due.
<< Grazie Stan. >> sibilai.
Mi scompigliò i capelli, dandomi una pacca sulla spalla. Stan era un po’ più alto e robusto di me, non era mai stato un tipo molto attraente ad essere sinceri, ma un buon amico lo era sempre stato.
Voltandomi verso l’inizio del vialetto, una figura familiare percorreva la nostra stessa strada, con un passo lento e pesante, fastidioso anche solo da guardare.
Ero stranito, solo in pochi conoscevano quella strada, io e Stan ci andavamo e posso giurare che in tutti i ventun’anni della mia vita, non avevo mai visto nessuno percorrerla se non qualche passante che si era perso lungo il suo cammino. Quel ragazzo al contrario sembrava sicuro di dove andare.
Alzai di scatto lo guardo.
<< Harry! >> esclamai a voce alta.
Mi allontanai da Stan, mentre il ragazzo, colpito da una folata di vento socchiuse gli occhi fermandosi a soli pochi metri di distanza da me.
La mia bocca si aprì in un sorriso, non avrei potuto desiderare di meglio in quel preciso istante che vederlo lì, proprio di fronte i miei occhi.
<< Harry.. >> dissi più dolcemente cercando di avanzare verso di lui.
Aveva le mani in tasca, in quel suo cappotto in feltro marrone che lo rivestiva alla perfezione, la sciarpa bianca avvolta attorno al collo gli sfiorava il labbro inferiore.
Mi aspettavo una reazione da parte sua, un sorriso, un passo in più verso me. Speravo con tutto me stesso che pronunciasse il mio nome, amavo il profondo suono della sua voce.
A frantumare in mille pezzi, tutte le mie speranze nel strappargli qualche parola di bocca, fu il momento in cui scappo via, lontano da me. Riuscì a percepire il vento freddo, privo di ogni cosa provocato dalla sua corsa, sulla mia pelle.
<< Harry >> chiamai. << Harry dove vai? Harry, aspetta. >> e feci una finta corsa sui suoi stessi passi, ma mi fermai senza neanche accorgermene. Con un accenno di affanno, guardai la sua sagoma scomparire sempre di più oltre le siepi. L’aria fredda mi penetrava nei polmoni facendomi sentire un vuoto incolmabile. Le lacrime fermate dalla rima inferiore delle mie ciglia parevano congelarsi ogni secondo di più, sbattei gli occhi cercando di mandare in dietro, e questa volta ci riuscì.
<< Louis, chi era quello? >> domandò Stan raggiungendomi.
<< Non lo so Stan, non lo so. >>
Ero in silenzio, dandogli ancora le spalle. Qualsiasi, calcio, pugno o schiaffo non sarebbero mai stati più dolorosi del peso che portavo dentro.

Ero fuggito anch’io, fuggito da altre mille domande alle quali non avrei potuto scampare una seconda volta. Stan mi aveva lasciato andare, sapeva che avevo bisogno dei miei spazi, dei miei momenti solitari, e questo era uno di quelli.
Seduto su una panchina lungo il marciapiedi che portava alla scogliera, controllai quanto denaro mi era rimasto e beh, solo una banconota da dieci pounds regnavano nel mio portafoglio. Non mi sarebbero bastati per pagare un alloggio, nemmeno per un taxi a dirla tutta. Ero solo, intorno a me il silenzio e la solitudine mi avvolgevano, i lampioni emanavano una luce soffusa quasi inesistente, solo il luccichio delle stelle illuminava a senti il mio volto impresso di angoscia che sembrava scorrermi sempre più con irruenza nelle vene, mentre il tempo scorreva, avvicinandosi sempre di più al cuore della notte.
<< Sono un stupido. >> lacrime nervose cominciarono a solcare il mio volto, pallido dal freddo.
Mi sarebbe piaciuto tornare in dietro a quando tutto era perfetto, ma ai miracoli non ci avevo mai creduto.
<< Sono qui, per te. >> udì una voce al mio fianco. Alzai il volto, sentendo il vento asciugarmi le lacrime; mi spaventai, in un silenzio tale davvero non ero riuscito ad accorgermi della presenza di qualcuno accanto a me?
<< Chi sei? >> non c’era nessuno.
<< Non sei solo, sono qui per te. >> ripeté quella voce.
Mi guardai attorno ancora una volta impaurito. Mi passai una mano sul volto, ed iniziai a schiarirmi la vista verso la parte più buia della strada.
Eccolo, di fronte a me. La sua sagoma aggraziata, i suoi capelli ricci più del solito che li finirono sugli occhi, quelle labbra rosee bramanti di baci che desideravo fossero i miei. Vidi le iridi espandersi, lasciando il giusto spazio al verde raggiante che i suoi occhi possedevano, la serietà che lo rappresentava.
Sbattei gli occhi, non potevo crederci, non poteva essere vero.
<< Ho perso tutto ed ora non ho più nient’altro che te. >> proferì di nuovo dalla sua bocca.
Lo guardai ancora, era bellissimo, troppo perfetto per essere vero, troppo perfetto per essersi imbattuto in uno come me.
Allungai la mano, avevo bisogno del suo contatto, avevo bisogno di sentire la sensazione della mia pelle sulla sua, ma non riuscivo a raggiungerlo. Mi sporsi ancora un po’, lo vidi sparire.
Dov’era? Dov’era andato?
<< Harry?! >> chiamai col tono che poco prima avevo assunto. << Harry, dove sei? Ti prego, dimmelo. Ho bisogno di te. >> implorai con un pizzico di pura agonia.
Non c’era, non c’è mai stato, e mai ci sarà. La mia immaginazione aveva giocato un brutto, bruttissimo scherzo questa volta, nonostante ne fossi consapevole, rimasi la notte ad osservare il buio, nell’attesa che quel sogno, potesse divenire realtà, mentre lacrime amare ripresero a sgorgare sul mio volto.

*

Ciao bellissimi :)
Allora, anche questa volta non sono soddisfatta del mio lavoro (come sempre, ormai ci sono abituata lol) mentre leggevo il punto di vista di Harry avevo le lacrime agli occhi, non lo trovate stupendo?
Ugualmente, detto ciò, spero che a voi soddisfi.
Un grazie va come sempre a Nicole perché, boh, perché è lei. lol
Vorrei ringraziare anche tutte le fantaaaastiche ragazze che recensiscono, mi fate sempre tornare il sorriso, siete stupende.
Un bacio
-Sharon

Ok, dopo essermi ripresa dalla cavolata appena detta dalla mia Sharon posso scrivere anch'io.
Allora, davvero non capisco come possa non piacerti il capitolo, are you serious ? 
Ormai ti ripeto da tempo che i tuoi Louis sono perfetti e perfettamente in sincronia con i miei Haz.
Totalmente in discordanza con lei, io amo entrambi i punti di vista.
Ebbene si, per la prima volta mi piace anche il mio Harry, e per la prima volta mi sento all'altezza della sua scrittura.
Avete visto? Dopo l'enorme ritardo dello scorso capitolo siamo riuscite a postare prima di Natale, e da notare la lunghezza del capitolo.
Il prossimo capitolo arriverà sicuramente dopo Natale, anche perchè non so voi ma io sono stramegasuperraffreddata, del tipo che la mia camera è diventata una discarica di fazzoletti e son già due giorni che ho la febbre abbastanza alta (ieri 38°).
Abbiamo calcolato che in tutto saranno 10 capitoli, il decimo sarà l'epilogo e poi aggiungerò un capitolo con tutti i ringraziamenti *feel like a writer*.
Allora, come potete vedere Harry vuole dare una possibilità a Loueh, ma una sua domanda lo fa scattare come una molla (cucciolo..) e il nostro Louis non è così forte e felice come appare, e anche lui ha un crollo emotivo e inizia a delirare (Anche se, diciamocelo, chi non ha mai avuto apparizioni di Haz? lol).
Questione ARY: Ebbene si, ci avete azzeccato (e io che pensavo non ci sarebbe arrivato nessuno lol).
La donna misteriosa, anche se non dovrei dirvelo (insomma, sono cose che vanno ad intuizione) era Cora. Alcune di voi hanno pensato alla madre, che invece appare in questo capitolo.
(Anne, amore della mia vita..).
La canzone stavolta è Demons degli Imagine Dragons. Inutile dire che la amo, che la sento quasi mia, che sta diventando la mia canzone preferita (ovviamente dopo Sweet disposition, sia chiaro) e che mi sembrava perfetta per questo capitolo. (Don't worry, nei ringraziamenti a fine storia metterò i link di tutte le canzoni utilizzate per farvene "usufruire" (?))
Okay smetto di sparare boiate e vi lascio con dei link come sempre.
New os Larry natalizia: The perfect present
Twitter: @alwaysbebrave
Ask.fm: Won'tStopToSurrender (ebbene si, ho deciso che da oggi poteteslashdovete askarmi anche voi di EFP)
Se lasciate una piccola recensione ve ne siamo grate :)
Un bacio
-Nicole

PS: Happy Christmas and a happy new year *-*

  
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