Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Kristah    17/12/2012    3 recensioni
Una vita normale. Ecco cosa conduce la protagonista di questa storia. Certo, vi starete chiedendo come mai questa storia sia finita qui, nella sezione fantasy.
No, non è un errore.
Una vita normale non basta. Lupi mannari, creature mitologiche e fantastiche, profezie antiche e fate che vogliono aiutare il Re del Male a conquistare il mondo degli umani.
Quinn Evelyn Farrell, questo il nome della protagonista della mia storia, è una ragazza normale: frequenta il liceo di Albertville (Ohio), è la reginetta della scuola e la capo cheerleader, è fidanzata con il Quarterback della squadra della scuola.
Vi sto annoiando?
Se avrete un po' di pazienza vi mostrerò cosa sono in grado di creare e tirare fuori dall'idea per una storia nata per caso.
Le domande che vi pongo sono due:
-Avrete la pazienza di aspettare qualche capitolo prima della fantasia?
Ma quella più importante è....
Vi fidate di me?
Spero di avere tanti lettori, ragazzi!
Vi regalo un biscottino (?)
Tanto amore!
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prophecy
http://i45.tinypic.com/j8h7xk.jpg

Goodbye, America!



3 gennaio

Ore 05.30
Vialetto di casa Farrell.


La neve continua a scendere copiosamente da due giorni; io e Albie speriamo che il volo possa partire in orario.
E a proposito del bibliotecario, mi chiedo dove sia andato a finire, visto che dovevamo incontrarci qui un quarto d'ora fa. E' vero che il volo parte alle 11 del mattino, però dobbiamo sistemare la faccenda della doppelgänger, che non abbiamo più potuto discutere dopo il nostro incontro di Capodanno.
Per questo motivo, e forse anche per il freddo pungente che si fa strada nelle mie ossa, mi sto torcendo nervosamente le mani, in attesa di poter scorgere la macchina di Albie spuntare dal manto di neve soffice che si è venuta a creare.
Ed eccola lì, nera e lucida, la sua auto che si fa strada, con l'aiuto delle catene; i tergicristalli sono in movimento con un intervallo regolare, che immediatamente fa accellerare il mio battito cardiaco.
Questa sarà anche la prima volta che vedo Albie, dopo Capodanno. E spero che tra di noi smetta di aleggiare tutto quell'imbarazzo che non fa per niente bene.
Recupero il mio trolley, che contiene il necessario per poter sopravvivere tre giorni fuori da casa, e vedo Albie che, dopo essersi fermato sul limitare del vialetto di casa mia, scende in fretta dalla macchina, scontrandosi con il freddo in un solido cappotto grigio con un disegno tartan che lo fa somigliare molto ad uno scozzese di Glasgow[1].
Mi augura il buongiorno con un tono basso, ma comunque rassicurante. Direi che non mi dispiacerà per niente dover stare in giro con Albie per tre giorni.
Ecco che la mia coscienza spunta fuori, di nuovo con il suo tailleur grigio: -Quinn, smettila di pensare a cose simili! Stai andando in Ungheria per poter incontrare Olimpya, non è una vacanza!-
Beh, in effetti ha ragione, e ci credo, è la mia coscienza. Deve avere ragione! Almeno lei.
Dopo aver caricato la valigia nel bagagliaio della sua auto mi rintano nel sedile del passeggero fino quasi a fondermi con esso. Le mie mani scattano automaticamente sulle bocchette dalle quali esce un'aria calda. Non penso che Albie necessiti di aria calda, considerando in fatto che ha sempre una temperatura corporea che oscilla tra i quarantanove e i cinquantra gradi centigradi, ma evito sempre molto accuratamente di finire nell'argomento: licantropia.
Albie mi segue a ruota e, prima di ripartire verso la biblioteca mi guarda per un attimo e sorride.
Prima che io possa chiedergli cosa abbia, mette in moto la macchina e attraversa le case imbiancate dalla neve, che hanno ancora le decorazioni delle feste natalizie appese alle finestre. Il silenzio che alberga sovrano fa ancora più male delle parole che potrebbe rivolgermi Albie.
La neve fa in tempo a sciogliersi tra i miei capelli e dai miei vestiti, quando arriviamo alla biblioteca comunale. Ammetto che alle cinque e quaranta del mattino, questo posto mette un po' di ansia.
Somiglia molto all'idea che mi sono fatta del Cimitero dei Libri Dimenticati di Zafon[2].
-Sei pronta?- domanda finalmente Albie, con lo stesso sorriso sornione di prima dipinto sulle labbra.
Annuisco: non ho intenzione di parlare con lui. Ho paura di aprire la bocca e ritrovarmi a dire qualcosa di sconveniente e con il quale dovrei convivere per i prossimi tre giorni.
Con un tintinnio della campanella d'entrata, siamo nell'atrio della biblioteca, completamente al buio.
Mi volto verso Albie che mi prende per mano e mi guida verso quella che suppongo sia la sezione fantasy; beh, sì, la strada è questa, ma c'è qualcosa, nell'aria, che mi dice che non è il posto giusto.
Guardo Albie e mi rendo conto che non è Albie.
Cerco di sciogliere la mia mano dalla sua presa, ma ogn volta che tiro uno strattone, la sua mano si stringe ancora di più. Ho paura, e il cuore perde qualche battito quando vedo che il falso Albie si trasforma, lentamente in un ragazzo che ha più o meno la mia età, con gli occhi blu come l'oceano, il naso dritto e le labbra sottili.
Il suo tocco mi provoca un senso di calore e di freddo contemporaneamente. E' come quando ti immergi nell'acqua troppo calda che ti sembra fredda.
-Mi dispiace averti spaventata, Quinn- sussurra, senza che il sorriso svanisca dalle sue labbra.
Finalmente riesco a parlare: -Chi sei tu?- gli domando, con la voce che trema.
Dov'è Albie? Cosa gli hai fatto? E' questo che gli vorrei chiedere, ma improvvisamente vedo il bibliotecario che mi viene incontro e mi libera dalla stretta ferrea di quel ragazzo dagli occhi blu e i capelli marroni scuri, per farmi accomodare nel suo abbraccio.
-Avevamo pattuito che non l'avresti spaventata- dice Albie emettendo un suono basso e spaventoso.
Nonostante sappia che lui è il vero Albie, lo posso veramente sentire dal suo profumo, il tono che utilizza contro il ragazzo mi fa paura. Come se avesse ringhiato.
Certo, è un lupo mannaro, alla fine, ma sarà in grado di ringhiare[3]?
Mi rendo conto che questo non è il momento di porre domande stupide quando vedo gli occhi ossidiana di Albie riflettersi nei miei: -Stai bene, vero, Quinn?- mi domanda, con il suo tono che usa con me e solo con me.
Annuisco, ma non riesco a smettere di stringere la stoffa del suo maglione color bottiglia.
-Sarà meglio iniziare. Prima ce ne andiamo, meglio è, credimi, Quinny-
Sorrido, perché mi ha chiamata Quinny, e questo mi riporta a quando non provavo niente per lui e non sapevo che fosse un lupo mannaro ed ingoravo la profezia. Smetto di tremare quando mi rendo conto che posso dire semplicemente al mio corpo di non avere paura.
Che possa essere una qualche specie di potere sovrannaturale?
Prima di poter rispondere a questa domanda, Albie mi porta nella sezione dei libri classici, dove trovo le Muse sedute in cerchio, illuminate dalla soffusa luce delle candele bianche che ardono in ogni angolo della stanza.
In piedi, sull'altro lato della stanza, c'è il ragazzo spettrale che ha finto di essere Albie.
-Non ho avuto l'onore di presentarmi. Sono Ade-
Emetto un rantolo, dato che mi sto per strozzare con la mia saliva: -Ade?- domando, come se fossi una bambina stupida e dura di comprendonio.
-Sì, sai, il Re dei Morti- mi dice lui, indossando un sorriso che prenderei volentieri a schiaffi.
-Cosa ci fai qui?- mi riprendo immediatamente. Nessuno può prendermi in giro, perché io sono Quinn Evelyn Farrell, e se Mr. Re dei Morti non si dà una calmata, lo prenderò a calci nel sedere.
-Sono qui perché hai bisogno di una doppelgänger[4]. Le Muse non sono in grado di crearla. Io creo e distruggo-
Dalla bocca mi sfugge un: -Pensavo fosse Zeus quello che comanda-
Ade sbuffa e mi guarda un attimo, prima di chiudere gli occhi e sussurrare qualcosa a mezza bocca; al centro del cerchio delle Muse si crea lentamente, come se stesse uscendo dall'acqua, una creatura alta quanto me, ma dalla consistenza trasparente.
Le parole che si formano sulla bocca di Ade si fanno più veloci e davanti a me c'è un'altra Quinn Evelyn Farrell, che indossa una vestaglia che le arriva a sfiorare i piedi nudi.
-Portatela a casa. Là le dovrai infondere l'alito vitale- afferma il Re dei Morti, tornando alla sua solita faccia da schiaffi.
Non ho potuto ben osservare i suoi occhi fino a questo momento: l'oceano, in confronto, è di un blu acquamarina spento e sciocco; gli occhi di Ade sono del colore del mare in burrasca a dicembre, con delle folte ciglia marroni che gli conferiscono un'aria giovane ma austera.
Ho paura di quel colore. Mi terrorizza.
Le Muse prendono la ragazza e la trascinano come se fosse un tronco di legno. Senza alcuno sforzo; Albie esce dalla stanza, ma prima mi rassicura con una stringendomi la spalla, come si farebbe con un amico, non con la ragazza per cui provi qualcosa.
-L'alito vitale?- gli domando, dopo che tutti se ne sono andati, lasciandoci soli.
-Le dovrai semplicemente soffiare addosso. Così- afferma il ragazzo, prima di avvicinarsi pericolosamente vicino a me, e lasciandomi sulla pelle delle guance un alito di vento freddo e pungente come quello che c'è fuori. Del resto il Re dei Morti non può di certo essere qualcuno di caldo e rassicurante.
Apro gli occhi, che ho tenuto serrati per tutto il tempo del suo teatrino e me lo ritrovo ad un palmo di naso: i suoi occhi sono così in contrasto con l'azzurro cielo dei miei.
Prima che io possa fare o dire qualsiasi cosa, Ade scompare nella stessa ventata di aria mischiata a fiamme che si è portata via Anastaysia e le Muse.

ore 7.40
Macchina di Albus,
sedile del passeggero.


-Questa band è orribile!- esclamo io, estraendo il CD dal lettore e infilandone uno decisamente migliore.
-Che sono orribili lo dici tu! Sono bravissimi, invece! Solo sottovalutati!-
Sbuffo, prima di far partire a palla qualcosa che, per forza o per amore, deve svegliarci entrambi.
Quando il CD termina noi piombiamo nel silenzio più assoluto; l'unico rumore proviene dalle macchine che sorpassiamo veloci sull'autostrada per andare all'aeroporto di Cleveland.
-Pensi che qualcuno se ne accorgerà?- domando infine ad Albie. Di fatti è questa la domanda che voglio realmente fargli da quando ho salutato Jack e Teddy, sulla porta di casa.
-Che al tuo posto c'è una doppelgänger?-
Annuisco e lo vedo rabbuiarsi un poco, poi finalmente mi risponde: -No, non penso che se accorgerà nessuno. Ade deve essere uno che ci sa fare con questo tipo di cose. Sono il suo pane quotidiano-
-Chissà come deve essere per Persefone...- mi lascio sfuggire dalle labbra, e vedo Albie sorridere per la prima volta da quando ci siamo incontrati questa mattina.
-Te lo ricordi ancora, quindi- dice lui, riferendosi alla full-immersion che abbiamo fatto il giorno prima del mio test di mitologia greca.
Faccio un cenno con il capo e scrollo le spalle, fingendo di non ricordarmi di cosa parla; lui mi dà di gomito e alla fine cedo: -Non di certo perché sei stato tu a farmi ripetizioni! Sono cose che mi interessano!- esclamo.
Albie si finge offeso, prima di svoltare per entrare nel parcheggio a pagamento dell'aeroporto.
Scendo dalla macchina e recupero la mia valigia, mentre sento i miei stivali che scricchiolano sulla neve fresca, che fortunatamente ha smesso di cadere dal cielo. Dopo un incerto passo in direzione dell'aeroporto sto per finire con il sedere a terra, ma la mano di Albie mi prende per il braccio. Non dice nulla, mi fissa soltanto, come se stesse decidendo se lasciare andare il mio braccio e abbandonarmi al mio destino, oppure tenere ben salda la presa su di me, scontrandosi con l'imbarazzo.
Opta per la seconda, perché mi avvicina di più a lui, fino a prendermi sottobraccio; non ho voglia di ritrarmi a quel tocco che mi provoca i brividi di piacere.
Albie estrae dalla tasca del suo cappotto una passaporto: -Questo dovrebbe essere il tuo- mi dice, porgendomelo; lo afferro con la mano libera e fisso il nome che qualcuno ha scelto per me.
-Quindi sarei Isabella Harmful4?- domando, con l'ombra di un sorriso che mi aleggia sul volto; Albie legge il suo passaporto: -Sempre meglio di George Hamilton-
Mi rendo conto che questi passaporti li ha compilati Talia, con il suo innato senso dell'umorismo, molto inglese.

Ore 09.35
Caffetteria dell'aeroporto di Cleveland
Davanti ad una tazza di caffè fumante.


-Ti va di accompagnarmi a comprare un libro, prima di imbarcarci?- mi domanda Albie con un tono di voce che lascia trasparire la sua paura di volare; non ci ho nemmeno pensato, tanto stupida come sono. Non ha senso che Albie si sia offerto di accompagnarmi se ha paura dell'aereo.
Vorrei che la mia Coscienza in tailleur fosse qui a dirmi che Albie prova qualcosa per me, ma non c'è. Non che mi dispiaccia poi molto, considerando il fatto che cerca sempre di riportarmi sulla retta via, anche se la sua idea di "retta via" corrisponde al mio "vita noiosa".
-Non è poi così terribile- dico io, prima di rendermi conto che stiamo passeggiando lontani quasi cinquanta centimetri per evitare ogni tipo di contatto fisico. Ottimo, no?
No, per niente. Questo non farà altro che aumentare il mio imbarazzo e le mie domande che sono destinare a restare irrisolte.
-Cosa, non è poi così terribile?- mi domanda lui, senza avvicinarsi di un millimetro. A questo punto nella mia mente si forma un chiaro e limpido pensiero che si illumina con delle lucine verdi al neon tutte intorno: "CHE SIA DELL'ALTRA SPONDA?!?"
La piccola me in tailleur grigio sta sotto a quella scritta e se la sghignazza allegramente. La vorrei prendere a schiaffi, ma penso che come risultato sarebbe veramente pessimo; del resto Pinocchio non è riuscito a disfarsi del Grillo Parlante, o mi sbaglio?
-Volare- riesco infine a staccare dal palato. Come potrò passare tre giorni con una persona  per cui provo qualcosa senza avere la possibilità di sapere cosa? E con altri mille e mille interrogativi che non fanno altro che ronzarmi per il cervello bacato?
-Gli uomini non hanno le ali, quindi non sono adatti al volo- borbotta lui, cercando di non farsi sentire, ma con scarso successo.
Una donna, sulla trentina, ci passa in mezzo con tutta la fretta e l'ansia che solo un viaggiatore può avere, e Albie finalmente si rende conto che mi sta camminando a mezzo metro di distanza; con uno stridio delle suole delle sue scarpe da ginnastica si avvicina a me, e mi rivolge uno sguardo di scuse, al quale rispondo con un sorriso calmo, ma solo all'apparenza.

Ore 9.40
Libreria dell'aeroporto di Cleveland,
tra due scaffali stracolmi di libri.


Sto controllando tutti i titoli di cui è fornita la libreria dell'aeroporto e mi rendo conto che ne ho letti almeno la metà; Albie sta controllando i titoli in alto dello scaffale dirimpettaio al mio; sento il suo profumo di gigli ogni volta che fa un passo per poter passare in rassegna altri titoli.
Estrae una copia del Gioco dell'angelo di Zafon. Sorrido, ricordando la libreria di Albertville, e rendendomi conto, per la prima, vera volta, che sto per affrontare un viaggio che mi poterà in un paese totalmente diverso dal mio, che sta in un continente dall'altra parte dell'oceano, del quale ignoro sia lingua, che cultura.
Mi preoccupo, fino a quando non scorgo la copertina di Dracula.
Senza smettere di sorridere, la prendo tra le mani e, dopo avergli dato una leggera occhiata, mi volto verso Albie, che sta ancora ispezionando i libri, ma tra le mani ha stretta la copia del Gioco dell'angelo.
-Hai scelto?- gli domando, sventolandogli davanti al naso la mia copia di Dracula;
Albie mi rivolgeuno sgaurdo divertito: -Dracula, di Bram Stoker? Davvero?- mi domanda, sorridendo.
Annuisco ed emulando il suo tono di voce gli chiedo: -Il gioco dell'angelo, di Zafon? Davvero?-
Scoppia in una risata cristallina che mi mette di buon umore e ci dirigiamo alla cassa, evitando comunque di sfiorarci.
La donna che sta dietro al bancone è una fotocopia spiccicata di Emily Sax, la donna che lavora come segretaria nell'ufficio del sindaco e che fa il filo ad Albie da che ne ho memoria.
-Conti separati oppure uniti?- domanda, riportandomi sul pianeta terra, e strappandomi ai ricordi di quel giorno che, intuisco dal lieve calore che provo sulle guance, mi hanno fatta arrossire.
Albie tira fuori una banconota da venti dollari: -Uniti, per favore- le risponde, con dolcezza.
Con me, quel tono, lo usa solo quando mi sta prendendo per i fondi, e mi ritrovo a sorridergli come un'idiota, guardando i suoi occhi che non si perdono nemmeno un movimento della libraia.
-Ecco a lei- dice la donna, porgendo il sacchetto di carta marrone ad Albie, e cercando in tutti i modi possibili di sfiorargli le mani, tese per afferrare i libri. Un formicolio mi sale alle mani e sono costretta ad infilarle velocemente nelle tasche del cappotto per evitare che Albie veda che mi stanno tremando.
Perché tremano, poi? Mica gli ha fatto nulla, quella donna. Ha semplicemente cercato un contatto fisico con lui, seppur breve. Devo darmi al più presto una regolata, perché non posso essere gelosa di un ragazzo che non ricambia i miei sentimenti.
La mia coscienza spunta fuori e si mette a sbraitare: -Non ricambia i tuoi sentimenti, stupida ragazzina? Allora le sue labbra si avvicinano alle tue per una forza sovrannaturale? Per una roba da lupi? Ma fammi il favore! Se gli chiedessi di scalare l'Everest a mani nude lo farebbe!- poi si mette a borbottare una serie di insulti contro di me, che decido di non ascoltare, perché, da quello che so io, la coscienza non dovrebbe insultare la persona che rappresenta.
Albie mi schiocca le dita davanti agli occhi: -Stai bene, Quinny?-
Sorrido e mi affretto ad annuire. Controllo l'orologio e mi rendo tristemente conto che manca ancora un'ora all'imbarco; usciamo dalla libreria, e Albie deve aver avuto il mio stesso pensiero.
-Qualcosa che ti viene in mente di fare, prima di lasciare il paese per giorni, Isabella?-
Noto che ha utilizzato il nome sul mio passaporto, e probabilmente dovrei iniziare a chiamarlo anche io George, anche se non mi aggrada per niente.
Annuisco, di nuovo ed Albie m rivolge uno sguardo molto preoccupato: mi posa una mano sulla fronte e poi la ritrae.
-Sei certa di stare bene? Sei molto meno loquace rispetto agli altri giorni-, poi mi prende la mano e non posso are a meno di arrossire ed abbassare lo sguardo.
-Staranno bene, vedrai, Quinn- mi dice rassicurante, con un sorriso che affiora sulle labbra.
Non so per quanto tempo ancora potrò resistere alla tentazione di prenderlo per il bavero del cappotto e trascinarlo fino alla mia altezza, per assaporare quelle labbra, dalle quali escono sempre le parole giuste per ogni occasione.
Ritraggo la mano, come se mi avesse attraversato una scossa e farfuglio un: -Devo andare alla toilette-, prima di mettere più distanza possibile tra me ed Albie, che in questo momento mi fa solo da tentazione vivente ed ambulante, alla quale dovrò resistere per non so quanti giorni.

Mi pare chiaro che il mio unico desiderio: lo stare da sola per un po', non possa realizzarsi, perché Albie, correndomi dietro, mi prende per un braccio e mi fa voltare.
I miei occhi sono velati dalle lacrime e lui se ne accorge: -Quinn...- inizia. So che se lo lasciassi finire, mi perderei nei suoi squarci di cielo notturno senza possibilità di fare ritorno.
-No, Albus- dico semplicemente, scivolando via dalla sua dolce stretta per recarmi nel bagno delle signore che, fortunatamente, è completamente vuoto.
Per evitare qualsiasi tipo di domanda indiscreta, scaturita da quella che viene definita: "solidarietà femminile", apro tutte le porte dei bagni e lascio che le lacrime siano libere di scorrere sulle mie gote e di lasciarmi gli occhi arrossati.
Apro l'acqua fredda e mi riempio le mani, per poi sciacquarmi il viso. Ho bisogno di riflettere in modo lucido.
Mi siedo sul water di mezzo, con la porta aperta e mi permetto di singhiozzare come una stupida per tutto quello che sta accadendo. Da brava idiota sto dando più importanza ai miei ormoni, che alla salvezza del mondo.

Dieci minuti dopo, o forse un quarto d'ora, esco finalmente dalla toilette con gli occhi arrossati e la voglia di abbracciare Jack, mentre mi sussurra che va tutto bene; ma Jack non c'è. E non ci sarà nemmeno quando saremo a Budapest. Quindi mi armo di forza e di coraggio e, tenendo la testa alta, mi dirigo nuovamente verso le sedie di plastica dell'attesa dell'aeroporto.
Albie mi scorge, e vedo che vorrebbe alzarsi e corrermi incontro, per tranquillizzarmi, ma non lo fa, e gliene sono silenziosamente grata.
-Il nostro imbarco è tra mezz'ora. Cosa vuoi fare?- mi domanda, facendomi spazio sulla sedia accanto alla sua. Mi siedo su quella che gli sta di fronte.
-Voglio stare seduta qui- dico, in modo risoluto, con lo stesso tono di voce che utilizzerebbe una bambina dopo aver litigato con il suo amico del cuore.
Albie alza gli occhi al cielo: -Cosa ho fatto, adesso?- mi chiede sbuffando. Vorrei sorridergli e dirgli che non ha fatto niente, che sarebbe anche la verità, ma non riesco a scollare le parole dal palato. Mi limito a scuotere la testa mentre lui, con un sospiro prolungato, si alza e si viene a sedere accanto a me. Il suo odore di gigli e libri si impossessa delle mie narici e quando mi rivolge la parola guarda ovunque tranne che nella mia direzione: -Quinn, ascolta, mi dispiace, okay?-
-Smettila- sussurro semplicemente; le parole mi escono fuori senza che io possa controllarle: -Smettila di scusarti, perché non è colpa tua, perché non hai fatto proprio niente. Non scusarti perché stai cercando di aiutarmi. Sarebbe tutto molto più semplice se tu mi odiassi, Al-
Albie sospira, di nuovo; una cosa che non gli ho mai visto fare, ora che ci penso: -Sì, sarebbe più facile- dice solamente.
-Perché non mi tratti come una delle tante che viene in biblioteca per vederti?- gli domando, dopo un silenzio che sembra durare un'eternità.
-Perché tu non vieni in biblioteca per vedere me- il suo silenzio accende dentro di me la speranza che, per una misera volta, potrebbe anche provare qualcosa per me: -Lo fai per leggere- dice, alzandosi e tornando alla sedia che aveva abbandonato.
Afferro il mio telefono e mi metto a scrivere di fretta un messaggio a Jack, promettendogli di chiamarlo quando arrivo in albergo; poi infilo le cuffie nelle orecchie e mi rilasso sulla sedia con la musica a palla.
Lentamente le mie palpebre si fanno pesanti, fino ad arrivare a chiudersi da sole. L'ultima cosa che vedo è il viso di Albie, con un'espressione che lascia intendere che si è perso nei suoi pensieri. Mi sistemo alla bell'e meglio, fino ad assopirmi sulla sedia ormai calda.

-Ultima chiamata per il volo PZ458 per Budapest. Ultima chiamata per il volo PZ458 per Budapest-
Vengo svegliata dalla voce di una delle hostess che gracchia in tutto l'aeroporto; mi guardo intorno spaventata e vedo ad un centimetro dalla mia fronte, le labbra di Albie.
Mi lascia un bacio leggero sulla fronte e poi mi sussurra all'orecchio: -Dobbiamo andare, Izzy-
Mi stropiccio gli occhi e quando riprendo il controllo del mio cervello noto che siamo davanti al gate; sto per chiedere ad Albie come ci sono arrivata, ma lo vedo sorridermi e tendermi la mano. Nonostante tutto, nonostante le domande che continuano ad ammassarsi nella mia testa senza un filo logico, la afferro e mi alzo dalla sedia di plastica, che intanto da blu è diventata nera.
Le hostess mi sorridono, mentre Albie tende loro i nostri falsi passaporti.
-Buon viaggio, signorina Harmful, signor Hamilton-, dice una giovane ragazza dai capelli del mio stesso colore, ma con gli occhi nocciola; leggo il nome sul cartellino della sua divisa: Elizabeth.
-Grazie- ribatte semplicemente Albie, prima di prendermi sottobraccio e prendere entrambi i nostri bagagli a mano.
Lo fisso divertito, mentre mi chiedo da quanto tempo mi ha trasportata da una parte all'altra dell'aeroporto.
-Quindi, George, da quanto tempo mi avevi portata al gate? No, perché sembrava che Elizabeth ti avesse già mangiato con gli occhi-
Albie scoppia in un'allegra risata: -Elizabeth, come la chiami tu, mi aveva chiesto se tu fossi la mia ragazza-
Arrosisco, e mi rendo tristemente conto che voglio sapere cosa le ha risposto. Prima che io possa chiederglielo, lui mi precede: -Le ho detto che sei la donna della mia vita, Isabella Harmful-
Sospiro, mentre Albie mi dà una mano a salire sulla scaletta dell'aereo.
Il pilota e il suo vice controllano le nostre carte d'imbarco, e consegnano ad Albie un cuscino e una coperta: -Per la signorina- afferma, con un sorriso che lascia intendere tutto e niente, il pilota.
Al mio passaggio sento i suoi occhi strisciarmi addosso come se fossero due anguille viscide; la mano di Albie si poggia sul mio fianco e mi accompagna con dolcezza sul mio sedile, accanto al finestrino: -Non mi piace come ti stava guardando il pilota- sussurra, mentre sistema le nostre borse sulle cappelliere dell'aereo.
Non appena si siede, mi stiracchio, per poi cadere con la testa sulla sua spalla sinistra: -Oh, beh, a me non piaceva come ti stava guardando la hostess, ma non mi sono lamentata- gli dico, con un sorriso sardonico sulle labbra.
-Sarà un viaggio lungo, lo sai, Quinn?- dice la mia coscienza, che si è costruita una fortezza con i cuscini, stile Peter Griffin; non mi prendo nemmeno la briga di risponderle, perché tanto conosceva la risposta ancora prima di rivolgermi la domanda.
La mano di Albie passa davanti al mio naso, per la seconda volta: -Sei pensierosa, Izzy-
-Se non la pianti di chiamarmi Izzy, giuro che ti rompo l'osso del collo- gli dico, mentre lo vedo sorridere ancora.
Il pilota fa un breve giro dell'aereo e guardacaso decide di fermarsi proprio sulla fila dove ci sono i nosti sedili; lo inquadro un attimo e penso che non può avere più di venticinque anni, beh, almeno ha fatto carriera, mi ritrovo a pensare; non si piò di certo dire che sia un brutto ragazzo: è alto, ma non dinoccolato, e con la divisa ha un fascino d'oltreoceano; deve essere originario dell'Est Europa e quindi questa non è nemmeno la prima volta che fa questo lungo viaggio; il colore della sua giacca da pilota è molto simile al colore dei suoi occhi, blu oceano.
Sta tranquillizzando tutti i passeggeri, ma i suoi occhi si fermano spesso, e forse un po' troppo spesso, su di me.
-Quindi, signori, vi auguro un piacevolissimo viaggio ed un altettanto piacevole atterraggio nella splendida città di Budapest-
Sorride a tutti, e poi, con il suo fare da anguilla, sorride a me, ignorando bellamente l'occhiata assassina di Albie.
Dopodiché, la hostess prende il suo posto e ci indica le uscite di sicurezza e tutto il resto, metodo per mettere le mascherine per l'ossigeno compreso, ma nessuno la sta ascoltando; forse solo Albie, e non saprei dire se è perché ha paura di volare, e quindi sta cercando di capire se si potrà salvare in caso di disgrazia, o se è solo per pensare a qualcosa d'altro.
Gli stringo la mano con fare rassicurante quando l'aereo inizia a rollare sulla pista.











Note:
1: Che gli scozzesi non me ne vogliano, però in effetti il cappotto di Albie sarebbe una cosa del genere.
2: Ho sempre citato Harry Potter, ma il fatto è che mi sono innamorata in modo completamente irrevesibile de "L'ombra del vanto", di Zafon. Se non lo avete letto, vi state perdendo un gran bel libro, lasciatevelo dire.
3: Sì, allora, se andate sulla pagina di Santa Wiki, alla voce lupo mannaro c'è scritto qualcosa come: "durante il rapporto sessuale il lupo mannaro, anche se in forma umana ringhia" o una cosa simile, quindi, cioè... l'ho trasposto per poter sottolineare l'incazzatura di Al.
4: Dimenticavo di dire cos'è una doppelgänger
5: Harmful in inglese significa "armata"... quindi... Fate due conti.






Angolino della scrittrice:
Allora, sì, innanzitutto volevo scusarmi per il ritardo, ma ieri avevo tanto tanto tanto da studiare e non ho fatto in tempo.
Quindi... Sorry.
Poi, in più.
Ah, sì.
Nel prossimo capitolo... si vola a Budapest, guys!
Eh... ehm...
No, va beh. Niente.
Sarei contenta, ma tanto tanto tanto se metteste una recensioncina, del resto non vi costa nulla.

Null'altro.

Lot Of Love.

A domenica.
Ammesso e concesso che il mondo non finisca, ovviamente.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Kristah