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Autore: Avah    22/12/2012    1 recensioni
Jesfer è un ragazzo sveglio e intelligente con un grande sogno: lasciare Ferisle e andare per mare, scoprendo nuove terre, ma l'incontro con una ragazza stravolge la sua vita e i suoi piani. Una storia di amicizia e di amoreche si intreccia con la voglia di libertà e normalità.
«Perché lo stai facendo? Ti stai mettendo nei guai, e questo solo per causa mia.»
«Ho imparato dalla vita che bisogna inseguire i propri sogni, a qualunque costo. Quindi, ovunque andrai, io ti seguirò.»
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tra le mura di Starlait

Koci tornò a casa in fretta, tagliando per i grandi campi coltivati per fare prima; aveva molte cose di cui occuparsi prima che facesse buio, tra cui l’organizzazione del trasporto della ragazza verso Starlait a casa di Jesfer. Per fortuna, con lei c’erano Raki e Qelyl che le avrebbero dato una mano.
Arrivata a casa, chiamò a sé le due ragazze e spiegò loro brevemente il piano che aveva in mente; era da quando Lord Reventy aveva fatto sentire il proprio potere che Koci organizzava queste fughe, aiutando decine di ragazze a scappare verso sud, a Blufalls, oppure a est, a Oranid, dove la sua ferocia non era ancora riuscita a far breccia.
Finito di parlare, si fece raccontare cos’era successo mentre lei era fuori; Raki le disse che, per fortuna, nessuno aveva bussato alla loro porta, e che la ragazza si era addormentata di nuovo poco dopo che era uscita. In quel momento, comunque, sentirono dei passi al piano superiore e, lentamente, la ragazza scese la scala a pioli; arrivata in fondo, le forze la abbandonarono di nuovo e se non fosse stato per Koci sarebbe caduta a terra, battendo la testa.
«Perché ti sei alzata?», le chiese la donna, aiutandola a mettersi a sedere su una sedia. «Sei ancora debole, dovresti stare sdraiata e riposare.»
«Io… ho fame», rispose lei con un filo di voce. «Per favore…»
«Ma certo, non c’è nessun problema», Koci le spostò una ciocca di capelli ruggine dalla fronte. «Qelyl, per favore, vai a prendere qualche mela di quest’inverno. Tu, Raki, attizza il fuoco e vai a prendere un po’ d’acqua.»
Le due giovani annuirono e uscirono di casa, mettendosi subito all’opera e svolgendo immediatamente i compiti che erano stati loro affidati. La donna invece rimase vicino alla ragazza, tenendole la mano e scostandole ciocche di capelli dagli occhi con fare materno. Un lieve sorriso di nostalgia le si dipinse sul volto; era così simile alla sua bambina, avevano gli occhi simili. Ma mentre lei era lì seduta accanto a lei, l’altra era scomparsa, sparita un mattino presto e mai più vista da almeno sei anni.
«Koci, ecco le mele», Qelyl rientrò tenendo fra le braccia un paio di mele grosse e rosse.
«Vieni qui, stalle accanto», la donna si alzò e andò al tavolo su cui era posata la frutta; prese un coltello e iniziò a sbucciarla meticolosamente, tagliandola poi in pezzettini che faceva cadere in un piccolo paiolo di rame ammaccato.
Qualche minuto dopo comparve sulla soglia Raki, che portava un secchio zeppo d’acqua; a un gesto della donna, ne rovesciò in parte dentro al pentolone e iniziò a mescolare con un lungo cucchiaio di legno, finché le mele non furono ben cotte e addensate con l’acqua. Dopodiché, versò la purea in una ciotola di terracotta e la porse a Koci, che si avvicinò alla ragazza ancora debole abbandonata sulla sedia.
«Ecco qui», disse, avvicinandole la scodella. «Fai piano, è ancora bollente.»
L’aiutò a mangiare, lentamente, mentre le altre due ragazze si occupavano della casa e dell’occorrente per la fuga; alla fine Koci fece stendere la ragazza che si era un po’ ripresa vicino al focolare, in modo che si riscaldasse un po’; in pochi minuti si riaddormentò.
La donna si mise di nuovo all’opera, guardando di tanto in tanto il corso del sole in cielo per assicurarsi di finire tutto prima che fosse buio; doveva avviarsi il prima possibile, o le probabilità di rimanere chiusa fuori dalle mura di Starlait sarebbero aumentate in maniera esponenziale.
Uscì e iniziò a preparare un carretto che teneva dietro casa e che usava quando doveva trasportare qualche merce in città o, come in quel momento, doveva aiutare qualcuno a scappare. Fece uscire dalla stalla un bellissimo cavallo baio scuro, con la criniera nera e folta che ricadeva da un lato del collo muscoloso; accarezzandolo sulla testa, gli mise le redini e lo lasciò pascolare un po’, prima di collegargli il carro. Andò a prendere qualche cassetta di legno in cui di solito metteva frutta fresca che raccoglieva nei dintorni; quella volta ne riempì solo alcune, coprendole poi con dei teli di juta marroncina. Con l’aiuto delle due ragazze, caricò tutto sul carretto, avendo cura di mettere le scatole vuote dotto quelle piene, in modo da non destare sospetti in caso di un controllo da parte delle guardie della porta.
Koci alzò gli occhi al cielo, osservando con attenzione in che posizione si trovava il sole. «E’ ora.»
 
«Ragazzo si può sapere che ti prende? Oggi sei più distratto del solito!»
Jesfer alzò lo sguardo verso il padre che gli stava davanti, con lo sguardo arrabbiato. «Scusa», disse, riprendendo a pulire metodicamente i tavolini di legno all’interno della taverna.
Non riusciva a smettere di pensare alle parole di Koci, ma soprattutto aveva paura. Paura che qualcuno lo scoprisse. Paura di finire in prigione. Paura di deludere i suoi genitori. Da quando era diventato abbastanza grande per comprendere i discorsi degli adulti, aveva capito che suo padre e sua madre volevano molto da lui, volevano che fosse il migliore. Lui ci provava, e sembrava che ci stesse riuscendo, ma a volte il fardello diventava troppo pesante e aveva bisogno di qualche scappatoia; per quel motivo aveva detto di sì. Ma solo in quel momento si rese conto di quello che provava davvero, quel terrore che gli attanagliava le viscere; voleva che i suoi genitori fossero fieri di lui, ma in quel modo li stava deludendo, e anche tanto.
Sospirò; ormai la frittata era fatta, non poteva più tirarsi indietro. E poi, come aveva detto Koci, non era giusto che altre ragazze andassero incontro allo stesso destino di Verliq. Verliq… chissà dov’era, se stava bene, com’era diventata negli ultimi anni. Era scomparsa da tanto tempo, ma in ogni momento ci ripensava, a quel mattino invernale, quando si diffuse la notizia che si erano perse le sue tracce. Era cresciuto con lei, era la sua più grande amica, e le voleva un bene dell’anima. No, non poteva permettere che qualcun altro passasse quello che aveva provato lui, doveva fare qualcosa. E quel qualcosa lo stava già facendo.
Dopo aver pulito l’ultimo tavolino in fondo alla stanza, alzò gli occhi verso la finestrella aperta alla sua destra e vide che si stava già facendo buio; tra non molto sarebbe scattato il coprifuoco e le porte della città si sarebbero chiuse, quindi era meglio scappare a casa prima dei suoi genitori.
«Io qui ho finito», disse, lanciando uno straccio su una panca. «Vado a casa, così inizio a preparare la cena.»
«Va bene Jesfer», rispose suo padre, continuando a contare una pila di monete d’argento. «Ci vediamo dopo.»
Jesfer fece un cenno di saluto, poi prese il mantello scuro che si era tolto quando era tornato dal fiume e se lo gettò sulle spalle; qualche secondo dopo era fuori in strada, nella fresca serata primaverile. Iniziò a camminare velocemente, tenendosi rasente si muri; non che abitasse molto lontano da lì, ma voleva esserci quando Koci sarebbe arrivata. Quando entrò in casa qualche minuto dopo, non era c’ancora; fissò il cielo che si stava scurendo e il cuore iniziò a battergli a mille; aveva paura che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe rimasta chiusa fuori da Starlait.
Per fortuna, qualche istante dopo, sentì il rumore di zoccoli sul selciato e lo stridio di ruote che si fermavano dietro a casa; Jesfer uscì di corsa, andando incontro alla donna che stava spostando alcune casse.
«Dobbiamo sbrigarci», disse il ragazzo, aiutandola. «I miei genitori saranno a casa a momenti.»
«Saremo veloci», Koci si allungò sul carro e prese la ragazza per le braccia addormentata, trascinandola fin sul margine.
«Ci penso io», Jesfer la prese in braccio e sgattaiolò in casa, prima che qualcuno lo potesse vedere. Koci lo raggiunse qualche secondo più tardi, tenendo in braccio qualche coperta e un po’ di frutta.
«Tieni questi», la donna appoggiò tutto sul tavolo. «Così nessuno dovrebbe accorgersi di niente, almeno per un po’.», detto questo, uscì di casa e sparì dalla sua vista.
Lui fece un cenno di assenso con la testa, poi iniziò a salire lentamente le scale, cercando di non scivolare; alla fine raggiunse il piano superiore e depose con cura la ragazza sul suo pagliericcio, coprendola poi con una coperta. Rimase per un momento a fissarla, come rapito: aveva lunghi capelli color ruggine, fermati da un nastro grigio in un piccolo chignon; la pelle era chiara, e gli occhi erano contornati da un leggero alone scuro.
In quel momento le sue palpebre fremettero la ragazza si svegliò, mostrando i suoi grandi occhi viola; si guardò per un po’ intorno, spaesata, finché non incontrò lo sguardo di Jesfer.
«D-dove mi trovo?», balbettò con voce impastata.
«Tranquilla, sei in un luogo sicuro adesso», rispose lui con un sorriso. «Io mi chiamo Jesfer.»
«Dov’è lei?» continuò a chiedere, come se quelle informazioni non fossero sufficienti. «Chi sei tu?»
«Ti riferisci a Koci? Ti ha portata qui da me, sono un suo amico. Sei più al sicuro qui che con lei.»
Quelle parole sembrarono rasserenarla almeno un po’; si strinse di più nella coperta e chiuse per un momento gli occhi, poi balbettò qualcosa di incomprensibile a mezza voce.
«Come hai detto?», chiese Jesfer, confuso.
«Mi chiamo Laife», ripeté, questa volta in maniera comprensibile.
I due non ebbero modo di parlarsi ancora perché qualcuno, al piano di sotto, entrò; un pensiero balenò nella mente del ragazzo, che si precipitò verso le scale. Prima di iniziare a scendere, si voltò verso l’ospite e le fece segno di non fare il minimo rumore, poi volò di sotto.
«Jesfer, di chi sono queste?», sua madre indicò con un cenno le coperte e la frutta che erano rimaste lì.
«Ah, è passata Koci a salutare», rispose lui, prendendo su tutto. «Ha portato un po’ di frutta fresca e qualche coperta.»
«Ma siamo ormai in estate», la donna non sembrava molto convinta della storia del figlio. «Non ce n’è molto bisogno, soprattutto se sono di lana…»
«Ah ma sai com’è, si preoccupa sempre tanto… E’ fatta così, no?»
La donna sorrise. «Già, hai ragione. Poverina, se penso a quello che ha passato…»
«Allora, che dici, ceniamo?», Jesfer la interruppe prima che tornasse su quell’argomento.
«Ma certo. Tra poco arriverà anche tuo padre, quindi sarà meglio preparare tutto prima che sia qui.»
«Eh già, non è proprio capace di aspettare!»

  
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