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Autore: Stateira    14/07/2007    8 recensioni
Raccolta di shots varie ed eventuali, a tema romantico. Parings per tutti i gusti, yaoi e non, canon caparbi e crack stratosferici.
Mi scuso per non accennare alla trama, ma una trama, disgraziatamente, non c'è.
Genere: Generale, Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Premessa: ho scelto questo (inusuale) titolo perché la scrittura di questa shot è stata accompagnata da “Gates of Istambul” di quella dea che è Loreena McKennitt

Premessa: ho scelto questo (inusuale) titolo perché la stesura di questa shot è stata accompagnata da “The Gates of Istambul” di quella dea che è Loreena McKennitt. Ma non è una songfic, la canzone è nulla più di un sottofondo sonoro.

 

 

 

 

Istambul (Shikamaru/Temari)

 

 

 

La notte dorme, qui a Suna. Te ne sarai accorto anche tu, osservatore di venti.

Benvenuto, straniero. Benvenuto nel mio palazzo.

 

- Troppa pace, non credete anche voi? –

Il sorriso ferino di Kiba perforò la semioscurità della sera stellatissima.

 

- Già. Che ne dici di un bel duello all’ultimo sangue, Inuzuka? – sibilò Kankuro, ticchettando pigramente le dita sulla superficie liscia del tavolo rotondo attorno a cui si erano tutti seduti.

 

Quasi tutti.

 

Shikamaru osservava in rispettoso silenzio quello che sempre più stava assumendo ai suoi occhi la consistenza di un rito.

Perché Temari avesse abbandonato il salone dove la delegazione di Konoha era stata accolta e ricevuta, lui non lo sapeva.

Perché avesse salito quei gradini di marmo chiaro di fretta, arrampicandosi lungo corridoi sempre più stretti, e sempre in salita, fino a lì, fino a quella stanza strana, porticata, aperta, ariosa.

 

Sapeva che lui l’aveva seguita. Lo sapeva perché lo aveva voluto, lo aveva persino preteso, si era assicurata di avere per sé tutte le sue attenzioni fin dal primo momento in cui lui e i suoi compagni avevano messo piede in quel palazzo, e adesso Shikamaru rispettava il silenzio intriso di vento soltanto perché il gioco lo richiedeva, non certo per restare nascosto.

 

Non mi vedi?

Non mi vedi, da sola, ballare la buio?

 

Che lei fosse bella, Shikamaru lo vedeva. Tutti potevano vederlo, che diamine, non era certo un segreto per gli occhi. Ma ciò che lo faceva sorridere era l’arrogante quasi certezza di essere il solo ad intuire in cosa consistesse esattamente la bellezza di Temari, e per quale motivo risultasse così ostica, così dura da masticare ai più.

C’era quella punta di selvatichezza in lei, in quella luce che emanava, che non aveva nulla di languido, ma semmai di potente, di robusto, di consistente come la sabbia bagnata fra le dita, che sembra polvere di fango modellabile e capricciosa, scivolosa e allo stesso tempo coesa, coerente con sé stessa nei suoi disegni astrattizzanti.

Il suo sorriso furbo e penetrante, le labbra sottili che si guardavano bene dal chiedere baci, i capelli lasciati alla loro natura ispida senza vergogna, ma sempre in ordine, quel giusto che bastava per ribadire che era una donna anche lei.

Probabilmente era proprio un dettaglio come questo a renderla, ai suoi occhi, più donna di chiunque altra.

 

C’era tutto il suo segreto, in quei suoi occhi troppo affilati per poter recitare la parte della cerbiatta, e nel suo totale disinteresse a recitare una parte simile. Una voce, quando ti guardava, che ti diceva che lei non sarebbe mai stata la cerbiatta di nessuno, e questo valeva da solo come un universo.

 

Principessa, muovi quei veli perché io non ti possa vedere. Non bene, non quanto vorrei.

 

Il desiderio è una partita di strategia giocata con due sole pedine.

E loro erano degli ottimi strateghi.

 

Temari sfuggiva anche alla presa più ferrea, come se fosse perennemente avvolta dal vento instabile del deserto, come se fosse capace di sciogliere il proprio corpo in granelli della sabbia più sottile, e disperdersi nell’aria torrida e tremula del suo stesso, materno deserto.

 

Shikamaru aveva il dono di non avere bisogno degli altri, di rendersi estraneo a ciò che non fosse strettamente indispensabile, di non lasciarsi incantare da promesse qualsiasi.

 

In definitiva, erano entrambi molto bravi a sfuggire, e se la loro evanescenza li rendeva impalpabili ai più, era probabile che il loro incontro avrebbe significato una penetrazione profonda, addirittura assoluta, come quella labile e inscindibile fra nubi e sabbia.

Né l’uno né l’altro erano prede da catturare stringendo le braccia in una stretta possessiva, perché una volava via nel vento, l’altro si faceva nube vaporosa, e gli elementi dell’aria non amano accordi e giuramenti che li costringano in maglie troppo sottili e soffocanti.

 

Guerriero, tu che sfuggi alle illusioni, vieni a provare le mie dita.

 

Temari ignorava di proposito ogni regola ed ogni doppio senso, preferiva velature trasparenti a maschere deformi, perché non aveva bisogno di atteggiarsi ad una dolcezza che non le apparteneva tanto quanto quella combattività fittizia e tutta maliziosa dietro cui si nascondevano chissà quante ragazze, ansiose di dimostrare qualcosa che non erano.

Non le serviva esibire una voglia di libertà che non voleva davvero, un’indipendenza indesiderata, come facevano le altre. Lei la libertà se la prendeva, e guai a toccargliela. Lei non ti guardava senza dolcezza perché dolce non lo era, e fine della storia. Eppure aveva tutta una vita che si accendeva in lei ad ogni passo, ad ogni sguardo, e il suo sorriso somigliava per davvero ad un ventaglio fatto di cento sensazioni diverse, di sfumature e di significati sfuggevoli ed  inafferrabili come imbrogli di carta.

 

Lo svanire lento di un filo di fumo.

Ci siamo io e te, ospiti della notte.

 

Il gioco della sensualità più fine affonda generosamente le sue dita nelle ambiguità della nostalgia e della tristezza, e mentre lui le sfiorava una guancia, sentiva la voce di lei, calda e rauca come sabbia strofinata sulla gola, raccontare cose, additare ricordi, confidare bugie piene di significati timidi e scorciati.

 

Quando le accarezzò delicatamente il seno, con due dita appena, morbido e rotondo, e chiuso dentro cinghie dal significato guerriero, sentì il profumo di lei liberarsi dalla pelle e salire come un fumo d’incenso, e invitarlo a quietare il proprio cuore fra le spire di un abbraccio che aveva uno strano sapore incestuoso e lento, come miele colato ancora grezzo.

 

Nei tuoi occhi si specchiano acqua e sale.

Ci siamo io e te, ospiti della magia.

 

Sarebbe potuto finire in quel momento, come continuare per sempre. Il loro avvolgersi insistente, il loro spogliarsi ad occhi chiusi, quello stesso cielo nero che li faceva sentire nudi e nascosti, ed ogni altra cosa, tutto sarebbe potuto finire. Come una battaglia nella quale ci si lancia senza sapere se se ne uscirà mai, eppure lo si fa, alla cieca, perché non importa, perché la sabbia forse inghiottendoti ti uccide, ma mentre affondi almeno senti calore, calore e piacere, e ti lasci rubare via il respiro senza che ti interessi più combattere per tenerlo.

 

Non serve più, il respiro che porta parole, e scatena malintesi, doppi sensi, guerre e compromessi, e sorrisi deboli e stracciati. Bastava una musica che non c’era, un rito antico evocato con imprudenza, il frusciare dei vestiti di Temari, delle mani di Shikamaru.

 

Prigionieri della notte, forse. Ma almeno, quella notte era la loro.

 

- Hey Kiba, sai dov’è andato a cacciarsi Shikamaru? –

- Mah, e chi lo sa. Probabilmente sarà andato ad appollaiarsi su qualche tetto per guardare le sue stupide nuvole. –

- Uhmpf. Già, hai ragione. Sempre a correre dietro alle nuvole, quello. –

  
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