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Autore: Akilendra    29/12/2012    4 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1


Penso non ci sia posto più bello nel quale perdersi del mio amato bosco nel distretto 7.
Così io spesso lo faccio, o almeno ci provo, difficile riuscirci, perchè anche se chiudo gli occhi è impossibile non riconoscere ogni singolo altissimo albero, ogni singola verdissima foglia, ogni ago di pino che scricchiola sotto i miei piedi; non è difficile sentire l'odore della pioggia, quell'odore di umido che nel mio distretto è sparso ovunque, o il canto di qualche uccello che, al mio passaggio, troppo timido per continuare, si rifugia su un ramo sopra la mia testa.
Penso non ci sia posto migliore nel quale rifuggiarsi per scappare dalla realtà del mio amato bosco nel distretto 7, io lo faccio spesso, chiudo gli occhi e comincio a correre, lasciando che l'odore forte di resina mi riempia i polmoni, lasciando che il rumore del vento tra gli alberi copra le urla silenziose del mio cuore; che all'improvviso smette di urlare e costringe i miei piedi a fermarsi, un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che sono io la copia originale dalla quale è stata creata; dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, perciò io sono l'originale e lei la copia.

Anna e Jenna, uguali ma diverse, luce e tenebra, stessi capelli corvini, stessi occhi color del buio, stessa bocca rosso sangue, così simili fuori, così opposte dentro...

Anna. Anna, la mia bella e dolce Anna, mia piccola Anna, dolce come lo zucchero filato, bella come il sole. Lei, lei che col suo sorriso conquista tutti, lei che sembra non accorgersi dell'effetto che fa sulla gente, lei è una boccata d'aria fresca, lei è la brezza primaverile che ti accarezza i capelli, lei è un soffio di vita, quella vita che non puoi non notare incrociando i suoi bellissimi occhi.

E poi ci sono io. Jenna. L'altra faccia della medaglia, il pezzo mancante, la sua immagine riflessa allo specchio.
Se solo ci fosse uno specchio che riflettesse anche il cuore delle persone, allora la gente vedrebbe la differenza, capirebbe quanto lei è diversa da me, quanto io sono diversa da lei.

Non potete capire quanto sia frustrante quando anche tuo padre fa fatica a riconoscerti, quando per strada i tuoi amici ti salutano con un gesto della mano, ma non ti chiamano per nome, perché non sanno quale delle due hanno davanti.
La verità? Non esiste persona più diversa da me della mia gemella.
La guardo per un attimo: capelli lunghissimi scuri e mossi, labbra carnose e rosse, occhi grandi e lunghe ciglia nere...io non sono così bella! Ma se guardo meglio in quegli occhi neri, vedo quella dolcezza che i miei non hanno mai contenuto, e se cerco bene nel suo cuore, sento quella purezza e semplicità di una bambina, che anche se volessi, non troverei mai in me.
Anche lei mi guarda e dopo un attimo mi sorride e mi butta le braccia al collo, potrei passare le ore a guardare il suo sorriso, è così bella, così pura, così dolce e indifesa che se penso che è mia sorella mi fa paura, lei è così diversa, che a volte fatico a credere che viviamo sullo stesso pianeta!
Lei è una stella, così luminosa che, dopo averla vista, non vorresti più staccarle gli occhi di dosso; anche io sono una stella, ma la mia è una luce che se la guardi troppo, ti acceca, una luce che se le stai troppo vicino, ti brucia, una luce che dopo averla vista non vorresti più ripoggiarle gli occhi addosso.

Mi beo di quest'abbraccio, perchè il dolce profumo della sua pelle è la cura ad ogni mio male, intreccio le mie dita nelle sue e mi lascio trascinare verso casa. Arrivate nella piazza, già affollata a quest'ora del giorno riconosco tra tutti, un paio di occhi troppo familiari per non notarli, quel paio di occhi che riconoscerei tra mille. Anche Anna li vede e mi lascia la mano, cedendomi alla figura che si sta avvicinando, lo saluta con un sorriso .
– Ti aspetto a casa – dice poi allontanandosi, le faccio un cenno con la testa e ritorno a guardare negli occhi il ragazzo davanti a me. I capelli scuri come la corteccia del più bello degli alberi sono illuminati dal sole, gli occhi azzurri come il mare e il cielo messi assieme si perdono nei miei e il suo largo sorriso brillante convince il mio viso ad imitarlo e le mie labbra si schiudono in un sorriso che arriva dritto ai suoi bellissimi occhi.
Se gli angeli esistono hanno i suoi occhi, e il suo sorriso, e i suoi capelli, e la sua voce, se gli angeli esistono, lui è senz'altro uno di quelli.
Devo alzare lo sguardo per incrociare il suo, e nonostante per i miei diciasette anni non sia bassa, la sua altezza non data di certo dai tre anni in più,mi costringe ad alzarmi sulle punte dei piedi per stampargli un bacio sulla guancia.
- Stamattina sono passato a casa tua per salutarti, ma non c'eri - mi dice prendendomi una mano, mi guardo in giro per vedere se qualcuno ha visto il suo gesto, lui ridacchia e mi tira per un braccio avvicinandomi ancora di più a lui, e cingendomi con un braccio i fianchi.
- Ero nel bosco – dico con un sospiro di rassegnazione, all'idea che sicuramente ci ha visto un sacco di gente, lui ne capisce il motivo e non riesce a trattenere una risata sincera che mi scoppia in faccia e fa ridere anche me. Così tra una risata e l'altra mi accompagna a casa.
Il suo nome è Sam, lo conosco da quattro anni, o meglio lo conosco da sempre, ma è stato quattro anni fa che siamo diventati amici, e col tempo qualcosa di più... quattro anni fa, quando lui era solo un ragazzino spaventato, così fortunato da aver vinto a sedici anni gli Hunger Games pur non essendo un favorito, con una madre troppo occupata a preoccuparsi di cinque fratellini più piccoli per badare a lui, lui che si ostinava a vivere nella sua vecchia casa e non voleva mettere piede nel villaggio dei vincitori, solo, con me come sua unica compagna, una ragazzina silenziosa e scontrosa che veniva pagata dalla madre per cucinargli e controllare che la sua casa non diventasse un porcile.
Era un buon lavoro, da quando aveva vinto gli Hunger Games, di soldi ne aveva quanti ne voleva, invece noi non ce la passavamo bene da quando mio padre aveva chiudo il negozio di famiglia. Era successo poco prima che conoscessi Sam, papà non ce la faceva proprio a passare le giornate in quel posto, un tempo illuminato dai sorrisi, dalle risate, dalla voce di sua moglie... mia madre.
Da quando lei era morta niente era più lo stesso, inutile fingere di essere forti, persino la carta da parati che decoravano lei e papà per venderla al negozio, gridava la sua assenza, assenza che era diventata troppo evidente nel nostro negozio, vuoto e silenzioso senza la sua voce e le sue mani che erano sempre pronte ad accogliere i clienti.
Tutti soffrivamo, ma mentre Anna scacciava il dolore facendo finta di niente e occupandosi della casa, io elaboravo il mio lutto rannicchiata a terra, con le ginocchia al petto, in una specie di doloroso torpore dal quale non riuscivo a svegliarmi, accanto a me c'era mio padre che stringeva due bottiglie di liquore come se fossero loro le sue figlie bisognose delle sue attenzioni.
Poi un giorno lo vidi alzarsi, bruciare tutte le sue bottiglie, ricordarsi di avere due figlie da crescere da solo, e tornare lo splendido padre di cui avevamo bisogno io ed Anna.
Io però non mi alzai, o meglio il mio corpo lo fece, ma il mio cuore rimase rannicchiato per terra,in quel torpore, attanagliato da un dolore troppo vivo e profondo per cercare di essere forti, per cercare di andare avanti; poi un giorno un paio di occhi inconfondibili mi salvarono e mi aiutarono a rialzarmi, a svegliarmi da quel torpore che mi aveva rubato già abbastanza della mia vita, quel giorno promisi a me stessa che sarei stata forte, quel giorno promisi a me stessa che non avrei pianto più.
Ma nonostante Anna che sorrideva, papà che lavorava fino a spezzarsi la schiena e le mie lacrime che non versavo, i soldi purtroppo non crescevano su una pianta nel nostro giardino, così io e mia sorella dovemmo rimboccarci le maniche molto presto. Per la sua innata simpatia e gentilezza fu Anna la prima a trovare lavoro, infatti all'inizio era compito suo andare da Sam, ma un giorno di quattro anni fa, lei era a letto con la febbre e così controvoglia dovetti andare io. Non gli rivolsi parola, fu lui che ruppe il silenzio chiedendomi perchè fossi venuta lì al posto di mia sorella; non risposi ma non sapeva che con quella semplice domanda mi aveva già conquistata, lui mi aveva riconosciuta, vivevamo da anni nello stesso distretto senza esserci mai parlati eppure, lui mi aveva riconosciuta, con una sola occhiata aveva capito di trovarsi di fronte una persona diversa da quella che vedeva tutti i giorni. Da quel giorno in poi, prendermi cura del ragazzino che aveva vinto gli Hunger Games diventò compito mio.
Lui non parlava con nessuno a quanto mi diceva sua madre, solo con me si dilungava in discorsi dal senso compiuto discutibile, e come risposta otteneva solo qualche mia occhiataccia stralunata; fingevo infatti fosse frustrante passare le mie giornate con Sam, in realtà la sera quando me ne andavo da casa sua, non vedevo l'ora di rivederlo il giorno dopo, credo che lui lo avesse capito, altrimenti non riuscirei a spiegarmi perchè ogni giorno continuava a parlarmi, perchè ogni giorno mi sembrava stessi diventanbdo la sua migliore amica, non riuscirei a spiegarmi perchè un giorno cancellò per sempre dalla mia mente la possibilità di essere sua amica posando le sue labbra sulle mie; e anche io avevo ammesso a me stessa i sentimenti che provavo per lui, altrimenti non riuscirei a spiegarmi perchè quel giorno invece di allontanarmi premetti più forte le mie labbra sulle sue.
Lui quel giorno mi salvò, mi aiutò ad alzarmi, mi svegliò da quel torpore che riempiva le mie giornate, io in cambio gli dedicavo ogni mio stralunato sorriso, sostituivo le urla a cui era abituato il mio cuore in sussurri che solo lui poteva udire, da quel giorno gli riservai per sempre un posto unico nei miei pensieri, perchè lui mi aveva fatto scoprire quella vita a cui io avevo rinunciato, quella mia vita che doveva essere ancora vissuta, quella vita che poteva essere ancora bella.

Lui da quel giorno mi prese per mano.

Io da quel giorno non lo lasciai più.

  
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