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Autore: Hotaru_Tomoe    18/07/2007    4 recensioni
Oleander Silvestre, creatrice di oggetti magici, riceve suo malgrado l’incarico di inseguire un ladro che si è appropriato di un oggetto potenzialmente pericoloso e le sue indagini la condurranno a Hogwarts. Il primo impatto non sarà dei più positivi, perchè si scontrerà con il professore più burbero e odiato della famosa scuola di magia e stregoneria. I due sono diversissimi: lei ha un temperamento di fuoco, lui un carattere di ghiaccio. Riusciranno ad andare d’accordo?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Severus ed Oleander'
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EPILOGO – SULLA COLLINA

Oleander si guardò per l'ennesima volta allo specchio, controllando che il foulard le coprisse per bene il collo: quella mattina, scoprendoci un succhiotto scarlatto, a momenti cacciò un urlo. Già era abbastanza nervosa per il fatto di dover tornare a Schloss Berth dopo vent'anni, le mancava giusto giusto di presentarsi con un morso d'amore in bella vista.

Severus le aveva chiesto scusa in maniera molto sbrigativa ed indolente, ma si capiva che non era affatto dispiaciuto, di fatti si era fatto sfuggire un sorrisetto soddisfatto per il segno del lavoro di quella notte che le aveva lasciato addosso.

Tirò un'ultima volta il bordo del foulard, fece un profondo respiro dicendosi "Coraggio" e attraversò l'immenso atrio di marmo, muovendo con un Mobilicorpus una cassa di legno. Il maniero era esattamente come se lo ricordava, luccicante d’oro e di stucchi colorati, carico di orpelli quali lampadari con gocce di cristallo di Boemia, quadri con cornici enormi ed elaborate, tavoli e tavolini, clessidre, statuette e pendole in ogni nicchia e rientranza lungo il muro, tappeti persiani, passatoie cinesi e decorazioni ridondanti. Ricordava che, da bambina, attraversando quell'atrio, si sentiva talmente soffocare che le passava l'appetito.

Una classe di ragazzi, eleganti nelle loro divise beige, uscì da un'aula al primo piano e si riversò sulle scale di marmo con un allegro chiacchiericcio: un paio di ragazze le lanciarono un'occhiata curiosa e poi bisbigliarono tra loro: "Dì, l'hai vista?"

"Sì, è uguale alla donna del ritratto che c'è nell'ufficio del vice-preside."

"Chi sarà?"

"Silenzio in corridoio!" esclamò una voce petulante in cima alle scale. Miss Roth, che a Schloss Berth aveva le stesse funzioni di Gazza ad Hogwarts ed era, se possibile, ancora più antipatica, sbucava fuori con puntualità a rimproverare aspramente i ragazzi non appena ne aveva l’occasione. Si sistemò gli stretti occhiali a goccia sul naso e, appena la vide, non potè trattenere un'esclamazione di sorpresa: "Fräulein Oleander?"

"In carne, ossa e magia."

Tutta agitata la donna sollevò la pesante gonna di lana cotta blu scuro per non inciampare sui gradini e le andò incontro "Ma... noi l'aspettavamo per domani! La cerimonia della riconsegna, il ricevimento…"

"Sa, è principalmente per questo che sono venuta oggi a fare una toccata e fuga."

"Oh!" il tono dell'anziana custode era un perfetto mix tra indignazione e disapprovazione, lo stesso con cui l'apostrofava sempre quand'era piccola, quando, a suo dire, aveva fatto qualcosa di male. D’altronde una bambina che non riusciva a superare la prova di ammissione alla scuola non poteva essere altro che una combinaguai patentata.

Ma erano passati tanti anni e ora la sua vita era molto cambiata: il ricordo non la feriva più di tanto.

Anzi, già che c'era, poteva togliersi qualche soddisfazione e dirle una cosa che aveva sempre avuto sulla punta della lingua "Miss Roth, lei sarebbe una perfetta signorina Rottenmeier." e mordendosi le guance per non ridere di fronte alla sua espressione totalmente persa (“Cos’è una signorina Rottenmeier?” si chiedevano angosciati gli occhi color castoro della governante), Oleander raggiunse l'ufficio di suo zio.

"Disturbo?" si affacciò sulla porta.

Il Barone non sembrava affatto sorpreso di vederla e sbuffò divertito "Miss Roth mi deve 10 galeoni."

"Per quale motivo?"

"Avevo scommesso che non saresti venuta il giorno della cerimonia per la riconsegna del vaso."

“Ah, è per questo che ha quell’aria incazzosa. Più del solito, intendo. – Oleander appoggiò di botto la cassa sulla scrivania di radica – Il vaso è di nuovo qui e per me la faccenda è chiusa; sia ben chiaro che non ho alcuna intenzione di partecipare ad una pomposa e noiosissima pagliacciata.”

Lo zio alzò le spalle come a dire “Certo, è lampante”, aprì la cassa e studiò a lungo il vaso, poi spostò gli occhi sulla nipote, che sostenne il suo sguardo con aria di sfida “Deluso? Pensi che sfigurerà accanto agli altri tesori della sala? Ti vergognerai a metterlo in mostra?”

“No, affatto, è stupendo.” L’uomo era sempre stato certo che la ragazza sarebbe riuscita a portare a termine l’incarico affidatole. Ad Oleander non lo disse, ma era stato proprio lui a proporre e sostenere il suo nome durante l’ultimo consiglio di famiglia, nonostante l’incredulità degli altri membri; questo perché, da quando era iniziata quella storia, nella sua mente si era riaffacciato spesso un episodio risalente a molti anni prima, quando, proprio in quell’ufficio, aveva inavvertitamente origliato una conversazione tra suo fratello Peter e la moglie Ortensia:

I due sono affacciati alla finestra, guardano una bambina che gioca con due gatti nel giardino.

Lui ha un portamento rigido, quasi militaresco ed un abbigliamento austero ed elegante che si addice alla sua carica di vice-preside, lei indossa da comodi vestiti babbani (una lunga t-shirt e dei jeans strappati a zampa d’elefante) e siede scompostamente sul bracciolo di una poltrona.

“Non c’è riuscita nemmeno quest’anno. Ormai ha dieci anni, Ortensia, dieci anni.” L’intonazione della voce di Peter rivela profonda preoccupazione.

Ortensia solleva un calice di passito, ammirandone il colore in controluce, poi lo porta al naso, ispirando a fondo l’aroma dolce del vino. I capelli di un viola acceso e brillante, quasi metallico, tagliati in un caschetto perfetto, spiovono leggermente in avanti. Infine ride: non di scherno, né di disprezzo, né di divertimento. E’ una risata molto strana e se Raginmund dovesse darle una definizione a tutti i costi, direbbe che è rassicurante: in un suono cristallino rimpicciolisce le preoccupazioni di suo fratello a cose di poca importanza “Tesoro, se continui a preoccuparti di queste inutili sciocchezze, ti verranno i capelli bianchi prima del tempo.”

“Sciocchezze?” Peter non è ancora convinto del tutto, ma la risata della moglie ha avuto effetto ed il suo viso si rilassa.

“Oleander non è una magonò, le do lezioni di magia, gli incantesimi li sa fare lo stesso e meglio di tanti altri bambini, anche senza quella stupida prova.” Non sono semplicemente le parole di una madre che difende la propria bambina a tutti i costi, è un’osservazione intelligente e veritiera e detta in quel modo così sincero e diretto, com’è tipico di sua cognata, fa davvero sembrare l’antica cerimonia delle bacchette una stupida pantomima. Ortensia e la sua solarità hanno quest’effetto.

Poi la donna si alza e raggiunge il marito vicino alla finestra: guarda anche lei la figlia e in quel momento Raginmund capisce che Ortensia non ha alcun dubbio sulle capacità magiche di Oleander, come se la donna fosse a conoscenza di qualcosa che le infonde tale sicurezza: vede il futuro della bambina e i suoi occhi sono privi di qualsiasi preoccupazione.

“Sì, ma se non la supera, non potrà frequentare questa scuola, è la regola!” suo fratello insiste, pur sapendo che la certezza di Ortensia non vacillerà per così poco.

Un sorriso malizioso si dipinge sul volto della donna “Ma lei è mia figlia, è normale che non segua le regole, è il suo stesso corpo che si ribella ad esse. Lei troverà da sola la sua strada, traccerà da sola il suo futuro, anche se non sarà qui. Quindi ti impongo di smetterla di preoccuparti e di farmi compagnia mentre bevo.” Gli punta scherzosamente l’indice contro, con gli occhi di chi sa che sarà l’altro a cedere. Di fatti Peter le bacia teneramente una mano “Ai tuoi ordini.”

Ortensia beve un sorso di vino ed il suo viso assume un’espressione molto soddisfatta “E poi, sappi che le uve tardive danno un vino delizioso.”

Quelle parole avevano guidato Raginmund nella sua scelta e non aveva dovuto pentirsene: Oleander ce l’aveva fatta. Gli sembrò di sentire la voce di Ortensia che gli sussurrava scherzosamente all’orecchio: “Perché tanta sorpresa, cognatino caro? Io non ho mai avuto dubbi su mia figlia. Se voi ne avete avuti, tanto peggio per voi, avreste dovuto ascoltare le mie parole e basta.”

Si ritrovò a pensare che, se Ortensia fosse vissuta, i rapporti tra quei due, padre e figlia, sarebbero stati diversi, molte cose in famiglia sarebbero state diverse, ma il fragile legame che li legava si spezzò con la sua morte.

“Grazie di tutto, Oleander.” L’anziano zio le regalò un sorriso affettuoso, un tentativo di chiederle scusa, perché anni prima loro, adulti, si erano comportati con lei, bambina, in modo stupido ed arrogante, isolandola solo perché non riusciva a passare una prova magica. Già, veniva da chiedersi chi fossero veramente i bambini in quella vicenda. “Penso che questo episodio sarebbe degno di essere ricordato in ‘Storia della magia Volume VI – Storia contemporanea’, ti va di essere citata?”

“Eh? Sei impazzito? Meglio che me ne vada in fretta, prima che ti vengano altre idee malsane.” protestò la donna.

Poi si appoggiò allo schienale di una sedia, guardandone i complicati decori, la fronte era corrugata, le labbra strette, gli occhi esitanti, come se stesse per chiedere qualcosa che le veniva molto difficile “Lui dov’è?”

“Sulla collina. – mormorò lo zio – Ci va quasi ogni giorno.”

Oleander allungò una mano verso un rigonfiamento nella sua tasca e lo strinse brevemente.

Dal lato nord del castello partiva un sentiero di terra battuta che si snodava lungo un ruscello dall’acqua limpida e fresca, nel quale d’estate guizzavano veloci trote e temoli e che in quella stagione era ricoperto di ghiaccio scintillante ed era ridotto a un rivolo. A un certo punto il sentiero abbandonava il ruscello e piegava verso est, salendo verso una dolce collina, dalla cima della quale si poteva godere una bellissima vista sulle alte e maestose montagne di granito, una visione che sua mamma amava più di ogni altra cosa, di fatti quando la stagione lo permetteva, loro due passavano molte ore sdraiate lì sul prato, commentando la forma delle nuvole o osservando le farfalle e le api che volavano instancabili. Oleander già all’epoca aveva sempre qualche strumento per le mani e si ingegnava in fantasiose creazioni.

A differenza di allora, un basso recinto di metallo chiuso da un cancelletto, circondava ora la cima della collina e al centro c’era una statua raffigurante Ortensia, seduta sulla lapide, le gambe raccolte sotto un’ampia gonna, col viso alzato a fissare per sempre le vette. Un uomo dai radi capelli grigi, dal portamento fiero, che l’età ancora non riusciva a far curvare in avanti, fissava il terreno a mani giunte. Al cigolio del cancello, si voltò e, riconosciuta la figlia, un’espressione stupita gli si dipinse sul volto. Oleander fece un breve cenno col capo e si fermò a qualche passo da lui. “E’ bella.” disse dopo un momento, indicando la statua.

"E' solo una pallida imitazione di lei."

"Si arrabbierebbe se ti sentisse parlare così. La mamma, voglio dire. Ti direbbe che non hai alcun rispetto per lo scultore che ha realizzato questa statua."

“Hai ragione. Non mi parlerebbe per una settimana.”

“Come minimo. E se avesse bisogno di dirti qualcosa, ti manderebbe un gufo.”

“Già. Anche se fossimo nella stessa stanza.”

Una struggente malinconia si impadronì di entrambi, padre e figlia da sempre distanti, allontanatisi l'uno dall'altra da reciproche incomprensioni, ma più vicini, ora, nel ricordo di Ortensia. Se in quel momento si fossero scrutati le menti reciprocamente, si sarebbero meravigliati di quanto simili fossero i loro pensieri: Ortensia non li avrebbe mai voluti vedere così lontani. Avrebbe sofferto... e si sarebbe arrabbiata. E poi... dio! Vent'anni! Erano passati vent'anni! Forse potevano anche smetterla di tenersi il broncio a vicenda.

"Oleander, io..." iniziò Peter Von Athala.

"Papà, ascolta..." la voce della figlia si sovrappose alla sua.

Si rivolsero un reciproco sorriso imbarazzato, poi l'uomo le fece cenno di proseguire. Oleander si mise una mano in tasca, toccò la carta, esitò, poi guardò suo padre negli occhi ed estrasse la busta di cartoncino telato color crema. L'uomo la prese e sussultò, leggendo il suo nome e riconoscendo la calligrafia ampia e rotonda di Ortensia; cercò gli occhi della figlia per una spiegazione. "Sì, è una lettera della mamma, ed è per te. Mi dispiace - disse Oleander con sincerità, mortificata - mi dispiace tanto, papà. Avrei voluto... avrei dovuto dartela prima. No, veramente non avrei mai dovuto nasconderla, ma io... è che…" Peter la vide imprecare silenziosamente, alla ricerca delle parole e scompigliarsi spasmodicamente i capelli corti, e allora scosse la testa, come a dire che non doveva aggiungere altro "Ti ringrazio per avermela riportata. Significa molto per me. Davvero." Strinse a sè la lettera, come una preziosa reliquia sacra.

Oleander annuì, più calma, e si voltò per andarsene: tra loro c'era stato tanto silenzio, tanta distanza e non potevano essere cancellati tutti in una volta sola. Però era un inizio. Mentre riapriva il cancelletto, suo padre la richiamò "Come si chiama quel tuo negozio? Sai, magari, se un giorno fossi da quelle parti, potremmo, che so, trovarci e bere qualcosa insieme, se ti va..."

"Sì, volentieri. Si chiama 'La Gemmapietra', ma a breve trasferirò l'attività a Londra, in Diagon Alley o ad Hogsmead, ancora non ho deciso. Ehm… ecco, attualmente vivo a Hogwarts - inconsciamente si toccò il foulard sul collo - e usare la metropolvere tutti i giorni per un tragitto così lungo è davvero scomodo. Magari potresti venire all'inaugurazione del nuovo negozio, posso mandarti un invito via gufo."

Peter avrebbe voluto chiedere alla figlia il perchè di quel cambiamento repentino e perché ora vivesse presso una antica Scuola di Magia, ma anche lui capiva che il loro era un rapporto che andava ricostruito lentamente, perciò disse semplicemente "Sì, mi farebbe piacere."

Per ora andava bene così: un ultimo cenno di saluto e Peter si sedette sulla lapide della moglie, a leggere la sua lettera, mentre Oleander tornava verso Schloss Berth: da lì avrebbe utilizzato una passaporta e avrebbe fatto ritorno ad Hogwarts, dove lei e Severus avrebbero sicuramente discusso, perchè lui era convinto che non andasse bene nè quel negozio sfitto in Diagon Alley (troppo vecchio), né quello a Hogsmead (troppo caro), lamentandosi dell’inettitudine delle donne a condurre le trattative d’affari e dicendole che, se proprio ci teneva a farsi truffare, le avrebbe presentato Mundungus; lei, risentita, gli avrebbe chiesto da quando, oltre che un esimio professore di pozioni, era diventato anche un consumato agente immobiliare e se c’erano altri campi nei quali era un luminare, così se lo sarebbe appuntato. Poi si sarebbero guardati negli occhi e avrebbero deciso di utilizzare le loro energie per fare qualcosa di più piacevole. Per fare l'amore, ad esempio.

Nemmeno si rese conto di aver accelerato il passo.

FINE

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Ringraziamenti e commenti:

Eccoci arrivati alla parola fine: non volevo lasciare in sospeso le cose tra Oleander e la sua famiglia e al tempo stesso non mi andava giù un happy end stile “baci ed abbracci”, così ho optato per una soluzione più sobria ed anche più in linea, credo, con il personaggio che ho creato.

Come si può intuire, la storia tra Severus ed Oleander prosegue, i loro battibecchi pure.

@MistralRapsody: grazie davvero di aver seguito tutta la storia e per le tue bellissime recensioni, che mi hanno fatto un enorme piacere. Un in bocca al lupo per la tua carriera accademica!

@Arabesque: un seguito, dici? Ti rivelo un segreto: sto scribacchiando un paio di cose. La prima è una raccolta di one-shot su Severus ed Oleander, la seconda una versione alternativa del settimo libro, che ho giù iniziato da un po’, ma che non sono sicura di pubblicare, perché ha ancora diversi punti oscuri che non riesco a sviluppare bene ed io, per una mia politica, non pubblico mai una storia, se prima non ho finito di scriverla, almeno a grandi linee.

Molto dipenderà dalla trama di DH e da come mamma Rowling tratterà il personaggio di Severus. Sarà, in ogni caso, una storia diversa da questa, più corale, incentrata sulla ricerca degli Horcrux, in cui Oleander avrà un ruolo più marginale, però c’è.

@Tweety chan: esatto! Stessa cosa che ho pensato io.

@La Castellana: sì, hai ragione: spesso nei libri dire ad Harry di non fare qualcosa, equivale invitarlo esplicitamente a farlo.

@Leonella: figurati, le critiche, se motivate, le accetto volentieri ed il tuo dubbio è più che legittimo: quando Severus arriva nella Foresta Proibita la barriera non c’è più, perché il liquido è giù stato rimesso nel vaso, quindi il suo effetto è finito.

Infine ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia, spero che vi sia piaciuta e che vi abbia strappato almeno un sorriso!


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Come promesso, ecco le risposte ai commenti all'ultimo capitolo: come sempre siete gentilissime, grazie!
@ MistralRapsody: sei bloccata? E' capitato anche a me per una ff; posso dirti che l'ispirazione ritorna quando meno te lo aspetti, non gettare mai la spugna, anche perchè stai scrivendo una storia bellissima.
@ Arabesque: Io mi son spoilerata un po' il settimo libro e... sì, penso proprio che scriverò ancora di Severus -_^
@ Tweety chan: grazie per le tue analisi molto lucide, mi sono state utilissime.
@ Jessica P: mmh, vedremo! Anche perchè, a mio giudizio, sono una autentica frana nel descrivere le scene NC-17 *blush*!
   
 
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