Autore: Toy & Jemei
Titolo: La Muse du Demon
Capitolo: -4 di 9-
Rating: Nc-14
Pairing: Principalmente SatoshixDaisuke, in minor parte
KradxSatoshi e DaisukexRisa
Disclaimers: I personaggi di D.N.Angel sono © Yuriko Sugisaki.
Il personaggio di Eve è © Jemey & Toy.
§°°Capitolo 5°°§
La porta della sua stanza
si aprì.
Lentamente. Cigolando. Come se stesse per entrare un mostro.
E, più o meno, era così.
Quell’uomo poteva definirsi solo in quel modo.
“Satoshi..” mormorò, con quella voce melliflua e dolce.
Fottuto Bastardo.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui.
“Hanno rubato il quadro. O meglio, l’hanno sostituito.”
Disse, ancora, suo padre. Se così poteva chiamarlo.
Non sembrava arrabbiato. Sembrava quasi se lo aspettasse.
“E il direttore è morto.” Aggiunse, tranquillo.
Tanto, a lui, cosa importava delle vite umane?
Gli importava della SUA vita. E forse, anche di quella di Satoshi.
Ma per altri motivi.
“Il quadro non c’è più. Al suo posto, c’è una tela bianca…” mormorò,
sorseggiando distrattamente la tazzina di caffè che aveva in mano.
“Cosa pensi di fare, comandante?” domandò, con un sorriso divertito e dolce sul
volto.
Dolce come il veleno.
"Non è possibile che lo abbiano rubato."
Non si accorse nemmeno di aver parlato.
Scattato in piedi all'ingresso del padre aveva preso in mano il proprio taccuino
sfogliandolo alla ricerca di chissà cosa.
Riflesso condizionato.
"Invece è così."
Si sbagliava.
Doveva per forza sbagliarsi!
Lui aveva visto con i suoi occhi quel quadro, anche dopo che Niwa gli si era
avvicinato, nessuno lo aveva toccato.
Soltanto Kaitou Dark avrebbe potuto rubare un quadro tanto protetto e lui non
l'aveva fatto.
Ne era sicuro. Non sapeva come. Ma era così. Lo sentiva.
"Com'è morto il direttore?"
Il padre fece spallucce continuando a sorseggiare il caffè amaro. Non gli
piaceva lo zucchero, non gli piacevano le cose dolci in particolare, le trovava
disgustose.
"I dottori non se lo sanno spiegare. Dicono solo che l'hanno trovato delirante
nel suo studio, parlava del quadro, diceva che non poteva vivere senza... che
era la sua vita."
Alzò gli occhi sul figlio.
"E poi è morto."
Sorrise.
Sorrideva parlando di morte.
Metteva i brividi.
"Mhm." commentò Satoshi, continuando a chiedersi perché suo padre aveva voluto
che aiutasse quell'uomo con la sua mostra per poi non sbattere ciglio alla
notizia della sua morte.
Che senso aveva?
Cosa gli nascondeva?
"Devi ritrovarlo. Sono stato chiaro?" la domanda dell'uomo somigliava più ad un
ordine e gentilmente mosse una carezza alla guancia liscia del figlio,
reclinando il capo di lato e guardandolo come se uno come lui potesse provare
affetto.
In realtà non vedeva altro che un oggetto.
Un mezzo per ottenere quello che voleva.
Lo sapeva lui e lo sapeva anche Satoshi.
"Sì otou-sama." rispose il ragazzo e il discorso si concluse lì.
Camminava per il parco, la
gonna bianca, corta e a pieghe, che sfiorava le lunghe gambe bianche ad ogni
passo.
Maglietta dello stesso colore con una scritta, “Angel”, in blu, e due ali
tatuate dietro.
Ballerine ai piedi sottili da bambolina.
Capelli castani, lunghi fino alle spalle, accuratamente spazzolati e profumati
di lavanda.
Occhi grandi, color nocciola, dall’espressione dolce ed innocente, appena
sottolineati da una linea di matita nera.
Carnagione candida di porcellana, movimenti innocenti eppure sensuali, vago
ondeggiare di fianchi.
Risa Harada attirava verso di sé gli sguardi di bambini, adolescenti e adulti.
Senza atteggiarsi. Senza parlare. Solo con un sorriso dolce sulle labbra rosate.
Ma lei sapeva di essere bella.
Sì, perché lei era la PIU’ bella. Nessuno poteva rifiutarla.
Solo quel moccioso… aveva osato farlo.
E se ne sarebbe pentito.
Una lieve smorfia rovinò per un istante il bel visetto della ragazza.
Nessuno poteva rifiutarla.
Lei era la migliore. La più bella.
“Ehi, bellezza… “
Si voltò, un sopracciglio appena inarcato, verso il ragazzo che aveva parlato.
Doveva avere diciotto anni, forse qualcuno di più.
Capelli rossi tenuti su con un sacco di gel, occhi neri, un piercing al labbro,
uno al sopracciglio ed uno al naso.
Sorrise appena tra sé.
Il tipo s’avvicinò, prendendola per un braccio.
“Che ne dici di venire a fare un giretto con me?” chiese, con un ghigno sulle
labbra.
Evidentemente, non s’aspettava molto da una ragazzina così carina ed innocente.
Sbagliato.
Perché Risa Harada sorrise, d’un sorriso malizioso.
“Va bene.” asserì, socchiudendo appena le nivee palpebre.
Il ragazzo sorrise, portandola tranquillamente in un vicolo.
Deserto. Perfetto.
Risa sorrise tra sé.
La cara, dolce, piccola ed innocente Risa...
Il ragazzo aveva i capelli rossi. Tinti, evidentemente.
Rossi come quelli di Daisuke.
Sorrise. Di nuovo.
Mentre quello la spingeva contro il muretto del vicolo.
“Sono stato fortunato… a trovare una bella bambina come te…” sussurrò il
ragazzo, sorridendo maliziosamente.
Si chinò su di lei, per baciarla su quelle labbra che sembravano fatte di
fragole e sangue.
Fragole e sangue intrisi di veleno.
Risa Harada sorrise, sussurrando tra sé una sola parola:
”Perfetto…”
E, proprio mentre il punk le sfiorava le labbra di sangue, lei le unì
possessivamente alle sue, senza perdere tempo, passandogli la mano dietro alla
nuca per tenerlo fermo.
Una ragazza così carina ed innocente che in realtà era una furia?
Fantastico!
Ma quanto si sbagliava, il rosso…
Il respiro iniziò a mancargli, e fece per scostarsi da Risa.
Niente da fare. La mano candida e sottile dell’altra lo teneva stretto a sé, gli
occhi chiusi.
E poi, pian piano, le forse iniziarono a mancargli. Dapprima solo un leggero
capogiro.
Poi, dovette accasciarsi sulle ginocchia, perché sentiva la propria forza vitale
scomparire.
Lentamente. Inesorabilmente.
Un processo impossibile da fermare.
Come quando un bel fiore inizia ad appassire.
Quel ragazzo dagli occhi neri e i capelli rossi, con tre piercing sul volto,
appassì lentamente, in un vicolo abbandonato e sporco, tra le braccia di una
creatura candida e per le labbra velenose di Risa Harada.
Le televisioni della città sembravano impazzite.
Notizie tutte uguali, lette da giornalisti con espressioni indifferenti e voci
apatiche.
Sguardi preoccupati lungo le strade, borbottii che si levavano come accuse
contro pericoli invisibili.
Quato parlava la gente quando era spaventata.
Perfino fin troppo.
I suoi passi scivolavano silenziosi sull'asfalto bigio. Come un'ombra camminava
per le strade, in silenzio, monitorando con lo sguardo sempre vigile ciò che vi
accadeva.
Al suo passaggio ragazzine ed adolescenti si voltavano per indicarlo, ma troppo
tardi. Non lo sentivano passare, era così silenzioso e veloce che avevano il
dubbio si trattasse soltanto di una loro visione. Splendida, tra le altre cose.
Sospiri persi nel vuoto uscivano dalle labbra quando gli occhi si incrociavano
con i suoi: blu. Di un blu perfetto, intenso e penetrante. Ed il suo sguardo
sembrava ghiaccio ardente, gemme di lapislazzuli ritagliati in un viso troppo
bello per appartenere ad un essere umano.
I capelli erano corti e lisci, avevano un particolare colore azzurrino ma
nessuno mai si soffermava troppo a riflettere sulla loro stranezza. Troppo
affascinati dal viso di un ragazzino che sta diventando adolescente, rimanevano
semplicemente a bocca aperta.
Tutti rimanevano incantati al passaggio di Satoshi Hiwatari. Rimanevano di
ghiaccio. Letteralmente.
"Nella giornata di oggi si sono registrate numerosi morti. La modalità non è
ancora chiara e la polizia non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione, quello
che sappiamo è che le vittime sono morte in circostanze misteriose e..."
Satoshi si era fermato per qualche istante davanti la vetrina dell'ennesimo
Euronics in cui televisori accesi riportavano la stessa notizia da ormai quattro
ore.
Sempre le stesse cose.
Notizie che parlavano di strani omicidi.
Era stufo delle stranezze, eppure quelle non facevano che inseguirlo.
Ricapitolò mentalmente il poco che avevano scoperto: ragazzi morti, privati
completamente di ogni energia e marciti come cadaveri sottoterra, uomini dagli
occhi sbarrati per il terrore e i corpi schelettrici, deperiti.
Certo, Saehara il capo della polizia, non gli aveva fornito moltro altro
materiale su cui lavorare, ma era sempre meglio che niente.
E poi... perchè mai doveva essere di sua competenza?
Il suo compito era catturare Dark, maledizione, nient'altro!
"Non ha importanza quale credi che sia il tuo compito Satoshi. Fa quello che ti
dico, discuterne è inutile." gli aveva detto suo padre poco prima di informarlo
che quelle morti erano in stretto collegamento con la scomparsa del quadro nel
museo Yurin.
Svoltò ritrovandosi in un vicolo.
Per terra la sagoma bianca ridipingeva ancora l'asfalto, ricalcando la postura
del primo cadavere che avevano trovato.
Un ragazzo dai capelli rossi e qualche piercing sulla faccia.
Non era più lì ora.
Forse era un bene, la vista dei cadaveri non era cosa per ragazzini della sua
età.
Sorrise. Cinico.
Una vita come la sua, in generale, non era adatta a ragazzini della sua età.
Scosse il capo voltandosi per passare oltre e andare nel parco lì vicino.
Un altro morto.
E un altro ancora nelle vicinanze di un centro commerciale.
Con movimenti meccanici la mano ricercò il taccuino nella tasca dei jeans. Lo
aprì sulle ultime pagine leggendone gli appunti che aveva scritto al volo.
Qualcosa non quadrava.
Qualcosa era sfuggito a tutti quanti.
Prese il cellulare componendo un numero della rubrica.
"Sono Hiwatari." la sua voce atona giunse all'orecchio del capo della polizia
come una nota stonata sul piano del povero Saehara.
"Ho bisogno che mi controlli una cosa, il colore dei capelli delle vittime."
Dall'altro lato della linea l'uomo fece una smorfia dando qualche ordine ad uno
dei suoi suborninati.
Dopo qualche secondo la risposta giunse e Satoshi riagganciò.
Era come pensava.
Ma perchè qualcuno avrebbe dovuto uccidere ragazzi dai capelli color cremisi...?
Aveva ripreso a camminare quando lo sguardo zaffirino incrociò una chioma
rossiccia proprio a pochi centimetri da sè.
Un'altra possibile vittima, si disse cinicamente.
Capelli rossi, impossibili da domare, pelle di pesca e grandi occhi rubino.
"Ma quello è Niwa..." mormorò Satoshi, aumentando il passo. Per raggiungerlo.
Senza nemmeno un motivo valido.
Ed infatti, quello che camminava in uno dei qualsiasi parchi del Giappone, era
Daisuke Niwa.
Jeans chiari, maglietta nera, e i capelli più scompigliati che mai.
E perché Daisuke era uscito da solo, senza motivo?
Per fare un giro. Per smettere per un po’ di pensare a Risa.
Anche se sembrava inutile.
Sospirando, si voltò verso il negozio pieno di televisioni che trasmettevano il
tg.
Vide qualcuno riflesso nella vetrina. Dietro di lui.
Quello era…
“Hiwatari-kun?”
Si voltò verso di lui, puntando i grandi occhi vermigli su quelli color zaffiro
del compagno di classe.
Ma tu guarda la sfiga.
Che aveva fatto di male per incontrare il suo compagno di classe più strano,
nonché suo cacciatore?!
“Che... che ci fai qui?” domandò, cercando di sorridere.
Di certo non avrebbe cercato di catturarlo... no?
Nonostante le proteste di Dark di uscire…
Col cavolo!
"Nulla di particolare." rispose Satoshi con aria vaga.
"Avevo voglia di fare una passeggiata."
Dunque anche Hiwatari nonostante tutto aveva desideri umani... bè, nnostante le
apparenze lui era umano...
"Tu invece, Niwa?" domandò di rimando il ragazzo, facendosi più vicino per
iniziare a camminare al suo fianco.
Nonostante tutto la presenza di Niwa lo calmava.
Pareva quasi dimenticare la rabbia che provava per suo padre o per la sua
condizione in generale.
Dimenticava persino Krad...
Difficile pensarlo, vero?
Già, perché dimenticarsi di Krad era molto, molto difficile.
Quella voce dannata e suadente era sempre nella sua mente.
Anche quando rideva, maliziosa, sensuale..
“Uguale. Volevo solo… fare un giro.” Rispose, infilando le mani nelle tasche e
distogliendo lo sguardo.
Non riusciva a sostenere mai per molto lo sguardo –gelido e schivo- di Satoshi
Hiwatari.
Quei due zaffiri lo mettevano a disagio.
L’altro annuì alle sue parole.
Non ci voleva un genio per capire che gli avrebbe risposto a quel modo.
"Allora ti spiace se..."
Se?
Che cosa stava per chiedergli?
La sua bocca si era mossa da sola a pronunciare quelle parole e soltanto
l'immagine del suo alter-ego lo aveva fermato.
Zittito.
Krad.
Gli sorrideva ora.
Gli sorrideva sempre.
Bello e maledetto.
Perchè continuava a sorridergli, dannazione?!
E poi al volto dell'angelo biondo si sovrappose quello ancora infantile del
compagno di classe.
Daisuke.
Anche lui sorrideva.
Ma il suo sorriso era diverso da quello di Krad.
Gentile. Dolce. Unico...
"Ti spiace se facciamo la strada insieme?" domandò infine Satoshi. La voce
distaccata e gli occhi che non lo guardavano nemmeno. Forse per imbarazzo.
Forse invece no.
“N-no! Va benissimo!” sorrise Daisuke, voltandosi per la prima volta verso di
lui.
Satoshi Hiwatari che chiedeva di passeggiare con lui?
Era un miracolo. E non aveva ancora parlato di Krad.
Gli sorrise, tranquillamente.
“Sei felice, Satoshi-sama?”
E la voce di Krad che rimbombava nella sua mente.
Dolce. Vellutata. Sensuale.
E quei due occhi ferini che parevano oro colato lo fissavano, perennemente.
Le labbra rosate ferme in quel sorriso, tanto bello quanto maledetto.
Se solo Daisuke avesse potuto sapere cosa tormentava Satoshi…
Non rispose Satoshi, si limitò a camminare al fianco di Daisuke.
Però sì, forse si poteva considerare felice o, perlomeno, soddisfatto.
Le braccia lasciate lungo i fianchi frusciavano contro la stoffa dei jeans e, di
volta in volta, sfioravano quelle di Daisuke.
Casualmente.
Si avvicinava a lui e, quando era troppo vicino, tanto vicino da toccarlo, si
allontanava.
Sempre casualmente.
E Daisuke, ad ogni sfioramento, tremava appena.
Timore, forse?
Imbarazzo?
O altro?
Non lo sapeva neanche lui.
"Ultimamente stanno accadendo fatti strani." disse, con un tono con cui avrebbe
potuto parlare di qualunque cosa, da quanto il cielo fosse azzurro a che
progetti aveva per il futuro.
“Ti riferisci a questi… omicidi?” domandò il rossino, verso di lui.
Omicidi... se si poteva dire così.
Non c’erano tracce di sangue o altro nei cadaveri. Mai.
Erano solamente… svuotati. Decrepiti.
Satoshi si voltò di scatto verso il compagno.
Improvvisamente.
Senza alcun preavviso.
E per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Zaffiro che affogava nel rubino
e rosso mesciato nel blu.
"Tu ne sai qualcosa?" domandò in una frase che non era nemmeno sicuro di aver
pronunciato.
Non l'aveva fatto.
Anche se le parole avevano preso forma nella mente.
Non erano mai giunte alle labbra rosa che invece pronunciarono tutt'altro.
"Sei in pericolo."
Lo aveva detto lui.
Lo aveva detto davvero.
E nemmeno ne conosceva il motivo.
Soltanto congetture -o timori, come avrebbe preferito definirli- ma non c'era
nient'altro che avesse potuto spingerlo a mettere in ansia Daisuke Niwa a quel
modo.
Il compagno infatti sbarrò gli occhi, arrestandosi, all’improvviso.
Gli occhi ancora più grandi del solito, spalancati, in un’espressione di timore.
Paura? Ancora no.
Ma sarebbe arrivata presto, lo sapeva.
“C-come fai a dirlo, Hiwatari-kun?” domandò, guardandolo.
Anche lui aveva notato che tutte le vittime avevano i capelli rossi.
Ma poteva essere solo una coincidenza, no? Sicuramente.
Ridacchiò nervosamente.
“Andiamo, chi ce la potrebbe avere con me...?” chiese, ancora, forse più a sé
stesso che al compagno di scuola.
Lui non aveva mai fatto niente di male a nessuno. Mai.
Non potevano capitare tutte a lui, no?
Sentì improvvisamente le lacrime pungergli gli occhi, mentre l’”avvertimento” di
Satoshi si infiltrava nella sua mente.
Non era mai stato coraggioso, Daisuke Niwa. E piangeva spesso.
Ma... non era in pericolo, no?
"Io." mormorò Satoshi.
Una sola parola.
Un solo tono.
Fermo e freddo.
"Io potrei avercela con te." ripetè per non lasciare nessun dubbio nella testa
dell’altro e fargli capire che aveva sentito bene. Benissimo.
"Ma questo è un altro discorso."
Perchè ora Dark non centrava nulla, perchè Krad non sarebbe uscito per
ricominciare con i suoi giochi di morte e perchè lui non poteva permettersi di
pensare ad altro per quel momento.
Doveva pensare al quadro e a quegli omicidi. Anche per quello non notò che il
rossino stava quasi per mettersi a piangere.
Per lui erano cose che rasentavano la normalità, era difficile credere che
esistessero persone come Niwa.
Così sensibili.
Tutto l'opposto della gente che circondava Satoshi.
"Credo che questi omicidi siano collegati direttamente con quello che è successo
a scuola. L'indicente dell'albero." continuò nelle sue fredde analisi.
Anche lui era diverso da Daisuke.
Lui non piangeva mai, o almeno non ricordava l'ultima volta che l'aveva fatto...
se mai l'aveva fatto.
Manteneva sempre il sangue freddo e la mente lucida.
Non si fidava di nessuno.
Nemmeno di sè stesso.
E viveva amato e corteggiato dalla solitudine.
"Io credo che dovremmo..."
Quando alzò gli occhi sul volto di Daisuke la sua frase morì in gola e lo
sguardo zaffirino si spalancò.
Stupore.
Lo fissò in silenzio guardando le grosse lacrime che scendevano copiose dal
visino del compagno.
Stava piangendo?
Ma... perchè...?
La mano candida strinse il fazzoletto che teneva nella tasca dei jeans,
porgendolo a Daisuke.
Il solito fazzoletto.
Ormai ci aveva quasi preso l'abitudine a vederlo piangere.
Quasi...
Daisuke abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore per evitare di
singhiozzare.
Basta.
Basta con tutte queste cose strane.
Perché non poteva vivere la sua vita normalmente?!
Prima Dark il ladro, poi Satoshi Hiwatari che gli dava la caccia, assieme a
quell’angelo biondo, poi Risa Harada che cercava di baciarlo, ed ora pure
questo!
Basta, basta, basta!
E poi… Satoshi che gli diceva che poteva avercela con lui. Tutto per colpa di
Dark.
Non vide nemmeno il fazzoletto del compagno, perché aveva chinato lo sguardo,
per la vergogna.
Perché doveva sempre piangere? Perché?
Perché non poteva essere più forte?
Serrò con forza le palpebre, cercando di fermare le lacrime.
Inutile.
Singhiozzò. Non riuscì a trattenersi, e singhiozzò forte.
Perché sempre a lui..?
Che aveva fatto di male, accidenti?!
"Mi spiace. Non volevo farti piangere."
La voce di Satoshi sembrò soffiare direttamente sulla sua pelle di pesco.
Quand'è che si era avvicinato così tanto?
La sua mano si era posata tra i morbidi capelli ribelli e lenta li carezzava.
Gentilmente. Come non avrebbe mai immaginto sapesse fare.
La voce era divenuta un sussurro, ma il tono era mutato.
Dolce.
Forse semplicemente umana.
No.
Proprio dolce.
"Vedrai che non ti accadrà nulla."
Avrebbe anche voluto abbracciarlo ma non sapeva da dove cominciare.
Non era persona da abbracci Satoshi Hiwatari e, consolare qualcuno, era già cosa
straordinaria per lui.
Ma quel qualcuno era Daisuke Niwa e allora poteva fare un'eccezione.
Lo guardò mentre cercava di asciugarsi gli occhi lucidi, divenuti ancor più
rossi del solito.
Voleva abbracciarlo.
"Andrà tutto bene." non ci credeva molto nemmeno lui, ma che cosa volete gli
importasse! Lui voleva abbracciare Daisuke, fine della storia!
Il rosso singhiozzò, ancora.
Non riusciva a fermarsi.
Si asciugava le lacrime, ma quelle continuavano a scendere.
Ma, per un attimo, parvero fermarsi.
Quando Satoshi gli posò la mano tra i capelli di sangue.
Satoshi Hiwatari... che cercava di consolarlo?
E allora pianse più forte.
Aveva bisogno di sfogarsi. Per tutto.
E… sì, andava bene anche lui.
O forse, era proprio perché c’era lì il suo compagno di classe, che si stava
sfogando.
Aveva bisogno di piangere.
Aveva bisogno di essere consolato.
Aveva bisogno di qualcuno che fosse davvero suo amico.
Aveva bisogno di qualcuno che lo abbracciasse.
Voleva smettere di piangere, e invece il tono stranamente dolce di Satoshi lo
faceva solo singhiozzare più forte.
Voleva ringraziarlo.
Ma non riusciva ad aprire bocca, se non per quei singhiozzi che si facevano
sempre più forti.
Qualcuno, per strada, si era fermato ad osservarli.
Forse pensavano fossero fratelli.
Ma no, era impossibile… erano troppo diversi.
L’uno dai capelli di sangue e gli occhi di rubino.
L’altro con fili di acquamarina per capelli e iridi di zaffiro
Forse la strada non era un buon posto per piangere.
Daisuke vide, con la coda dell’occhio, qualche signora che commentava a bassa
voce.
Un ragazzo che piangeva?
E Daisuke pianse ancora più forte.
Anche Satoshi notò le stesse signore che con aria afflitta li stavano fissando.
Curiose come oche, battibeccavano sottovoce ma riuscivano ad udirle ugualmente.
C'era qualcosa di male se Daisuke piangeva?
Non era affar loro.
Sciocche, non gli pareva ci fosse tutto questo gran interesse nel fissarli.
Si tirò indietrò togliendo la mano dai capelli sanguigni del compagno per
afferrargli un polso, più o meno gentilmente.
Lo trascinò con sè, iniziando a camminare tra la piccola folla che si era
formata intorno a loro, fino a giungere in un luogo più appartato.
Un posto tutto per loro.
Dove poter rimanere soli.
In pace.
Dove lui poteva rimanere con Niwa e basta.
Tornò voltato verso il rossino spiando la sua aria afflitta.
"Va meglio ora, Niwa?" gli domandò tentando un tono gentile. Doveva ammetterlo,
era alquanto difficile per lui. Non che non fosse un ragazzo gentile, ma
esprimerlo anche con la voce era tutt'altra cosa.
La sua mano posava ora sulla spalla del ragazzo e quella sinistra scivolò
silenziosa al suo mento.
Sollevandolo.
Ammirando il suo faccino arrossato.
Perdendosi nel suo sguardo di cristallo insanguinato.
Daisuke, che si era lasciato trascinare tranquillamente, simile ad un burattino
rotto, sollevò gli occhi color rubino verso Satoshi.
Incontrando gli zaffiri del compagno di classe.
“S-sì… “ sussurrò, socchiudendo appena, le labbra rosee bagnate dalle lacrime
che ancora scendevano dai suoi occhi.
Rimase in silenzio per un attimo, prima di parlare ancora.
“A…arigatou, Hiwatari.” Mormorò, il volto arrossato per le lacrime.
Non singhiozzava più. Ma le lacrime continuavano a scendere, rendendo, se
possibile, ancora più innocente quel volto da ragazzino.
Incredibile. Satoshi Hiwatari l’aveva consolato.
E lo stava ancora consolando.
Alzò la mano chiusa a pugno, sfregandosela sugli occhi, cercando di cacciare via
le lacrime.
Riuscendo solo a farli arrossare di più.
Chissà com’era ridotto.
E chissà cosa pensava, ora, di lui Satoshi!
Doveva considerarlo un moccioso. Un bambino stupido senza coraggio.
Ma poi, gli importava davvero?
…Sì, gli importava.
Non sapeva neanche perché.
Ma non voleva che Satoshi Hiwatari lo considerasse un bambino.
L'altro ragazzo fermò le sue mani allontanandole dal suo visino in lacrime.
La verità è che lo trovava adorabile anche quando piangeva. Ancora di più quando
piangeva.
Spostò le braccia del compagno, stendendole lungo i suoi fianchi e lentamente si
chinò verso di lui.
Sporgendosi in avanti.
Sentendo i ciuffi rossastri di Daisuke solleticargli il naso.
Gli occhi resi appena una fessura.
Sentendosi per un attimo circondato dal profumo della sua pelle. Profumava di
latte, come i bambini. E quasi sorrise a tale pensiero.
Poi le labbra si posarono sulla pelle di velluto del rossino e la lingua
raccolse una per una le piccole gocce di rugiada salata.
Leccò via le sue lacrime.
In un gesto innocente.
In un gesto malizioso.
Non sarebbe stato in grado di dirlo nemmeno lui.
Daisuke spalancò gli occhi, sbattendo le palpebre. Lasciando così che le ultime
gocce cristalline scivolassero, raccolte dalla lingua del compagno.
Che stava facendo?
Che... che gesto era, quello?!
Eppure si sorprese a pensare che non gli importava, e che nemmeno lo disgustava.
“Hi…hiwatari…”
Lo imbarazzava. Questo sì.
Ma non perché l’altro fosse sempre un ragazzo. Solo perché… be’, perché mai
nessuno lo aveva “consolato” così!
Ma non disse più niente.
Rimase fermo, i grandi rubini, i suoi occhi, fermi su di lui.
Non cercò nemmeno di scostarlo.
Mentre dentro di lui, lo sentiva, Dark cacciava un urlo, dicendo che non poteva
tradire Riku così.
Era uno strano modo di consolare, ma… lo stava consolando comunque.
Quando Satoshi si scostò da Daisuke i suoi occhi non lo abbandonarono.
Sguardo ipnotico.
Continuò a fissarlo.
La lingua che ora passava sulle labbra, umettandole.
"Niwa..."
Un altro sussurro.
Attese un po’ prima di continuare.
Avrebbe preferito rimanere così a lungo.
Ma Dark non lo avrebbe mai permesso.
"Daisuke, ma che diavolo stai combinando, eh?!?" sbraitava il ladro dalle ali
d'angelo tentando di far rinsavire il ragazzino.
Ma Daisuke era impazzito! Sì, sì, non c'era altra soluzione! Oppure quel Satoshi
Hiwatari gli aveva fatto qualcosa!
Dannato!
Non lo avrebbe perdonato!
"Daisuke, lascia che prenda il tuo posto, ci penso io a sistemare quel tipo!"
ringhiò Dark mentre Satoshi ancora temporeggiava.
Dannato ragazzino, gli stava troppo vicino!
"Daisuke! Ma si può sapere che ti piglia?!? Ti sei forse rimbambito?!?"
"Dobbiamo andare."
Era stato Satoshi a parlare.
"Eh?" fece il ladro, nella mente del suo alter-ego.
Ovviamente la frase di Satoshi era rivolta a Daisuke e lo sguardo si era fatto
nuovamente serio.
“…eh?” domandò, anche Daisuke.
Sbattendo le palpebre.
Quando s’era allontanato tanto?
E perché ora sentiva improvvisamente freddo?
Ignorando la voce di Dark dentro di sé, si pulì definitivamente il volto dalle
lacrime.
“Dove... dove dobbiamo andare? Ehi, Hiwatari, aspettami!” esclamò, dato che
l’altro lo aveva già sorpassato, e stava camminando in direzione… della scuola?
Lo raggiunse rapidamente, correndogli letteralmente dietro.
Per il resto, camminarono in silenzio, senza dire nulla.
Con Daisuke ancora rosso per prima.
Scosse il capo, evitando di pensarci.
Però… però Satoshi lo aveva... lo aveva..
Aaaah, basta!
Sospirò, sollevando poi lo sguardo sulla scuola. Inarcò un sopracciglio.
C’era un qualcosa di chiaro, sul tetto. Una... luce, quasi.
“Che cosa…?”
Che Hiwatari avesse avuto un presentimento? Era per quello che era corso verso
la scuola?
Lo vide sibilare qualcosa, e correre verso le scale, per raggiungere il tetto.
Lui fece lo stesso.
Corsero a perdifiato, spalancando poi la porta che lasciava accedere al tetto.
E Daisuke si bloccò.
Rimase fermo. Come congelato.
Come se qualcuno fatto di ghiaccio lo avesse abbracciato da dietro, impedendogli
ogni movimento.
Una ragazza.
C’era una ragazza sul tetto, e stava abbracciando un ragazzo.
Una ragazza con lunghi capelli castani che abbracciava un ragazzo dai capelli
rossi.
Castani come quelli di Risa Harada.
Rossi come quelli di Daisuke Niwa.
Spalancò gli occhi rubini.
Quella… era... Risa?
No, non era possibile, aveva gli occhi color zaffiro.
Ma l’aspetto era quello.
I capelli castani, i vestiti bianchi, la pelle candida, la figura slanciata e
sottile...
E lo sguardo. Lo sguardo nei suoi occhi.
Identico a quando aveva cercato di baciarlo.
Malizioso, sensuale, divertito…
Uno sguardo che incantava.
Occhi che non lasciavano scampo.
Occhi come quelli del Demonio.
E l’altro ragazzo sembrava in sua completa balia.
Risa lo stava baciando.
Eppure... perché lui si dimenava? Perché sembrava invecchiare sempre di più?
Perché…
… perché sembrava che la vita lo stesse lasciando?
Secondi che parvero secoli.
E Risa, la sua dolce Risa, si scostò dal ragazzino, lasciandolo cadere a terra.
Un cadavere. Un cadavere con i capelli rossi come il sangue.
Risa si voltò verso di loro, accorgendosi solo in quel momento della loro
presenza.
Sorrise.
Un sorriso dolce come il veleno stesso.
Soprattutto verso Daisuke.
“Oh, mi avete scoperto… che peccato…” sussurrò, portando un dito alle labbra
rosse come sangue.
“Era un vostro amico? Spero di no... sapete, era così carino...” aggiunse,
ridendo.
Musica. Ecco cos’era quella risata.
La Musica del Demonio.
Risa socchiuse ancora le labbra per ridere. E la sua voce incantò entrambi.
E tutto divenne nero.
†5° CAPITOLO FINE†