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Autore: Lady Vibeke    03/01/2013    9 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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28. CON LA SPADA E CON IL SANGUE

 

It’s something inside
Wounds are bleeding in my hands
Turning blind

– Fragile, Lacuna Coil –

 

 

 

Come sempre, Lucius si muoveva indisturbato per il palazzo, rapido e sicuro come si muoveva nella sua stessa casa. Salì rampe di scalini, attraversò corridoi, varcò porte, seguendo un tragitto che sembrava dettato dal puro istinto. Regan lo seguiva silenziosa, covando interrogativi e riflessioni che non si azzardava a esternare. Vedere Lucius preoccupato era una cosa rara, e dunque un ottimo motivo per preoccuparsi di conseguenza. Ormai era pronta a tutto: dopo aver saputo del destino subito dai suoi genitori, non poteva esserci niente di peggio.

Giunsero in un atrio immenso e luminoso dai soffitti altissimi; Lucius si fermò davanti a un gigantesco portone a due battenti sorvegliato da due guardie. Una delle due si fece avanti e lo pregò di attendere.

– Sarete immediatamente annunciati a Lady Leljen. –

Annunciati? – fece Lucius, basito, mentre la guardia, dopo aver bussato, oltrepassava la porta e se la richiudeva alle spalle. – Da quando in qua io devo essere annunciato? Che cosa diavolo sta succedendo? –

– Milady non è sola – si permise di giustificare l’altra guardia. Non era più giovane di Lucius, eppure esitava a guardarlo negli occhi, come se ne fosse intimidito. – Lei e il suo ospite hanno pregato di non essere disturbati. –

Era possibile vedere il disappunto di Lucius crescere attraverso l’indurirsi della sua espressione, nella vena che prese a pulsargli sulla tempia. Chiaramente non era abituato a essere trattato in quel modo.

Come un ospite indesiderato.

Quando la prima guardia tornò, lasciò la porta aperta e si fece da parte con un goffo inchino frettoloso.

– Potete entrare. –

– Grazie – rispose Lucius, brusco, ed era palese che con quel tono intendesse piuttosto dire “Naturale che posso entrare!”.

La stanza oltre la porta era pressoché identica all’atrio, alta e spaziosa, con un grande tavolo rotondo al centro, ingombro di carte e oggetti dall’aria curiosa. Soile era lì, in piedi, china con su qualcosa.

Non era vestita come al solito. Adesso, più che una regina, sembrava una versione più sobria ed elegante di Angina: pantaloni di cuoio nero aderivano alle gambe snelle fino a scomparire all’interno degli stivali stretti da fibbie di metallo. Una veste di semplice lana bianca spuntava appena dal corsetto le serrava il busto, impreziosito dagli stessi decori che riprendeva la robusta cintura che le cingeva i fianchi. Ad essa era assicurata una spada nera dall’elaborata elsa d’argento. Era lunga e sottile e, attraversata dalla luce, mandava affascinanti bagliori violacei sul tappeto che copriva del pavimento.

Vetro Eterno di Asante.

C’era un uomo con lei, anch’egli in vesti militari, e Regan notò subito che era molto avvenente: gli occhi allungati e la mascella scolpita gli conferivano un’aura altera, tenebrosa, su certe espressioni.

Soile sollevò la testa e si voltò. Aveva un’aria terribilmente stanca: i capelli tirati indietro e legati in una coda alta e impeccabile facevano risaltare ancora di più le iridi cristalline sull’incarnato di porcellana. In quello sguardo esausto Regan scorse una tensione che non le piacque, e che non piacque nemmeno a Lucius.

– Lui che diavolo ci fa qui? – sibilò a mezza voce, con la faccia di chi stava guardando la cosa più riprovevole del mondo.

Mentre si avvicinavano, Regan poté notare che lo sconosciuto portava al collo, assieme alla Stella, un anello di quelli che contraddistinguevano i Coordinatori.

L’attenzione di Soile si spostò per un istante su Regan, tornando immediatamente verso Lucius, il quale rispose con un cenno così impercettibile che era difficile dire se fosse stato reale o meno. Il Coordinatore Blackthorne, in effetti, non parve avvedersene. Era ancora impegnato a fissare Lucius dal basso verso l’alto, grondante di superiorità, come se avesse avuto davanti un insetto sgradevole ma preferisse non calpestarlo per non sporcarsi le scarpe.

– Lady Leljen – salutò Lucius, insolitamente cerimonioso. Poi il suo sguardo si spostò sull’uomo, velandosi di astio a stento trattenuto. – Coordinatore Blackthorne. –

L’uomo gli rivolse un sorriso colmo di arroganza, gli occhi ambrati freddi e distaccati. La sua presenza imponente pareva distendersi ed allargarsi fino a dominare tutto l’ambiente attorno a sé, prendendo possesso di spazi, oggetti e persone.

Soprattutto persone.

– Lucius – disse, mellifluo. – Siamo onorati della tua presenza. Se tu ti fossi fatto vivo qualche ora fa, ci saresti potuto essere di grande aiuto. –

Se quell’affermazione aveva sorpreso o imbarazzato Lucius, lui non lo diede a vedere.

– Ho avuto una faccenda piuttosto importante da sbrigare. – dichiarò, sfiorando Soile con un’occhiata eloquente.

Blackthorne, intanto, benché lei facesse del suo meglio per rimanere alle spalle di Lucius, si era messo a studiare Regan con un certo interesse.

– Tu devi essere la piccola Regan Edelberg, dico bene? –

Lei annuì, colta alla sprovvista.

– Ho frequentato la Domus Aurea assieme a tuo padre. Aveva del talento, nonostante tutto. Ma vedo che tu, almeno nell’aspetto, hai preso da tua madre. Mi dispiace per il destino che hanno incontrato. –

Gli occhi dell’uomo erano penetranti, ipnotici, e la sua voce avvolgente. Non c’era menzogna nella sua voce.

– Devo implorare milady di concedermi qualche minuto della sua attenzione – si intromise Lucius. – In privato – aggiunse dopo una brevissima pausa.

Soile soppesò rapidamente la questione. Sembrava che Lucius, semplicemente guardandola, potesse comunicarle qualunque cosa.

– Radislav – esordì lei dopo qualche attimo. – Vorresti scusarmi per un minuto? –

La richiesta fece contrarre lievemente la mandibola squadrata dell’uomo, il quale chinò però il capo con garbo e fece un passo indietro per lasciarla passare. Non era difficile vedere quel gesto per quello che era: viscido servilismo travestito da galanteria.

Soile fece cenno a Lucius e Regan si seguirla in una stanza attigua e chiuse la porta.

Era un piccolo studio, arredato solo con un divano e una scrivania, dietro alla quale era stato appeso un ritratto di proporzioni reali: un uomo e una donna posavano fieri assieme a una bambina dai bellissimi capelli biondi. C’era qualcosa di innaturale nel modo in cui la donna reggeva il grande mazzo di fiori tra le braccia eleganti.

– Non possiamo parlarne adesso – premise subito Lucius. Una nota di alterazione gli aveva fatto vibrare la voce. – Non con Radislav di là ad aspettare come un avvoltoio. –

– Sai perché è qui? –

– Ho un certo numero di ipotesi, una meno piacevole dell’altra. –

– Una pattuglia dei suoi ha notato dei movimenti e attività sospetti nei pressi delle Cinque Torri. C’è una possibilità che Desmond si sia stabilito lì, adesso. –

– Desmond è l’ultimo dei nostri problemi, credimi. –

Silenzio.

Lucius colse l’occasione per incalzare:

– Dobbiamo andare alla Domus a prendere Shin, e faresti bene a convocare anche Persefone, e probabilmente anche la Somma Geira. E ci serve un posto di massima discrezione in cui poter andare a parlare. –

Soile si fece preoccupata, ma non si scompose:

– Persefone non è in condizioni di lasciare il suo palazzo – replicò, asciutta. – Suo figlio è nato stanotte. –

Non ci furono reazioni da parte di Lucius. Era così serio che Regan arrivò a dubitare che fosse davvero lui.

– Non possiamo aspettare. – affermò, e i suoi occhi la fissavano così intensamente da far pensare che lei potesse avvertirne il tocco sul viso.

– Soile – Lucius si avvicinò di un passo. Le dita della sua mano di contrassero lentamente, come se si stesse trattenendo dall’andare oltre. – Fidati di me. –

Una richiesta o una preghiera. Qualunque cosa fosse, funzionò. In qualche modo, Soile appariva quasi vulnerabile, in presenza di Lucius. Regan ne prese coscienza con amara rassegnazione, senza stupirsene poi tanto. Stava cominciando a farci l’abitudine e la sensazione pungente allo stomaco non accennava a diminuire, ma ormai aveva capito che Soile era veramente inarrivabile, persino per Lucius.

Soprattutto per Lucius.

Poteva anche essere ingenua, ma non era una sciocca: lui guardava Soile come se al mondo non esistesse altro; Soile guardava lui come una falena guardava il fuoco, attratta da una trappola letale. E a volte Regan pensava che lui fosse pienamente consapevole dell’ascendente che aveva su di lei, e altre volte, invece, gli leggeva un’arrendevolezza disperata in volto che stonava con la tenacia ferrea del suo carattere.

Alla fine, Soile si lasciò persuadere:

– D’accordo. Va’ a chiamare Shin, io andrò da Persefone e vedrò cosa posso fare. Dammi solo il tempo di congedare Radislav senza essere troppo scortese. Ci vediamo al Tempio della Luna. –

Ritornarono all’altra stanza. Blackthorne era intento a studiare un cartina, o così voleva fingere, perché i suoi occhi erano completamente fissi e li alzò solo quando Lucius gli passò oltre.

C’era tutta una storia sepolta sotto quegli atteggiamenti, sotto l’ipocrisia dalla formalità dell’uno e dell’altro, ma ancora una volta Regan sapeva non era né il momento né il luogo per discuterne. E i sospesi tra lei e Lucius, giorno dopo giorno, aumentavano senza avere risposte.

– Allora arrivederci, milady – enunciò Lucius, congedandosi. – Vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso. Coordinatore Blackthorne, scusate ancora il disturbo. –

Soile ricambiò con un vago cenno, quasi altezzoso, che Blakthorne, alle sue spalle, accolse con un ghigno di compiacimento.

Lucius sembrava tutt’altro che lieto di lasciare i due di nuovo soli, ma uscì senza esitazioni. Portò via Regan in fretta. La sua andatura sembrava bruciare e lasciare una scia di irritazione nei bianchi corridoi silenziosi.

– Dove hai intenzione di trascinarmi, adesso? – volle sapere lei, mentre si allontanavano. Almeno quello pretendeva di saperlo.

– Andiamo a Medilana, alla Domus Aurea – fu la secca risposta.

– A fare cosa? –

– Non hai sentito? Dobbiamo andare a chiamare Shin. –

– Ma io credevo che non avesse alcun bisogno di frequentare l’Accademia... –

– Non la frequenta, infatti. –

 

 

L’odore era quello stantio dei luoghi antichi rimasti troppo a lungo sigillati in sé stessi, custodi di vibrazioni e pensieri che si erano nutriti solo dei loro stessi echi, senza crescere né mutare, solo divorandosi l’un altro e rigenerandosi sempre identici.

Le voci che quell’antro aveva udito erano cambiate nei secoli, ma le loro parole era come scritte nell’aria, e forse l’aria stessa, quella notte, si stupì di ciò a cui assistette.

– Confratelli e consorelle, non avrei voluto arrivare a questo. L’attuale stato delle cose si è spinto oltre il tollerabile e i rischi crescono ogni momento. Un tempo disponevamo di un’abile Liberatrice che avrebbe reso tutto molto più semplice, ma ad oggi ci vediamo costretti a ricorrere a misure drastiche per poter finalmente portare a termine il nostro compito e così ripristinare il giusto ordine delle cose, per il bene della Madre e di tutte le sue creature. –

L’ardore nelle parole stentoree del Priore possedeva i riflessi fiammeggianti di una follia trascinata dalla rabbia.

Arith ascoltava, sentendosi piccolo e insignificante nel suo seggio millenario, in mezzo a quattro compagni che avevano il doppio della sua età e il triplo della sua esperienza, e si chiedeva come ormai potessero riuscire a riprendersi la ragazzina senza esporsi. Dianthe aveva appreso da fonti sicure che Luciferus era riuscito a risalire alle origini della ragazza e a restituirla alla sua legittima famiglia. Il che non sarebbe stato un ostacolo, se solo la legittima famiglia in questione non fosse stata una delle più in vista del Mondo Occulto.

– Come tutti voi sapete, il nostro Ordine vanta di una segretezza lunga centinaia di anni, poiché il nostro operato non è atto a perseguire gloria e potere, ma auspica la ricerca di un bene superiore che noi soli siamo in grado di garantire. Trentatré anni fa uno di noi tradì il proprio voto in nome di una visionaria superstizione, e ciò per cui noi esistiamo non poté essere compiuto. Ora abbiamo finalmente la possibilità di rimediare e ripristinare così il giusto equilibrio delle cose. Mai, da che fu creato il Primo, la situazione è mai stata tanto ardua e delicata come lo è ora per noi, ma questo non ci fermerà. È nostro dovere eliminare ciò che deve essere eliminato, cancellare ogni traccia di noi e della nostra missione, e pagheremo con la vita, se necessario. Senza di noi, sarebbe il caos. –

E forse non c’era una smodata ricerca di gloria e potere, nelle azioni perpetrate nei secoli dai Veglianti, ma non si poteva non scorgere l’arroganza in frasi come quell’ultima pronunciata dal Priore Genesis.

– Pazienza e cautela saranno le nostre armi primarie. Ci affideremo alle informazioni che avremo la possibilità di raccogliere su quanti più fronti possibili – e con lo sguardo il Priore toccò Dianthe e Arith. – E ci muoveremo di conseguenza. Era dall’alba dei tempi che il nostro Ordine non aveva a che fare con un’Incarnazione di età così matura e dovremo pertanto adattare i nostri antichi piani all’attuale situazione. –

Arith si domandò cosa fosse peggio: se dover uccidere un infante ancora in fasce senza alcuna coscienza degli eventi oppure una persona adulta perfettamente in grado di capire che la sua ora era giunta, e senza un motivo comprensibile.

– Non ci saranno più mosse azzardate né intenti disperati, d’ora innanzi – riprese Genesis, e sembrava un ammonimento, più che una mera dichiarazione. – Portiamo a termine il nostro compito, e ci saranno nuove pagine da scrivere nella storia dell’Ordine dei Veglianti. –

 

 

Acqua. Fu la prima cosa che percepì, anche se aveva gli occhi ancora serrati. Forte, intensa presenza di acqua attorno a sé. Si sentiva anche nell’aria, che era pregna di quell’odore umido ma limpido tipico dei laghi, dei grandi fiumi che scorrevano lenti.

E c’era acqua, infatti, tutto attorno a lei, ovunque si volgesse. Acqua di un blu così profondo e pastoso da stemperarsi fino al nero allontanandosi dalle rive sassose.

Regan era ancora aggrappata con le unghie al petto di Lucius quando si accorse che erano apparsi nel bel mezzo di un bosco che si spalancava direttamente su un ponte di pietra lungo e sottile  che attraversava un lago di discrete proporzioni, al centro del quale, a pelo d’acqua, sorgeva quella appariva come una piccola arena. Ancora dietro, al capo opposto del lago, uno strapiombo di rocce saliva per decine e decine di braccia stagliandosi contro il cielo grigio, ed era proprio sul ciglio della parete che si ergeva un’altra costruzione. Era bizzarra a causa dei contrasti architettonici delle varie parti che la costituivano: una buona metà del palazzo era sviluppata in linee solide ma leggere, arcate a ogiva e colonne inserite in ogni dove a slanciare verso l’alto la mole possente. Il lato ovest, invece, era fatto di una pietra più grezza e di un colore più caldo, che si andava a incastrare nel resto dell’edificio lungo un perimetro fortemente irregolare.

Era come se fossero state prese le basi in rovina di un edificio molto antico e sopra di esse fosse stato edificato qualcosa di completamente nuovo, senza tenere minimamente conto dello stile originale.

Accanto a lei, Lucius rise.

– Via, non fare quella faccia. Non è esattamente un esemplare di armonia edilizia, ma ha il suo fascino, non trovi? Ogni elemento discordante rappresenta una fiera ricostruzione a testa alta. In tanti hanno provato a demolire definitivamente la Domus Aurea, ma nessuno c’è mai riuscito, e lo sai perché? –

– Perché? –

Si fermarono all’inizio del ponte. Diverse decine di piedi avanti a loro, una massiccia grata di ferro chiudeva il passaggio dove un ponte levatoio collegava l’altra estremità del ponte di pietra direttamente all’arena.

– Perché la Domus Aurea non è quell’ammasso di pietre che vedi. È tutta la gente che c’è dentro. –

– Anche le persone si possono abbattere. –

Sembrò un’obiezione sensata, almeno finché Lucius non sorrise con quel suo fare saccente e superiore che, immancabilmente, riusciva a esasperarla ogni volta.

– Per questo esistono maestri e discepoli. La Domus Aurea era, è e sempre sarà, perché è ormai quasi un millennio che il sapere che custodisce viene trasmesso di generazione in generazione dai suoi stessi allievi, che di volta in volta divengono maestri. L’immortalità non è un’utopia: chi trasmette sé stesso agli altri affinché essi lo trasmettano a loro volta non è solo immortale, ma rivivrà all’infinito in gesti e parole di persone sempre nuove. Il trucco sta nel rendersi indimenticabili, e molti, purtroppo, ricorrono a metodi estremi. –

– E tu non punti all’immortalità? –

Lucius parve divertito da quell’idea.

– Non mi importa granché di quel che sarà ricordato di me, una volta morto. – Scrollò le spalle, del tutto indifferente verso l’argomento. – Probabilmente vivrò più a lungo di altri nella memoria della gente, ma se devo essere sincero non ho mai compreso le febbrili manie di grandezza di certi soggetti. Il bello della vita sono le piccole cose, quelle che quasi tutti danno per scontate. –

Una bagliore di remoto desiderio gli faceva brillare gli occhi di una contraddittoria luce malinconica.

Mentre attraversavano il lago, Regan si guardava intorno avida, risalendo con lo sguardo la rupe scura che incombeva sulla selva sottostante come un silente guardiano di pietra. Chiunque si fosse affacciato a una delle decine di finestre dell’Accademia e avesse guardato giù, avrebbe avuto una perfetta visuale di tutto il lago e dei suoi immediati dintorni, un panorama che lei avrebbe adorato poter rimirare da quella prospettiva di favore.

– Là dentro si tengono gli allenamenti pratici degli allievi dei livelli superiori – le disse Lucius, accennando all’arena.

Una volta sotto alla grata, Regan notò che c’era una sfera di vetro opaco grande poco meno della testa di una persona sospesa all’interno del quadrato centrale del reticolo. Appena Lucius si avvicinò, la sfera emise una debole luce azzurrina. Un momento dopo, la grata di stava sollevando.

Anche se non sapeva esattamente cosa avesse determinato il loro diritto a entrare, Regan era ormai abbastanza ferrata da poterlo immaginare, e aveva il netto sospetto che c’entrasse la Stella che Lucius indossava. A onor del vero, le sembrava una misura di sicurezza già eccessiva: chi poteva mai essere interessato a penetrare in un luogo di allenamento per apprendisti?

– Questo ingresso in realtà sarebbe un’uscita di emergenza – le rivelò Lucius, mentre sbucavano sotto a un porticato. – Al capo opposto dell’arena c’è il passaggio che conduce dritto su all’Accademia. Centinaia e centinaia di gradini scavati a spirale nella roccia… un bell’esercizio da fare quasi quotidianamente, non trovi? –

Regan, che di resistenza allo sforzo fisico ne aveva ben poca, non poté che concordare.

Il porticato era ovale, seguiva all’interno lo stesso schema che la struttura aveva all’esterno, e da lì dei gradoni di pietra bianca conducevano verso l’area centrale dell’arena, uno spazio grande a sufficienza per poter contenere un intero quartiere medio di Kauneus. C’erano fuochi vivaci ad ardere in grossi bacili di ferro, sparsi tutto attorno al perimetro, e dovevano servire più che altro a riscaldare, dato che di luce ce n’era in abbondanza. Ed era proprio là in mezzo che un ragazza dalla lunga treccia scura stava fronteggiando nientemeno che Shin. Un uomo dall’aria austera li osservava da poco lontano, mentre più in là, seduti su tre file di gradoni, una dozzina di altri ragazzi – tutti demoni – stava a guardare con estremo interesse. C’era anche una donna ad assistere, in piedi accanto a uno dei bacili di ferro. Probabilmente, a giudicare dall’abbigliamento quasi militaresco, un’altra insegnante, e Regan doveva averla già vista, perché le era familiare.

– Ma cosa…? –

– Shin ha poteri unici al mondo – la precedette Lucius sottovoce. – Saltuariamente aiuta il Maestro Hyades ad addestrare le nuove leve. I risultati sono sorprendenti. –

Regan era senza parole.

– Non me l’hai mai detto… –

Non aveva mai nemmeno avuto modo di vedere Shin combattere. Le volte che c’era stato anche lui a difenderla, lei era stata così impegnata a farsi scudo di lui e Lucius che a stento aveva capito cosa stesse succedendo, e comunque per lo più si era trattato di duelli a colpi di spada, molto meno impegnativi di quello attualmente in corso. Lucius glielo aveva ripetuto più volte: sfruttare il potere interiore richiedeva un grande dispendio di energie e occorreva una padronanza pressoché perfetta di sé per non rimanere sfiniti dopo pochi minuti di combattimento. Regan, che nemmeno dimostrava di saper entrare in contatto con il proprio potere, si sarebbe dovuta esercitare per anni, prima di concludere qualcosa di soddisfacente.

– Shin non ama parlare di qualunque cosa lo renda diverso da chiunque altro. –

Insomma, non ama parlare di nulla che lo riguardi.

Solo ora Regan capiva veramente cosa avesse voluto dire Lucius quando lo aveva definito “un angelo un po’ speciale”. Gli allievi presenti erano tutti più maturi di lui, eppure i loro volti ritraevano un aperto contrasto tra ammirazione e spiccata gelosia.

Shin era agile, rapidissimo nei riflessi quanto nei movimenti, e la sua capacità di attaccare e difendersi, prevedendo ogni contrattacco, era straordinaria. Senza contare che con un minimo sforzo era in grado di bloccare anche l’offensiva più feroce.

La ragazza provò a scagliargli contro un turbine di fuoco, ma Shin portò le mani in avanti di scatto e si fece scudo con la propria energia. Le fiamme andarono così a estinguersi nel nulla e allo stesso tempo la ragazza fu scagliata all’indietro, rovinò a terra e scivolò dolorosamente lungo le lastre di inclemente granito. Solo quando si rialzò a fatica, mediamente ammaccata, Regan si accorse che era Lisandra.

Shin fu da lei in poche falcate. Si chinò per sincerarsi che stesse bene.

Regan non poteva sentire cosa si stessero dicendo, ma vedeva le loro espressioni. Un’altra persona, dopo una tale umiliazione, si sarebbe rialzata da sé e nemmeno avrebbe guardato in faccia il vincitore. Lisandra non lo fece. Accettò invece la mano che Shin le offriva con un sorriso un po’ colpevole e si lasciò aiutare a rimettersi in piedi. Anche se quella che era appena stata sconfitta era lei, i suoi compagni esibivano tutti lo stesso cipiglio alterato.

– Credono tutti che lui sia qui solo per metterli in ridicolo e farsi notare – commentò acremente Lucius, storcendo la bocca. – Suppongo sia più semplice prendersela con qualcuno, se ti convinci che è una pessima persona. –

Il suo sguardo severo gravava sul gruppo di ragazzi radunati sui gradoni, e su uno di loro in particolare: Anneli. Anche lei, come i suoi compagni, riservava a Shin occhiate che, se non proprio odio, trasmettevano una buona antipatia.

– Aspettami qui e non farti vedere. La tua presenza solleverebbe troppe domande a cui ora non ho il tempo di rispondere. –

Lucius la spinse dietro una delle colonne del porticato, in un angolo buio, e con uno sguardo significativo le raccomandò di non disobbedirgli.

Regan se ne rimase nel suo nascondiglio zitta e buona, cincischiando con le pieghe della gonna per resistere alla tentazione di sbirciare cosa stesse succedendo oltre il marmo di cui si faceva scudo. Fu guardando in alto, annoiata, che notò che c’erano delle parole scolpite sotto al capitello di ciascuna colonna, ed erano le stesse per tutti: Gladio et Sanguine.

– Buongiorno, Lady Edelberg. –

Regan riabbassò lo sguardo, richiamata non tanto dalle parole udite, ma dalla voce in sé. Shin era davanti a lei, un po’ scarmigliato, con la camicia sgualcita, arrotolata fino ai gomiti, e la fronte umida di sudore. Aveva una cintura di cuoio in mano, da cui pendeva una spada infoderata.

Era come una Myrka: pericolo travestito da insospettabile grazia.

Gli sorrise.

– Se non avessi riconosciuto la tua voce, non avrei mai capito che stavi parlando con me. –

– Ci dovrai pur fare l’abitudine. –

– Ti ho visto combattere – disse lei, per cambiare discorso. – Sei straordinario. –

Lui sorrise.

– In senso più letterale di quanto vorrei. –

Chi non lo conosceva avrebbe detto che lo fece con modestia. Regan, però, sapeva che era un sorriso rivolto con forzata rassegnazione verso un talento innato di cui, potendo scegliere, avrebbe volentieri fatto a meno.

Ma il punto era questo: non c’era alcuna possibilità di scelta. Che fossero accettate o rinnegate, certe cose accadevano e basta, e nessuno chiedeva il permesso. Quando la vita ti si riversava addosso, tutto ciò che c’era da fare era tendere le braccia e lottare per sostenerla, oppure, in alternativa, arrendersi e restarne schiacciati.

Regan, dopo infinite riflessioni, ancora non aveva capito quale dei due casi fosse il suo.

– Lucius ha detto di aspettarlo all’uscita. Ci raggiungerà subito. –

Vedere Shin in uno stato meno che perfetto era strano, come vedere un granello di polvere nell’immacolato ordine del laboratorio di Venena. Così era più difficile scambiarlo per una ragazza, se non altro.

 – Che cosa significa quella frase scolpita su tutte le colonne? – gli chiese Regan, mentre lui fissava la cintura attorno ai fianchi asciutti.

Lui si volse indietro, verso il porticato, come se non ricordasse bene e dovesse verificare.

Con la Spada e con il Sangue. La si trova ovunque, entro le mura della Domus. È il suo motto, il principio fondamentale su cui si fonda. –

Incrociò lo sguardo vacuo di Regan, allora rise e aggiunse:

– Chi aspira a portare una Stella deve essere pronto a colpire ed essere colpito, ferire ed essere ferito… –

Lasciò il sospeso l’ultima parte, troncando in un punto in cui non era complicato inserire la legittima conclusione.

Uccidere ed essere ucciso.

– Tu sai per quale motivo siete venuti fin qui a chiamarmi? – chiese Shin, abbassando la voce accigliato. – È successo qualcosa? –

– Ho provato a chiedergli qualcosa, ma non mi ha voluto rispondere. Sai come fa lui… – Regan fece una smorfia seccata. – “Non ora, cerbiattina.” – borbottò, imitando il tono evasivo di Lucius. – Ma dev’essere qualcosa di serio. Siamo stati anche al palazzo di Kauneus, prima. Lady Leljen ha detto che ci attenderà al Tempio della Luna. –

Era sicura che le pupille si fossero ridotte dallo stupore nella densa oscurità degli occhi di Shin. Uno stupore che lei vide chiaramente, benché fosse impossibile scorgerne alcun sintomo.

Lui, comunque, stava guardando lei, attentamente, e con lo sguardo sembrava chiederle se andasse tutto bene.

Non ci fu bisogno di chiedersi perché.

Sapevano tutti e due che era lei il centro comune attorno a cui ruotavano tutte le domande che ancora non avevano avuto una risposta, e Regan ricordava molto bene la conversazione che aveva origliato a casa di Malice. Qualunque cosa Lucius avesse tanta fretta di discutere in presenza di personaggi tanto eminenti, c’erano ottima probabilità che riguardasse lei.

 

 

Ci era voluto più del previsto a liberarsi dalle chiacchiere e dalla curiosità degli allievi e dalla petulanza delle ragazze, e ancora di più per sedare l’inarrestabile vena civettuola di Madame Vane, molto più ciarliera del solito, ma alla fine la classe si era congedata e diretta a risalire all’Accademia, in anticipo di pochi minuti per l’apertura del refettorio. Era già quasi mezzogiorno.

Lucius sospirò. Non gli dispiaceva essere guardato come un esempio dagli allievi della Domus, ma si sentiva sempre un impostore a sorridere davanti al loro rispetto e alla loro ammirazione, perché era convinzione comune che lui si fosse guadagnato fama e stima con l’impegno e un innato talento, e magari non era nemmeno del tutto una bugia, ma se tutta quella gente avesse saputo dove lui in realtà avesse imparato tutto ciò che sapeva – e come, soprattutto – il loro atteggiamento sarebbe stato ben diverso.

Aveva fretta di arrivare al Tempio e mettere Regan al sicuro, così da poter affrontare un discorso che avrebbe richiesto calma, attenzione e in particolar modo discrezione. Ma prima di ogni altra cosa avrebbe dovuto parlarne con Regan. Era di lei che si trattava, in fin dei conti.

Raggiunse Regan e Shin alla grata che conduceva all’esterno. Sarebbe stato infinitamente più comodo salire fino all’Accademia e sfruttare il suo Portale per raggiungere perlomeno Almaris, il villaggio più prossimo al Tempio, ma preferiva non farsi vedere da troppe persone, quindi se ne sarebbero andati cos com’erano arrivati: svanendo e riapparendo altrove. Sarebbe stato faticoso, ma ne valeva la pena.

– Scusa se sono piombato qui in questo modo – disse a Shin mentre uscivano sul ponte e la grata si riabbassava dietro di loro. – La faccenda ha una certa urgenza. –

– La sessione era quasi al termine, comunque. Ti hanno fatto domande scomode? –

– Solo adulazioni e frivolezze. Immagino che sia una delle massime aspirazioni di ciascuno di loro essere al mio posto. –

Shin e Regan si scambiarono un’occhiata, ma non dissero nulla. Il suo tono infastidito suggeriva che era meglio lasciar cadere il discorso.

Non erano solo le adulazione e le frivolezze a infastidirlo. Per la verità, quello era il lato della medaglia che lo lasciava del tutto indifferente.

Ciò che lo irritava – e offendeva – era che gran parte dell’ammirazione che gli allievi maschi della Domus Aurea nutrivano per lui era dovuta a pettegolezzi senza capo né coda secondo i quali ci fosse qualche tipo di coinvolgimento romantico tra lui e Soile, che da sempre lo aveva tenuto come suo protetto. Peccato solo che tale onore non fosse dovuto ad alcuno dei motivi che si vociferavano, ma al meno poetico fatto che lei lo aveva strappato alla pena di morte, dieci anni prima, e si era presa l’impegno di occuparsi personalmente della sua rieducazione. Lavorando per la Lega, Lucius, segretamente, pagava ogni giorno un po’ del suo debito verso la Giustizia, all’insaputa di tutti, ma avrebbe preferito che la gente sapesse la triste verità, piuttosto che vederlo come un arrampicatore sociale.

Non era per sé, tuttavia, che gli dispiaceva, ma per la reputazione di Soile.

Qualunque persona con un minimo di buonsenso e realismo, comunque, non avrebbe mai nemmeno sfiorato l’assurdo pensiero che una dama come lei potesse provare qualsiasi tipo di interesse verso di lui. Soile gli era affezionata, questo era innegabile, ma solo perché era stato una missione, per lei, riabilitarlo e trovargli un posto dignitoso all’interno della società. E c’era riuscita, andando anche oltre ogni aspettativa, perché le conoscenze che lui aveva del lato oscuro delle Sette Terre e che aveva messo a disposizione della Lega si era rivelato un lasciapassare per la stima e il rispetto di molte delle grandi personalità dell’ambiente, nonché al di fuori di esso.

– Sbrighiamoci, ora. Ci siamo già attardati fin troppo. –

 

 

Avevano oltrepassato la metà del ponte quando Regan avvertì qualcosa. Cosa, non seppe distinguerlo. Era come un fremito nella terra, qualcosa che dalle profondità del lago si stava propagando fino a lei, strisciandole sulla pelle in un formicolio pruriginoso.

Stava per succedere qualcosa.

– Che cos’è? – fece appena in tempo a chiedere, ma fu interrotta e sovrastata da un improvviso rombo ovattato.

Il cuore le balzò in gola.

Alle sue spalle si era sollevato una parete d’acqua spumosa alta quasi quanto le mura dell’arena che si stagliavano sullo sfondo. Sembrava di trovarsi di fronte a una cascata al contrario.

Fu un attimo.

L’acqua si abbatté sul ponte, una frusta ruggente che scosse la pietra e la fece vacillare fino a far perdere l’equilibrio alle gambe di Regan, paralizzate non dalla paura, ma da una soverchiante fascinazione.

Un paio di mani la afferrarono con una violenza stranamente piena di gentilezza e si sentì trascinare via mentre l’impeto dell’acqua si precipitava impetuoso verso di lei in un turbine di vortici e candide schiume.

L’aria fredda nei capelli, l’assenza di terra sotto i piedi, i suoni lontani e inibiti da un inspiegabile senso di alienazione… era come volare.

– Presto! – tuonò la voce di Lucius. Pochi passi avanti, correva verso la terraferma, senza smettere di guardarsi indietro, e solo allora Regan realizzò che era stato Shin a raccattarla come un fantoccio di stracci e salvarla da un’imminente morte certa.

Aveva guardato l’acqua correrle incontro, furiosa e minacciosa, inarrestabile, e ne era rimasta incantata.

Non aveva pensato per un solo istante al pericolo. Non sapeva nuotare, ma non era parso importante dinnanzi a quel prodigio meraviglioso e terribile. Era sembrato ragionevole, in quel momento di follia, rischiare la vita per poter rimanere ad ammirare così da vicino un tale incanto.

Shin la teneva stretta al proprio fianco, un braccio a cingerle saldamente la vita. Era così alto che c’era una spanna di vuoto a separare le punte dei piedi di Regan dal suolo.

Corsero a perdifiato fino al punto in cui il ponte si fondeva nella riva terrosa. Dietro di loro, la valanga acquatica giunse ormai in sordina a lambire gli orli dei loro mantelli, una debole onda di risacca che si ritirò silenziosamente nel lago, consumandosi in un coro di increspature morenti. In fondo, dove si congiungeva all’arena, una parte del ponte era crollata.

Regan, le cui unghie erano ancora artigliate nella ruvida stoffa della camicia di Shin, batteva le palpebre sconvolta: improvvisamente com’era cominciato, tutto era finto.

– Che cosa diavolo era quello? – ansimò Lucius. La sua mano sinistra indugiava accanto all’elsa della spada, pronta a scattare.

Shin lasciò andare Regan e lo imitò.

– Qualunque cosa fosse, ha avuto un tempismo a dir poco stupefacente. –

L’acqua era tornata immobile, uno specchio sul cielo grigio. La foresta taceva.

Si udì una risata. Rauca, sommessa, impossibile dire da dove provenisse.

E poi se ne aggiunse un’altra, e un’altra, e un’altra ancora. Una femminile, stavolta.

Regan sentì le dita di Shin afferrarla per il polso al di sopra la manica.

Dalla boscaglia emersero quattro figure nere, i volti celate da maschere prive d’espressione. Si avvicinarono a passo sicuro, e di riflesso Lucius arretrò di qualche passo, e Regan e Shin con lui.

Quando i quattro furono abbastanza vicini, Regan riconobbe uno di loro: impossibile non ricordare quell’unico occhio cupo che la fissava al di là della maschera.

– Ma bene, chi si rivede – disse il più alto degli uomini, presumibilmente il capo, arrestandosi appena prima di mettere piede sul ponte. – Che felice combinazione trovarvi qui… –

L’ironia rendeva la sua voce ancora più raggelante di quanto già non facesse l’effetto metallico dato dalla maschera.

Shin tenne Regan dietro di sé, e con l’altra mano si preparò a sguainare la spada. Lui e Lucius erano concentrati, ma sui loro volti era facile leggere la stessa domanda che anche Regan si stava ponendo: come avevano fatto a trovarli?

Dal palazzo di Kauneus erano giunti direttamente alla Domus Aurea, e nessuno a parte Soile sapeva che erano diretti lì.

Forse era stato qualcuno che li aveva visti arrivare. Ma chi avrebbe potuto vederli, nel bel mezzo della foresta? C’era solo l’Accademia, nel raggio di miglia.

– Siamo un po’ stanchi di giocare con voi – proseguì l’uomo, avanzando lentamente, gli altri tre a seguirlo mentre estraevano le spade. – Oserei dire che è davvero un insperato colpo di fortuna incontrarvi proprio qui, in un luogo che bandisce la magia. –

Un ghigno sgradevole gli deformò le labbra, gli occhi intrisi dell’arroganza di chi sapeva di avere il coltello dalla parte del manico.

Lucius imprecò a denti stretti.

 

 

Erano due contro quattro, e c’era Regan a cui badare.

Non ce l’avrebbero mai fatta.

– Spero di sopravvivere, giusto per non privare tuo zio Tristan del piacere di uccidermi personalmente per averti trascinata in tutto questo. – sussurrò Lucius, rivolto a Regan, la quale non accennava a muovere un muscolo.

Il lago, così come l’area perimetrale dell’Accademia, era stato dotato di sigilli che inibivano qualsiasi tipo di potere. Era una misura di sicurezza che era stata presa dopo la prima distruzione dell’edificio, e da allora aveva svolto la sua funzione in modo eccellente. Al momento, però, più che un aiuto, rappresentava una grossa complicazione.

Shin non era bravo con la spada, una lacuna che era sempre stata egregiamente supplita da poteri di gran lunga superiori alla media, ma che adesso non gli sarebbero stati di alcuna utilità.

– Ve lo proporrò per l’ultima volta: consegnateci la ragazza e tornatevene alla vostra vita di sempre – disse l’uomo in testa al gruppo, mentre i compagni lo superavano, le spade sollevate e pronte a colpire.

La mano di Lucius si chiuse attorno all’elsa appoggiata al suo fianco.

– Sono davvero dolente, signori. Vedete, ho sviluppato una certa simpatia per la mocciosa, e benché lei non sia propriamente quel che si definirebbe un soggetto di facile gestione, mi vedo costretto a declinare la vostra gentile proposta. –

Anche attraverso la maschera, non fu difficile vedere la calma dell’uomo che rapidamente mutava in collera.

– In tal caso, peggio per voi. –

Funzionò come un imperativo di attaccare.

Con uno scatto rapidissimo, i tre già armati si scagliarono su Lucius come se il loro unico obiettivo fosse stato eliminare lui. Allo stesso tempo, anche il loro capo si armò; tra lui e Regan restava soltanto Shin.

Sentiva la paura di Regan, ed era una paura che riguardava solo ed esclusivamente il rischio che stavano correndo lui e Lucius a causa sua. Di paura per sé stessa quasi non sembrava in grado di provarne.

Shin si sentiva le mani gelate. Con la sinistra tenne Regan dietro di sé e con la destra trovò con fatica l’elsa della propria spada. Sfilandola lentamente, si domandò come mai gli sembrasse improvvisamente così pesante.

Sentiva in sottofondo il clangore assordante delle lame che si scontravano, ma non osava spostare gli occhi dall’avversario che aveva di fronte.

– Bene, bene, bene… siamo rimasti noi. –

Shin serrò le dita, e a un certo punto non fu più in grado di distinguere l’elsa di metallo dal polso di Regan. Le stava sicuramente facendo male, ma non la sentì lamentarsi.

– Mi è stato riferito che non sei un grande spadaccino, ragazzo. Un vero peccato. Di solito mi piace misurarmi con contendenti degni di me, ma per stavolta farò un eccezione. –

Shin si ritrovò a parare un violento affondo senza quasi accorgersene. Se in tecnica lasciava a desiderare, almeno nei riflessi non aveva di che lamentarsi.

L’uomo non indugiò un solo istante e partì in un nuovo affondo, che Shin riuscì a schivare per miracolo. Saltò indietro e colpì di fendente, ma l’altro lo evitò senza fatica.

Era difficile muoversi con qualcuno appresso.

Non aveva scelta.

– Stai indietro – ordinò a Regan, dopo averla lasciata, pur con riluttanza.

Non perse tempo ad assicurarsi che lei gli avesse obbedito. Libero da impicci, balzò di lato e bloccò l’avversario appena prima che riuscisse a passargli oltre. Al di là delle spade incrociate all’altezza del viso, i loro occhi si incrociarono per un momento.

– Il tuo amico se la sta cavando molto meglio di te, pare. Tenere testa da solo a tre nemici gli fa onore. –

Stava solo cercando di distrarlo, e Shin non avrebbe abboccato, tanto più che era perfettamente consapevole che, diversamente da lui, Lucius fosse uno spadaccino esemplare.

– Questo non è che uno dei tanti motivi che fanno di lui un uomo degno di onore – rispose, e con tutta la forza che aveva in corpo – e fu appena sufficiente – respinse l’avversario, costringendolo a indietreggiare di un paio di passi, poi, ansante, si preparò a ricominciare.

Non avrebbe resistito a lungo, di questo passo. Era inferiore per stazza e abilità e finché Lucius fosse stato trattenuto, avrebbe dovuto cavarsela da solo.

Quei quattro avevano anche avuto la fortuna di scegliere di attaccare in un momento propizio: era mezzogiorno, e tutta l’Accademia doveva già essere riunita nel refettorio per il pranzo. Nessuno avrebbe notato quello che stava succedendo, nemmeno per sbaglio.

– Shin… – pigolò Regan, tentennante.

– Resta dove sei – le impose lui, distendendo un braccio all’indietro.

Il tizio mascherato emise una risata cavernosa.

– Molto nobile da parte tua, giovane angelo, ma la ragazzina oggi verrà con me, che ti piaccia o no, e se tu ci tieni tanto a farti ammazzare per lei, allora sarai accontentato. –

Si mosse velocemente, tanto che Shin faticò a prevedere da quale parte avrebbe colpito. Andò a istinto e riuscì a bloccare la punta della lama appena prima che questa gli sferzasse la gamba. Ma si trattava di un’abile finta e una frazione di secondo dopo la spada del nemico era libera e stava sfrecciando verso di lui.

Non avvertì subito il dolore. Dapprima ci fu solo una bizzarra sensazione di freddo, poi di caldo improvviso, poi l’uomo ritrasse la spada, e solo allora il dolore arrivò. Terribile ed accecante, si diffuse per le membra di Shin senza lasciare modo al cervello di capire cosa fosse successo.

Guardò giù, la vista annebbiata: sul fianco sinistro una macchia di un rosso brillante si stava allargando con sorprendente rapidità sul bianco della camicia, e colava giù, imperterrita, gocciolando fino a terra.

Cadde in avanti carponi, il respiro mozzato dalle fitte lancinanti che si diradavano dalla ferita ad ogni battito del cuore impazzito.

– SHIN! –

Lo strillo acuto di Regan si mescolò con l’urlo possente di Lucius, ed entrambi parvero provenire da un altro mondo.

– No! –

Nel cielo, tutt’un tratto, si levò uno stridio acutissimo. In alto, stagliata contro la luce giallastra del cielo nuvoloso, una sagoma indefinita stava precipitando a capofitto verso la terra, rapida come una freccia. Due vaste ali si spalancarono appena prima che la sagoma sfiorasse la testa di Regan.

Era Libra.

Il rapace si abbatté contro l’aggressore con la furia incontrollata di una tempesta.

Regan apparve accanto a Shin, inginocchiata in una pozza di sangue che lui si stupì a riconoscere come proprio.

Possibile che in pochi secondi ne avesse già perso così tanto?

Tossì. L’aria iniziava a mancare.

Con la Spada e con il Sangue.

Uccidere ed essere ucciso.

Era stata una sua scelta.

 

 

Regan capì di stare piangendo solo quando vide le lacrime cadere sulle proprie mani, che  sostenevano Shin senza sapere cosa fare. La camicia, la carne e il sangue erano tutt’uno a causa della consistente emorragia che sgorgava dal profondo squarcio che la spada affilata aveva aperto nel fianco di Shin.

La lotta tra Libra e l’uomo mascherato continuava. Regan era sicura che l’animale sarebbe morto per difendere il suo protetto. Il nemico cercò più volte di colpirla, ma lei era agile e aveva il vantaggio di potersi muovere nell’aria e sottrarsi facilmente ai suoi tentativi di offensiva. Il braccio dell’uomo era pieno di graffi, la stoffa strappata che pendeva a brandelli. Ma poi, con una mossa cieca, il piatto della spada riuscì a colpirla. Stordita, Libra cadde a terra con un tonfo sordo, agitandosi debolmente.

– Forse ora potremo ragionare. –

L’uomo si avvicinò a Regan compiaciuto. Torreggiava su di lei, in mano la spada ancora macchiata di rosso. Non c’era l’ombra di sentimenti nei suoi occhi metallici.

Aveva fatto del male a Shin. Solo per arrivare a lei, aveva ferito la persona più buona e pura che lei avesse mai incontrato. Per colpa sua Shin stava soffrendo, e la sua vita era in pericolo.

 L’odio montò e crebbe a dismisura nel cuore di Regan.

Strinse i denti, la gola gonfia di rabbia e le lacrime che le bagnavano il viso, inarrestabili. Lo sguardo con cui trafisse lo sconosciuto era veleno puro, e come tale lo usò, augurandosi, dentro di sé, che potesse contaminare, intossicare e uccidere quell’essere che le faceva venire la pelle d’oca dal disgusto.

Non si aspettava certo che avrebbe sortito l’effetto sperato.

Vide con una strana, innaturale lentezza l’espressione spavalda dell’uomo affievolirsi e mutare in sconcerto.

– REGAN! –

Il grido distante di Lucius si perse in un’eco nella vallata.

Nel medesimo istante, il rumore assordante di una spada che crollava sulla pietra ferì da vicino l’udito di Regan. Di fronte a lei, il nemico aveva gli occhi sgranati, iniettati di sangue, e le mani strette attorno alla gola, mentre un rantolo soffocato gli vibrava tra le labbra.

Regan non aveva idea di cosa stesse accedendo. Pietrificata, in ginocchio accanto a Shin, rimase a guardare mentre l’uomo barcollava all’indietro, fissandola come se avesse avuto davanti il più terrificante dei mostri. Poi cadde, e non si mosse più.

Shin tremava come una foglia. Le sue labbra erano bianche quasi quanto la sua carnagione.

Fa’ qualcosa!, strepitò un brandello di buonsenso sgualcito dall’ansia.

Regan si guardò le mani insanguinate, il respiro frammentato. Il sangue fluiva inarrestabile, troppo copioso, troppo in fretta.

Premi sulla ferita, arresta il flusso!

Non era il taglio aperto a spaventarla. Non provava repulsione né per quello, né per l’intenso odore ferroso che le riempiva i polmoni.

Avrebbe dovuto toccare la pelle nuda di Shin.

Avrebbe dovuto sentire di nuovo quell’ondata di dolore puro che le spezzava il fiato in gola e le toglieva la vista.

Devi fare qualcosa, sciocca!

Libra si era ripresa. Volò, un po’ sghemba, fino a Regan e si appollaiò sul parapetto del ponte con un verso agitato.

Egan era terrorizzata.

Non era abituata a cavarsela da sola.

C’era stato Derian, una volta, quando la sua vita era chiusa entri quattro pareti sterili, e lui le aveva insegnato il mondo, le aveva detto di farsi coraggio, che un giorno sarebbe finita. E poi era venuto Lucius, e lei si era completamente abbandonata alla sua guida. Lei si era messa nei guai, e lui e Shin la avevano salvata, si era persa, e l’avevano ritrovata.

Lei, da sola, non sapeva fare niente.

Shin aveva gli occhi chiusi, pallido come uno spettro, e la sua forza vitale stava sensibilmente diminuendo. Gli tenne un braccio attorno alle spalle per sorreggerlo e avvicinò l’altra alle sue labbra. Respirava ancora, ma molto debolmente.

Non poteva lasciarlo morire così, senza nemmeno tentare…

Presto!

Decise che sarebbe stato più semplice se non ci avesse pensato affatto.

Avvicinò la mano libera alla lesione e premette con tutta la forza di cui disponeva.

Sentì il calore e la viscosità del sangue solo per un infinitesimale frammento di attimo. Subito dopo non ci fu più altra percezione al di fuori dell’acuto dolore che si impossessò di ogni singola fibra del suo corpo.

Urlò, dilaniata da mille fiamme invisibili, mille aghi e mille lame. Il braccio le fremeva per lo sforzo di contrastare il male dilaniante.

Cercava disperatamente di tenere i palmi premuti sulla ferita, ignorando la tortura che da ciò scaturiva, ma la spaventava anche sentire le costole flettersi sotto la sua pressione. Shin non era robusto come Lucius, il suo corpo non aveva la stessa solidità muscolosa, e lei temeva di peggiorare la situazione.

Mi dispiace, singhiozzò tra sé, sentendosi stupida e patetica per la propria inettitudine.

Avrebbe voluto potersi sdoppiare, rimanere a occuparsi di Shin e intanto aiutare anche Lucius, in qualche modo. Ma era del tutto impotente e il dolore che scorreva invincibile dentro di lei le impediva di ragionare con lucidità.

Strinse i denti, chiuse gli occhi.

Libra si agitava, strepitava, batteva forsennatamente le ali, e guardava Regan come pregandola di non lasciar morire Shin.

– Non posso fare niente, capisci? Non so come fare… –

Libra emise un fischio assordante, lungo e rabbioso, grattando con gli artigli sulla dura pietra.

– Aiuta Lucius! Vai ad aiutare lui, è l’unico che può fare qualcosa per Shin! –

Regan era stremata. Il dolore la stava facendo impazzire.

La vista si stava annebbiando e la testa le vorticava, troppo leggera, o forse troppo pesante.

Gli occhi le si stavano chiudendo quando vide uno degli uomini mascherati abbandonare l’invettiva contro Lucius e trascinarsi verso di lei. Zoppicava, lasciandosi dietro una scia scarlatta.

Libra aveva obbedito ed era accorsa in soccorso di Lucius, e non era la sola: anche Rok era apparso da chissà dove e si avventava senza pietà sulle teste dei due tizi mascherati. E c’era anche una terza presenza che prima Regan non aveva notato: una macchia tonda e rossiccia che si muoveva fulminea, quasi invisibile.

E intanto, il terzo spadaccino continuava ad avvicinarsi.

Fu con una stretta al cuore e un ultimo sprazzo di lucidità che lei lo riconobbe: era l’uomo col cappellaccio che l’aveva osservata a lungo alla Quercia d’Argento, ormai diverse settimane prima.

– Sbrigati! – urlò la voce di una donna.

L’uomo si fermò prima di arrivare a Regan: si chinò ad afferrare il compagno che giaceva a terra e iniziò a trascinarlo via a fatica, fino a che non raggiunse la fine del ponte.

Regan era sul punto di perdere i sensi. Riuscì a vedere, con un singulto di disperazione, Lucius che cadeva a terra e i suoi due avversari che si precipitavano a raggiungere gli altri due. In un attimo, tutti e quattro svanirono nel nulla.

Regan collassò, esausta, e riuscì appena a udire la voce rassicurante di Lucius che la chiamava, e chiamava Shin, sempre più forte, eppure sempre più lontana.

Si sentì sollevare di peso. Parole incomprensibili le giunsero all’orecchio senza riuscire a penetrare fino alla mente.

Ne distinse solo alcune, o forse le immaginò, solo perché erano quelle che voleva sentire:

– È tutto a posto. Vi porto al sicuro. –

 

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A/N: ed eccomi, dopo un'eternità di assenza, durante la quale praticamente vi sarete tutti scordati sia di me che della storia... ma direi che me la sono cercata! Il fatto è che mi è venuta un'idea per un altra storia e mi ci sono buttata a capofitto, dato che come tematiche è sicuramente molto più "commerciabile" (per usare un termine davvero orribile, ma tant'è) rispetto a Century Child. Con questo non voglio dire che mi ha anche solo sfiorata l'idea di abbandonare Century Child! Anzi, il nuovo preogetto servirà proprio per aprire la strada a queesto. Ovviamente la pubblicazione da parte di una casa editrice vera e propria è assai distante, per ora, ma, come si suol dire, mai smettere di sognare. Insomma, mentre mancano pochi capitoli al termine del nuovo romanzo, mi sono data un po' da fare anche su altri fornti: ho pubblicato Innocence in formato kindle su Amazon (lo potete trovare QUI ) e chissà mai che negli abissi della rete non lo noti qualcuno. Sto anche creando una pagina su Facebook (QUI), dove posterò immagini e qualche estratto del libro, per farlo conoscere un po' meglio. Siete tutti invitati a raggiungermi, ovviamente! Nel frattempo, cercherò di portare a termine il progetto che in questi ultimi mesi ha monopolizzato la mia attenzione e i miei sforzi, sperando, con un po' di fortuna, di riuscire a farlo arrivare su qualche scrivania che sia interessata a portarlo in libreria. Magari una volta finito, come per Innocence, proverò a postare qualche capitolo qui su EFP e vedere cosa ne pensano i lettori! :)

Se nel frattempo Innocence fin qui vi è piaciuto (o non piaciuto, ovviamente!) e vi andasse di lasciare una recensione al libro su Amazon, ne sarei molto felice, mi aiutereste molto a promuoverlo un po'!

Per adesso un abbraccio grande a tutti e un grazie sconfinato per il vostro supporto! Ci vediamo su Facebook, per domande, richieste o anche solo due chiacchiere! Ciao!
   
 
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