Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: three little things    04/01/2013    2 recensioni
Chiunque pensi che gli abitanti di Londra siano gentili, amorosi e che i vicini ai piani di sopra siano delle adorabili vecchiette che ti portano i muffin...
Beh, quella gente si sbaglia di grosso, e non sa quanto!
---------------------------------------------------------------
“Baby, baby, baby oooooh, like baby, baby, baby noooooooo, like baby, baby, baby, ooooh” la voce impertinente del ragazzo al piano di sopra continuava a cantare senza sosta.
Era ormai la seconda notte che ci svegliavamo alle tre e mezza del mattino per il continuo cantare di questo benedetto uomo al piano di sopra.
Mi alzai di scatto dal letto, armata di scopettone leopardato.
Uscii dalla mia camera, trovando le mie coinquiline nel mio stesso stato, le occhiaie era profonde dopo la meravigliosa giornata al mare.
Con furia uscimmo fuori dal nostro appartamento, salendo con passo pesante le scale.
Il portoncino di legno massello dell’appartamento era davanti ai nostri occhi, ci avvicinammo impetuose e iniziamo a bussare con molta forza sull’entrata.
Poco tempo dopo il leggero movimento della serratura ci fece fermare e indietreggiare.
Il ragazzo dalla chioma folta con il ciuffo biondo si presentò assonnato alla porta con un sorriso d’ebete e innocentemente chiese:"Vas happenin?"
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

"Ma voi siete matte" questa è l'opinione delle nostre amiche su questa storia.
Beh è la verità, noi siamo veramente delle matte ma cosa c'è di sbagliato in questo? 
Per noi nulla.

Vi volevamo solo dire che questa storia non è la classica storia dove le ragazze vanno ad un concerto dei One Direction
e incontrano questi meravigliosi ragazzi.

Anche se penso che queste storie siano meravigliose.
Comunque se cercate questo tipo di storia qui beh tornate indietro perchè avete sbagliato indirizzo.

Questa storia parla di tre ragazze che per sfortuna vanno a Londra con molta malvoglia, per scoprire di più beh continuate a leggere.
Il capitolo è stato pubblicato in ritardo e ne sono consapevole.
Mi dispiace, cercheremo di provvedere.

Grazie a chi leggerà la nostra storia e se vi fa piacere potreste lasciare una recensione, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Un bacione, mi sono dilungata pure troppo. 
Vi lascio alla storia.

Giorgia.




Never lose hope 

_________________

1.Un giorno normale

(Ariel)

Tra il profumo di piatti squisiti, tra le dicerie appena sentite, tra il suono delle risate dei bambini e tra i ciottoli inarcati camminavamo per le strade del nostro paese, continuando a ridacchiare e a cantare pezzi delle canzoni che più amavamo. 

La nostra ilarità forse poteva essere scambiata a volte per pazzia o per stato inconscio causato da bibite alcoliche, nessuno che ci avesse visto avrebbe potuto dire se fossimo o no delle persone sane di mente e perfettamente sobrie ma in realtà eravamo più che sane e sobrie.
Erano anni ormai che la nostra routine si rifletteva tra le vie del paese, davanti al bar che era il nostro incontro e tra i social network che ormai erano intasati dalle nostre lunghe chiacchierate.
Mi girai a guardarle, erano ormai tre anni che andava avanti così.
Una volta si andava a casa di una, una volta di un’altra e l’argomento restava sempre quello: i One Direction.
Gli anni erano passati, si erano susseguiti e quelle piccole ragazze che eravamo tre anni fa ora si erano evolute, diventando mature, grandi e stressate dal continuo studiare.
Il sorriso però ci distingueva e la pazzia ci caratterizzava, forse era questo il bello di stare insieme, non ci stancavamo mai di continuare a ridere, scherzare e sognare.
Fui distolta dai miei pensieri quando un profumo di pollo arrosto penetrò le mie narici, l’odore era talmente forte da sentire quasi il sapore sulle labbra e la voglia di assaggiare anche un pezzettino di quella delizia saliva alle stelle. 
L’acquolina iniziò a farsi sentire e il buco allo stomaco si allargò velocemente, avevo una grande fame e ben presto mi ritrovai sotto la finestra da dove proveniva quell’odore meravigliosa.
Il sole cocente del mezzodì mi accarezzava la pelle creando giochi di luce tra gli alti palazzi delle vie, i muri ormai datati e ruvidi creavano riflessi e la vetrata della finestra era aperta lasciando che il profumo si spargesse più intensamente.
All’esterno dovevo sembrare uno di quei personaggi dei cartoni animati che vedevo da piccola, pronti all’assalto delle torte che la dolce nonnina posava sul ripiano della finestra per farle raffreddare ma che non arrivavano mai alla bocca alla quale fossero veramente destinati.
Le mie amiche era passate oltre troppe prese a parlare tra di loro per vedere che io mi ero fermata; mentalmente iniziai ad escogitare piani immaginari per assaggiare un pezzetto di quel ben di Dio ma mentre ero arrivata alla conclusione del piatto più adatto, mi sentii trascinare da due braccia amiche.
“No, dai, per favore; io voglio solo assaggiare un piccolo pezzetto di quel pollo, vi prego ragazze lasciatemi” continuavo a dire mentre loro si scambiavano uno sguardo d’intesta, misto a divertimento.
A nulla valsero le mie suppliche o i miei tentativi di evadere dalla loro presa ferrea, anzi scatenarono solo la loro ilarità e la mia rabbia.
Il percorso per arrivare a destinazione era ancora lungo e dopo varie proteste, riuscii a staccarmi da Giorgia e Claudia che decisero però di tenermi per mano fino alla fine del tragitto per evitare di avere altri “piccoli” incidenti durante il percorso, lasciandomi di stucco!
Le nostre mani erano unite tra di loro e a bassa voce canticchiavamo una delle più ‘vecchie’ canzoni dei nostri idoli Gotta be you. Era da tanto che non ricordavamo i vecchi tempi con una delle loro canzoni più dolci, drammatiche e uniche. Poi ad un tratto ci ritrovammo silenziose a percorrere quei viottoli colmi di ciottoli, che portavano a casa mia.
Slegai le mie mani da quelle delle mie amiche sbuffando leggermente, mi sfilai lo zaino dalle spalle e alzando un ginocchio cercai di prendere le chiavi tenendomi in equilibrio, cosa che non stava riuscendo affatto bene.
Mi sentivo un’equilibrista alla quale, però, bastava un alito di vento per farla cadere con il sedere a terra; in questi pochi secondi mi sembrò la fine.
Per fortuna in mio soccorso arrivò Giorgia che con un sorrisino beffardo sul volto si avvicinò, con delicatezza sfilò la cartella dalle mie mani e io mi appoggiai a lei, trovando nuovamente la sensazione del suolo sotto i piedi.
Mi misi a cercare silenziosamente le chiavi e tutti i tentativi fatti, dopo vari minuti, si rivelarono inutili.
Emisi un sonoro sbuffo causando la dolce ilarità delle mie “amiche” che in quel momento stavano diventando, come dire?
Fastidiose.
Si, avevo trovato il termine esatto.
Le guardai con uno sguardo assassino e mi rimisi a cercare insistentemente quelle cavolo di chiavi che normalmente sembravano essere un oggetto inutile.
Dopo attimi, minuti, ore, mesi o addirittura anni riuscii a trovare lo strumento d’accesso all’entrata e lo alzai con gli stessi orgoglio e soddisfazione con cui viene alzata una coppa. 
Claudia mi guardò e alla mia espressione non riuscì a fare a meno di scoppiare a ridere battendosi la mano sulla gamba e piegandosi in due.
Ma che aveva oggi? Rideva al mio minimo movimento, facendo solamente aumentare il mio nervosismo.
Devo ammettere però che la mia espressione doveva essere piuttosto buffa e immaginandomi, in poco tempo mi unii anch’io alla risata della mia amica.
Mi avvicinai alla porta e, ancora con il sorriso sulle labbra, infilai le chiavi nella serratura.
Dopo vari giri, la porta si aprì rivelando il salotto.
Poggiai a terra lo zaino, seguito ben presto da quello delle ragazze, che erano entrate subito dopo di me.
“Mamma, papà, Fabrizio? C’è nessuno?” urlai all’interno della stanza.
La mia voce rimbombò tra le pareti di casa senza ricevere nessuna risposta, come sempre d’altronde.
Poggiai le chiavi sul mobile dell’ingresso, mi sfilai il giubbotto e lo adagiai sul divano, girandomi.
“Ragazze datemi i vostri cappotti che li appoggio e iniziate ad andare in camera” dissi.
Loro seguirono le mie istruzioni e io, dopo aver messo  i loro cappotti  nell’armadio, mi addentrai in cucina.
Questa però era vuota e anche le altre stanze lo erano; dopo un sonoro sbuffo entrai nella mia stanza.
Giorgia era seduta sul letto con un’espressione stanca, mentre Claudia era vicino alla scrivania e stava accendendo il computer.
Non feci molto caso a quest’ultima che si sedette sulla sedia girevole e mi avvicinai silenziosamente all’altra ragazza, buttandomi a peso morto sulla branda.
Eravamo in silenzio e solo il suono del ticchettio della tastiera mossa da Claudia si propagava all’interno della stanza.
“Ma i tuoi?” chiese ad un certo punto Giorgia, interrompendo il silenzio che si era creato.
“Non lo so” risposi un po’ scocciata di non averli trovati.
“Ragazze, sapete ho una cosa da dirvi!” disse lei subito dopo, con una forte euforia nella voce.
Claudia sentendo quel tono si girò fissandola con i suoi occhi scuri, io feci lo stesso e ci ritrovammo a scrutarla intensamente.
“Sapete è una cosa bella” disse lei spostando lo sguardo da un’altra parte “Molto bella” continuò “Forse troppo bella” diceva farfugliando.
La ragazza alla scrivania come al solito voleva arrivare dritta al punto e abbastanza innervosita dai troppi giri di parole chiese: “Ma ce lo dici? Dai mi stai facendo logorare dall’ansia!”
Giorgia la guardò con un sorrisino sulle labbra.
“Posso?” chiese nuovamente.
Io mi alzai sul busto e vidi l’altra mia amica alzarsi dalla sedia e avvicinarsi a noi.
Si sedette sul letto e insieme urlammo un “Sì!” deciso e forte.
Lei ci guardò un po’ terrorizzata e prese una cosa dallo zaino che aveva portato in stanza senza che noi ce ne accorgessimo.
“Allora, vi posso mostrare questo” disse mostrandoci una busta bianca dalla quale estrasse tre biglietti colorati.
“Cosa sono?” chiesi.
Si girò a guardarmi.
“Come non li riconoscete?” chiese “È impossibile che la vostra capacità di memorizzazione sia così ridotta e voi non vi ricordiate di questi pezzi di carta che tanto abbiamo desiderato!” finì.
“Non può essere” mormorò Claudia.
“Invece sì” disse Giorgia.
“Impossibile” dissi.
“Ci stai prendendo per il culo” continuò Claudia.
“No, non vi sto prendendo per il culo” ripetè.
“Se ma va! Come cazzo ci saresti riuscita ad averli?” chiesi con un tono un po’ più strano del solito.
 “Sono proprio loro, i vostri genitori mi hanno dato i soldi e io vi ho fatto una sorpresa!” disse lei “Il 15 giugno 2017, ossia fra meno di un mese noi andremo al concerto degli One Direction, a Roma!” gridò euforica.
Io la fissai, la mia bocca era spalancata e il mento quasi toccava terra.
Claudia dal canto suo era bloccata, paralizzata.
L’unica che ci guardava e che a stento cercava di trattenere una risata era proprio Giorgia.
“Oddio ragazze,  per favore riprendetevi!” disse per poi dar libero sfogo alla sua ilarità.
Noi però non demmo segno di ripresa e lei iniziò a scocciarsi.
“Eh che palle su, si sono proprio loro e ci andremo, ripigliatevi su!” disse.
Neanche questa volta noi ci muovemmo.
“Eh va be’ su” disse per poi iniziare nuovamente.
“Ariel chiudi la bocca che entrano le mosche” disse poggiando la sua mano sotto il mio mento e facendomela chiudere.
Poi si girò verso la ragazza dai capelli mossi e castani.
“E tu bella paralizzata, ripigliati che non c’è un principe a baciarti! Ma se non lo fai, una bottiglietta d’acqua ghiacciata sul viso non te la toglie nessuno” a quelle parole la ragazza si risvegliò dallo stato di trans in cui era caduta.
Nella stanza era caduto il silenzio, sembrava che anche il rumore fastidioso del computer fosse qualcosa di sbagliato e tutto sembrava immobile, quasi bloccato.
Sembrava un sogno avere quei pezzi di carta e in quel momento credevo che tutto quello che mi girava intorno non potesse andare ad infrangere il mio sogno, finalmente realizzato.
Sognavo ad occhi aperti e sinceramente pensavo che niente potesse cambiare o modificare quello che sarebbe accaduto fra un mese.
Erano minuti ormai che eravamo in quello condizioni, ognuna persa nei proprio pensieri e fu in quel momento  che i nostri sguardi si incontrarono.
Un attimo, un secondo e in quel preciso istante sembrammo renderci conto di quello che sarebbe successo, che era tutto vero.
Un piccolo urlo uscì dalle mie labbra e fu quello a dare inizio a una sequenza di urli, grida, botte e pizzichi per convincerci che tutto quello era vero, non uno dei mille sogni o dei sogni ad occhi aperti.
Se fosse stato un giorno normale, sicuramente avrei zittito le mie compagne perché altrimenti avrei sentito urlare la mia vecchia e altezzosa vicina ma oggi, beh oggi non me ne fregava un cavolo di quello che pensasse.
Poteva anche lamentarsi, urlare o mandare il suo petulante chihuahua a rompere le scatole ma non me ne sarebbe fregato niente e avrei mandato all’aria le mie buone maniere dando un gesto secco a quella rompicoglioni.
Non mi sarebbe dispiaciuto mandarla a quel paese insieme a quel cane che continuava ad urlare nel momento in cui ero impegnata o a fare compiti o a dormire, lo odiavo.
"Okay, aspettate era tutto vero.. tutto vero, sarei andata al concerto dei mio idoli, cavolo!"
Non vi preoccupate, non sono matta  è naturale per me arrivare dopo alle cose.
Mi avvicinai al computer e dopo alcuni clic e vari ticchettii sulla tastiera le note di una canzone si espansero, sorpassando i toni alti delle nostra urla.
Non me ne fregai più di niente e senza scarpe, iniziai a saltare sul letto e a cantare a squarciagola senza pensare alle urla che avrebbe fatto mia madre trovandoci in quelle condizioni.
Non mi importava un bel niente ero felice anche se più che felici sembravamo delle matte.
Ma alla fine cosa c’era di sbagliato ad essere delle matte? Niente, perché alla fine quando sei pazza ti diverti di più, vivi di più, ami di più, sogni infinitamente e credi in quello che da sana non pensi sia realizzabile. 
Quindi se alla fine essere matta equivaleva a questo non potevo che gioire della mia pazzia.
“Hey girl I'm waiting on ya, I'm waiting on ya.… Come on and let me sneak you out. …. And have a celebration, a celebration….The music up the windows down...” stavamo cantando a squarciagola  Live while we’re young  quando la porta si aprì di colpo rivelando la figura distinta di mio fratello. 
Era appoggiato alla porta, lo zaino in spalla e la mano tesa per tenere la maniglia.
Ci guardava ad occhi sbarrati, con una faccia schifata e il naso leggermente arricciato.
Mi fermai di botto vedendolo, ma le mie amiche non lo fecero visto che sentivo ancora il movimento del materasso e sospettavo che non si fossero nemmeno accorte della sua presenza. 
Ero in piedi girata verso la finestra, bloccata e fissavo mio fratello con sguardo menefreghista.
"Cazzo si guardava?" Era questa la domanda che continuavo a pormi mentalmente.
Il materasso alla mia sinistra si ferma di botto.
"Claudia deve aver capito chi c’è alla porta" penso.
Mi giro leggermente verso di lei e la vedo fissare la porta con sguardo omicida che mio fratello ricambia prontamente.
L’unica che continuava a ballare era Giorgia che ancora non si era accorta di niente ad un certo punto mentre esprimeva la sua gioia a ritmo di passi insensati, si girò.
“Ragazze qual è il motivo per il quale avete fermato la vostra euforia?” disse tra un affanno e un altro mentre continuava a scatenarsi.
Visto che l’amica dai mossi e scuri capelli fissava ancora mio fratello con sguardo crudele, toccò a me nuovamente rispondere alla domanda posta dalla mia amica.
Allungai la mano indicando silenziosamente Fabrizio sull’uscio, lei seguì con lo sguardo il mio braccio e appena notò la persona da me indicata si fermò di botto.
Fece un piccolo passo e non so neanche io come, riuscì a cadere dal letto procurando un rumore abbastanza assordante.
Mi girai velocemente scendendo dal letto per vedere come stesse e se le facesse male qualcosa, Claudia mi seguì subito dopo.
Ci avvicinammo tutte preoccupate quando lei abbandonò la sua finezza e dolcezza. 
“Vaffanculo!” gridò iniziando a dimenarsi come una pazza per alzarsi.
“Ma mannaggia, tutto a me deve capitare, ma porco dinci!” continuava a dire.
“Giorgia la smetti di dire parolacce?” disse Claudia.
Lei la guardò furiosa, non potendo certo farlo in altro modo.
Conoscevo quella ragazza ma ancora mi stupivo come potesse cadere dovunque senza mai farsi un graffio; il bello è che si arrabbiava per la figura che faceva.
Sentii una piccola risatina provenire dal corridoio e quando mi girai vidi mio fratello che continuava beatamente a ridere, mi girai e dopo averlo guardato male anche lui mi fissò con il solito sorriso strafottente.
“Io vado in camera mia, mamma vuole che scendi Arielle” disse pronunciando il mio nome completo.
Fabrizio  mi salutò con la mano e continuando a ridere se ne andò nella sua camera mentre noi cercavamo di aiutare la nostra amica ad alzarsi.
“Vaffanculo a me e al mio equilibrio ma sempre ste’ cazzo di figure di merda devo fare!” gridava senza senso, rialzandosi. 
Claudia continuava a rimproverarla mentre lei se ne fregava  altamente e continuava a dannarsi mentre in sottofondo le note di  Live while we’re young  svanivano nell’aria.
Mi avvicinai a Giorgia, mentre lei continuava a pulirsi la parte davanti con la testa bassa anche se non si era sporcata e lo faceva per nascondere il rossore, e le presi una mano facendo fermare quel ritmo continuo.
Alzò il viso, le guance arrossate e le parole morte in bocca.
“Ti sei fatta male?” le chiesi dolcemente. 
“Ma va va” disse guardandomi con espressione forse un po’ dispiaciuta.
Cosa che creò la mia forte ilarità.
Lei mi guardò con un sopracciglio inarcato ma invece di far smettere le mie risate le aumentò e anche Claudia iniziò a ridere.
Lei ci fissò facendo l’offesa e con fare altezzoso si diresse verso la porta, aprendola.
Mentre teneva la maniglia si girò.
 “Beh che c’è non dobbiamo andare? Tua madre ti ha chiamato Arielle” disse pronunciando il mio nome in italiano, cosa che mi faceva imbestialire ma non ci feci molto caso occupata a ridere dal suo strano modo di comportarsi.
Lei ci fulminò con lo sguardo e si diresse fuori dalla porta mentre io e Claudia dopo un’occhiata complice la seguimmo, continuando a ridere.
Giorgia era silenziosa mentre scendeva le scale, non era più offesa ma quasi preoccupata anche se non c’era un vero e proprio motivo.
Scendendo le scale lo scricchiolio del legno si sentiva ad ogni passo sotto i nostri piedi scalzi.
L’ilarità che prima ci aveva contagiato era svanita, senza un motivo preciso e adesso sentivamo dei brusii mentre ci avvicinavamo in cucina.
La porta era socchiusa e all’interno le voci adulte dei miei genitori si fronteggiavano senza sosta.
Mi appoggiai alla lastra di legno e aprii l’uscio, attirando l’attenzione degli adulti su di me e le mie amiche.
Seduti a tavola c’erano i miei genitori e i miei zii, di fronte a loro quattro tazze di caffè gelate e insolite per l’orario, visto che dovevamo ancora mangiare.
Si fissavano con aria preoccupata la mano di mia madre era tesa verso quella della mia zia paterna che la stringeva teneramente mentre mio padre sembrava dare una pacca sulla spalla con lo sguardo al marito della donna.
“Bon jour” salutai in perfetto francese, la lingua con cui comunicavano.
Mi zia si girò, i suoi occhi scuri entrarono a contato con i miei e nel suo sguardo la vidi distrutta.
Una piccola ruga di espressione si creò sulla mia fronte liscia.
“Bon jour Ariel” risposero distratti i miei parenti con accento inglese per poi abbassare la testa.
Quel gesto mi mise soggezione, mi sentivo strana, irrequieta e senza accorgermene dimenticai le mie amiche alle mie spalle.
Puntai lo sguardo verso i miei genitori, fissandoli intensamente.
Loro mi guardarono con un’espressione insolita, dispiaciuta.
Mi stavo innervosendo, i lineamenti del mio viso si  fecero più duri e preoccupati.
“Qu'est-ce qui se passe ici?”(*) chiesi con fare perplesso.
Mi fissarono tutti ma furono solo secondi i momenti in cui i loro occhi si incrociarono con i miei e poi nuovamente guardarono altrove, lasciandomi con il dubbio.
Stavo per rifare la domanda quando mi padre decise di alzare gli occhi, spostò la sedia creando un forte rumore fastidioso che se fosse stato un giorno normale lo avrebbe fatto arrabbiare.
Appunto, se fosse stato un giorno normale.
Ma quello non aveva proprio l’aria di essere un giorno normale, sentivo i miei sogni sfuggirmi dalle mani e quello che un attimo prima sentivo stretto in un pugno, lo sentii scivolare tra le dita.
Mio padre mi prese per le braccia, mi guardò negli occhi.
“Ariel dois savoir que..”(**) disse iniziando a parlare francese.
Mia madre lo guardava e fissava le mie amiche alle mie spalle, silenziosamente.
Mentre mio padre parlava, io pensavo a loro.
A Claudia e a Giorgia, alle mie spalle con sicuramente uno sguardo perso.
Arrugginite in quella lingua che aveva studiato alle medie che per me in realtà era pane quotidiano per i miei denti.
Quando mio padre finì di raccontare tutto quello che era accaduto, io rimasi con la bocca leggermente socchiusa e gli occhi fuori dalle orbite.
Mi avvicinai a mia zia e l’abbracciai silenziosa; quell’abbraccio valse più di mille parole, di mille frasi fatte o citazioni di non so quali personaggi.
Sentii gli occhi delle mie amiche sulla mia schiena, mi fissavano.
Alzai gli occhi guardandole, erano perplesse e ansiose.
Mi alzai leggermente, pronta a spiegare loro cosa fosse successo ma mio padre mi bloccò e iniziò a parlare, guardandole intensamente.
“Ragazze vedete loro sono dei nostri parenti inglesi e hanno un locale in Inghilterra, andava a  gonfie vele fino a questo inverno quando è iniziato un crollo perché i ragazzi che vi lavoravano hanno deciso di abbandonarli per l’estate” disse.
Loro guardarono i miei zii, dispiaciute e sincere.
“Sorry” dissero con fare amorevole.
Un piccolo sorriso spuntò sul viso cupo dei miei zii, chiaro segno di ringraziamento.
Mia madre si alzò con la solita grazia, mi prese per mano e mi trascinò davanti alle mie amiche.
Passò dolcemente un braccio dietro la mia schiena, stringendomi a lei dolcemente.
“Sai tesoro” disse spostando lo sguardo sul mio viso “Abbiamo deciso con tuo padre” disse tendendo la mano all’uomo e stringendola “Che quest’estate tu andrai dai tuo parenti e lavorerai per loro” finì.
Girai la testa sconvolta da quello che i miei mi avevano appena detto e mi staccai violentemente dalle braccia amorevoli di mia madre.
“Mamma, papà non potete farmi questo” dissi irrequieta.
“Ariel tesoro..” provò a dire la mamma. 
“Ariel tesoro un cavolo mamma!” gridai sconvolta.
“Questo è il tuo sogno, andare a Londra” disse mio padre.
Alzai lo sguardo fissandolo.
“Sì, il mio sogno è andare a Londra ma con le mie amiche e non andare a lavorare e vivere con persone che nella mia vita avrò visto al massimo due volte!” risposi prontamente.
“E chi ti ha detto che non andrai con le tue amiche?” disse mio padre. 
Quella frase mi sconvolse, sarei andata con Giorgia e Claudia a Londra?
Era un sogno per caso?
“Ma dovrete comunque lavorare, non pagherete un bel niente, vivrete con i tuoi zii e i tuoi cugini, avrete tutto quello che volete ma l’unica cosa che vi si chiede in cambio è lavorare! Cosa che vi farà le ossa quando entrerete nel mondo del lavoro” disse mio padre, alzando il tono della voce “E poi la famiglia, deve essere unita soprattutto nei momenti di bisogno, figlia mia” disse abbracciandomi.
Mi girai verso le mie amiche pronta a donargli un abbraccio. 
Mi avvicinai a loro buttandomi direttamente sui i loro corpi, con un sorriso enorme.
Mi staccai dopo vari minuti e le squadrai da capo a piedi pronta a vedere ogni loro mossa o passo. Giorgia appena si accorse che la stavo guardando, abbassò lo sguardo fissando il pavimento in marmo di casa mia, senza spiccicare parole.
Le guancie erano leggermente arrossate e un lacrima le scivolò lungo la guancia, staccandosi e cadendo sul pavimento.
Claudia aveva invece uno sguardo un po’ dubbioso ma sprizzava felicità da tutti i pori e lo si poteva notare da come gesticolava convulsamente con le mani. 
Gli occhi le brillavano di luce propria e il sorriso che aveva faceva quasi illuminare la stanza.
“Io non posso venire, i miei non mi daranno mai il permesso” mormorò ad un certo punto la ragazza dai capelli ricci catturando l’attenzione di tutti.
Quella lacrima che per un momento avevo interpretato di gioia mi si ripercosse in realtà come una lacrima di tristezza e solitudine improvvisa. 
Stavo per parlare, rassicurarla ma venni interrotta da mio padre che si avvicinò a Giorgia con un sorriso molto splendente.
“Non ti preoccupare abbiamo parlato con i tuoi genitori questa mattina, cioè poco fa e anche se c’è voluto molto, li abbiamo convinti facendo notare che era la soluzione migliore per te, soprattutto che avresti sviluppato l’apprendimento della lingua e avresti lavorato duramente” disse l’uomo.
“Abbiamo parlato con i tuoi genitori Claudia e anche loro sono d’accordo” disse mia madre.
Loro si girarono e guardarono i miei genitori come se fossero due fantagenitori ma allo stesso tempo con sguardo sorpreso.
“Non ci posso credere” mormorò la riccia.
“È tutto vero” continuò mio padre.
“Oddio!” continuò. 
“Sì Giorgia si, riprenditi, andremo a Londra o vuoi una bottiglietta d’acqua ghiacciata in viso” disse Claudia ironizzando l’ultima parte che era stata utilizzata precedentemente dall’altra ragazza.
 
“No grazie Claudia” disse girandosi per fulminarla con lo sguardo, poi si girò di nuovo “ Cavolo andremo a Londra” disse guardandosi e facendo uscire dalle sue labbra un piccolo urletto di gioia che causò quelli nostri di toni più alti. 
 
Mentre continuavamo ad abbracciarci, gridare e sognare, i miei genitori ci ignoravano completamente.
 
I coniugi spiegarono ai miei parenti cosa sarebbe successo e anche questi ultimi si unirono alla nostra felicità, ma da persone adulte solamente con dei “Grazie” sussurrati a stento e degli abbracci molto goffi.
 
[…]

“Mamma, perché non posso andarci anche io, perché Ariel si ed io no” diceva Fabrizio.
Eravamo a tavola, stavamo mangiando con la mia famiglia, i miei zii e le mie amiche.
I miei genitori avevano informato il mio caro fratello che io e le ragazze saremmo partite per Londra e lui da quel momento non continuava che a lamentarsi.
“Fabrizio per favore ne abbiamo già discusso abbastanza, tu l’anno scorso hai promesso ai tuoi zii in Francia che anche quest’anno saresti tornato lì e non puoi mancare alle tue promesse, facendoci fare brutte figure” ripeté per la centesima volta mio padre esasperato.
Sentivo Giorgia e Claudia ridacchiare in sottofondo, cosa che stavo facendo anch’io cercando di nascondere le risate con qualche colpo di tosse o ingerendo qualche boccone di pasta.
Stavamo parlando in italiano quindi i miei parenti non ci capivano un bel niente e abbassavano lo sguardo continuando a mangiare.
“Fabrizio adesso basta, tu andrai in Francia mentre tua sorella a Londra punto. Basta discutere!” chiuse la discussione mio padre. 
Mio fratello lo guardò sbuffando e mentre i miei genitori si alzarono per poggiare i piatti, io lo fissai regalandogli una linguaccia degna di una bambina di quattro anni. 
Lui mi guardò furioso e a quel punto Claudia non si trattenne più e scoppiò in una forte risata che contagiò ben presto anche me, Giorgia e i miei zii i quali non sapevano neanche il motivo per il quale stavano ridendo.
Quando i miei tornarono, ci ricomponemmo e iniziammo a mangiare il secondo parlando del più e del meno, facendo discorsi senza una logica precisa.
Mi stavo gustando il terzo pezzo di dolce al cioccolato fatto dalle adorabili mani di mia madre quando quello che sembrava un sogno venne frantumato in pochi attimi. 
“Ragazze voi partirete il dodici giugno!” ci informò mia madre.
Mi bloccai, la mano tremante fece scivolare la forchetta dalle dita che cadde nel piatto procurando un rumore sordo.
Le mie amiche ebbero più o meno la stessa reazione e io mi girai lentamente verso di loro.
Sembrava che la testa pesasse quanto mille case, sentivo la difficoltà di girarla dal lato sinistro. Quando lo feci incontrai direttamente lo sguardo delle mie amiche, sconvolto quasi quanto il mio.
Avremmo dovuto scegliere, Londra o il concerto che aspettavamo da una vita.
Mi sentivo in bilico, sicura che qualunque decisione che avrei preso non sarebbe stata quella giusta e mi avrebbe messo in una situazione di rimpianto, dandomi in egual modo una sensazione di tristezza.
In quel momento un solo pensiero mi avvolse la mente ed ero certa che contagiava anche quello delle mie amiche:
Cazzo.

_________________________________
* che succede qui?
**Ariel devi sapere che

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: three little things