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Autore: Alexandra e Mac    06/01/2013    7 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo II

Frammenti dal passato





Appartamento del Tenente Colonnello Sarah MacKenzie
Georgetown

 Marzo 2005

 

Mac stava facendo la valigia, sarebbe partita l’indomani per le Hawaii con Clay per una quindicina di giorni. Non era stato difficile farsi dare quelle due settimane dall’Ammiraglio, aveva un sacco di licenze in arretrato da smaltire.

In sottofondo Michael Bublé cantava “Feeling Good”, una canzone che si addiceva perfettamente al suo stato d’animo attuale.

Aprì l’armadio e prese la scatola di stoffa dove erano conservati i costumi da bagno. Per come la stava trattando Clay le sarebbe bastato partire con il solo beauty case del bagno, anzi a ben pensarci nemmeno quello! Avrebbe potuto andare all’aeroporto l’indomani in divisa e lui le avrebbe acquistato tutto ciò che le serviva, e anche qualcosa di più. E naturalmente si sarebbe trattato di capi della miglior qualità. Per Webb o il meglio o niente per la sua donna.

Tuttavia non voleva approfittarsene, anche se le piaceva da matti come lui la stava viziando e coccolando, pertanto avrebbe fatto la valigia come se nulla fosse.

Era felice. Aspettava con ansia quella vacanza da tre settimane prima, quando lui gliel’aveva proposta. Sospettava che stesse preparando qualcosa solo per loro due, ormai lo conosceva bene, ma non riusciva a capire cosa fosse. Da bravo agente CIA aveva mantenuto il più assoluto riserbo.

Ad ogni modo era impaziente di partire e si sentiva bene come non le accadeva da tempo.

Fischiettando il motivo principale della canzone, aprì la scatola e ne estrasse i costumi disponendoli sul copriletto per scegliere quali portarsi via e come abbinarli ai pareo e ai copri costumi. A tal fine prese un altro contenitore dal fondo dell’armadio e lo aprì estraendo, appunto, i coordinati ai bikini.

Passò poi agli abiti estivi, e al resto della biancheria.

Quando fu certa che tutto fosse pronto, aprì la porta del ripostiglio, in corridoio, e prese il trolley, ma nell’estrarlo le rotelle si incastrarono in qualcosa e un mucchio di scatoloni cadde a terra sparpagliando il contenuto. L’occhio le cadde su una foto scattata tempo addietro da Benzinger’s.

C’erano tutti: lei, Bud, Harriet, Sturgis, l’Ammiraglio, Mickey, Jennifer e Mattie. E naturalmente Harm. Tutti erano in alta uniforme e Mattie indossava un abito da cocktail davvero stupefacente. Era la sera in cui avevano festeggiato la promozione di Harm a Capitano…

 

 

L’Ammiraglio li aveva convocati tutti in sala riunioni, e a tutti era parso strano. Di solito non teneva briefing lì e gli ordini li comunicava nel suo ufficio.

“Ci sarà un grosso cambiamento all’interno del JAG” esordì AJ guardandoli uno ad uno. Non aveva aggiunto altro e aveva consegnato un foglio ad Harm.

“Procura Militare, Forze Navali, Europa” lesse lui ad alta voce. “Che vuole dire Signore?” chiese perplesso.

“E’ stato assegnato a Londra, Comandante, partirà fra tre giorni.”

“Come? Cosa?” Harm era frastornato, nessuno gli aveva parlato di un trasferimento. Non fino a quel momento.

“E’ un posto da Capitano. La Commissione promozioni ha appena approvato e autorizzato l’avanzamento. Congratulazioni, Capitano Rabb.”

Mac si era accorta che sotto il tono burbero dell’Ammiraglio si celava una profonda tristezza. Perdeva il migliore dei suoi, il suo pupillo, il figlio che avrebbe voluto, il suo erede. Ma gli ordini erano ordini e andavano eseguiti senza discussioni. Se Harm era destinato a Londra, a Londra sarebbe andato.

E lei? Lei che avrebbe fatto? Meglio non pensarci per ora.

“Sarà l’avvocato con maggiore grado di anzianità di servizio in Europa Comand… Capitano. È un trampolino di lancio verso il JAG” era intervenuto entusiasta Bud.

“Non ho intenzione di dimettermi, Comandante Roberts, non ancora per il momento” l’aveva redarguito brusco AJ.

Bud era battuto in ritirata, scusandosi per la gaffe.

“E’ autorizzato a scegliere il suo staff. Solo, per favore, cerchi di non fare a pugni in pubblico con il Colonnello per decidere chi dovrà restare e chi, invece, dovrà partire con lei. Certo sarebbe qualcosa cui siamo tutti abituati, ma evitatelo. Intesi?”

Harm e Mac si guardarono, ancora increduli.

“Sì Signore” risposero poi.

“E’ tutto, potete andare” li congedò l’Ammiraglio, la voce ferma, ma non troppo.

Si ritrovarono fuori dalla sala riunioni.

“Cos’è accaduto?”

“Credo che il nostro mondo si sia rovesciato” le rispose Harm.

“Capitano…” lo squadrò lei. “Non avrei mai pensato che ti avrebbero promosso, specialmente dopo il Paraguay.”

“Non me l’aspettavo nemmeno io” rispose. “Non ti preoccupare il tuo turno arriverà presto.”

“Non essere condiscendente per favore” rispose piccata, “non lo sopporto.”

“Non volevo essere condiscendente, cercavo di essere solidale.”

Mac tornò alla propria stanza e si sedette pesantemente sulla poltrona. Tre giorni e poi lui se ne sarebbe andato a Londra per sempre e ancora fra loro tutto era come prima.

Londra… 5489 miglia, dieci ore e mezza di volo. Come sarebbe stato possibile mantenere i contatti? Come sarebbe stato possibile chiarire, parlare…

 

 

Non era accaduto nulla, anzi le cose erano peggiorate a tal punto che, alla fine, Mac aveva benedetto la partenza di Harm.

Raccolse gli oggetti e li rimise a posto, ma trattenne ancora un attimo in mano la foto.

Aveva tanto sperato che dopo quel bacio tutto sarebbe andato a posto! E invece Harm aveva, come suo solito, male interpretato la situazione che si era creata con Clay dando così un calcio alle sue speranze.

Al tempo lei non aveva nessuna intenzione di far entrare Webb nella sua vita. Voleva il suo marinaio dallo sguardo di mare, voleva le sue braccia intorno a sé, le sue labbra per sé, e quando Clay si era nuovamente affacciato alla sua esistenza, Harm non le aveva dato il tempo di spiegarsi.

 

 

Era l’ultima sera che Harm avrebbe trascorso negli States, si sarebbe aspettata che organizzasse un qualcosa con tutti gli altri, e invece lui non aveva detto o fatto alcunché, per cui, nella speranza di in colloquio chiarificatore definitivo, si era risolta ad invitarlo a cena a casa sua.

Voleva mettere un punto fermo alla loro non-storia, e forse la scadenza definitiva che quel trasferimento rappresentava l’avrebbe fatto decidere.

Radunò le sue cose e uscì dall’ufficio. Avrebbe voluto uscire prima, ma all’ultimo minuto un contrattempo l’aveva bloccata e adesso era un po’ in ritardo. Desiderava preparare una cena degna di questo nome. Se poi era l’ultima che avrebbero consumato insieme…

Meno male che Harm era un ritardatario cronico!

Sulla via di casa si sentiva triste. Un pezzo della sua vita, un pezzo importante, se ne stava andando. Un capitolo si chiudeva, ma Mac non voleva che si chiudesse, desiderava giungere ad un inizio con Harm, anche se lui sarebbe stato lontano. In qualche modo avrebbero fatto.

Sì, quella sera, a cena, gli avrebbe parlato, gli avrebbe aperto il cuore, gli avrebbe confessato tutto senza giri di parole, senza fronzoli.

Presa quella decisione si sentì meglio.

Parcheggiò sotto casa e salì. La sua previdenza l’aveva spinta a riempire la dispensa il giorno prima, anche se la decisione di invitarlo a cena l’aveva presa solo quella mattina.

Girò la chiave nella toppa e aprì la porta. Il profumo di centinaia di rose la colpì in pieno. Frastornata entrò nell’appartamento pensando per un attimo di aver sbagliato. Ma dopo aver acceso la luce si accorse che quella era proprio casa sua, completamente invasa da rose rosse.

Ce n’erano ovunque, in salotto, in corridoio, in camera, in bagno e persino in cucina! Tornò verso l’ingresso, sperando di trovare un biglietto che le dicesse chi fosse il folle che aveva speso un’autentica fortuna per mandarle tutti quei fiori, ma non c’era nulla. Alla fine rinvenne una piccola busta posata con cura sul tavolo da toeletta in camera da letto. La aprì.

Per la più bella delle rose’ c’era scritto. Non era firmato, ma aveva intuito da chi provenissero tutti quei fiori: Clay, non poteva che essere stato lui.

E adesso? Che fare?

Guardò l’orologio. Non le restava molto tempo a disposizione se voleva sgomberare il più possibile l’appartamento e preparare la cena.

Prima di tutto si ficcò sotto la doccia per togliersi la stanchezza della giornata. Dopo dieci minuti era fuori e stava mettendo l’acqua per la pasta a bollire. In attesa che bollisse avrebbe cercato di sistemare i mazzi di rose in stanze dove era certa Harm non avrebbe messo il naso. Che imbarazzo! Ma cosa era venuto in mente a Clay?!

Purtroppo l’impresa si rivelò una fatica di Sisifo, perché Harm arrivò puntuale all’orario prestabilito. E lei non era ancora a metà dell’opera!

Una parte dei numerosi mazzi li aveva sistemati sul balcone, disponendoli nel maggior numero di vasi possibile, altri erano finiti in camera da letto, altri ancora nel piatto doccia, nondimeno ne restavano ancora alcune decine in salotto, e Mac non sapeva più da che parte metterli. La cucina era impraticabile, fra padelle, piatti, posate e tutto il resto.

Stava decidendo dove mettere le dannate rose quando il campanello suonò e contestualmente la porta si aprì.

“Harm?!” esclamò incredula.

“Per una volta tanto sono in orario e tu ti lamenti?” le aveva risposto lui divertito. Poi aveva annusato l’aria della casa percependo l’aroma dei fiori e, entrato, aveva dato una lunga occhiata al salotto notando i numerosi mazzi di rose.

“Cosa è accaduto Mac? Il fioraio qui sotto non aveva più spazio nella sua serra?” le chiese.

“Già… il fioraio. Magari fosse stato questo” rispose.

“Cosa è successo allora? Sembra di stare in una giungla di rose rosse” disse spostando un mazzo e facendo posto sul divano.

Mac era imbarazzata. Non sapeva cosa dirgli, una bugia le avrebbe evitato guai, conoscendo la naturale ‘simpatia’ che Harm provava per Webb, ma quella era la sera della verità per cui decise di essere sincera.

“Sono un regalo di Clay” buttò lì.

“Ah” si limitò a rispondere lui alzandosi.

“Guarda che non è come pensi.”

“Io non penso nulla. Vedo.”

“Harm per favore non ricominciamo. Io neanche lo sapevo, sono tornata e c’erano… queste” disse indicando i fiori, “sparse per tutta la casa.”

“Però ti ha fatto piacere.”

“Sì, cioè no. Non lo so.”

E davvero non sapeva che pensare. Tutto quello che le stava accadendo era meraviglioso, ma arrivava dall’uomo sbagliato. E Harm non comprendeva il suo disagio, così anziché aiutarla le dava addosso.

“Forse è meglio che prima ti schiarisci le idee, poi ne potremo parlare” disse avviandosi verso la porta.

“No aspetta, non te ne andare!” esclamò Mac quasi sull’orlo della disperazione. “E’ l’ultima sera… poi…”

“Forse è un bene Sarah.”

Erano le ultime parole che le aveva detto. Poi aveva preso la porta e se ne era andato.

 

 

La valigia era pronta e Michael Bublé era passato ad un’altra canzone.

Si sedette sul divano e accese la TV, ma più che guardare le immagini che le correvano davanti pensava.

Era stato senza dubbio un bene, sì, Harm aveva avuto ragione.

Squillò il telefono e Mac prese la conversazione.

“Ciao amore” la salutò con voce dolce Clay.

Harm scomparve dalla mente di Sarah: “Ciao” rispose al saluto con altrettanta dolcezza.

“Pronta per domani?”

“Sì, non vedo l’ora.”

“Vedrai che sarà una vacanza speciale. Passo a prenderti al JAG alle 18 ok?”

“Va bene.”

“Ti amo Sarah.”

“Anche io.”

Mac chiuse la conversazione con la sensazione di aver trovato il suo posto nel mondo.

 

 

 

 

 


Casa di Lady Sarah Montagu
Brook Street, Londra

Marzo 1858

Aveva lasciato la festa in tutta fretta ed era rientrata nell’appartamento londinese, che di recente aveva acquistato proprio con il compenso pagatole da Francesco Giuseppe. Per come si erano messe le cose al suo rientro in Inghilterra, aveva deciso che, se doveva tornare a fare vita mondana, era ora che avesse nuovamente una casa nella capitale. Andare avanti e indietro da Londra a Beaulieu era impensabile.

Si gettò sul letto, senza neppure togliersi l’abito, e finalmente diede libero sfogo alle lacrime. Pianse a lungo, sentendosi più sola che mai.

Non era abituata a sentirsi così; di solito era combattiva e reagiva con grande forza alle avversità della vita. Ma dalla notte in cui aveva lasciato il suo cuore sulla Medea era molto cambiata: si era chiusa ancora più in se stessa ed era diventata molto taciturna.

Ballare e divertirsi al ricevimento di Lady Belhaven credeva potesse essere un nuovo inizio, un segno che il suo animo a poco a poco stava guarendo.

Ma lo sconosciuto nel giardino l’aveva sconvolta e lei si era ritrovata al punto di partenza, esattamente a poco più di un anno prima, alla notte in cui aveva deciso di lasciare l’uomo di cui si era follemente innamorata.

 

 

Aveva scritto poche frasi e poi aveva chiuso il diario.

Si era alzata e si era avvicinata al letto, per osservarlo un’ultima volta. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non era riuscita a trattenersi: con la mano gli aveva sfiorato il volto e si era chinata a baciargli le labbra.

Era stato un errore… lui, nel sonno, aveva socchiuso la bocca e lei si era ritrovata ad assaporare ancora la dolcezza di un suo bacio, che l’aveva lasciata insoddisfatta e più tormentata di prima.

Si era costretta ad allontanarsi quando aveva percepito un altro movimento di André: temendo un suo risveglio improvviso si era staccata da lui, aveva preso la propria borsa e, con le lacrime che le rigavano il volto, era scesa dalla “Medea”, che nel frattempo era attraccata al porto di Southampton.

Se avesse atteso un solo secondo ancora, non lo avrebbe fatto mai più.

Il giorno stesso, in serata, era finalmente giunta a Beaulieu.

Sua madre, felicissima di rivederla dopo tanto tempo, l’aveva abbracciata, ma aveva capito immediatamente che le era successo qualcosa e aveva cominciato a farle delle domande. Lei aveva raccontato parte della vicenda, tralasciando gli aspetti più tremendi, come l’aver ucciso un uomo, e soprattutto sorvolando sul fatto che si era perdutamente innamorata del Conte francese che era fuggito assieme a lei e che l’aveva protetta per tutto il tempo.

Lady Montagu l’aveva ascoltata senza dire nulla, domandando solo alla fine del racconto dove si trovasse il Conte. Lei aveva risposto che ognuno era ritornato a casa propria, senza aggiungere altro.

Nelle settimane successive aveva cercato in tutti i modi di dimenticare André, trascorrendo tutto il tempo a cavallo oppure in biblioteca. Sua madre l’aveva vista taciturna e malinconica, ma non aveva fatto altre domande.

Poi era successo qualcosa che l’aveva scossa dall’apatia in cui il senso di vuoto per la mancanza di André D’Harmòn l’aveva fatta sprofondare: era arrivata una lettera di Marie, una sua carissima amica alla corte di Napoleone III, ad informarla che Cedric Hewitt si trovava in Francia.

Finalmente, dopo mesi, sapeva di nuovo dove trovarlo!

Quando aveva lasciato Bath, circa cinque mesi prima, per svolgere l’incarico alla Corte di Vienna, non era riuscita a parlare con John Taylor per sapere dove Hewitt si trovasse, anche se probabilmente non era troppo distante da lei, poiché era stato certamente lui ad uccidere l’ex-socio in affari. Cedric Hewitt era uomo capace di quello e altro. E la polizia stessa le aveva detto che Mr. Taylor era stato ucciso da qualcuno che conosceva, poiché non vi erano segni di effrazione sulla porta della camera dove alloggiava.

Erano anni che Lady Sarah stava dando la caccia a Cedric Hewitt; da quando suo padre, Lord David J. Montagu, si era tolto la vita, oppresso dai debiti, lasciando i suoi familiari in balia del proprio destino.

 *

Per secoli i Montagu furono una tra le famiglie più ricche dell’aristocrazia inglese, citata nell’Almanacco di Gotha, il catalogo veridico che assegna con enorme scrupolo, ad ogni casato nobile, la posizione occupata in seno ad una delle gerarchie più complesse. Pur non essendo imparentati con la famiglia reale, frequentavano la Corte dai tempi di Enrico VIII e Anna Bolena, pertanto l’infanzia e l’adolescenza di Sarah Jane Montagu  trascorsero negli agi e nel lusso.

Tutto cambiò nel 1844 quando Lord David conobbe Cedric Hewitt, allora trentacinquenne, un “parvenu” facente parte della nuova aristocrazia, ossia un borghese che aveva ottenuto il titolo di barone di Wiltshire solo grazie alle sue ricchezze. Fidandosi del consiglio di Hewitt, il padre di Lady Sarah investì moltissimo denaro nell’acquisto di svariati acri di terreno in Irlanda per la coltivazione delle patate, poiché il barone di Wiltshire gli aveva detto che si potevano fare affari d’oro con il prezioso tubero, ancora poco conosciuto sulle tavole dei ricchi inglesi, ma comunque molto ricercato.

L’anno successivo, nel 1845, una malattia devastò le colture di patate in Francia, in Belgio e in Irlanda, provocando una grande carestia che mandò lentamente in rovina Lord Montagu. Egli s’indebitò pesantemente con Hewitt  per mantenere il castello, la moglie e i figli allo stesso tenore di vita, pur di non far sapere nulla alla famiglia, convinto dallo stesso Hewitt che presto la situazione si sarebbe risolta.

La carestia durò più del previsto e verso la fine del 1847 la situazione per Lord David peggiorò al punto da costringerlo a contrarre debiti anche con altre persone; quando Milord si trovò con l’acqua alla gola poiché impossibilitato ad onorare i propri impegni, fu proprio Cedric Hewitt a dargli la possibilità di riscattarsi senza perdere l’onore.

Solo successivamente Lady Sarah avrebbe scoperto che Hewitt aveva spinto suo padre ad investimenti rischiosi molto probabilmente per averlo in pugno e costringerlo a cederla in matrimonio. Invaghito di Sarah fin da quando l’aveva conosciuta, non ancora sedicenne, aveva quasi certamente visto la possibilità di ottenere ciò che la sua condizione di “parvenu” gli avrebbe difficilmente concesso: sposare una vera nobile. Pertanto si propose come marito della ragazza, promettendo di considerare il prestito come dote per le nozze e onorando di persona gli altri debiti di Lord Montagu. Pur a malincuore, poiché non avrebbe voluto che la figlia prediletta sposasse proprio un “parvenu”, Lord David si vide costretto ad accettare, ben conscio che sarebbe stata l’unica possibilità che gli restava per salvare onore e proprietà.

Quando il padre le comunicò la decisione, Sarah si ribellò all’idea: Cedric Hewitt non le piaceva, lo trovava sgradevole e volgare, ma purtroppo non poté far altro che obbedire, pur sentendosi tradita proprio dal genitore che più adorava.

Non capiva affatto la decisione paterna: era consapevole che nel suo destino avrebbe dovuto esserci un matrimonio, come si conveniva ad ogni fanciulla della buona società, anche se lei, nel suo intimo, anelava ad altro. A lei sarebbe piaciuta una vita avventurosa, come leggeva nei suoi libri. Spesso aveva rimpianto di non essere nata maschio, di non essere al posto di suo fratello Edward, di tre anni più giovane di lei, solo perché avrebbe desiderato poter essere libera di vivere la propria esistenza senza essere costretta a dipendere da un uomo. Tuttavia sperava almeno di poter fare un matrimonio d’amore. Invece il padre, a soli diciassette anni, l’aveva promessa ad un uomo di quasi vent’anni più vecchio di lei, che non le piaceva neppure.

Nelle settimane successive il fidanzamento Cedric Hewitt cominciò a tormentarla senza un attimo di tregua: voleva che trascorresse ogni momento con lui; l’accompagnava a cavallo, alle serate danzanti, prendeva il tè con lei ogni giorno, persino quando era in biblioteca si ostinava a sedervisi accanto e la fissava con insistenza, tanto che lei non riusciva a leggere più di due pagine senza poi spazientirsi.

Sarah parlò con il padre, implorandolo di rompere il fidanzamento, ma Lord Montagu fu irremovibile, poiché aveva dato la sua parola d’onore.

Ad un mese dalle nozze Hewitt insistette affinché lei lo accompagnasse a vedere la sua tenuta; costretta dalle circostanze lo aveva accontentato, pretendendo di essere riaccompagnata a casa per l’ora del tè. Non le piaceva come lui la osservava mentre erano soli e non voleva trovarsi troppo a lungo in sua compagnia. Sapeva che prima o poi ciò sarebbe dovuto accadere, ma voleva rimandare il più a lungo possibile l’inevitabile. Durante la visita egli fu sgradevole ed insopportabile; poco prima che giungesse l’ora di riaccompagnarla la sua insolenza superò il limite quando cercò di possederla contro la sua volontà.

Umiliata e furibonda Sarah si difese con forza, nonostante il suo fidanzato continuasse a ripeterle che, poiché presto avrebbe dovuto concedergli comunque i privilegi che gli spettavano come marito, tanto valeva che lo facesse subito. Ma lei non amava quell’uomo; non lo trovava neppure gradevole e non aveva alcuna intenzione di anticipare l’inevitabile. Pertanto oppose strenua resistenza e lo schiaffeggiò davanti ad un domestico che era accorso richiamato dalle sue grida.

Il giorno successivo Cedric Hewitt, insultato da quel gesto davanti alla propria servitù, ruppe il fidanzamento, con enorme sollievo di Lady Sarah. Lord Montagu, tuttavia, non gioì come la ragazza si era aspettata: solamente una settimana più tardi si uccise con un colpo di pistola alla tempia.

Fu proprio lei a trovare il cadavere del padre e la lettera in cui lui spiegava tutto quanto alla moglie; leggendo quelle parole Sarah si rese conto del vero motivo per cui suo padre l’aveva promessa in sposa ad Hewitt e odiò quell’uomo ancora di più. Ma cominciò anche ad odiare se stessa, incolpandosi della rovina del genitore.

Ad un mese dalla morte di Lord David, tutti i beni della famiglia furono confiscati, lasciando gli eredi sul lastrico e il nome dei Montagu infangato dall’onta del suicidio. A quel punto Sarah giurò a se stessa che avrebbe dedicato la vita a vendicarsi di Hewitt.

La confisca dei beni prevedeva anche il Castello e il titolo nobiliare, ma Sarah nel frattempo era riuscita a far pervenire alla Regina Vittoria la lettera del padre; Sua Maestà acconsentì ad una proroga sul sequestro del castello e del titolo, per permettere a Lady Sarah di trovare le prove che avrebbero dimostrato che Hewitt aveva imbrogliato Lord Montagu e che le avrebbero permesso di riabilitare il nome del padre e del casato.

La Regina le concesse dieci anni: se in quel periodo non fosse riuscita nel suo intento, i Montagu avrebbero perso tutto quanto e suo fratello sarebbe stato privato del titolo che gli spettava per nascita.  

Da quel momento in poi la vita di Lady Sarah Jane Montagu cambiò radicalmente: grata a Sua Maestà per la concessione, iniziò a lavorare proprio per la Regina Vittoria, svolgendo per suo conto dapprima piccoli incarichi, successivamente compiti sempre più impegnativi e delicati, che la fecero entrare in contatto con altri sovrani, i quali a loro volta chiesero i suoi servigi, pagandoli profumatamente. Cominciò così ad accumulare una piccola fortuna che le permise di proseguire nella sua vendetta.

Iniziò a svolgere anche qualche indagine personale, partendo dalle informazioni contenute nella lettera del padre e scoprì che Hewitt aveva un socio, tale John Taylor, col quale aveva fatto altri investimenti poco chiari e col quale aveva abbindolato altri aristocratici, aumentando poco alla volta le proprie ricchezze. Purtroppo si trattava sempre e solo di voci, senza alcuna prova. Cedric Hewitt era molto abile a non lasciare tracce.

La sua nuova vita al servizio di aristocratici e regnanti, oltre a fornirle il sostegno economico, le permetteva anche di ottenere più facilmente preziose informazioni di cui, altrimenti, difficilmente sarebbe entrata in possesso.

Normalmente ci riusciva con l’ingegno, la furbizia e la seduzione, ma in alcuni casi era stata costretta a scendere a compromessi con se stessa e a concedere in cambio la propria virtù.

Essere a contatto con certi ambienti l’aveva resa rapidamente più adulta e disincantata, facendole comprendere ben presto di essere in possesso di un corpo che la maggior parte degli uomini desiderava; aveva deciso quindi di servirsene, quando le fosse stato assolutamente necessario.

Del resto cosa avevano fatto gli uomini per lei?

Nulla. Anzi, a ben pensarci, non avevano fatto altro che tradirla.

L’aveva tradita l’uomo cui era stata promessa in sposa, dapprima tentando di possederla prima delle nozze e contro la sua volontà e poi rifiutandola, ben consapevole che ciò l’avrebbe ridotta sul lastrico. L’aveva tradita il suo stesso padre, vendendola nel tentativo di salvare la famiglia dal disastro e poi quando l’aveva lasciata sola, ad affrontare tutto quanto e facendola sentire anche responsabile del proprio suicidio.

La prima volta che si era concessa ad un uomo aveva pianto per ore. Ma l’informazione che aveva ottenuto l’aveva ripagata di tutto il ribrezzo sopportato: aveva saputo il nome del socio di Hewitt.

Successivamente aveva utilizzato lo stesso metodo solo poche altre volte, quando non aveva potuto farne a meno, ed ogni volta aveva provato lo stesso disgusto, benché in almeno due casi gli uomini che l’avevano posseduta, prima di farle capire cosa volevano in cambio dell’aiuto che le fornivano, l’avevano anche affascinata. Fascino che era presto scomparso non appena si era resa conto che anche loro, come tutti, da lei volevano solo una cosa: possedere il suo corpo.

Purtroppo, nonostante l’assidua caccia che aveva dato ad Hewitt in quegli anni, fino a sei mesi prima non aveva ottenuto molto: mancavano sempre le prove.

Era cambiato qualcosa solo durante la primavera precedente, quando seppe che il socio di Hewitt, John Taylor, era finito a sua volta sul lastrico, probabilmente imbrogliato dallo stesso Cedric.

Quell’informazione la spinse a scoprire dove si trovava Taylor e a fare la mossa successiva: gli fece pervenire una lettera in cui prometteva denaro in cambio d’informazioni e di una testimonianza sui suoi trascorsi con Hewitt.

All’incirca un mese dopo ricevette un messaggio in cui Taylor la invitava a raggiungerlo a Bath. Partì immediatamente, approfittando anche del fatto che aveva appena terminato un incarico per conto di Sua Maestà la Regina Vittoria e che desiderava riposarsi qualche settimana; purtroppo giunta a Bath l’unica cosa che scoprì fu che John Taylor era stato ucciso.

Mentre si trovava nella rinomata stazione termale in attesa di notizie da parte della polizia locale, fu contattata dall’Imperatore Francesco Giuseppe per un incarico che le avrebbe cambiato per sempre la vita…

 *

Quando la lettera di Marie era giunta a Beaulieu, si era riscossa ed era ripartita per la Francia, a caccia dell’uomo che un tempo sarebbe dovuto diventare suo marito.

Aveva ancora meno di due anni per dimostrare che Hewitt aveva portato al suicidio suo padre e non poteva permettere a nessuno, neppure al ricordo dell’uomo di cui si era follemente innamorata, di interferire con i suoi piani. Aveva tacitato il proprio cuore che le urlava che André le sarebbe stato accanto nonostante tutto, anzi che l’avrebbe aiutata, con la stessa giustificazione che si era data per costringersi a lasciarlo: non voleva fargli correre dei rischi. Ma sapeva che in fondo, rinunciando all’amore, si stava ancora punendo per ciò di cui si era sempre sentita in colpa in quegli anni, ossia il suicidio del padre.

Era arrivata a Parigi proprio nello stesso giorno in cui, un anno prima, aveva conosciuto André, solo per scoprire che Hewitt si era spostato di nuovo. Fortunatamente aveva saputo subito dove si era diretto, perché altrimenti sarebbe stata tentata di dirigersi verso la Borgogna, per vedere i luoghi dov’era nato e cresciuto André, con l’unico risultato di ritrovarsi con il cuore ancora più spezzato. Aveva seguito Hewitt  per tutto l’autunno del 1857 tra il Regno di Sicilia, il Granducato di Toscana e il Belgio, facendo il possibile per dimenticarsi del Conte D’Harmòn, finché non era stata raggiunta dalla notizia della malattia di Lady Montagu, che l’aveva riportata in Inghilterra appena in tempo per rivedere sua madre viva per l’ultima volta.  

Lady Montagu era deceduta soltanto da poche settimane, il primo febbraio del 1858, a meno di undici mesi dallo scadere della proroga concessa dalla Regina Vittoria e ad un anno di distanza dal giorno in cui Sarah aveva lasciato il suo cuore e l’uomo che lo possedeva su una nave diretta in America.

 

 

Asciugandosi le lacrime si domandò ancora una volta come aveva trovato la forza per portare avanti la sua decisione, dopo aver letto le pagine del diario di André.

E tutto per cosa?

Era passato oltre un anno, da quella notte, e la sua vita era allo stesso punto di prima, se non peggio: suo fratello era ancora disperso dopo la guerra in Crimea; sua madre era morta e lei non aveva fatto alcun passo in avanti nel tentativo di riabilitare il nome della  famiglia.

Si sentiva terribilmente sola…

Neppure l’idea di partecipare alla festa in maschera era servita a farla stare meglio.

Era bastato uno sconosciuto alto, dalla voce profonda, che voleva ballare con lei, per ridurla in uno stato pietoso e farle desiderare di poter tornare indietro nel tempo e risvegliarsi ancora tra le braccia dell’unico uomo che avrebbe amato per sempre.

 

  
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