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Autore: Neverland Moony    06/01/2013    6 recensioni
«Noi siamo streghe. Passiamo ad Hogwarts gran parte della nostra vita. Conviviamo con fantasmi di ogni genere. Ma non hai mai l’impressione che tutto questo sia surreale? Non ti sembra mai di guardare quello che ci accade intorno attraverso una finestra? Non… » era la frase più difficile da pronunciare per lei, perché conteneva in quelle poche parole l’incubo che ormai faceva ripetutamente e senza minimi cambiamenti almeno una volta al mese da anni «N-Non hai mai avuto paura del fantasma del tuo passato?»
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Marlene McKinnon, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Il profumo dello zucchero filato mi stava inebriando. Le grida dei ragazzi sulle montagne russe, quelle nemmeno le sentivo. Sembravano quasi un rumore di sottofondo. Le luci, le vedevo con la coda dell’occhio. Erano tante, e di mille colori diversi, accompagnate da musica da discoteca al massimo volume.
Io restavo immobile davanti all’entrata del Luna Park, mentre fumi rosa non ben definiti mi ricoprivano.
Mi mordicchiavo le labbra, senza ricordarmi nemmeno il motivo per cui ero arrivata fin lì. E fissavo un piccolo ciuffo d’erba umida sul terreno.
Intorno a me, pareva che girassero mille ombre, fantasmi del passato.
Era la seconda volta, in tutta la mia vita, che mettevo piede in quel posto.
La prima volta, mi ci aveva portata mio padre, quando ero molto piccola, per cercare di distrarmi dopo la morte di mamma. Io ero stata molto male. Ero un personaggio piuttosto asociale, da bambina.
Con il passare degli anni avevo imparato a vivere nella solitudine.
Più volte mio padre aveva provato a portarmi fuori, ma senza ottenere alcun successo.
La maggior parte del tempo lo avevo passato chiusa in camera mia, a leggere e studiare.
Quando mi era arrivata la lettera da Hogwarts e avevo iniziato a frequentare quindi la scuola di magia, avevo semplicemente imparato ad indossare una maschera, sempre, con tutti.
Ma quando papà mi aveva portata al Luna Park, tutto mi era parso diverso. Avevo guardato tutte quelle giostre come se fossero il paradiso.
Sinceramente non ricordo cosa ci avessi trovato di tanto meraviglioso, ora a guardarlo con gli occhi di una diciassettenne sembrava una noia mortale, come tutto il resto.
Mi grattai una spalla, e abbassai di poco lo sguardo notando il modo in cui mi ero vestita. Un classico, maglietta larga da uomo, jeans stretti e scarpe da ginnastica.
I capelli mossi finivano con delle punte quasi a spirale. Il potere dell’invisibilità era sempre stato dalla mia parte con quel travestimento.
Probabilmente ero l’unica in tutta la scuola a non aver mai avuto un ragazzo, ma poco mi importava.
In fondo a che serviva stare insieme a qualcuno? A questa età poi! Mi facevano venire la nausea le coppiette che si sussurravano di amarsi e di restare insieme per sempre, tanto si lasciavano due settimane dopo.
Mi distinguevo dalle mie coetanee anche per i sogni. Io non sognavo mai.
A parte rarissime volte in cui mi appariva mentre ero in dormiveglia la mia immagine che precipitava nel vuoto nero, ma non ero molto sicura che si trattasse di un sogno.
Mi dava semplicemente la vomitevole sensazione di cadere e le vertigini. Durante quei casi mi svegliavo di soprassalto, col fiatone, il cuore che batteva violentemente, e non riuscivo ad addormentarmi per ore.
Invece le mie compagne facevano un sacco di sogni interessanti, e ogni giorno non mi risparmiavano la tortura di raccontarlo alla classe come se fosse uno scoop.
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla, bloccandomi le dita che la grattavano. Mi voltai con un’espressione annoiata.
Chiunque fosse si sarebbe beccato un bel cazzotto se non mi avesse lasciato stare.
Quando il mio sguardo incrociò il suo mi resi conto che si trattava di un ragazzo alto, dai capelli neri come la pece e gli occhi color nocciola. Erano penetranti, ma se sperava di far colpo su di me si sbagliava di grosso.
Il Luna Park era pieno di gente come lui, palloni gonfiati che di concreto avevano ben poco. Alzai un sopracciglio guardandolo storto, ma per tutta risposta mi fece un sorriso smagliante come se lo conoscessi da una vita.
«Hai una paralisi facciale o cosa?» chiesi con acidità. Ero intenzionata a togliermelo dai piedi il prima possibile. Lui non rispose, ma quello che fece mi lasciò a bocca aperta.
Allontanò la mano dalla spalla e iniziò ad arretrare. Solo che i suoi piedi non stavano toccando terra, in realtà non aveva dei piedi, ma del fumo nero.
In pochi attimi scomparve tra la nebbia. Mi stropicciai gli occhi per assicurarmi di non essermi immaginata tutto. Sicuramente era solo parte del divertimento del Luna Park. Era la notte di Halloween, la gente si divertiva a fare scherzi, tutto qui.
Mi convinsi di questo e mi massaggiai il collo. Tirai fuori dalle tasche una sigaretta piuttosto spiegazzata, l’ultima che mi era rimasta, e l’accendino color rosso fuoco che portavo sempre con me.
Mi poggiai la sigaretta tra le labbra e con un clic feci uscire la piccola fiamma dall’accendino. Aspirai profondamente per poi farmi scivolare rapidamente l’oggetto scarlatto di nuovo nella tasca.
Mio padre naturalmente non sapeva che fumavo, non lo aveva nemmeno mai sospettato. A dire il vero, per molti anni dopo la morte di mamma la gente non poteva fumarmi accanto senza che io iniziassi a gridare e agitarmi come una pazza, ma con il tempo quel gusto e quella sensazione nei polmoni mi faceva sentire più vicina a lei, a mamma; mi faceva sentire il suo profumo.

 
Quando Marlene McKinnon si svegliò da quell’incubo era tutta sudata in viso.  Si era alzata di scatto da letto con il cuore che batteva all’impazzata come se volesse uscirle fuori dal petto. Scese dal letto del dormitorio per recarsi in bagno a sciacquarsi il viso, ma inutile dire che la sua goffaggine la portò ad inciampare sulla propria valigia, che aveva lasciato disordinatamente sul pavimento, così da svegliare la sua migliore amica, Lily Evans, che si svegliò stropicciandosi gli occhi. Quel rumore non l’aveva spaventata, perché dopo sette anni conosceva fin troppo bene Marlene. 
«Ancora quel sogno, Lene?» mormorò Lily con tono materno e protettivo.
«S-sì…» mormorò la ragazza mezzosangue.
«Tremi come un fuscello.» constatò Lily alzandosi dal letto facendo attenzione di poggiare i piedi all’interno delle sue comodissime pantofole. Fece uno sbadiglio e si avvicinò alla compagna abbracciandola dal dietro e poggiando una guancia sulla sua schiena.
«Vedi di non addormentarti addosso a me.» era bastato quel piccolo gesto di Lily per far abbozzare un sorriso a Marlene, che adesso almeno non  pareva più sul punto di avere una delle sue tremende crisi.
«E’ più probabile che mi addormenti ora che ti sei calmata, che prima.» mormorò Lily per non svegliare le altre, dopo aver fatto un lungo e riflessivo sbadiglio.
«Lasciami indovinare, perché ci tieni a me e ti preoccupi se io non sto bene?» ridacchiò Lene, che già si aspettava una risposta negativa da parte dell’amica, la quale pareva sì dolce e smielata, ma che con Marlene riusciva a tirar fuori la parte più maligna di se stessa.
«Affatto. Stavi tremando peggio di un vibratore!» esclamò Lily, rendendosi però conto di aver parlato con voce fin troppo alta e adesso un paio di ragazze si erano rigirate nei loro letto, per fortuna senza svegliarsi. Sia Marlene che Lily strozzarono una risata, ma la prima di loro tornò subito ad avere un tono serio. Si staccò da quell’abbraccio e scese silenziosamente le scale che davano al salottino della loro Sala Comune, davanti al caminetto, perennemente ardente. Lily in un primo momento rimase immobile, stupita: era la prima volta che la sua migliore amica non tornava a letto dopo essersi calmata. La raggiunse qualche istante dopo e andò a sedersi con lei sul comodissimo divano. Sapeva che qualcosa era diverso da tutte le altre volte. Il silenzio regnò su di loro. Ma non era quel genere di silenzio imbarazzante che si crea spesso tra due persone che si conoscono da poco, ma più che altro quel silenzio abissale e profondo, che conferiva a quel momento un’importanza altisonante. Fu Lily a rompere il silenzio, pur sapendo che si trattava di un argomento delicato. Ma sapeva anche che l’unico modo per aiutarla era andare a toccare lì dove il dente duole.
 «Sai Lene, non mi hai mai voluto raccontare questo tuo sogno che fai ormai da sette anni…» aveva pronunciato quella frase con tono pensieroso, per cercare di farle pesare il meno possibile il significato che si celava dietro quelle parole.
«Hai ragione. Vorrei davvero potertelo raccontare, e ho intenzione di farlo, ma…» Marlene fece una lieve pausa deglutendo. Non era da lei avere quel viso pallido e quella debolezza nella voce. Di solito lei era la ragazza costantemente sicura di sé e in grado di affrontare qualsiasi difficoltà. No. Quella non era la vera Marlene McKinnon, ma solo la maschera che indossava. «Ad una condizione. Dovrai prima rispondere a delle domande.» terminò così la frase, senza aspettarsi che Lily le desse una risposta a parole. Difatti si limitò a fissarla negli occhi.
«Noi siamo streghe. Passiamo ad Hogwarts gran parte della nostra vita. Conviviamo con fantasmi di ogni genere. Ma non hai mai l’impressione che tutto questo sia surreale? Non ti sembra mai di guardare quello che ci accade intorno attraverso una finestra? Non…» era la frase più difficile da pronunciare per lei, perché conteneva in quelle poche parole l’incubo che ormai faceva ripetutamente e senza minimi cambiamenti almeno una volta al mese da anni «N-Non hai mai avuto paura del fantasma del tuo passato?»
Forse era per questa ragione che Marlene era sempre apparsa così forte e coraggiosa. Questa la ragione per cui il Cappello Parlante l’aveva smistata in Grifondoro ritenendola degna di indossare la divisa nera ornata da bordi rossi. Il fatto che a Marlene i Dissennatori, i Mangiamorte, i lupi mannari, come qualsiasi altra cosa, paragonati al suo passato, parevano briciole di sabbia al Polo Nord.
Lily, che subito intuì questa cruda realtà le strinse forte la mano. Queste domande in verità l’avevano scossa. Si era imposta come principio il non guardare mai indietro e ora che Marlene la stava costringendo a farlo il sangue le si raggerò nelle vene. Annuì col viso, mentre pensieri oscuri si crearono nella sua testa, che iniziò a roteare e roteare, portandola in una dimensione assai lontana da loro, finché i ricordi non presero vita e le sue labbra non iniziarono a muoversi spiegando a Marlene quegli astrusi pensieri che volteggiavano nella sua testa come foglie bloccate nel letale vortice di un tornado.
  
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