Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: ObliviateYourMind    09/01/2013    1 recensioni
Victoria è una ragazza che ha realizzato il suo sogno: è la cantante di un famoso gruppo rock. Un giorno, però, un evento inaspettato sconvolge la vita di Vic e i suoi rapporti con le altre persone, portandola a riflettere su se stessa e su tutto ciò che è accaduto.
Che cosa le è successo e che cosa l'ha condotta fino a lì? Sta a voi scoprirlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Everybody sing like it’s the last song you will ever sing
Tell me, tell me, do you feel the pressure now?

 

Right now you’re the only reason

 

 

 

 

I colori erano sbiaditi. Le persone attorno a me parevano ectoplasmi, tanto i loro contorni erano sfumati. Tutto ciò che riuscivo a udire si riduceva ad un fastidioso fischio che mi perforava i timpani. Cercavo disperatamente qualcuno in mezzo alla folla che mi circondava, invano.

 

«Brian!» urlavo, «Brian! Dove sei?»

Mentre gridavo a squarciagola le persone si giravano e mi fissavano in modo strano.

Senza volerlo, urtai il braccio di una signora che immediatamente si voltò e mi disse: «Cosa ci fai qui? Non sei la benvenuta!», ed i suoi occhi infuocati mi squadrarono dalla testa ai piedi.

«Ma...dove siamo? Dov'è Brian? E David? Io devo trovarli, la prego, mi aiuti...»

Ma più parlavo, più mi rendevo conto che nessuno lì mi avrebbe aiutata. Non riuscivo a capire dove fossi, né chi erano le persone attorno a me che continuavano a fissarmi con occhi maligni.

 

Ad un certo punto, il cuore cominciò a sobbalzarmi nel petto, sempre più velocemente. In lontananza, tra quella miriade di teste sfocate, mi era parso di vedere lei, Hayley, che veniva verso di me.

“Ma allora tutto questo non è un sogno! È la realtà... Ed ora mi trovo proprio nel parco dello Stadio, in attesa di iniziare il concerto”, pensai.

Così cominciai ad urlare per farmi notare da lei.

«Hayley! Ehi... Hayley!», ma lei non mi notò e sparì tra la folla.

 

 

«Vicky! Dai, svegliati! C'è Brian di sotto...»

Di chi era quella voce?

Uno scossone mi riportò velocemente alla realtà. Aprii gli occhi e realizzai.

“Come pensavo. Era solo un sogno.”

Mio fratello era seduto sul bordo del letto, una mano ancora appoggiata sulla mia spalla.

«Finalmente la Bella Addormentata ha deciso di svegliarsi, eh! Guarda che c'è Brian giù in salotto...dice che vorrebbe che beveste qualcosa insieme prima di andare al concerto»

Mi misi a sedere incrociando le gambe, avendo la premura di stiracchiare per bene i miei muscoli intorpiditi.

«Oh...ciao, Josh. Stavo facendo un incubo quando mi hai svegliata, per fortuna che sei arrivato tu» dissi con un sorriso, e mi sporsi in avanti per baciarlo.

«Ehi, ma come sei dolce stamattina! È per caso merito di una certa cosa che deve succedere oggi?» mi disse lui, facendo un sorrisino allusivo.

«Oddio, ti prego, non farmici pensare! Non riesco ancora a crederci» risposi io, sorridendo di rimando.

 

Mi conoscevo abbastanza bene da sapere che se avessi cominciato a fantasticare sul concerto di quella sera, avrei avuto il batticuore per due giorni dall'agitazione. Cercando di pensare a qualcos'altro, mi alzai e mi diressi verso la scrivania sulla quale avevo appoggiato la mia borsa. Accesi il cellulare per precauzione (''Non si sa mai che capiti qualche imprevisto...meglio essere pronti'') e lo riposi nel taschino interno della borsa.

Mentre pensavo disperatamente a cosa indossare, Josh mi fissava con un'espressione scocciata, seduto sul mio letto.

Il mio trolley era ancora di fianco all'armadio da quando ero tornata a casa, quindi non feci altro che infilarci alla rinfusa qualche capo di biancheria intima e chiudere la zip.

«Sei pronta?» mi chiese mio fratello, ma vedendomi indaffarata non aspettò nemmeno che rispondessi e si incamminò lungo le scale.

 

Continuai a frugare nei cassetti per altri cinque minuti, dopodiché mi arresi e scelsi un cardigan rosso e dei jeans neri. Spinta dalla fretta, indossai il cardigan a rovescio per ben due volte. Nel frattempo, le voci di Brian e Josh che discutevano concitati rimbombavano nel pianerottolo.

 

«Vicky! - urlò mio fratello, - dai, sbrigati!»

“Ma per quale motivo sta strillando in questo modo? Le prove non cominceranno prima delle tre!” pensai, intenta ad infilarmi le scarpe.

Gettai un'occhiata alla sveglia: erano le dieci e mezzo. C'era tutto il tempo del mondo.

Ad ogni modo, non avevo voglia di continuare a sentire le urla di mio fratello, perciò afferrai al volo la borsa e mi precipitai al piano di sotto facendo sbattere le ruotine del mio trolley contro gli spigoli dei gradini.

Non appena intravidi le spalle di Brian da dietro lo stipite della porta, provai una gran stretta allo stomaco, simile alla sensazione che danno le vertigini. In effetti, mi sentivo proprio come sull'orlo di un precipizio, sul punto di perdere l'equilibrio e precipitare nel vuoto.

Cercai di scacciare dal mio corpo quella fastidiosa sensazione e mi costrinsi a varcare la soglia.

 

«Hey, ciao!» dissi, salutando Brian con un sorriso e un cenno della mano.

«Ciao, bellissima» rispose lui, e il mio corpo fu scosso nuovamente dalle vertigini. Mi resi conto che probabilmente ero diventata di un colore simile al peperoncino, perciò cercai di comportarmi in modo indifferente fingendo di cercare qualcosa nella borsa. Facevo sempre così, ogni volta che mi sentivo in imbarazzo.

La realtà era che solo un cieco avrebbe potuto non notare che Brian sprigionava una sorta di aura magica, che ti attirava a sé fino a che, ormai, non c'era più niente da fare.

Era così affascinante, così bello, che quando ti fissava sentivi la terra scomparire sotto ai piedi.

La vergogna che avevo provato per quel suo saluto mi aveva distratta così tanto, che non mi ero accorta di ciò che Josh stava urlando ormai da un minuto.

«Pronto? Terra chiama Vic, terra chiama Vic! - diceva, gli occhi sbarrati – Ci sei?»

“Che idiota – pensai tra me e me -, comportarmi così proprio in sua presenza...”

E poi, ad alta voce: «Oddio, scusate, ero convinta di avere perso il cellulare, sapete com'è...perdo sempre tutto» mentii non troppo prontamente.

«Bene Vic, se sei pronta io andrei. Alle tre dovremo essere allo stadio, è meglio non arrivare in ritardo» disse Brian, alzandosi scattante, e così facendo si diresse verso l'entrata per indossare il cappotto.

«Ciao, sorellina. Mi raccomando, eh...non svenire quando incontrerai Hayley e gli altri» mi salutò Josh, con una risata sarcastica. Io purtroppo non risi, poiché sapevo che sarebbe potuto succedere veramente. Allontanai alla svelta quell'orribile pensiero e mi tuffai tra le sue braccia.

«Ciao, ci vediamo questa sera dopo il concerto. Speriamo che la nonna...- iniziai, ma subito mi resi conto di non sapere bene cosa dire – Insomma, ecco, non vedo l'ora!» conclusi, sforzandomi di sorridere.

Raggiunsi di corsa Brian, che mi stava già aspettando lungo il vialetto fuori casa, in piedi di fronte alla sua auto, che lanciava sfavillanti bagliori sotto la luce del sole.

«Ciao Josh, salutami mamma e papà...e soprattutto la nonna!» dissi, aprendo la portiera dell'auto.

 

 

 

Il concerto si sarebbe tenuto al Magness Arena, uno degli stadi più importanti situati alla periferia di Denver, nel quale di solito si tenevano le partite di football. In effetti, sembrava davvero incredibile che il manager dei Paramore avesse deciso di farli esibire proprio lì, a pochi chilometri da casa nostra. In quel momento pensai che doveva essere merito del destino.

Il sound-check non sarebbe iniziato prima delle tre del pomeriggio, per cui io e Brian avevamo un bel po' di tempo a nostra disposizione.

 

«Che ne dici di andare al Rackhouse? È da un po' che non beviamo uno di quei buonissimi drink» propose lui, qualche minuto dopo, mentre con l'auto percorrevamo la Strada Statale.

«Mah, se ne sei convinto...diciamo che a quest'ora mi andrebbe di più una tazza di latte con i cereali» risposi io, con una risata nervosa.

Alla luce del mattino, il viso di Brian sembrava brillare ancora di più. Mi sforzai di non farmi notare mentre osservavo il suo profilo, concentrato sulla guida.

Per un istante mi chiesi se lui mi considerava speciale almeno la metà di quanto io lo pensavo di lui. Mi augurai di sì.

 

 

Le ore successive passarono veloci. Io e Brian pranzammo al pub e lui mi intrattenne con le sue risate e i suoi racconti, tanto che quasi mi dimenticai del concerto.

Quando però mi accorsi, guardando l'orario, che era arrivato il momento di andare, l'ansia tornò a impossessarsi di me.

«Non so, ho...paura» dissi, con un attimo di esitazione, subito prima di salire in macchina nel parcheggio del pub.

Brian mi fissò per un attimo, poi mi abbracciò. Era un abbraccio inaspettato, caldo ed avvolgente.

«È normale che tu abbia paura, Vic. Ne ho anch'io» mi sussurrò dolcemente.

«È che ci sarà anche mia nonna...e ho paura che stia male, che non sia pronta per un passo così grande»

«Ma non devi preoccuparti: se il dottore ha acconsentito a lasciarla venire, un motivo ci sarà. Vuol dire che l'ha ritenuta pronta»

Lo guardai negli occhi. Stava sorridendo, sembrava sereno e soprattutto, sincero.

«Fidati di me» mi disse.

Gli sorrisi e, a malincuore, lasciai la presa sul suo corpo per aprire la portiera dell'auto.

 

 

Quando arrivammo allo stadio, circa mezz'ora più tardi, David e gli altri erano già intenti a sistemare gli strumenti. Una massa di persone era accalcata davanti al cancello d'ingresso, alcuni seduti per terra, altri radunati in piccoli gruppi.

La tensione cominciava a salire. Che quelle persone fossero lì per noi o per i Paramore, poco importava, non cambiava le cose: tutti avrebbero assistito alla nostra esibizione, nel bene o nel male.

 

«Ooooh, finalmente siete arrivati!» esclamò Matthew non appena ci vide arrivare.

«Già...eccoci qui» confermò Brian, rivolgendo un cenno di saluto ai nostri amici.

«Su, non perdiamo tempo, iniziate subito con le prove: quando arriveranno i Paramore il palco dovrà essere già libero, mi raccomando» ci comunicò uno degli organizzatori.

All'udire la parola 'Paramore', il mio cuore ebbe un tuffo. Solo in quel momento mi resi veramente conto di cosa sarebbe successo di lì a poco: avrei incontrato il mio gruppo preferito, ma non solo: avrei cantato assieme a colei che per me era sempre stata un mostro sacro della musica: Hayley Williams.

Probabilmente poiché scorse sul mio volto un'espressione di disagio, Brian mi passò accanto e mi rivolse un sorriso molto significativo.

 

Dopo sole due ore, ero già sfinita. Non che avessi cantato poi così tanto, ma l'attesa e l'ansia a quanto pareva mi stavano uccidendo. Decisi di rifugiarmi in camerino in attesa che quel maledetto mal di testa che mi perseguitava ormai da un'ora passasse.

Distesa sul morbido divanetto in pelle nera, le cose sembravano quasi più chiare di quanto non mi fossero apparse fino a poco tempo prima.

Il mio corpo si rilassò, la mia mente si svuotò e presto mi addormentai.

 

 

«Pssst! Pssst! Victoria, svegliati»

Aprii gli occhi con molta fatica, mi misi seduta e solo allora mi passai forte le mani sulla fronte nel tentativo di svegliarmi come si deve.

Brian era inginocchiato per terra, di fianco al divanetto, e teneva una mano appoggiata sulla mia coscia.

«Oh...sei tu» feci io, come se non mi aspettassi la sua presenza.

Per tutta risposta, Brian si avvicinò lentamente, sporgendosi oltre il bracciolo del divano, e mi baciò.

Era un bacio dolce e consapevole.

Ritrasse le sue labbra all'improvviso, mi guardò serio e pronunciò le due parole più dolci che un essere umano possa sentire: «Ti amo»

«Ti amo anche io, Brian. Non immagini quanto. Essere qui con te, in questo momento, è la cosa più bella che potessi desiderare»

 

Un rumore improvviso alla porta mi fece sobbalzare. Qualcuno stava bussando, ma più che un invito ad aprire sembrava un tentativo di buttare giù la porta.

Brian si alzò molto lentamente e andò ad aprire per vedere chi fosse.

Là fuori c'era il nostro manager, paonazzo e agitato come non mai.

«Sbrigatevi voi due, sono arrivati i Paramore. Non fatevi attendere, per favore. Vi aspetto di là» e se ne andò senza dire altro.

«Merda merda merda» imprecai, fuori di me, mentre tentavo di rendermi vagamente presentabile. Mi sciacquai il viso, pettinai i capelli e misi in bocca una mentina. Decisi che mi sarei truccata poco prima del concerto.

Con il cuore che mi batteva forte, presi per mano Brian ed uscii nel corridoio.

Sentivo delle voci provenire da un camerino poco distante dal mio: mi feci coraggio e mi avvicinai.

La piccola stanza nella quale ero appena entrata era molto più curata e accogliente della mia: colorata e spiritosa, rispecchiava perfettamente il carattere delle persone che la occupavano, seppur temporaneamente.

 

“Eccola lì. È lei”, pensai, nel panico. L'avevo vista, seduta su un pouf blu al centro della stanza.

«Eccovi qui, siete arrivati! Finalmente posso conoscervi...ho sentito tanto parlare di voi, sapete? Soprattutto di te, Victoria»

Hayley, con la sua chioma rossa fiammante che danzava seguendo i suoi movimenti, mi si avvicinò e mi abbracciò.

«Tanto piacere – disse, baciandomi sulle guance – Sono davvero contenta di cantare con voi»

Si avvicinò a Brian e lo salutò allo stesso modo.

“Oh – mio – Dio” pensai. “È assolutamente meravigliosa”

Guardandomi attorno, notai che Jeremy, Taylor e un altro ragazzo che non conoscevo si stavano avvicinando a loro volta per salutarci.

 

I ragazzi furono assolutamente fantastici. Dopo poco, scoprii che David, Matthew e Luke si erano già presentati ai Paramore mentre io e Brian eravamo in camerino.

Quando finalmente ebbi superato – anche se non del tutto – l'ansia che mi attanagliava lo stomaco, riuscii ad osservare per bene le persone che mi circondavano.

Hayley era come me l'ero sempre immaginata. Solare, estroversa e spiritosa. Continuava a fare un sacco di battute alle quali tutti ridevamo.

Quel pomeriggio era vestita con una salopette giallo limone sotto alla quale indossava una t-shirt bianca. Ai piedi portava un paio di Dr. Martens nere con una stampa a fiorellini. Pienamente nel suo stile.

Jeremy e Taylor erano gentilissimi con noi, si preoccupavano che fossimo sempre a nostro agio.

Ovviamente, erano belli come apparivano in tv e sui giornali.

Discutemmo per qualche ora della scaletta, ci chiesero se avessimo delle preferenze particolari ed io intonai assieme ad Hayley qualche stralcio di canzone. Era tutto così perfetto da sembrare un sogno.

Le lancette dell'orologio zebrato appeso alla parete, però, erano impietose con noi: quando me ne accorsi, erano già le otto. Dopo un'ora sarebbe cominciato il concerto.

Nel frattempo, un gran trambusto sembrava sconvolgere il mondo del 'dietro le quinte': dal corridoio proveniva ogni sorta di voce, rumore, grido e perfino, in alcuni casi, imprecazione. Tutti erano ormai nel panico.

Hayley, Taylor, Jeremy e i loro collaboratori ci salutarono e ci chiesero di uscire in modo da lasciare loro il tempo di prepararsi.

 

Non saprei dire se purtroppo o per fortuna, fatto sta che l'inizio del concerto arrivò prima di quanto mi aspettassi. Infatti, nonostante fossi felicissima, l'agitazione mi impediva di godermi appieno quello che stava succedendo.

Da quel momento in avanti, il tempo corse talmente veloce che tutto quello che mi successe apparve come un fulmine al mio cervello: le urla dei fan, i flash delle macchine fotografiche, la prima canzone cantata assieme ai Paramore (facemmo 'Born for this'), l'eccitazione della mia band e tutto il resto.

Era una sensazione molto strana, nonostante l'avessi provata spesso: mi accadeva praticamente tutte le volte che mi esibivo, ma quella sera risultò come amplificata di cento volte.

“Questa è la serata più bella della mia vita” pensai. Il mio sogno si era finalmente realizzato, in più Brian aveva dimostrato di provare qualcosa di speciale per me, il che significava moltissimo.

Ma la cosa che più mi rendeva euforica era che, durante quel concerto, mia nonna Faith mi stesse guardando. Lei era la persona che più mi conosceva: nonostante le sue condizioni di salute non fossero proprio delle migliori, io ero – non so come – assolutamente certa che lei gioisse per il mio successo.

Insomma, non potevo desiderare di meglio.

 

Dopo circa due ore di musica, sudore e adrenalina, il concerto finì.

Con un sorriso a trentadue denti, mi unii alla catena di mani intrecciate iniziata da Hayley e noi, assieme ai Paramore, ci inchinammo davanti alla folla urlante.

Dopo un ultimo saluto, mi diressi verso il fondo del palco e mi nascosi dietro i tendoni neri. Brian mi raggiunse subito.

«Vuoi sapere una cosa?» mi chiese con un sorriso.

«Uhm, sì, dimmi!»

«Sei stata semplicemente favolosa stasera»

Arrossii all'istante e mi affrettai a rispondere: «Grazie, ma...siete stati tutti favolosi. Non solo io»

Brian mi rivolse una strana espressione crucciata, come se lo stessi prendendo in giro.

«Dico sul serio, sai!» esclamai. «Ma...a proposito! Voglio correre dalla nonna, devo salutarla assolutamente!» e così dicendo, corsi via, in cerca dei miei genitori, che mi avevano detto che sarebbero rimasti dietro le quinte tutto il tempo.

 

Dopo qualche minuto di ricerche inutili, mi resi conto che qualcosa non andava. Avrebbero dovuto essere lì, e comunque il concerto era finito da pochissimo tempo. Non potevano essersene già andati!

All'improvviso, una strana luce colpì i miei occhi, già abbastanza provati dal bagliore accecante dei riflettori.

Da dietro un tendone, un vortice luminoso rosso e blu lanciava segnali di allarme. I visi sempre allegri e gioviali delle persone che mi circondavano – organizzatori, manager, amici – sembravano coperti da un velo di morte.

«Che...che cosa sta succedendo?» chiesi, balbettando. Non ero sicura di voler conoscere la risposta. Avevo già capito tutto, ma volevo una conferma.

«Ci sono stati dei, ehm...problemi con tua nonna» mi rispose una voce in mezzo al gruppo che circondava l'ambulanza. Non riuscii a collegarla a nessun viso di mia conoscenza.

«La stanno per portare in ospedale» continuò, sempre la stessa voce.

 

Non feci in tempo a chiedere agli operatori sanitari di aspettare a partire, che quelli avviarono il motore e con un rombo l'ambulanza partì, solo una nuvola di fumo nero e puzzolente dietro di sé.

 

 

 

 

Credits: la canzone citata all'inizio è "Born for this" dei Paramore.
Tutti i personaggi presenti in questo capitolo sono di mia invenzione, fatta eccezione per i Paramore. Con questo mio scritto non intendo in alcun modo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone.

Angolo dell'autrice:

Dopo tipo un millennio, ecco qui il nono e penultimo capitolo della storia. È molto più lungo degli altri, quindi se siete arrivati a leggere fino alla fine vi ringrazio moltissimo. Sono abbastanza soddisfatta dello sviluppo che ho dato alla storia, e spero che sia la stessa cosa anche per voi =)

mi scuso per il tempo che ci ho messo a completare questo capitolo, ma tra esami, impegni e altre cose non ho mai avuto tempo e nemmeno ispirazione per scrivere.

Alla fine credo che ne sia valsa le pena ^-*

mi piacerebbe tantissimo che mi lasciaste una recensione in cui mi dite cosa ne pensate di ciò che avete letto...accetto critiche, commenti, suggerimenti come sempre!

Ci vediamo al prossimo capitolo – l'ultimo -, spero presto.

Graaaazie e ciao :D

Giulia

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: ObliviateYourMind