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Autore: lady hawke    11/01/2013    1 recensioni
Nell'Ungheria del 1300 essere una strega o un mago non è impossibile, ma decisamente complicato. Bisogna nascondersi, fingere di non avere niente a che fare con pratiche considerate demoniace e bisogna farla franca davanti ad Inquisitori e ministri di Dio. Di uno Statuto di Segretezza si continua a parlare, ma niente è stato deciso. In questo clima è cresciuta una bambina che, da adulta, verrà ricordata come Guendalina la Guercia, colei che finì sul rogo ben trentasette volte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note: Troverete il titolo del capitolo molto legato al caro Faber, ma è un caso, più o meno. La canzone però è meravigliosa, se volete ascoltarla sono certa che vi piacerebbe, a me mette tanta allegria. Ho fatto ricerche molto… ridotte sull’aspetto che potesse avere Stoccolma a metà Trecento. Sapete, finché si parla del proprio paese o di posti grossi e conosciuti come Londra e Parigi è un conto, ma qui mi ritrovavo a brancolare nel buio, più o meno; confido nella vostra clemenza. “Staden mellan broarna” è svedese, naturalmente, e significa città tra i ponti. Mi scuso inoltre per il ritardo dicendovi che il capitolo è un pochino più lungo, e che mi impegnerò a non farvi più attendere tanto. I commenti non sono graditi: di più :3







Capitolo diciassette: volta la carta
 
Sapevano che Stoccolma si trovava vicino al mare, ma non si aspettavano che sorgesse su diversi isolotti collegati da ponti di legno e pietra. Il sole si rifletteva sulle acque dei canali, rendendo tutta la città splendente.
- Ecco perché la chiamano “staden mellan broarna”. – Megarda, che veniva da un villaggio piccolissimo e per cui anche Durmstrang era un immenso universo a sé stante, la capitale della Svezia pareva gigantesca.
- Dovremmo nascondere le scope. – Agnuska pareva ansiosa; avevano visto Ser Wilhelm sparire tra la folla, accolto come un eroe, e non si sentiva troppo tranquilla in mezzo a tante facce sconosciute.
- Dovremmo rimpicciolirle e nasconderle, questo è certo. – Guendalina, autoproclamatasi capo della spedizione, annuì convinta. – Cerchiamo un vicolo.
Non fu troppo difficile, in realtà: erano tutti troppo ansiosi di congratularsi con l’ammazzadraghi, e benedire il suo rientro come uomo sano e salvo. Forse Stoccolma non sarebbe stata così entusiasta, se avessero saputo che Wilhelm era un mago, ma la sua reputazione era al momento immacolata, e tanto bastava.
Le giovani fuggiasche, intanto, erano nascoste presso un crocicchio isolato, e stavano rimpicciolendo le loro scope a turno, coprendosi con il mantello.
- E anche questa è fatta. – disse Iwona, soddisfatta. – Cerchiamo alloggio?
Si misero in marcia, camminando tranquille per la città. La gente brulicava ovunque, era tanta, tantissima, e le case molto più alte rispetto a quelle a cui erano abituate loro, ed estremamente colorate; che fossero di legno o in pietra, erano quasi tutte intonacate. Bazzicando tra una bottega e l’altra e stando bene attente a non farsi rubare il loro denaro, poiché era essenziale anche solo per tornare a Durmstrang, le ragazze camminarono fino a Stortorget, la grande piazza.
Là, come si può trovare ovunque, anche in paesi come Dazelburg, c’era una taverna affollata e rumorosa che dava anche la possibilità di fermarsi per la notte. Così com’era accaduto la sera precedente, pagarono per la loro stanza e per la cena di due giorni.
- Prima di riempirci lo stomaco dobbiamo andare alla chiesa di San Giacomo. – disse al quel punto Draga, aprendo la bocca. – San Giacomo è il patrono dei Viaggiatori, e noi abbiamo detto che è per lui che eravamo in viaggio, anche adesso a quell’oste. – Draga lo indicò con il mento, squadrandolo torva. – Andarci per davvero è un nostro dovere.
Siccome nessuna aveva voglia di ricevere una maledizione celeste o di perdere il favore della Fortuna di cui avevano tanto bisogno, si avviarono alla chiesa sul fare della sera. Dovettero chiedere più volte dove trovarla, perché le indicazioni erano generalmente piuttosto vaghe sul genere di “quella rossa”, ma quando la raggiunsero dovettero ammettere che la descrizione era stata tutto fuorché mendace.
San Giacomo era una chiesa piccola, anche per gli standard delle ragazze, e a differenza di Durmstrang o delle chiese che si conoscevano sul continente, era costruita interamente di legno dipinto, tranne che per il tetto, costruito con ardesia grigiastra. Non era che una piccola cappella, sgargiante e accoglientissima. All’interno profumava di pino, e i grandi tronchi levigati e lucidati, usati per le arcate, risplendevano alla luce delle candele.
L’ambiente era spoglio, in verità: c’erano i banchi per la messa, il crocifisso, con un Cristo magrolino e parecchio striminzito, per la verità, e un bacile in pietra per l’acqua santa. Tutte quante immersero la mano, prima di farsi il segno della croce e di andare a inchinarsi davanti all’altare. Avevano acquistato candele, lungo la strada, e lì avevano deciso di accenderle come ringraziamento.
- Dovere compiuto. – disse Guendalina, uscendo dalla chiesa. – Ora la città è ai nostri piedi.
E lo fu, perché fino a che il sole rimase visibile in cielo, almeno un po’, le giovani si preoccuparono di scoprire le sfumature che cambiavano sulle facciate, si affacciarono sui ponti, e scivolarono sull’acciottolato consunto mentre passavano davanti all’imponente palazzo sede del re Alberto di Mecleburgo, un re non sempre amato, ma spesso temuto, che si era preso il suo regno con la forza e l’aveva difeso al costo di pesanti assedi. Sorprendeva che a Stoccolma niente di tutto questo fosse visibile: tutto pareva un’oasi di pace e tranquillità, anche quelle torri di pietra.
- Non è saggio vagare di sera. – disse ad un certo punto Megarda. – Inoltre ho fame. Rientriamo e teniamoci lontane dai guai. – aggiunse. Nessuna aveva da ridire in proposito, perciò, tenendosi strette a due a due, tornarono verso la piazza principale. Fu un percorso accidentato, perché le dimensioni della città le fecero perdere un paio di volte, ma a forza di girare intorno riuscirono a rientrare.
La taverna del Gallo, questo era il nome del luogo che sarebbe stato il loro… rifugio per quei giorni, era affollata e caotica. Le giovani studentesse di Durmstrang avevano già sperimentato quanto fosse saggio rimanere in disparte in un angolo, evitando contatti con estranei: vista la loro età, la loro inesperienza, ma soprattutto il loro sesso, c’era poco da scherzare.
Nonostante il gran vociare degli avventori si riuscivano a distinguere lingue diverse: parecchi marinai erano in sosta lì, e in fondo sembrava di essere quasi nel grande castello nascosto tra le montagne. Guendalina non sentì la sua lingua madre, ma del resto dubitava ci fossero molti ungheresi in grado di solcare i mari; sentirono però, assieme ad un sacco di svedese che masticavano a fatica grazie a Durmstrang, molti danesi, norvegesi e perfino lingue parlate in parti d’Europa che a stento avevano sentito nominare nel corso delle loro lezioni. Continuarono a tendere le orecchie, incuriosite, ma si ritirarono nella loro stanza quando il vociare era ancora alto. La camera era fredda e umida, rispetto agli standard a cui erano abituate, e dovettero adoperarsi a lungo perché iniziasse a scaldarsi.
- Bella locanda, per la capitale del regno. – sbottò Draga, stringendosi nel suo mantello. – Avremmo più caldo vagando per i sobborghi. È estate, accidenti!
- Porta pazienza, tanto conosciamo un mucchio di Incantesimi Riscaldanti. – ribatté Guendalina, sotto lo sguardo attonito di Megarda e Agnuska.
- Zitta! – esclamò la prima. – E se qualcuno ti sentisse?
- Dubito che qualcuno voglia origliare la stanza chiusa a chiave di un gruppo di anonime forestiere. – Guendalina non tollerava a lungo allarmismi secondo lei inutili, e per questa ragione lei e le compagne bisticciarono per un po’, finché non si addormentarono.
Il sole era già alto, quando le giovani aprirono gli occhi, e il fuoco del camino acceso con tanta cura doveva essersi estinto da ore. Rabbrividendo, le impavide giovani di Durmstrang si prepararono per godere di un’altra giornata piena di avventure a Stoccolma. Notarono presto come dovunque il nome di Sir Wilhelm veniva pronunciato, assieme a parole di benedizione e protezione per lui e la sua casata. Dopo un rientro in patria così trionfale, del resto, non poteva essere altrimenti. Molti avevano parole anche per Ulf, il cavaliere rimasto al nord: al suo nome di solito seguiva un sospiro e un segno della croce; in quel mondo, i cavalieri ammazzadraghi difficilmente conoscevano la vecchiaia, del resto.
- Chissà dove vive Wilhelm. – si chiese Megarda. – Di sicuro deve avere un grande palazzo.
- Non necessariamente grande. – rispose Iwona, sistemandosi il mantello. – Ma di sicuro vicino al palazzo reale o a quello di giustizia. Vicino al potere.
- Potere Babbano… - precisò Izabela. – Come sempre.
Incuriosite dall’insieme di lingue udite la sera prima, le ragazze si spostarono nella zona sud della città, verso il porto; l’idea era di curiosare con aria innocente, e carpire qualche succosa informazione su quello che accadeva nel continente. Per fare questo, le ragazze dovettero spostarsi da un isolotto all’altro, e attraversare una considerevole quantità di ponti, alcuni dei quali in legno e per niente solidi.
Benché nessuna di loro avesse mai abitato vicino al mare, non ebbero difficoltà a raggiungere la loro meta; quello che le stupì, in effetti, fu la quantità di persone che lo popolava.
- Sembra un formicaio. – fu il commento di Guendalina, e in effetti non era lontano dalla verità. Almeno cinque navi erano attraccate e un gran numero di marinai si affaccendava a caricare e scaricare merci, per non parlare delle persone che vendevano, compravano, o barattavano quelle stesse merci appena arrivate con altre. Non controllato, c’era anche qualcuno che si teneva occupato con attività non necessariamente legali: alcuni cercavano di passare inosservati, altri non ne facevano affatto mistero.
All’incrocio tra un banco del pesce salato e alcune case c’era infatti un uomo in piedi dietro ad un barile, circondato da almeno una dozzina di persone. Aveva tre carte, re e fante nero, donna rossa, e invitava i presenti a indovinare a carte coperte dove fosse nascosta la carta rossa. Era chiaro che il gioco era pensato per non far vincere quasi mai chi puntava denaro, e l’abilità di chi teneva le carte nello spostarle con estrema agilità e rapidità era notevole.
- Perché continuano a giocare, se c’è sempre e solo da perdere? – si chiese Agnuska, mentre le ragazze osservavano la scena.
- Perché c’è anche sempre qualcuno che vince. – aveva risposto Draga. Aveva indicato con lo sguardo un uomo dall’aria distinta, che si atteggiava con un po’ troppa noncuranza.
- Può darsi che sia il suo gancio. – Guendalina ne aveva visti parecchi, di tipi così nella sua infanzia. Suo padre le aveva insegnato come riconoscerli e come evitare di farsi fregare denaro nelle fiere.
- Ovvero? – chiese Megarda.
- E’ il socio del tizio delle carte. Serve a dimostrare a chi è presente che si può vincere a questo gioco. Di solito scommette una cifra spropositata, e vince in barba a tutti quanti la somma pattuita.
- Bella fregatura.
- L’hai chiesto tu. – sorrise la giovane ungherese. – Vediamo se ho ragione.
Si avvicinarono al capannello e per circa dieci minuti, il distinto signore che avevano adocchiato rimase muto spettatore degli eventi, senza proferire verbo, se non qualche parola di biasimo per i denari che riempivano le tasche dell’uomo delle carte.
- Prima o poi qualcuno ve le svuoterà di nuovo! – lo sconosciuto finalmente prese la parola, e tutti gli occhi dei presenti, in particolare quello delle giovani streghe, si puntarono su di lui.
- Volete forse averne voi il privilegio? Vi sfido volentieri, messere.
- Scommetto una corona contro la vostra regina rossa. So che la troverò. – annunciò lo sconosciuto, convinto, mentre un mormorio sorpreso si diffondeva tra le persone lì ammassate.
L’uomo dietro al barile raccolse le carte, e con quelle si grattò la guancia sbarbata, apparentemente molto sorpreso.
- Se è così che desiderate… - posò le carte, scoperte, in modo che tutti potessero vedere la figura della regina al centro, poi le voltò, e le mosse sul barile, rapidamente. – Signore, a voi la scelta. Dov’è nascosta la regina?
Lo sconosciuto parve riflettere un momento mentre sembrava che attorno si fosse creato un silenzio carico di aspettative. Il caos del porto pareva un vago sottofondo a malapena udibile. Dopo una ragionevole attesa carica di mistero, l’uomo parlo: - Alla vostra destra.
L’altro voltò la carta, e la regina si mostrò in tutto il suo splendore; i presenti si lasciarono sfuggire mormorii di pura e autentica sorpresa.
- Messere! Grandiosa è la vostra fortuna! – l’uomo delle carte cianciò a lungo della sorte e dei suoi misteri, e solo dopo un bel pezzo si decise, infine, a pagare il suo cliente.
- Non sono nemmeno i bugiardi migliori che si possono trovare in giro. – commentò piano Iwona. – Dopo che Guenda ce l’ha fatto notare li ho osservati bene e non hanno fatto che ammiccare tra loro.
- Sarebbe proprio divertente sbugiardarli. – fu invece il commento di Izabela, che alzò lo sguardo, in verità colmo di pena, per un uomo che, galvanizzato da quanto appena visto, tentava a sua volta la fortuna.
- Oh be’, se lo meriterebbe. Chissà quanto denaro ha raccolto, così.
- Mi viene da pensare che avremmo potuto farlo anche noi e guadagnarci qualcosa. – Megarda aveva soppesato le parole di Agnuska, giungendo alla più pratica delle soluzioni. Del resto, non ci voleva troppa astuzia, per arricchirsi così.
Guendalina invece taceva: fissava ora l’uomo delle carte ora il suo socio, pensierosa. Poi parlò improvvisamente con tono autoritario: - Facciamolo.
- Cosa?
- Freghiamo il furbacchione, vediamo che succede.
- Hai idea di come fare? – fu la sollecita domanda di Draga. Era un’idea che comportava dei rischi, ma solleticava tutte le presenti.
- Bisognerebbe capire qual è il suo trucco. – disse Agnuska.
Iwona, accanto a lei, annuì. Aveva osservato bene la dinamica, e pensava di aver indovinato il sistema: - Secondo me nasconde la regina nella manica e la fa ricomparire solo al momento di mostrare dov’era in realtà nascosta. Ma mentre il povero giocatore punta la carta, la regina dev’essere ben nascosta e al sicuro.
- Possiamo marcare la carta con un incantesimo…
- Shh! Fuori questione, Megarda! – sbottò Agnuska.
- Non serve. Basta impedirgli di tirare fuori di nuovo la regina dopo che l’ha nascosta. – disse Guenda. – Vi mostro come. – senza paura avanzò tra la folla, pestando in verità un bel po’ di piedi, con le amiche che a stento le stavano dietro.
- Messere! – urlò con voce chiara, in uno svedese approssimativo e imbastardito dal suo marcato accento ungherese. – Voglio tentare la sorte con voi!
- Oh, una deliziosa giovinetta! – l’uomo si voltò verso di lei e sorrise, deliziato. – E sembra veniate da molto lontano. E ditemi, graziosa, quanto scommettete che la fortuna vi sia amica?
- Un quarto di corona. – la strega sentì gli occhi puntati su di lei ma, soprattutto, sentì le amiche l’avevano raggiunta: le percepiva alle sue spalle e questo le diede ancora più baldanza. – E vi chiedo di poter esaudire un desiderio.
La folla rumoreggiò incuriosita, e l’uomo sorrise: - Non si dica che non sono un gentiluomo. Chiedete, mia dolce fanciulla.
A quel punto fu Guendalina a sorridere, pensando che l’avrebbe trovata dolce ancora per poco. – Voglio girare io stessa la carta che sceglierò.
L’uomo impallidì per un solo istante, mentre le amiche di Guenda ridacchiavano giulive.
- Per piacere, messere. – insistette la ragazza, con il tono più dolce che le riuscì. Lanciò uno sguardo al gancio, chiaramente non entusiasta della novità, ma quello che contava era il parere dell’uomo di fronte a lei. Egli annuì, e Guenda sentì che lo aveva in pugno.
- E sia, per un quarto di corona. Spero tanto che la regina vi sia amica. – le carte le furono mostrate, furono girate e mescolate, e infine, posate sul barile. – Tocca a voi ora, donzella.
Senza tremare, senza incespicare e con pieno controllo di sé, Guendalina avanzò, quasi sfacciata.
Allungò la mano e godette nel farla scorrere, sollevata, sopra le tre carte, sfiorandole appena. Se avesse voluto, se avesse solo voluto, avrebbe potuto girarle tutte e tre con la magia, contemporaneamente. Ma si trattenne, e voltò quella centrale: un fante nero.
La folla attorno a lei rumoreggiò, dispiaciuta, e l’uomo di fronte a lei fece per dirle: - Sono costernato, mia giovane amica ma… - lo vide allungare la mano destra per girare le altre carte, ma lei fu più veloce: con entrambe, voltò le carte ai lati di quella centrale, scoprendo il re nero a sinistra… e un altro fante nero a destra.
- Messere, voi siete un ladro e un bugiardo. – disse ad alta voce.
Molti dei presenti, spintonandosi per vedere meglio che c’era sul bancone, si lasciarono sfuggire esclamazioni inorridite e grondanti odio quali “bastardo!” ed epiteti poco galanti riferiti alla di lui madre, che a quanto pareva non era stata proprio una mogliettina a modo.
- Scommetto che hai la regina nella manica! – imperturbabile, Guendalina aveva continuato a infierire, affondando la sua lama sempre di più: una sensazione magnifica. Lo fu un po’ meno quando un uomo quasi la calpestò per raggiungere il baro, che cercava di darsi alla fuga. Gli saltò addosso e gli sollevò la manica, facendo cadere a terra la carta della povera regina rossa, sollevata e mostrata ai presenti quasi fosse una santa reliquia.
- La ragazza aveva ragione! Il bastardo ha fregato tutti quanti! Ridacci i soldi! – urlò un altro, avventandosi a sua volta sull’uomo.
Guendalina avrebbe proprio voluto rimanere lì, immobile e sorridente, a godersi la scena. Il piccolo capannello di persone presenti però, era più inferocito che mai, e altre persone, dal porto, si stavano avvicinando incuriosite, non necessariamente con lo scopo di fare da pacieri tra le parti. Per cui, qualcuno più prudente di lei, quasi sicuramente Agnuska, le afferrò il vestito all’altezza della spalla e la trascinò via, evitando di finire nei guai. Andarsene fu un’ impresa: la gente spingeva, urlava, si faceva largo. Il rischio di cadere e farsi calpestare non era piccolo e ci volle quello che parve loro un secolo, per tornare a respirare comodamente. Dietro di loro guerriglia urbana, davanti a loro le navi e il mare.
- Oh, gli sta proprio bene. – commentò Guendalina, ridacchiando. – Ah, gli tremava la mano, quando ha visto quello che stavo facendo.
- Ora di sicuro perderà più di una corona. – Megarda era altrettanto gioviale, così come tutte. La loro amica si era comportata egregiamente.
- Bene. – Draga sorrise – Andiamo da qualche altra parte, qui direi che abbiamo rovinato l’atmosfera.
Senza rammarico, fecero per allontanarsi, distraendosi a guardare i giochi di luce del sole sull’acqua che lambiva le banchine, dimentiche del fatto che l’uomo che avevano appena gabbato aveva un complice. Non ebbero il tempo né di vederlo, né di udirlo: il trambusto alle loro spalle era troppo alto perché facessero a caso a lui. Fu Guendalina a sentire una salda presa sul suo polso e di uno strattone che la fece quasi cadere a terra; quando si girò a vedere cosa o chi la stesse trattenendo, capì di aver compiuto un’enorme sciocchezza.
- Certe cose, donzella, non restano impunite.
Vedendo che l’uomo brandiva un coltello, emise un gemito, cercando di liberarsi dalla stretta, ma fu qualcun’altra a fare la mossa decisiva. Senza pensarci, Draga aveva disarmato l’uomo con la magia. Prese dal panico, anche tutte altre l’avevano imitata estraendo la loro bacchetta, inclusa Guendalina, che si era allontanava quanto bastava da essere, così lei riteneva, fuori pericolo.
L’uomo rimase immobile a fissarle, quasi stordito.
- Non osate toccarmi, ladro. – minacciò Guendalina. Ora che aveva di che difendersi, aiutata dal provvidenziale aiuto di Draga, si sentiva sicura e pericolosa.
Sentendo la voce della ragazza l’uomo si scosse, e iniziò a urlare. – Streghe! Sono loro ad aver imbrogliato, il gioco delle carte era onesto! Io avevo vinto! Streghe! Fatele arrestare, hanno cercato di uccidermi!
Tutto il porto si voltò a guardarle. Erano in sei, contro una moltitudine non definita, e avevano in mano le bacchette. Non dovettero nemmeno parlarsi, ma scelsero di correre, cercando di sparire nei vicoli di Stoccolma.
 
 
 
 
 
 
 
  
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