Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: FALLEN99    11/01/2013    6 recensioni
Ginevra è una 14enne grigia e chiusa in se stessa, che deve affrontare per la prima volta l'inferno chiamato: Liceo Scentifico.
I suoi genitori non l'aiutano, la sua sicurezza vacilla, e alcuni avvenimenti sovrannaturali cambiano la sua vita. Tipo l'improvvisa comparsa di Stefano, un bellissimo ragazzo che sembra conoscere Ginevra da secoli. Ma tutto non è mai ciò che sembra, ogni cosa ha un prezzo, anche il più seducente dei ragazzi, e Ginevra capirà di essere caduta in una rete mortale troppo tardi.
Può davvero l'amore vincere una maledizione che dura da millenni?
Dal capitolo XVII:
" Il ragazzo la strinse a sé più forte, ormai ogni distanza fra loro era annullata dalla forte attrazione che li legava come catene indistruttibili. Ora tutto per Ginevra era perfetto, ogni cosa aveva perso importanza, e l’unica cosa che contava erano loro due. Ginevra e Stefano. Stefano e Ginevra.
Gli amanti dannati che nemmeno il tempo aveva saputo dividere. "
Un AMORE
impossibile
Una GUERRA
violenta e sanguinosa
Una MALEDIZIONE
che sta per essere spezzata
Solo un amore impossibile può essere eterno; e solo il sangue può tenerlo vivo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Poison saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I
 


Gli occhi color zaffiro celati dalle palpebre pallide, le labbra sottili esposte al vento gelido che entrava dalla finestra, i lisci capelli corvini disposti irregolarmente sul cuscino grigio.
«Ginevra svegliati, o farai tardi a scuola!» una voce femminile interruppe la trance che avvolgeva la ragazza. Era sua madre, Alessandra, che cercava invano di portarla nel mondo degli svegli.
 Ginevra sollevò la testa sbigottita, il solito incubo le aveva fatto visita quella notte, e le immagini vivide di quel ragazzo le aleggiavano nella mente senza controllo.
«Arrivo, un attimo» rispose inquieta, emettendo un rumoroso sbadiglio. Il suo sguardo si rivolse verso il soffitto, colorato di una tenue vernice azzurrina che doveva ricordare invano i cieli d’estate, ma che non riusciva nell’intento, segnato dall’umidità e dal tempo che lo erodevano nella loro morsa letale. Ginevra osservò l’arredamento spoglio della sua camera, la rappresentava alla perfezione, anonima e impotente. La piccola lampada con simboli giapponesi che pendeva dal soffitto si accese di una flebile luce dorata, illuminando il viso pallido e assonnato di Ginevra.
 «Tesoro alzati, non vorrai arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?!» la chiamò la madre, che la fissava appoggiata allo stipite della porta. La ragazza chiuse le palpebre e si girò sul fianco destro in segno di protesta. La madre, allora, le si avvicinò e la scosse cercando di non tirarsi dietro le grida della figlia.
«E dai, sai quanto è importante che arrivi puntuale, soprattutto ora che cominci il liceo! » disse la donna passandosi, frustrata, una mano tra i capelli biondo cenere.
«Importante per te. Per quanto mi riguarda io resterò a letto ancora un po’» bofonchiò Ginevra.
«Coraggio, non vorrai che chiami papà? » la riprese la madre. A quelle parole un brivido percosse le gambe della ragazza, assalendola di sorpresa e irradiandola di piccole fitte freddolose.
«D’accordo, mi alzo» disse automaticamente. La madre, soddisfatta, sparì dalla soglia della camera, lasciando Ginevra sola con i suoi pensieri. L’incubo fatto quella notte era stato uno dei più potenti e lunghi, molto più di quelli fatti nei suoi quattordici anni. Sollevò le coperte, il freddo visitò le sue gambe. Sfiorò il pavimento con le punte dei piedi per sentirne la temperatura, che quella mattina non era fredda come al solito. Si alzò in piedi e mise subito le ciabatte regalatale al compleanno e si stiracchiò. La camicia da notte bianca volteggiò nel freddo vento che fuoriusciva dalla finestra. Svelta la chiuse e, con fare deciso, accostò le persiane, facendo sprofondare la stanza nell’oscurità.
Già, l’oscurità… Era la cosa che le piaceva di più, amava stare seduta in essa per minuti, a volte ore. Essa le infondeva protezione e familiarità, come se nessun pericolo potesse entrare nella massa di buio, e disturbarla.
Ma in quel momento non poteva contemplarla, così aprì la porta della sua, ed uno scricchiolio si diffuse assieme ad essa. La sua camera dava sul corridoio, che metteva in comunicazione la zona notte con il soggiorno e la cucina. Lo percorse, accompagnata dalle strette ed anguste pareti, che la seguirono fino al salotto come la sua ombra.
Entrò nella cucina, riavviandosi la chioma corvina e eliminando la polvere che Morfeo le aveva lasciato negli occhi.
Trovò il padre seduto a tavola, che divorava due enormi fette di pane. Si sedette piano, per non deconcentrare l’uomo dalla sua colazione. Prese due fette di pane e le cosparse di quello che rimaneva della marmellata di albicocche. Poi portò le sue labbra a queste e, in pochi minuti, le mangiò.       
«Non si saluta?!» l’aggredì il padre con aria intimidatoria. Lei tacque. 
«Mi ascolti?! Quando ti siedi a tavola devi salutarmi, sono o non sono il capo di questa famiglia?!» gridò furioso.                                              
«Le hai prese le medicine della mattina?» chiese Ginevra, calma.
«Sì! E pensa alle cose tue, non alle mie» grugnì lui come risposta.
«Stai tranquillo, non ti ho salutato solo per non distrarti dal tuo pasto» disse Ginevra svuotando la tazza dal latte che conteneva. Le piaceva sfidare il padre, la faceva sentire potente, almeno fino a quando lui non alzava le mani. L’uomo le lanciò un’occhiata truce, che lei ricambiò con un sorriso beffardo. Si alzò dalla sedia, sostenendo il suo sguardo in segno di sfida. Mise la tazza nel lavandino e poi sussurrò:
 «Schifoso maiale, pensi solo a mangiare, invece di preoccuparti della tua famiglia…» svelta si affrettò nella sua stanza, timorosa che il padre l’avesse sentita, e si vestì. Mise la solita maglietta blu chiaro, abbinandola a dei pantaloni grigi e un cardigan nero. Si raccolse i capelli lunghi e lisci in una coda alta, non voleva che il vento li muovesse e che le dessero fastidio.
Prese la borsa e si avviò verso la porta di casa.
«Buona giornata» la salutò la madre prima che uscisse, ma Ginevra la ignorò deliberatamente. Non voleva che la travolgesse di inutili raccomandazioni tipo “Fa’ la brava” o “Ascolta i professori e non parlare con chi non conosci”, come faceva di solito.
Percorse la solita strada, nel monotono colore grigio che ricopriva la piccola città di provincia dove viveva e di cui era stufa. L’estate stava ormai scemando, e la brezza estiva era ormai stata soffiata via del gelido vento autunnale, che quell’anno era arrivato troppo in anticipo, tanto che aveva dovuto vestirsi abbastanza pesante. Arrivata alla fine della strada svoltò a sinistra, la borsa stretta alla spalla e gli occhi protesi a fissare la via che si estendeva davanti a lei.
Mentre girava l’angolo un ragazzo le passò a fianco, sfiorandola. Le bastò quel piccolo contatto per farla percorrere da un’intensa sensazione che la fece girare di scatto.
Ma la strada era deserta; solo il cupo grigiore la popolava, rendendola a dir poco inquietante e desolata. Ginevra alzò le spalle, dicendosi di esserselo immaginata.
Si voltò, davanti a lei l’insegna metallica che portava impressa a caratteri cubitali la scritta:
“ SCENCE: liceo scientifico”.
Una grande paura le attanagliò lo stomaco, varcato quel cancello avrebbe cambiato completamente vita. Si sentiva insicura, nessuno aveva mai badato a darle qualcosa di sicuro nella vita: il padre la trattava male, consumato dall’alcool e dalle medicine; la madre cercava di renderle la vita migliore, ma non ci era mai riuscita nonostante i suoi grandissimi sforzi. La sua quotidianità era fatta da scuola, litigate con il padre e continui incubi. Sapeva che su una cosa poteva sempre contare, l’oscurità.
Essa restava sempre uguale, non cambiava mai, era sempre fredda, misteriosa e notevolmente benefica per Ginevra.
“ Coraggio Ginevra, come superi i conflitti con tuo padre ogni mattina, puoi superare anche questo” la rassicurò una voce sconosciuta nella sua mente. Così si fece forza, facendo respiri profondi e stringendo morbosamente la tracolla della borsa fra le dita affusolate. Spinse il pesante cancello argentato che la divideva dal proprio destino e, passo per passo, oltrepassò il cortile, calpestando le foglie colorate dell’autunno, che sembravano essere l’unica nota di colore in quella mattina di settembre. Appena varcò la soglia della scuola si paralizzò, le gambe si rifiutavano di proseguire, paralizzate dalla paura. Una massa informe di studenti le passò a fiano. Alcuni la urtarono, le loro spalle erano molto grosse e larghe, dovevano essere ragazzi dell’ultimo anno. Ginevra, minuta, perse l’equilibrio e la borsa colma di libri la sospinse all’indietro.
Cadde, i nervi a fior di pelle; avrebbe fatto una figuraccia già il primo giorno di scuola. Prima che sentisse il contatto con il linoleum che ricopriva il pavimento una mano calda la sorresse e la riportò in piedi.
«Ehi, stai attenta, potevi cadere» disse una voce profonda alle sue spalle. Ginevra si voltò, dietro di lei c’era un ragazzo molto alto. I capelli castano scuro gli incorniciavano un viso bellissimo; le labbra sottili e gli occhi a mandorla di un nero che aveva rivali solo la notte e il petrolio. La ragazza si incantò a guardarli, le ricordavano l’oscurità che tanto la faceva sentire bene, l’eterno buio che rappresentava l’ignoto.
«Sii più prudente, o non sopravvivrai qui.» riprese lui, Ginevra pendeva dalle sue labbra che si muovevano in modo sensuale e provocatorio. «Ti calpesteranno, senza porsi il ben che minimo problema.
Sono solo una massa di ragazzini grigi e introversi, che non guardano in faccia nessuno; robottini programmati per eseguire ogni cosa che la gente gli ordina, senza un minimo di spina dorsale» il ragazzo lo disse fissando caustico gli studenti che sfilavano nei corridoio.
Ginevra restò a bocca aperta, l’aveva descritta alla perfezione. Si notava così tanto la sua insicurezza?
Avrebbe voluto  ribattere qualcosa, ma dalla bocca non uscì nemmeno una sillaba. Intanto lui aveva rivolto lo sguardo dagli studenti a lei, fissando il suo viso armonico e la sua pelle pallidissima.
«Spero tu sia diversa... » disse in fine, dopo una lunga pausa.
Ginevra si fece coraggio, doveva pur rispondergli. Aprì la bocca ma, ancora una volta, le parole le morirono in gola.
«Non sei una di molte parole, vedo. In questo caso tolgo il disturbo, ma ci vediamo in giro» le comunicò mischiandosi nella folla grigiastra, ovviamente non prima di averle rivolto un cenno di saluto col capo. Ginevra restò immobile, cercando di distinguere la sua chioma fra la massa di ragazzi, ma le risultò impossibile.
Perché non era riuscita a parlare? “Stupida!” si disse, sbattendo due volte le palpebre per recuperare lucidità.
 «Che stupida quella ragazza, avrebbe potuto rispondere. Non capita tutti i giorni che il ragazzo più affascinante e misterioso della scuola ti rivolga la parola» sentì bisbigliare Ginevra alle sue spalle. La campanella risuonò irritante, riportando l’ordine nel corridoio, che, a breve, rimase deserto; solo la sagoma indifesa di Ginevra spiccava dal pavimento pieno di polvere.
«Muoviti, devo pulire. » gracchiò la vecchia bidella, che con il suo carello e lo strofinaccio le passava accanto.
Ginevra arricciò il naso per l’intenso odore di detersivo che la signora emanava, e prese a camminare.
«Primini, sono sempre una scocciatura» bofonchiò la bidella, passando lo strofinaccio per terra e osservando Ginevra scomparire nella prima classe a destra.
***
«Allora ragazzi, passate bene le vacanze estive?» chiese una voce dirompente e acuta.
Un silenzio di tomba scese sugli alunni che sedevano sui banchi di legno, osservando con espressioni impaurite il proprietario della voce. Quel professore era un tipo piuttosto stravagante, a partire dal modo in cui si vestiva; una lunga cravatta verde smeraldo su una camicia bianca ed un completo rossastro.
«Avete paura di me?» domandò, ma nessuno rispose. 
«Bene, visto che non riusciamo ad instaurare una conversazione farò l’appello, avanti ragazzi! State per iniziare una nuova parte della vostra vita! Non siete felici?» le sue parole rimbalzarono per i muri della stanza, senza arrivare alle orecchie di nessuno dei presenti, eccetto Ginevra, che sedeva all’ultimo banco assieme ad una ragazza riccia.
Avrebbe voluto rispondere, ma aveva paura, paura di cosa avrebbero potuto pensare gli altri di lei.
“ Guarda quella ragazza, che secchiona, fa la lecchina del professore persino il primo giorno di scuola” Così restò zitta, come aveva fatto da quando era entrata nell’edificio. Ripensò a quel ragazzo, il suo tocco era così familiare, come se fosse quello di sua nonna. Già, lei era l’unica persona che le volesse veramente bene, che riuscisse a distrarla dalla sua monotona e grigia quotidianità.
Andava a trovarla una domenica al mese, viveva a Milano, non lontano dalla cittadina dove abitava Ginevra. La donna aveva migliaia di libri, riposti e catalogati ordinatamente in un’immensa libreria che occupava un’intera parete. Tra tutti c’era uno che a Ginevra era particolarmente piaciuto:
 “Romeo & Giulietta”. L’aveva letto anche a scuola, ma in quel contesto non l’aveva coinvolta molto. Così un giorno, annoiata, l’aveva sbirciato di nuovo, per vedere se il clima a casa della nonna la aiutasse ad apprezzarlo di più. Era stato come rinascere una seconda volta, l’aveva divorato in un giorno; non era riuscita a staccare gli occhi dalle pagine ingiallite.
Le piacevano gli intrighi, gli imprevisti, ma soprattutto l’avvincente storia d’amore che l’aveva spinta a rileggerlo per la seconda volta.  Le sembrava di sentire le mani di Romeo sfiorarla, talmente si era immedesimata nel personaggio di Giulietta. La passione che avvolgeva il loro rapporto l’aveva travolta come un’onda imprevista. Lo adorava letteralmente, quasi più dell’oscurità. 
 «Ginevra Colombo?» il professore scandì il suo nome, che si espanse per tutta la classe in pochi secondi. La ragazza dovette smetterla di fantasticare su Romeo & Giulietta, e fissò l’uomo; che scrutava la classe in cerca di un volto da associare a quel nome sconosciuto.
«P-presente» balbettò abbassando lo sguardo. L’uomo la fissò arricciando il naso, e le sembrò che la sua palpebra destra si abbassasse per farle l’occhiolino; ma si disse di esserselo immaginato.
«Bene, Ginevra, raccontaci la tua storia. Perché non si può studiare la storia del mondo senza conoscere la propria, vero?» le domandò il professore sistemandosi comodamente sulla sedia e fissandola attraverso le spesse lenti squadrate.  
«Beh, io non saprei…» un miliardo di occhi le si puntarono addosso, e la ragazza arrossì all’istanti. Odiava stare al centro dell’attenzione.
«Io… io preferisco non rispondere. Devo andare in bagno» disse evasiva. Non le andava di raccontare la propria storia a quell’ammasso di adolescenti grigi e chiusi in se stessi, come li aveva chiamati quel ragazzo; le sembrava di mettersi a nudo e esporre la propria intimità a delle persone che non conosceva nemmeno. A dire il vero anche lei rientrava in quella categoria di ragazzi grigi, ma non voleva ricordarlo. La campanella segnò la fine della prima ora ed un’espressione delusa apparve sul viso del professore.
«Ragazzi mi aspettavo di più, sembrate un branco di pensionati! Su con il morale, ci vediamo domani.
E voglio una relazione scritta sulla vostra storia. Arrivederci» si congedò il professore raccogliendo i propri libri dalla cattedra. Si diresse verso la soglia della classe,  lanciando uno sguardo ambiguo verso Ginevra, che però era distratta a fare tutt’altro.
***
Si susseguirono una serie di professori, l’uno più diverso dall’altro. Ma tra tutti a Ginevra era rimasta in pressa una donna, che a quanto ricordava aveva detto di insegnare latino. Era snella, alta, con corti capelli biondo platino, e due occhi marroni. Le era piaciuta dal primo momento che era entrata. Era così che Ginevra voleva essere. Bella, come ogni adolescente vorrebbe essere ma che non sentirà mai. Sentiva quella donna come riflesso di ciò che non era, e le ricordava ciò che invece era realmente; una ragazza piena di paure  e priva di sicurezza e disinvoltura.
“ Anch’io voglio essere come lei, ma sono nata così!” pensò con una nota di disprezzo nei propri confronti. Amava l’oscurità anche per questo, perché essa nascondeva ogni difetto, lasciando solo il buio, facendo sì che tutte le persone fossero uguali.
La campanella della fine della scuola tuonò precisa e puntuale, con quel suo trillo assordante. La massa di adolescenti si precipitò verso l’uscita, cercando di scappare da quel luogo, che avrebbero dovuto sopportare per altri cinque anni. Ginevra prese i libri che aveva utilizzato l’ultima ora e li ripose nella borsa chinandosi, e vedendo delle adorabili ballerine rosa venirle incontro trotterellando.
«Ciao, io sono Micaela Doriani» sentì dire.
Alzò lo sguardo, incuriosita su chi potesse avere avuto così tanto coraggio da parlarle. I suoi occhi blu incontrarono quelli color glicine di una ragazza bellissima. Aveva folti capelli  biondi, la luce del sole che ne esaltava i riflessi color grano. Sedeva comodamente a gambe accavallate sul suo banco, e la guardava sorridente, esibendo i denti bianchi come gesso. Indossava un abitino rosa shocking, come le ballerine. Doveva essere una di quelle ragazze sbarazzine tipiche dei telefilm americani, si disse Ginevra; ma nel profondo sapeva che non era così. La ragazza aprì le lebbra rosee, evidenziate da uno strato di lucidalabbra.
«Tu, invece? Sai, non ho fatto molta attenzione all’appello. Penso che nemmeno tu avessi voglia di ascoltare quel professore, era così strambo…» disse ridacchiando. Ginevra sorrise, anche lei la pensava come quella ragazza.  
«Io… io sono Ginevra», disse impacciata, «Sì, Ginevra» ribatté. Era sempre molto titubante quando si trattava di farsi nuovi amici.
«Sicura sia il tuo nome? Mi sembri un po’ titubante» la istigò l’altra.                                          
«Sì, mi chiamo Ginevra» ribadì decisa, prendendo la borsa.
«Okay, ora sono convinta che ti chiami così. Beh, ciao Ginevra, ci vediamo domani. » esclamò la ragazza alzandosi dal suo banco.
«Ci sarai, non è vero? Non dirmi che ti rapiranno gli alieni come in un film che ho visto ieri sera con mia madre!» scherzò Micaela, strappando a Ginevra una risatina.
«No, non ti preoccupare. Ho una spada laser che mi tiene lontana dagli alieni cattivi.» rispose sarcastica.
«Per fortuna!» disse Micaela dirigendosi verso la porta, dalla quale sparì salutando Ginevra con la mano.
«Micaela» si ripeté, consapevole di essere sola. Quel nome le risuonò nella mente, risvegliando strani ricordi di cui però non aveva memoria. Alzo le spalle per ignorare quelle immagini, e si diresse verso la soglia della classe.
“Mai sentito questo nome” si disse mentre entrava nel corridoio.
 Ma si sbagliava.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: FALLEN99