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Autore: _myhappyending    11/01/2013    3 recensioni
Passano 5 anni dalla morte di Artù e uno strano uomo si presenta a Camelot lasciando una strana profezia a Merlino. «Di mito è il suo nome, oro colato i suoi capelli, le onde del mare negli occhi.
Nobile cuore del più valoroso cavaliere le è stato dato, animo coraggioso e puro.
Trovala, Emrys, e ti porterà al tuo completo destino.
Ma attento, la sua persona è la tua gioia e la tua pena. Solo lei, però, può portarti al tuo re, solo lei è la chiave perché il solo e futuro re rinasca. Ascolta le mie parole, Emrys.»
E Merlino lo fa, cerca ovunque quella donna finchè invece non è proprio lei ad andare dal mago, e con lei una dolce sorpresa.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gwen, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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chapter 5.

Another first time.

 
Camminava a passo svelto, Merlino. Dietro di lui, Medea lo scrutava cercando di capire perché quel ragazzo ce l’avesse tanto con lei. Probabilmente non le credeva, e quello era concepibile. Era sicura che non tutti le avrebbero creduto, eppure quel ragazzo pareva avere qualcos’altro da nascondere, come se non fosse solo quella la ragione del suo odio.
Ma tanto stavano andando a casa della ragazza, e quindi a quel punto Merlino non avrebbe potuto far altro se non scusarsi.
In realtà, nella mente del mago, viaggiavano ben altri pensieri. Il primo fra tutti, però, era Artù. Era così… felice del fatto che fosse di nuovo fra di loro, che fosse di nuovo vivo. Contava i secondi che lo separavano da quello che sarebbe stato il loro primo incontro dopo dieci lunghi anni; anni in cui Merlino aveva sperato con tutto sé stesso di rivedere il re sbucare fuori dalle sue coperte, impartendogli qualsiasi tipo di ordine. Agognava quasi di ricevere nuovi insulti dal suo padrone, qualunque parola in quei lunghi dieci anni sarebbe stata okay, se pronunciata dalla bocca di Artù.
Ma di certo non aveva dimenticato la profezia. La ragazza di cui parlava l’uomo era lei, su questo non c’erano più dubbi. Tutto coincideva, i capelli, gli occhi, il fatto che fosse legata ad Artù. Tranne per… «Qual è il vostro nome?» domandò d’un tratto Merlino.
Medea, che per tutto il tempo aveva camminato in silenzio dietro le spalle del mago, rispose stupita. «Medea. E il vostro?»
Merlino si fermò, si girò e osservò per un attimo il viso di Medea. Cercò di fare mente locale, la stanza di Gaius era piena di libri e quel nome non gli era sconosciuto. L’aveva già sentito, o letto. Doveva solo ricordare. «Come la maga greca…» Mitologia, pensò il mago. Proprio come nella profezia. Non c’erano più dubbi che quella fosse la ragazza di cui  la profezia parlava. Eppure, guardandola in quegli occhi tanto grandi, non c’era traccia di malvagità. Ma ci era già passato con Morgana, non avrebbe commesso lo stesso errore. Non si sarebbe fatto abbindolare da un paio di occhi buoni, quelli potevano nascondere il peggior nemico. L’esperienza l’aveva fatto crescere, chiunque a Camelot poteva confermare che non era più il ragazzino gioioso di un tempo, ma un uomo sempre accigliato e solcato da una profonda ferita, che lo accompagnava in ogni momento della sua vita.
Medea storse il naso. Che maleducato era, quel ragazzo. Non le aveva nemmeno risposto, e continuava a guardarla anche male. «Vi giuro che io non ho fatto niente al vostro re, non possiedo la magia» iniziò, vedendo che Merlino le stava dando di nuovo le spalle per ricominciare a camminare.
Merlino non si fermò, continuò a camminare sospirando. Non era una strega, quello lo avrebbe percepito. «Lo so»
«Perché tu ce l’hai» mormorò lei, immobile dov’era prima.  A quel punto anche Merlino si fermò. Come aveva fatto a sentirlo? Se non era una strega, allora era qualcos’altro. Si voltò verso di lei, senza scomporsi, e aspettò che continuasse senza proferire parola. «Un semplice servo senza armi piuttosto che un esercito? Poco furba questa regina, non credi?» Medea piegò un lato del labbro in un sorriso tirato, di certo Merlino non aveva dei gran muscoli e non aveva una spada, quindi doveva possedere per forza qualcos’altro per difendersi. «La regina si fida così tanto delle persone? E se avessi solamente voluto attirarla in una trappola?»
«Sei intelligente» osservò il mago, incrociando le braccia al petto. «Ora che tu sai di me, io posso sapere di te? Cosa sei? Cosa vuoi? Che hai fatto ad Artù?» non vi era ombra di un sorriso, nemmeno di una nota ironica nel viso e nella voce di Merlino.
Per Medea era iniziata come una piccola provocazione, per Merlino stava diventando una vera e propria lite. «Non gli ho fatto niente, te l’ho già detto! Se non mi credi, muoviamoci a tornare a casa, così lo vedrai tu stesso. Puoi riportartelo a palazzo, se vorrà venire, per quel che mi riguarda il capitolo si conclude qui. Non voglio oro, non voglio denaro o ricompense. Voglio che quel ragazzo “senza vita” accasciato sul mio letto si alzi, riprenda la sua memoria e governi Camelot così come le leggende hanno sempre narrato fino al mio villaggio. Ecco ciò che voglio, quindi prima che tu mi dia di nuovo della bugiarda o dell’approfittatrice, riprendiamo il cammino» concluse lei, calmandosi dopo aver avuto un tono leggermente più irrequieto.
Dalla vita Medea non aveva mai avuto niente, ma non era una cattiva persona. Continuava ad aiutare gli altri nonostante il ringraziamento fosse minimo o non ci fosse per niente. Era una di quelle persone che si chiedeva “Perché lo faccio? Non ha senso, nessuno se ne accorge”, ma poi lo fa comunque, solo per vedere gli altri sorridere.
Merlino serrò le labbra dopo il piccolo sfogo di Medea. Di nuovo non vedeva nulla che potesse far pensare a un pericolo per lui, per Artù o per Camelot, ma sarebbe stato in allerta. Ogni volta che si ricordava dell’errore che aveva fatto con Morgana, la cicatrice che segnava il suo dolore gli premeva due volte di più.
 
Giunsero a casa di Medea pochi minuti dopo. Avevano tardato un po’ perché al mercato, quella mattina, c’era stranamente molta confusione.
Appena giunti di fronte alla porta di casa, Medea si voltò a guardare il ragazzo. Aveva cominciato ad agitarsi, lo si poteva vedere dal pomo d’Adamo che faceva su e giù all’impazzata, o dal modo in cui muoveva le dita sulla ringhiera in legno. Era come impaziente di vedere Artù, e tutto ciò le sembrava parecchio assurdo. Doveva significare molto per lui il re. «Non è solo il re, per te, vero?»
Merlino voltò di scatto il viso verso di lei. Era proprio così palese la sua impazienza di riabbracciarlo?
Medea non insistette vedendo che il ragazzo non le rispondeva, l’aveva proprio presa in antipatia. Spinse la porta e la aprì, entrò in casa e lasciò che Merlino passasse.
Artù e Roland erano seduti al tavolo e parlavano fra di loro, quando videro i due ragazzi entrare si alzarono. Tutti gli sguardi erano fissi su Artù, che invece scrutava il ragazzo di fronte a lui.
Merlino era lì, immobile, lo sguardo piantato in quello di Artù, nei suoi occhi azzurri e grandi, che in quel momento non esprimevano nulla se non confusione. Erano tante le cose che il mago avrebbe voluto fare. In primo luogo piangere, piangere per tutti quegli anni in cui non l’aveva fatto perché non avrebbe avuto senso. In quel momento ne avrebbe avuto, perché finalmente Artù era tornato. Era lì, in carne ed ossa. In secondo luogo avrebbe voluto abbracciarlo per sentire di nuovo il suo profumo, di nuovo il corpo contro il suo, non importava che fosse per un abbraccio o per uno scappellotto, voleva sentirlo vicino.
«Lui è…» Medea cercò di presentare il ragazzo, ma lui non le aveva detto come si chiamava. Nello sguardo di Artù però non c’era ombra di un’emozione, probabilmente non lo ricordava. Medea allora scrutò Merlino, pareva in trance, come se non ci fosse nessun’altro nella stanza se non Artù stesso.
«Io… Io non mi ricordo di voi, scusatemi» il tono di voce di Artù era basso e leggero, come se si vergognasse.
In un primo momento, a Merlino mancò un battito. Quella era la prima volta dopo dieci anni che sentiva di nuovo la sua voce. Ma dopo aver realizzato il significato della frase, Merlino sgranò gli occhi. Non lo credeva possibile. Artù aveva seriamente detto “scusatemi”, dandogli del voi? «Sono Merlino, ero il vostro servitore» anche il tono di Merlino era basso, un sibilo. Quasi involontariamente fece un passo avanti, e poi un altro, e un altro ancora, finché non si ritrovò a un palmo di naso da lui. Le braccia magre del mago circondarono le spalle del re, mentre una mano si infilava tra i capelli morbidi e il naso affondava nell’incavo del collo. A quel punto, le lacrime erano già scese copiose, liberando tutto il dolore che era rimasto incastrato nel cuore di Merlino per tutti quegli anni, rendendolo freddo, schivo e di mal umore. Non aveva avuto più nessun altro amico, dopo Artù, se non Ginevra.
Artù non sapeva cosa fare, ma di certo non l’avrebbe mandato via. Era consapevole di avere un passato anche se non lo ricordava, era consapevole che al mondo ci fossero persone che tenevano a lui. Il fatto che lui non ricordasse non gli dava l’autorizzazione di ferire quelle persone.
Il biondo strinse in un pugno la giacca di Merlino, mentre con l’altra gli batteva sulla spalla. Gli dispiaceva un sacco vederlo piangere e nemmeno sapeva perché, ma quegli occhi azzurri erano troppo belli perché piangessero.
Artù alzò lo sguardo solamente quando le figure di Medea e Roland che uscivano dalla stanza attirarono la sua attenzione.
Sospirò e sciolse l’abbraccio, osservando il piccolo uomo di fronte a lui che si asciugava le lacrime. Apparve sul suo viso un istintivo sorriso, e così gli poggiò le mani sulle spalle. «Non ricordo che tipo di rapporto avessimo, di certo non ti trattavo poi così male se queste lacrime sono di gioia. Ma posso dirti che farò di tutto per riavere indietro la mia memoria, consulteremo qualche medico, va bene?»
Fra i due, in passato, era stato solito un certo rapporto di confidenza in cui entrambi si tiravano su l’un l’altro nei momenti di difficoltà. In quel momento, tutti e due avevano bisogno di affetto e conforto: Merlino aveva bisogno di averlo accanto, Artù aveva bisogno di ritrovare il suo ‘io’ perduto, aveva bisogno di sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene.
Ma in quel momento, di fronte a quel ragazzo semi sconosciuto, Artù non se la sentì di mettersi a piagnucolare sulla sua situazione, il fatto di essere così importante per qualcuno lo rincuorava abbastanza.
Merlino annuì, mostrando finalmente un enorme sorriso sereno, felice. Da anni non lo si vedeva così, da anni non aveva più riso di gusto, come solo una persona contenta sa fare. In quell’istante, la vita di Merlino poteva dirsi completa. «Consulterò Gaius! Sicuramente lui troverà una soluzione, ci deve essere, per forza. La troveremo, sire, promesso» Merlino strinse la mano sulla spalla di Artù, come era solito fare il re con lui nei pochi momenti intimi fra i due.
Artù sorrise di sbieco, annuendo. Poi indicò le sedie attorno al tavolo e si sedette, aspettando che il giovane lo imitasse. «Raccontami tutto» iniziò il biondo, sorridendo. «Raccontami… Come sono, cosa ho fatto. Magari… Come sono morto, come sta la regina? Chi è? E’ bella? La amo?»
Il re cominciò a porre tante domande, all’inizio Merlino le seguì tutte, poi cominciò a perdersi sperando che qualcuno non andasse lì a tirargli un pizzicotto per svegliarlo da quel meraviglioso sogno. Perché sì, da quando Artù era morto, ogni notte sognava di rivederlo di nuovo vivo e vegeto, al comando di Camelot.
Merlino, ripresosi dal momento di nostalgia, si sedette di fronte al suo re e sorrise. «Beh, voi siete il più grande re che Camelot abbia mai conosciuto, il più grande re di tutta la storia, Artù. Per quanto ne so, il vostro nome è scritto nelle stelle e verrà tramandato nel corso della storia, delle ere. Il vostro coraggio e il vostro onore sono grandi quanto Camelot stessa, il vostro buon cuore è conosciuto in tutti i villaggi vicini» Merlino si fermò un attimo, osservando lo sguardo concentrato di Artù, che piano piano stava costruendo nella sua testa una figura così onorevole come quella che il mago gli stava descrivendo. «Comunque sia, è tutto documentato nelle librerie di corte»
«Librerie di corte?» domandò Artù, corrucciando la fronte. «La mia storia è stata scritta nei libri?»
Merlino sorrise di sbieco. «Non mentivo, mio signore, quando ho detto che la vostra storia verrà ricordata nel corso delle ere»
«E la regina, invece? Come sta portando avanti il regno?»
Merlino, a quel punto, spense il sorriso – benchè la cosa fu parecchio difficile da fare: ne aveva uno stampato in faccia che non si sarebbe tolto per parecchio tempo – e abbassò lo sguardo verso l’anello che il re portava all’indica. «L’amavate, sire. Sareste morto per lei. L’amore che vi lega è profondo, va oltre qualsiasi tipo di altro amore io abbia mai visto nel corso della mia breve vita. Siete stato voi a incoronarla regina e a darle il sigillo che l’avrebbe fatta regnare in vostra assenza. E’ intelligente, pura d’animo e di buon cuore. Ha regnato come avreste fatto sicuramente voi, cercando di non far mai dimenticare al popolo le vostre memorie. Ma adesso, purtroppo… Lei è malata, accusa una grave polmonite da svariati anni. Il nostro fidato medico di corte, Gaius, sta cercando alcuni rimedi validi ma riesce solamente a “rallentare” il processo…»
Artù non conosceva quella donna, ma poteva solamente portarle un gran rispetto e sicuramente darle la sua completa stima per ciò che aveva fatto per il suo regno. Quando sentì l’ultima frase, inarcò un sopracciglio «Quale processo?»
«Di morte, mio signore. La regina sta morendo.»
   
 
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