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Autore: margheritanikolaevna    12/01/2013    12 recensioni
Dal capitolo terzo: " “Ascoltami” disse Stella, con voce improvvisamente ferma “C’è una cosa che devi sapere: io non sono chi pensi che sia. Non sono la persona che credi di conoscere”.
La poliziotta era consapevole che un solo gesto avrebbe persuaso Mac più di mille parole, che lui avrebbe tenacemente bollato come sciocche credenze popolari, impossibili da credere: per questo, lesta come un fulmine s’impossessò della pistola che il collega teneva alla cintola e prima che lui - interdetto da quel gesto inaspettato - riuscisse a muovere un muscolo puntò l’arma verso il proprio petto ed esplose un colpo".
Racconto primo classificato al Goth Contest, indetto da CarmillaLilith su efp
Questo è il link: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10338285
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E così siamo giunti anche alla fine di questo racconto. Per me il fatto che sia piaciuto è stata una gioia immensa - e in parte inaspettata - e di questo ringrazio tutti coloro che l’hanno commentato, l'hanno inserito tra le storie preferite o tra quelle seguite. Ma anche chi l’ha solamente letto, riservandogli comunque un po’ del proprio tempo e della propria attenzione.
 

Stella, Mac e il vrykolakas vi salutano, sperando di riuscire a riservarvi ancora qualche sorpresa finale.
Alla prossima.
 
 
 
Epilogo
 
Stella parcheggiò l’auto sul marciapiede davanti al cancello di ferro del Saint Mary’s Orthodox Cemetery; trasse un respiro profondo e scese, chiudendo la portiera dietro di sé.
Non poteva avere la certezza matematica che Lui si fosse nascosto lì, in una delle tombe del più antico camposanto ortodosso di New York, eppure lo conosceva abbastanza bene per comprendere i meccanismi che guidavano le sue azioni, in qualche maniera vincolandole a un’assurda coazione a ripetere.
Le creature come loro, nonostante gli enormi poteri, erano sottoposte a determinate condizioni (4) e una di queste riguardava proprio l’impossibilità di uccidere e cibarsi la notte del sabato: quello era il momento in cui il mostro sarebbe stato vulnerabile e lei doveva cercare di approfittarne, anche se non era certa di riuscire a sopraffarlo con le sue sole forze.
Attese ancora qualche istante, ferma davanti alle volute metalliche del cancello, nella folle speranza che Mac avesse cambiato idea e deciso alla fine di aiutarla, ma nessuno la raggiunse.  
Del resto, il collega se n’era andato da casa sua in silenzio, senza dirle nulla, e nelle ore successive in cui lei aveva cercato di immaginare dove il vrykolakas avesse trovato rifugio, non si era fatto vivo in alcun modo. O non le credeva, oppure - e forse questa era la cosa peggiore - era stato costretto a crederle, ma ciò che aveva saputo lo aveva disgustato troppo perché potesse anche solo pensare di volerla vedere un’altra volta.
A quel pensiero le si riempirono gli occhi di lacrime e dovette tergerle con la mano, trattenendo un singhiozzo.
Sospirò, sforzandosi di riprendere il controllo di sé: in fondo, non poteva aspettarsi nulla di diverso da uno come Mac. La sua inflessibilità, il suo rigore (proprio ciò che, alla fine, l’aveva fatta innamorare di lui) adesso gli impedivano di capire quanto avesse bisogno del suo aiuto e della sua presenza.
Forzare il cancello e schiuderlo con un lento cigolio dei cardini arrugginiti fu facile per la detective, che senza un fiato si inoltrò tra le lapidi di pietra calcarea del piccolo cimitero; calpestava silenziosamente la ghiaia umida di rugiada dei vialetti, guardandosi intorno alla ricerca di un qualche segnale che rivelasse, in quel luogo solitario e spettrale, la presenza di colui che stava cercando.
Tuttavia, se i sensi potevano ancora farla dubitare della giustezza della sua scelta, la vaga sensazione di oppressione che le serrava il petto da quando aveva varcato il cancello le confermava che il mostro doveva effettivamente trovarsi lì: sì, ma dove? In quale delle centinaia di tombe aveva trovato rifugio il suo carnefice?
A un tratto, la sua attenzione si concentrò sulla porta di una delle cripte più antiche e maestose, che era stata lasciata semiaperta; quando vi si avvicinò, si rese conto che il lucchetto che la chiudeva era stato spezzato e gettato al suolo e ciò le diede la conferma che bramava.
Spinse la lastra di metallo, che si schiuse su un’oscurità densa e profonda: ne sgorgò un tanfo di muffa e di vecchio, tanto che Stella involontariamente indietreggiò di un passo. Prima di entrare, trasse dalla cintura la piccola torcia che tante volte aveva usato per illuminare una scena del crimine: sospirò silenziosamente e poi, con cautela, chinò il capo e s’infilò nel maleodorante passaggio, indirizzando il fascio di luce davanti a sé.
Scese la stretta scala appoggiandosi alle pareti rivestite di lastroni di pietra, fino a giungere nella cripta in cui si scorgevano, in nicchie ricavate nelle pareti, una decina di sarcofagi di marmo grigio. Con la torcia illuminò il pavimento ricoperto di polvere, individuando una serie di impronte che conducevano verso una delle tombe.
Senza fare rumore e finanche trattenendo il fiato, tirò fuori dalla tasca le punte metalliche con cui avrebbe compiuto il rito di esorcismo: quando giunse davanti al sepolcro, spostò con forza la lastra che lo copriva, facendola cadere a terra con un tonfo che si propagò, rimbombando e riecheggiando contro le umide volte di pietra.
Stella levò il braccio e contemporaneamente iniziò a recitare ad alta voce la preghiera che il rituale richiedeva.
Subito, tuttavia, una voce più possente, ferma e chiara della sua la bloccò, cristallizzando il suo gesto che non riuscì a trovare compimento.
 
“Fermati, non oserai fare una cosa del genere!
Sai che la tua vita è legata alla mia e che se mi uccidi morirai anche tu… non c’è niente da fare, tu sei legata a me come è legato ai ferri il criminale, lo strenuo giocatore alla roulette, l’ubriaco alla bottiglia di vino. Come la carogna all’abbraccio del verme
Sei pronta a lasciare questa vita? Sei pronta ad affrontare la dannazione eterna in nome dell’amore per i mortali, per queste sciocche creature deboli e limitate? Sei disposta a rinunciare al potere, all’immortalità, alla conoscenza?”. 
 
“Rinunciare a che cosa?” esclamò Stella, senza riuscire tuttavia ad abbassare il braccio, incatenata dalla forza misteriosa dell’essere che aveva davanti “A un’esistenza fatta di solitudine, menzogne e sensi di colpa? Sì, sono pronta…”.
 
“Non è vero. La tua esitazione lo dimostra: non sei abbastanza forte per sopraffarmi. La tua volontà non è abbastanza salda, perché tu non vuoi davvero lasciare questa Terra.
Non lo vuoi, c’è qualcosa che ti lega ancora più della catena che io ho stretto intorno al tuo cuore tanti secoli fa…”
 
“No!” gridò lei, serrando le dita convulsamente intorno al metallo “No! Ormai non c’è più nulla che mi tiene legata a questa esistenza che ti ostini a chiamare vita, ma che vita non è”.
 
E allora fallo, fallo se ne hai la forza: uccidi me e te stessa” la voce risuonava perfettamente calma, senza alcun tremito, ma anzi con una sfumatura canzonatoria che produsse l’effetto di far ribollire ancor di più il sangue nelle vene a Stella.
Sollevò il braccio, rivolgendo una delle punte acuminate all’altezza del cuore dell’essere che giaceva immobile nel sepolcro… strinse i denti e serrò le palpebre nello sforzo. Per un lunghissimo istante rimase così, immobilizzata in un gesto lasciato a metà, fino a che una forza invisibile la rovesciò all’indietro sul pavimento lercio, strappandole un gemito di sorpresa e dolore.
Riuscì a mettersi in ginocchio, mordendosi le labbra per la disperazione: era vero, non ce l’aveva fatta. Nonostante ci avesse provato con tutte le forze, non era stata in grado di vincere ciò che ancora le impediva di dire addio al mondo… e non si trattava solo dell’incantesimo del mostro.
Chiuse gli occhi e chinò il capo, mentre nelle orecchie le rimbombava la sua terrificante risata di scherno.
 
“Sapevo che non ci saresti riuscita! Sei sempre la sciocca ragazzina che salvai dalla vergogna centinaia di anni fa, non sei cambiata: mi ero illuso che tu fossi all’altezza di dividere con me l’eternità e il potere, ma non era così. Sono stato fin troppo indulgente con te, come non lo sono mai stato con nessuno, nonostante tu mi abbia ingannato e sfuggito. Ma adesso non ripeterò lo stesso errore: verrai con me e sarai la mia schiava, ora e per sempre!”.
 
Una forma oscura più del buio della cripta si era infatti levata dalla tomba e si avvicinava a Stella, lenta e implacabile.
“No, ti supplico!” singhiozzò lei “Preferisco morire: ti prego, uccidimi!”.
 
Se lo facessi, morirei anche io e lo sai” ribatté l’essere “Sei legata a me…
 
“Basta!” la voce severa di Mac Taylor riempì in un istante l’aria pesante della cripta gelida. L’uomo rimase poi in silenzio, spostando lo sguardo prima su Stella - che aveva sollevato il capo e lo guardava con gli occhi spalancati per lo stupore e il sollievo - e poi davanti a sé, verso la penombra densa che minacciava di assalirlo da un momento all’altro.
Dannazione! pensava. Era uno scienziato, un uomo con i piedi ben piantati sulla rassicurante terra e mai - mai - nella sua vita avrebbe pensato di dovere affrontare qualcosa del genere. Qualcosa che non riusciva a capire, che andava contro tutte le sue convinzioni più profonde e a cui non voleva nemmeno credere, ma che comunque gli faceva drizzare i capelli sulla nuca e stringere nervosamente le dita gelate sul calcio della sua, inutile, pistola.
Non accadeva ancora nulla, e quell’attesa era peggio di tutto …
In quell’istante, però, percepì qualcosa che lo fece sobbalzare violentemente, che gli fece trattenere il respiro con un sussulto e contrarre ancor di più la destra sull’arma di servizio che impugnava con mano tremante.
Nelle ombre davanti a loro, a pochi metri da lui e dalla collega, vide qualcosa addensarsi e avanzare… qualcosa di vivo, vibrante, pulsante, animato da una soprannaturale coscienza demoniaca. Attimo dopo attimo, sotto il suo sguardo incredulo, diveniva sempre più densa.
Mac si rese conto chiaramente - e in ciò la sua ragione non gli fu di nessun aiuto - che la terza entità nella cripta era una presenza di inesprimibile malvagità, che il poliziotto poteva più intuire con i suoi sensi sconvolti che distinguere veramente.
Nonostante ciò, sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale e si chiese se, d’improvviso, si fosse davvero abbassata la temperatura oppure se quel gelo repentino che gli serrava le membra fosse solo frutto della sua immaginazione.
Guardò Stella, che nel frattempo si era rialzata: i suoi occhi erano fissi e la fronte corrugata in un’espressione di intensa concentrazione. D’improvviso, sembrava immensamente più vecchia della sua età.
Le sue labbra avevano ora iniziato a muoversi veloci, mormorando parole che il detective non riusciva a capire, mentre la mano sinistra si alzava e si abbassava disegnando croci nell’aria e la destra stringeva ancora le punte di metallo che prima non era riuscita a usare contro la creatura.
Essa diveniva, invece, di momento in momento più vicina e minacciosa.
Dall’alto finestrino cominciò in quel momento a filtrare, dapprima impercettibilmente e poi via via in modo più sensibile, la luce rosata dell’alba: la notte del sabato era finita e il mostro sarebbe stato adesso libero di uccidere di nuovo…
Un terrore cieco travolse il poliziotto quando l’essere, divenuto ormai di carne e di sangue, si volse verso di lui e il suo volto demoniaco fu rivelato senza pietà dalla luce che pioveva dall’alto.
Mac era immobile, incapace di muovere anche solo un muscolo, impietrito come accade, talvolta, durante un incubo.
Il vrykolakas si avvicinò con inquietante lentezza, studiandolo.
Nel silenzio mortale della stanza, si udiva solo il bisbiglio di Stella, che seguitava a ripetere parole incomprensibili in una lingua misteriosa all’indirizzo della creatura.
L’orrore del suo volto era indescrivibile: era apparentemente umano, ma i suoi tratti erano distorti da una malvagità così diabolica che Mac, solo fissandolo per un istante, temette d’impazzire.
Quella mostruosa abiezione lo fissava da dietro occhi come i suoi, sogghignava scoprendo denti come i suoi…e questo lo rendeva ancora più intollerabile.
Stella fece un passo verso di lui; i suoi occhi brillavano febbrili nel viso mortalmente pallido. Sollevò la mano destra, mentre la sua voce - divenuta all’improvviso sonora - echeggiava imperiosa.
Mac fissò ancora l’amica e non poté non notare che il suo volto era imperlato di sudore per il terribile sforzo emotivo che stava sopportando.
Le sillabe magiche riempivano l’aria, rimbombando contro le pareti della cripta: Stella avanzò ancora, brandendo gli stili appuntiti, mentre guardava dritta negli occhi quella demoniaca incarnazione.
All’improvviso, la creatura tese entrambe le braccia in direzione della donna; Mac non vide nulla, eppure percepì che una forza mostruosa si stava sprigionando da essa.
L’aria prese a vibrare, come distorta, e la poliziotta vacillò. Poi fece un passo indietro e, con un grido di dolore, lasciò cadere le punte metalliche che tintinnarono sul pavimento e infine si accasciò al suolo.
Allora il mostro si voltò verso il detective con una disgustosa smorfia di trionfo sul volto deformato dall’odio.
Rise, e Mac pensò che nessuna creatura di questo mondo poteva ridere in quel modo.
Si avvicinò a Stella che, adesso, doveva sembrargli molto più indifesa. Per il momento non degnò d’uno sguardo il detective che, da parte sua, aveva assistito a tutta la scena da semplice spettatore, sbigottito e incapace di muoversi per l’orrore che lo incatenava.
Stella, invece, levò gli occhi sull’amico e gli rivolse uno sguardo che era una muta, ma inequivocabile, richiesta di aiuto.
Il poliziotto dovette chiamare a raccolta tutto il suo coraggio per coprire i pochi passi che lo separavano dal vrykolakas; senza riflettere, senza domandarsi se il piombo mortale potesse o meno fermare la creatura e solo confusamente sperando che almeno l’avrebbe rallentata, usò l’unica arma che possedeva e scaricò l’intero caricatore sul mostro che, colpito al torace e all’addome, lanciò un urlo spaventoso  - che nulla possedeva di umano - e si girò verso di lui.
Con una velocità soprannaturale, senza dargli il tempo di ritrarsi, gli afferrò il polso destro: il suo tocco era gelido come la pelle di un serpente, eppure bruciante, doloroso al pari del fuoco.
Mac urlò per il dolore e tentò di liberarsi da quella morsa che lo serrava, spietata, con una forza che lui non sarebbe mai riuscito a vincere.
Per fortuna, tuttavia, il suo gesto folle aveva consentito a Stella di riprendersi: si rialzò e, stringendo più saldamente i sottili pugnali, si diresse decisa verso il mostro.
La sua voce risuonava autoritaria, senza un tremito.
L’essere lasciò la presa e Mac cadde in ginocchio, tenendosi col sinistro il braccio destro intorpidito come da un gelo mortale; la creatura, indebolita nella sua veste terrena dalle ferite inflittele dal detective, indietreggiò a sua volta, resa più vulnerabile all’esorcismo che Stella stava tentando.
La ferrea volontà della donna la dominava, adesso, tanto che i suoi lineamenti apparivano offuscati dalla rabbia e dal terrore.
Lei se ne stava ferma, eretta e salda; la fissava negli occhi senza arretrare.
Mac invece, in ginocchio, respirava a fatica per il dolore; il braccio fremeva e gli faceva male dal polso fino alle spalle per quel contatto ultraterreno.
Le sillabe della preghiera che Stella stava recitando rotolavano e rimbombavano come il mare in tempesta. Altrettanto potenti, altrettanto incomprensibili.
L’essere mostruoso urlò, facendo tremare le pareti e il pavimento della cripta, quando Stella con un gesto preciso rivolse la punta di acciaio contro il proprio petto e la affondò dritta nel cuore fino all’impugnatura. Cadde in ginocchio, trattenendo a sua volta un gemito di agonia.
Mac a quel punto, nonostante il dolore, si sollevò in piedi e si avvicinò alla collega, ma non riuscì a impedire che Stella, con le energie che le rimanevano, si trafiggesse il polso sinistro con un’altra delle punte che aveva portato con sé, cadendo poi sul pavimento semisvenuta.
Col cuore in gola, quasi sopraffatto dall’angoscia, il poliziotto comprese il disegno di Stella: se evidentemente non era riuscita a uccidere il mostro, avrebbe ucciso se stessa. E quindi anche lui.
L’esorcismo che stava praticando non era diretto contro la creatura, bensì contro se stessa…
Con lo sguardo velato da lacrime di rabbia e di dolore, il detective si inginocchiò accanto a Stella e le sollevò il capo: il suo volto già perdeva colore, divenendo orribilmente livido, e i suoi occhi splendevano cupamente degli ultimi bagliori di vita.
“No, no…” mormorò, scuotendo il capo “Perché?”.
“Ti prego” disse però lei, con voce ancora straordinariamente ferma, nonostante l’agonia che la stringeva ormai come una morsa “Io non ho la forza di completare l’esorcismo… devi farlo tu. Devi liberare per sempre il mondo da questo flagello che lo ha tormentato per centinaia di anni…”.
“Ma questo significherà uccidere anche te” protestò Mac.
Stella annuì lentamente, la voce sempre più flebile.
“È la cosa giusta da fare, l’unica”.
Afferrò le ultime due punte e gliele mise nel palmo della mano destra, chiudendo poi le dita in modo da serrarle intorno a esse.
“Fallo, ti prego, prima che sia troppo tardi…liberami dalla maledizione”.
Mentre Stella continuava a ripetere dolorosamente le sillabe della preghiera, Mac - gli occhi offuscati dalle lacrime, il fiato mozzo - sollevò uno dei due pugnali e con esso inchiodò il sottile polso destro della donna al pavimento di pietra.
Lei non riuscì a trattenere un gemito di dolore, che fece rabbrividire il detective.
Reprimendo un conato di vomito, fissò la creatura che davanti ai suoi occhi - man mano che l’esorcismo procedeva - stava diventando nebbia, tanto che i suoi contorni adesso quasi si confondevano con la semioscurità della stanza.
Stella deglutì e gli lanciò una muta implorazione.
Mentre l’uomo spingeva l’ultima punta esattamente nella gola palpitante della donna che aveva imparato a conoscere e amare nei lunghi anni della loro amicizia, mentre con quel gesto le spezzava il respiro e spegneva la sua vita per sempre, lesse nei suoi occhi spalancati non odio, né dolore, ma solo un’estrema carezza.
Prima di chiudere a sua volta le palpebre, vinto dalla sofferenza, Mac Taylor vide che il mostro era ormai trasparente, il viso cristallizzato in una smorfia di incredula disperazione.
Senza avere il coraggio di guardare ancora una volta il volto di Stella, illividito e già rigido, il detective si tirò su e completò il rituale che aveva studiato nelle ore precedenti, prima di raggiungere la collega.
Era stato combattuto come mai prima di allora e alla fine aveva deciso che non poteva lasciarla sola in un momento del genere, anche se ciò avrebbe significato gettare alle ortiche tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora ed esporsi anche a un terribile rischio. Non era stata una scelta dettata dall’intelletto, né dalla ragione, bensì da un ignoto impulso che affondava le radici nelle profondità più intime della sua anima e del quale non sarebbe riuscito a dare conto a chi gliene avesse chiesto una spiegazione.
In quel momento c’era solo Stella e tutto ciò che era stata per lui negli ultimi anni: chi fosse veramente e che gli avesse mentito… ogni cosa passava in secondo piano di fronte al terrore di perderla per sempre.
Trovare la sua auto localizzandone il GPS era stato facile e individuare la cripta - l’unica aperta - lo era stato ancor di più. 
Trattenendo a fatica le lacrime, frugò nelle tasche della giacca di Stella e ne trasse una croce di cera, che le pose sulla fronte madida di sudore freddo, e un pezzetto di ceramica con la scritta “Gesù Cristo vince”, che le appoggiò all’altezza del cuore.
Quando si volse verso l’estremità della cripta, il vrykolakas era scomparso.
Per l’eternità.
 
FINE
 
 (4) Per tradizione si immagina che i vampiri, pur potenti e quasi immortali, siano vincolati a rispettare determinate regole e consuetudini: ad esempio, J.S.Le Fanu racconta che la protagonista di “Carmilla” fosse costretta a mantenere il suo nome originario nelle diverse incarnazioni e attraverso i secoli, solo anagrammandolo in maniera diversa da Mircalla a Millarca a Carmilla, appunto.

  
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