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Autore: Aelle Amazon    12/01/2013    6 recensioni
Evangeline Smith ha diciassette anni e pensa che la sua vita sia una vera merda. Odia tutti, odia anche se stessa.
Quando scoppia un improvviso temporale le cose cominciano a cambiare. Scopre che gli dèi Olimpi esistono e che sono stati imprigionati dai terribili Titani. Gettati in gabbie sporche, gli dèi hanno deciso di privarsi dei loro poteri per darli ad un mortale prescelto. I Discendenti- così sono chiamati i mortali prescelti- devono risvegliarsi e salvare gli dèi, altrimenti per il mondo sarà la fine.
Ed Evangeline è una di loro.
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VOLCANO12
Ce l’ho fatta, avete visto? Sono scomparsa per un po’, ma sono tornata con un nuovo capitolo. E sapete una cosa? Per l’altro non dovrete attendere molto perché un bel pezzo è già scritto. Questa volta sarò puntuale, o almeno ci proverò. Scuola permettendo. E’ sempre colpa sua.
Bene, in questo capitolo si torna indietro. Poi, se non inverto i capitoli, si ritorna da Zach e ‘Ariadne’.
Godetevi i miei sforzi e fatemi sapere cosa ne pensate! Leggo sempre le vostre recensioni, anche se non rispondo.
Ah, e a questo proposito voglio ringraziare chi ha lasciato un commento allo scorso capitolo, ovvero: AleJackson, Ahrya, FherEyala, la sposa di Ade, Ailea Elisewin, Dafne Rheb Ariadne e BeeMe. Ringrazio anche chi ha messo la storia tra  le preferite/ seguite/ ricordate. Siete fantastici, grazie!
Concludo dicendo un’ultima cosa: questa storia è frutto della mia fantasia, è stata scritta da me e viene pubblicata solamente su EFP. Pertanto se la vedete pubblicata da qualche altra parte, avvisatemi e prenderò i giusti provvedimenti.
Al prossimi aggiornamento!
Baci,
Aelle
 
 
 
 
 
Volcano
 
 
 
 
 


Capitolo 12

 
 
 
 




Benché fosse solo un’ombra sbiadita, l’uomo la osservava dormire beata, una gamba stesa e l’altra piegata e le braccia strette attorno al cuscino. Aveva la bocca leggermente aperta e il respiro che ne usciva era lieve e frammentato, a dimostrazione di quanto fosse innaturale trovarla già assopita alle cinque di pomeriggio. E se prima il sole brillava, ora era scomparso, nascosto da una coltre fitta e impenetrabile di nuvole temporalesche.

Si avvicinò lentamente e alzò una mano spettrale, sfiorandole i lunghi capelli biondi con la punta delle dita. Non fece in tempo ad accarezzare quelle splendide onde e a godere della loro morbidezza, che un alone dorato si levò a proteggere quel corpo flessuoso. Ma l’uomo non ne fu sorpreso. Anzi, sorrise. Aveva ipotizzato che la sua presenza potesse suscitare una reazione simile, e a quanto pareva non aveva sbagliato.
-Non voglio farti del male, Apollo.- bisbigliò chinandosi all’altezza dell’orecchio della ragazza. –Voglio aiutarti.-
Il bagliore si affievolì, ma non si dissolse. A quella vista, il piccolo sorriso dell’uomo si allargò. Fu una mossa saggia, quella di Apollo, perché ancora una volta andò a dimostrare la sua intelligenza.
Ma nonostante la barriera lui doveva tentare. Premette il palmo contro il fianco della ragazza e scosse elettriche lo investirono, correndogli lungo tutto il braccio, su fino alla spalla. Strinse i denti e chiuse gli occhi, tentando di accedere al corpo dormiente della Discendente. Una volta trovato l’ingresso, si attaccò a quello spiraglio e costrinse l’anima della ragazza ad abbandonare il corpo, a condensarsi in una figura spettrale molto simile alla propria.
Con un sussulto lei mugolò, ma non si svegliò. Solo la sua presenza bastava a tenerla ancorata al mondo dei sogni. Non sarebbe riuscita a destarsi nemmeno se lo avesse voluto. In verità, nessuno, escluso lui, avrebbe potuto farlo.
L’uomo guardò il fantasma e sospirò. Quello era l’unico modo in cui poteva parlarle in quanto dio dei sogni. Sempre che lei sapesse il suo nome, che lo riconoscesse e non lo cacciasse via. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva fatto visita ad Apollo e molto probabilmente la sua Discendente non aveva in sé il ricordo di quell’incontro.
Lei sollevò lentamente le palpebre, osservandolo con quegli occhi scuri così tanto simili a quelli del dio del sole. La sua voce lo raggiunse soffocata, ma lui riuscì lo stesso a udirla. –Morfeo … -
Il suo sguardo smarrito gli confermò le sue ipotesi. La ragazza aveva pronunciato il suo nome con molta indecisione, spinta certamente da delle memorie che non riconosceva come sue. Il dubbio era evidente, ma lei mantenne alta la guardia. La schiena rigida e i muscoli contratti ne erano la prova.
Il dio del sonno sorrise. –Apollo-
-Phoebe- lo corresse subito lei. –Mi chiamo Phoebe. Non Apollo.-
La sua fermezza lo fece ridere. Forse che ancora non avesse compreso di essere solamente una pedina nelle mani di Apollo? Era così semplice da capire. Il dio del sole non era buono, ma del resto nessuno degli Olimpi lo era, né mai lo sarebbe stato. La natura misericordiosa che i mortali attribuivano loro era solo una maschera.
-Come desideri, Phoebe- si ritrovò ad accontentarla.
Scese il silenzio. Rimasero a fissarsi a vicenda, lui calmo, lei visibilmente agitata. Muoveva gli occhi da una parte all’altra della stanza, come se stesse cercando una via d’uscita, ma non lo perdeva mai di vista, tanto che Morfeo ne fu impressionato. Sapeva che nessuno dei Discendenti era stato allenato a fronteggiare né una guerra armata né una psicologica, ma quella ragazza pareva molto determinata, difficile a sorprendersi e combattiva a modo suo. Sorrise, incurvando a malapena un angolo della bocca: Apollo sceglieva sempre bene, soprattutto quando si trattava di donne.
-A cosa … per quale motivo ti trovi qui, Morfeo?- chiese infine.
Il dio si fece serio, aggrottò le sopracciglia e fissò un punto indefinito davanti a sé prima di riuscire a parlare. La domanda gli riecheggiò nella mente in una eco continua, fastidiosa e impossibile da ignorare troppo a lungo. Cercò una risposta, ma fu una ricerca vana. Non sapeva perché si fosse recato in quel luogo vantandosi di voler aiutare la Discendenza di un dio maggiore. Era stato guidato dall’istinto, che lo aveva tormentato finché non era stato costretto ad ascoltarlo.
-… Dovevo avvertirti, Phoebe- rispose. –So cosa ti ha detto quella strega di Ecate e, per quanto io odi ammetterlo, ha ragione. Il potere di Apollo ti causerà molte sofferenze e senza un aiuto valido che dividerà quel peso con te morirai prima di aver compiuto il tuo destino.-
Lo sguardo smarrito della ragazza si fece duro a quelle parole, ma quando parlò lo fece con assoluta calma. –Io non so cosa devo fare. Se devo trovare qualcuno che mi aiuti qualcuno mi deve dire dove cercare. Dove trovo delle risposte?- domandò stringendo i pugni. –Ho incontrato due dei in meno di una settimana, ho affrontato un drago scoprendo di avere dei poteri soprannaturali, i miei problemi si stanno moltiplicando a vista d’occhio e delle soluzioni che mi piacerebbe tanto trovare nemmeno l’ombra.-
E in quel momento accadde l’impensabile. In un angolo della sua stanza le ombre si concentrarono in un unico punto, come risucchiate da un vortice invisibile a cui non potevano resistere. Si ammucchiarono, si amalgamarono nell’oscurità più buia e spaventosa che avesse mai visto. Era così densa che Phoebe ebbe l’impressione di poterla stringere tra le mani. Poi le ombre si separarono di nuovo e si alzarono fino a che non formarono una figura alta e flessuosa, indubbiamente femminile, che Phoebe sapeva di avere già visto. Pian piano si diradarono, ritirandosi dentro il corpo che si era appena materializzato.
-Come mai così sorpresa di vedermi, piccola impudente?- cinguettò Ecate. Si mosse sinuosa, il volto che cambiava: da giovane a matura, da matura a vecchia, da vecchia di nuovo a giovane. Era esattamente come Phoebe se la ricordava, bellissima e terrificante allo stesso tempo.
Morfeo chinò la testa e si lasciò sfuggire un sospiro di esasperazione. –Che cosa ci fai qui, Ecate? Mostrarsi da soli è pericoloso, in due ancora di più. Lo sai bene!- nella sua voce si poteva udire bene il rimprovero.
Lei sbuffò, un sorriso impertinente ad incurvarle le labbra carnose. -Correrò il rischio, Morfeo.-
Il dio del sonno digrignò i denti. -Non ho intenzione di farmi catturare, di rinunciare alla mia immortalità, di essere ucciso, solo perché tu sei disposta a correre il rischio!- quasi strillò.
Ecate scoppiò a ridere, poi gli si avvicinò e gli prese il mento tra due dita, obbligandolo a fissarla negli occhi ipnotici. -Come sei simpatico, caro Sonno. Dove avevi nascosto tutta questa allegria negli ultimi secoli, eh? Me la stavi forse tenendo nascosta? Molto crudele da parte tua-
-Non sto scherzando, strega. Uno di noi deve andarsene, altrimenti saranno guai. E non ho intenzione di essere io- sibilò. -Vattene prima che loro ci trovino.-
Lei scosse la testa. -Oh, no. Non ci penso neppure.-
-Vuoi mettere in pericolo ... -
-Non l'ho mai detto. L'ho fatto, forse?- domandò Ecate a Phoebe, finora rimasta in disparte a guardarli.
Presa in contropiede, la ragazza sussultò e non rispose. Fissò la dea, smarrita, e quella distolse subito la sua attenzione da lei, tornando a concentrarsi su Morfeo, che ancora ribolliva di rabbia.
Si studiarono a vicenda finché il dio del sonno non perse la pazienza, alzandosi di scatto e liberandosi così dalla presa della donna. Emise un grido a mezza voce e scomparve dalla stanza con uno schiocco. Di lui non rimase nessuna traccia, se non una strana sensazione, quella di quando ci sveglia la mattina con il sorriso sulle labbra dopo un sogno bellissimo.
Ma la felicità non contagiò per nulla Phoebe, che venne invece assalita dalla paura perché improvvisamente venne ritrascinata nel suo corpo. Delle braccia invisibili le circondarono la vita e la tirarono verso la se stessa dormiente stesa sul letto, costringendola a trattenere il fiato come se si fosse trovata sott'acqua. Quando i polmoni parvero sul punto di scoppiarle nel petto e gli occhi iniziarono a bruciarle, tutto era finito e lei fu libera.
Con un sussulto e un respiro profondo si sollevò a sedere sul letto, affannata come se avesse corso per chilometri e chilometri senza mai fare una sosta. La testa le pulsava e il cuore batteva ad un ritmo così forsennato che Phoebe temette volesse volarle via. Fu solo quando riuscì a calmarsi che si azzardò a lanciare un'occhiata a Ecate.
La dea ricambiò l'occhiata con un sorriso. -Non sembra un'esperienza piacevole, eh? Del resto, Morfeo ha separato l'anima dal tuo corpo. Per un mortale deve essere straziante.- commentò.
-Cosa mi ha fatto?- chiese la ragazza, scioccata. Gli dèi potevano davvero fare una cosa simile?
-Possiamo- confermò Ecate. -E sì, riesco a leggerti la mente. Non sono specializzata in quest’arte, ma lei è stata una grande maestra, molto paziente.-
-Lei chi?- domandò ancora.
La dea si lasciò andare di nuovo ad una risata. –Questo lo scoprirai da sola, mia cara. Non posso dirtelo, interferirebbe con i progetti del fato, che in nessuno modo posso intralciare.-
Phoebe si alzò in piedi e si avvicinò alla strega quasi con timore. Era ancora scossa dagli ultimi avvenimenti e il sapere che Ecate era in grado di entrarle nella mente e leggere i suoi pensieri fu niente a confronto. Fu una rivelazione che andò ad appoggiarsi con delicatezza sulle mille altre degli ultimi giorni, pesanti come la pietra.
Quando il suo viso fu a poca distanza da quello della dea, la bionda si inginocchiò. Era qualcosa che sentiva di dover fare da quando Ecate era svanita dalla casa di Margaret. Aveva il sospetto che tutta quella sua presunzione le avrebbe fatto del male, prima o poi.
-Hai ragione- disse la donna dai tre volti. -Ma allo stesso tempo non posso far altro che pensare a quanto tu sia simile ad Apollo. Era presuntuoso come te, aveva un ego smisurato. Pretendeva di essere capace di fare tutto meglio degli altri. Non lo sopportavo-
Phoebe osservò Ecate stringere i pugni, nervosa. -Io sono diversa da Apollo- osò. -Per prima cosa, ho un nome diverso. Seconda cosa, quei poteri che ancora non so controllare non mi rendono uguale a lui.-
-Sei molto impudente, ma accetterò le tue scuse e dimenticherò queste tue ultime parole. Tu sei Apollo. Finché non liberete gli dèi e avrai le capacità che lui ti ha donato, tu sarai Apollo.-
La ragazza inclinò il capo. -Sono una dea?-
-No. Sei completamente mortale- le rispose. -E questo mi riporta alla questione fondamentale per cui mi trovo qua, la più importante delle cose di cui abbiamo parlato finora. Ricordi ancora il mio avvertimento?-
Phoebe annuì: Morfeo lo aveva sottolineato poco prima. -Sì, le mi ha ... –
-So cosa ho detto- la interruppe con un gesto secco della mano. –Hai capito di che aiuto hai bisogno e perché?-
La ragazza scosse la testa. –Morfeo mi ha detto che rischio di morire, ma non capisco perché. Per quanto mi sforzi, non trovo una ragione possibile a tutto ciò che sta succedendo.-
-Perché lo faceva anche lui, Phoebe. Anche se dio, Apollo utilizzava un mortale, una donna per la precisione, per far conoscere le sue profezie agli umani che gli chiedevano continui responsi.-
Phoebe sgranò gli occhi. Quella frase le aveva fatto venire in mente qualcosa, ma la parola le sfuggiva. Ce l’aveva sulla punta della lingua, ma non riusciva a pronunciarla. Nella testa aveva il caos e cercare qualcosa era impossibile. Si arrese.
Ecate sospirò. –Hai molta strada da fare, Discendente. La parola chiave è Delfi, ti dice niente?-
Lei negò ancora.
Allora la dea della magia lo disse. E dentro di lei qualcosa si mosse.
-Parlo dell’Oracolo di Delfi. Te ne serve uno.-
 
 
 
 
 
 
 
 






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