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Autore: _Rockstar_    13/01/2013    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XII – Rosa Rossa


Camminavo avanti e indietro, pensando e ripensando ancora. Eravamo rimasti soltanto in cinque, ero alleata con due ed ero sicura che non mi sarei dovuta preoccupare dei miei compagni, almeno per il momento.  Rmanevano soltanto un tributo senza volto e ovviamente Fallon che senza la sua amichetta aveva decisamente meno speranze di vincere e più vulnerabilità.
– Smettila di camminare avanti e indietro. Mi dai la nausea. – mi rimproverò Declan e non potevo che dargli ragione, ma mi comportavo così quando ero nervosa o  combattuta sul da farsi. Mi sedetti al suo fianco
– Hai detto che Abby è andata a procurarci del cibo… - lui annuì. Non ero sicura che quella fosse stata una grande idea. Le volevo molto bene ma per certe cose era davvero negata.
– Sai non è stata un’ottima idea – gli confessai contando le frecce rimanenti nella faretra.
– Lo so, ma lei ha insistito tanto che per farla stare zitta ho dovuto accettare – lei sapeva essere davvero snervante a volte.
– E’ via da tanto tempo, forse è successo qualcosa. – annunciai rialzandomi e ricominciando a camminare.
Dovevo andarla a cercare ma se l’avessi fatto avrei potuto incontrare qualche tributo e anche se non fosse successo nulla, Abigail si sarebbe arrabbiata per la poca fiducia che riponevo in lei. Ero ancora indecisa sul da farsi, quando la mia attenzione si spostò sul suono di cannone che rimbombò nell’aria. Mi voltai spaventata verso la foresta alle mie spalle ma ovviamente non vidi nessuno. Se lei fosse morta, l’avrei rimpianta per tutta la vita. Se solo mi fossi mossa prima e la fossi andata a cercare, lei sarebbe ancora viva. Cominciai a correre verso la direzione che mi era stata indicata e che lei a sua volta aveva preso, ma non trovai nessuno per molti chilometri. C’era un unico modo per sapere che stesse bene. Intonai finalmente le quattro note ormai familiari a tutta la nazione. Nessuno rispose. Avanzai continuando a fischiettare e per qualche secondo potevo solamente udire le ghiandaie imitatrici che riproducevano ancora e ancora il mio suono. Da lontano cominciai ad intravedere una figura umana che lentamente, quasi a fatica, si avvicinava verso di me. Incoccai una freccia ed aspettai. L’unica risposta che ricevetti furono le mie stesse quattro note. Corsi incontro ad Abby e la abbracciai. Era ancora viva ma ferita ad un gamba e non si sorreggeva quasi in piedi. La aiutai a camminare sostenendola con il mio corpo, sembrava che avesse lottato con chi sa quale animale, un orso probabilmente. Ritornammo al nostro punto di incontro dove Declan, ancora straiato esattamente dove l’avevo lasciato, stava facendo un pisolino. Come poteva dormire mentre io avevo paura di perdere una persona cara? Era chiaro che Abigail non gli stesse tanto a cuore. Lo chiamai e subito si rialzò per aiutarci entrambe.
– Che cosa ti è successo? – le chiesi appena dopo averla fatta sedere.

– Hai lottato contro un orso o qualcosa del genere?! – le urlai quasi rimproverandola.
Cercai qualche fasciatura nell’unico zaino che avevamo e che avremmo dovuto dividere ma non trovai niente di che. Non potevo di certo curarla senza qualche medicina, la ferita si sarebbe infettata e addio amica del cuore, non potevo permetterlo.
– Ho incontrato un altro ragazzo. Lui aveva una spada ma era davvero un idiota. Credo sia morto – mi stupì di lei.
Sapevo quanto era stata brava durante gli allenamenti ma non credevo che sarebbe riuscita davvero a mettere in pratica le sue conoscenze. Le versai sulla gamba qualche goccia d’acqua ma non servì proprio a nulla.
– Mi servono delle medicine ma non abbiamo niente – conclusi gettandomi a terra dallo sconforto.
Poi realizzai. Ecco ciò di cui avevamo bisogno, ciò che gli strateghi avrebbero lasciato alla cornucopia. La sua medicina.
– Hanno la tua medicina – annunciai dopo qualche secondo.
– La andrò a prendere, al festino. Spero che tu possa resista fino a domani – le dissi stringendo la sua mano. Lei annuì.
Abby era una ragazza davvero straordinaria, era intelligente e davvero perspicace, geniale ma anche ostinata.
– Aspetta! Che cosa vuol dire “ La andrò a prendere”? Non vorrai di certo andare là da sola, faccia a faccia con quel pazzo di Fallon, vero?! – mi urlò contro lui. Io mi alzai di scatto.
Odiavo le persone che non credono nelle mie capacità. Pensava forse che non sarei riuscita a combattere contro di lui, che ero una debole? Beh, si sbagliava di grosso. Sì, quella azione era del tutto insensata ma dovevo farlo. Tutto il resto era impensabile.
– Si, è ciò che farò! – gli risposi con lo stesso tono autoritario
– Pensi davvero di riuscirmi a fermare? Non esistono parole con le quali potresti convincermi a rinunciare. Lei è l’unica amica che possiedo e stai sicuro di una cosa, non la lascerò morire. – continuai con gli occhi umidi.
– E poi ci saresti andato tu? – gli chiesi, ma lui non rispose, si limitò ad abbassare gli occhi.
– Come pensavo – conclusi.
Poi mi accorsi quanto stupida ero stata. Non ero veramente arrabbiata con lui, insomma mi aveva salvato la vita. Ero soltanto stressata, avevo fatto i miei calcoli. Se fossi riuscita a scampare a Fallon, sarei tornata qui soltanto per curare la mia migliore amica che probabilmente avrei ucciso dopo aver eliminato lui. Ero sicura che in quel momento stesse sperando di non vedermi tornare mai più. Che cosa era successo soltanto in quelle quarantotto ore? Due giorni prima ero disposta a morire piuttosto che vivere senza Declan e ora stava pensando ad un modo per ucciderlo. Quei giochi ti cambiano e in quel momento mi sentivo soltanto un pezzo del loro gioco. Il sole stava tramontando, segno che anche quella giornata stava per arrivare al termine.
– Cerca di non perdere di nuovo l’arco – si raccomandò Declan. Di che cosa stava parlando?
– Che cosa vuoi dire? – gli chiesi io di rimando
– Si, come ti è già successo, ricordi? – continuò. Il mio cuore cominciò a battere più velocemente
– Come fai a saperlo? – gli chiesi dubbiosa. I suoi respiri diventarono affannati
– Non me l’hai detto tu? – rispose lui
– Si, si è vero… - finii io mentendo.
Così con gli stomaci vuoti ci addormentammo tutti e tre. Quando, la mattina dopo, aprii gli occhi, la prima immagine che mi si presentò davanti fu un allegro uccellino che zampettava davanti ai miei piedi. Quanto sarebbe stato più semplice essere un uccello. Essere libera di volare ovunque senza rendere conto di nessuno, essere felici di non venir rinchiusi in una gabbia fin troppo piccola per poter spiegare le ali. Abigail e Declan stavano ancora dormendo. Odiavo gli addii e andarmene senza che ne se accorgessero sarebbe stato meglio per me e per loro. Mi alzai e per l’ultima volta mi legai i capelli, come facevo sempre prima di intraprendere una dura battaglia. Mi misi in spalla la mia faretra e presi le frecce, proprio accanto a tutte le altre armi di cui, grazie a Declan, potevamo disporre. C’erano però soltanto pugnali e un’ascia, non era tanto ma sempre meglio di niente. Li guardai per l’ultima volta e li salutai con un gesto della mano per poi sparire nell’ancora buia foresta. L’alba era già passata ma l’oscurità avvolgeva gli alti rami. Camminai silenziosa, quasi invisibile attraverso quel bosco che per me non aveva niente di famigliare. Forse mi ricordava quell’albero nel mio giardino sul quale spesso mi piaceva arrampicarmi nei pomeriggi estivi, ma niente di più. Superai il lago e in meno di un’ora ritornai alla cornucopia. Inizialmente mi nascosi dietro ad un fitto cespuglio. Sapevo che Fallon era lì ad aspettarmi, saremmo stati soltanto io e lui finalmente. Il vento soffiava forte e dalla poca luce che si stagliava sul quel prato verde potevo intravedere, posizionato proprio davanti alla cornucopia, un tavolo di metallo con soltanto due zaini, distinti soltanto dalla iniziale del nostro nome. Presi un profondo respiro e con grande cautela cominciai ad avviarmi. Mi guardai circospetta intorno ma non potevo né sentire né vedere persona viva. Per un momento fui stranamente sicura che lui non fosse venuto. Con più sicurezza corsi verso il mio zaino ma proprio mentre stavo per allungare il braccio verso di esso, sentii i cespugli muoversi dietro di me. Mi girai proprio nel momento esatto per vedere il ragazzo, ferito in più parti del corpo, lanciarmi contro il suo primo pugnale. Mi presi davvero paura. E’ strano da dire ma non me lo sarei mai aspettato. Era stato dietro di me per tutto il tempo,  miaveva seguito alle spalle e io non me n’ero nemmeno accorta. Gridando un poco caddi a terra proprio nel momento giusto per schivare di poco la sua arma. Lui corse furiosamente verso di me. Incoccai una freccia e senza nemmeno pensarci la tirai, ma essa non centrò il bersaglio. Lui si gettò contro di me e in qualche modo, sollevandomi di peso, mi gettò contro il 
vicinissimo tavolo in metallo che a contatto con il mio corpo crollò sotto di me. Feci fatica a rialzarmi, ma ci riuscii e impugnai nuovamente l’arco. Lui era in piedi davanti a me, aspettava che mi mettessi in piedi, pronto a colpirmi nuovamente. Tirai una freccia ma mi girava troppo la testa per essere concentrata sul tiro. Così lasciai perdere l’arco, lo gettai lontano insieme alla faretra ancora piena.
– Roseleen Snow – disse lui con una vaga pazzia negli occhi. Provavo quasi pena per lui.
– Si, Roseleen Snow. La risposta alla domanda “Chi ha fatto piangere Fallon Abrahamscome una ragazzina?”. – gli risposi.
Sapevo quanto poteva essere arrabbiato e la collera in questi casi ti portava a commettere errori; errori che potevano rivelarsi fatali. L’unica cosa che ricevetti da lui però fu soltanto qualche pugno allo stomaco e al volto. Ma a che cosa stavo pensando quando decisi di affrontarlo tutta da sola? Solo in quel momento realizzai quanto ero stata stupida. Tentai di rialzarmi ma lui non me ne diede il tempo. Mi sollevò nuovamente di peso e mi gettò furiosamente ancora contro quel diavolo di tavolo di metallo, ferendomi malamente alla testa che ora aveva cominciato a sanguinare. Stava andando di male in peggio. Ero quasi sicura di poter svenire in quel momento e forse non sarebbe stata la cosa peggiore. Lui mi avrebbe uccisa e io non avrei sentito nulla, sarebbe stato più veloce che addormentarsi. Allungai la mia mano tremante verso la testa e osservai il rosso del mio sangue. Era un colore vivo, pieno di vita ma dalle ombre scure, malvagie.
– Cosa è successo? Il tuo fidanzatino ti ha lasciato affrontare la morte da sola? – mi chiese sarcasticamente per poi cominciare a ridere, potevo sentire i brividi percorrere la mia schiena. Intorno a noi ancora il buio.
– Cos’è questo? Il discorso che il cattivo fa alla sua vittima prima di ucciderla? Lascia perdere e falla finita – gli risposi.
Ora che si era avvicinato a me potevo vederlo meglio. I suoi capelli scuri erano scompigliati, gli occhi da azzurro ghiaccio si era trasformati in un rosso pallido, erano irritati, le sue labbra screpolate e contratte, il suo corpo era coperto da molto ferite alcune più profonde di altre e inoltre si potevano ancora notare le cicatrici lasciate dalle punture degli aghi inseguitori, le sue mani giocavano nervosamente con il pugnale che teneva stretto tra le mani. Aveva paura, paura di morire. Per un secondo provai pena per lui. Infondo, non eravamo molto diversi. Sono stupita anche io nel ricordare che da bambini giocavamo insieme, eravamo addirittura amici. Lui aveva sempre avuto uno splendido sorriso sul volto e io una cotta per lui. Non successe mai niente di particolare tra di noi, ma la colpa del nostro allontanamento non fui io, ma naturalmente mio nonno. Il padre di Fallon lavorava per lui e in uno dei momenti più critici per il suo governo, fu licenziato, accusato di tradimento verso la patria. Che fosse vero o no, questo non mi è dato sapere.  
– Mi dispiace per tuo padre – gli dissi. La sua espressione cambiò.
– No, non ti dispiace – mi rispose
– Capisco. Sarebbe inutile dirti che non è vero, non mi crederesti. Sarebbe inutile dire che è vero, perché mentirei - continuai allungando lentamente la mano verso il mio arco.
– Sarebbe inutile restare qui con le mani in mano, morirei – terminai.
Scattai in piedi e afferrai la faretra e l’arco, colpendolo con esso. Fui presa dalla vigliaccheria, volevo scappare, era l’unica arma che mi rimaneva. Corsi veloce verso la cornucopia sulla quale mi arrampicai. Sapevo che Fallon mi avrebbe seguita e non sarebbe scappato con il suo zaino, voleva farla finita. Così lo aspettai, lui si arrampicò e in pochi secondi ci ritrovammo faccia a faccia. Mi corse in contro e questa volta mi difesi, ero più determinata che mai. Ci ferivamo a vicenda ma nessuno dei due riusciva a sovrastare l’altro. Mi colpì in un attimo di distrazione, quando mi trovavo di spalle e mi strinse stretta nella sua morsa. Mi girai e gli osservai il volto. Soltanto un arco e la punta di una freccia ci divideva. Lo guardai negli occhi, sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire. Stava soffrendo, dentro e fuori di sé.
– Fallo – mi sussurrò.
La freccia, veloce come il vento gelido che penetra nelle vene in una serata invernale, gli trapassò la gola. L’amico con cui correvo felice durante le notti calde d’estate cadde giù come un ramo appesantito dalla troppa neve, morto. E sempre così me lo ricorderò: come il ragazzo dagli occhi azzurri che mi sistemò tra i capelli una piccola rosa rossa.

Con le lacrime agli occhi saltai giù dalla cornucopia. Avrei tanto voluto stendermi in quel prato verde e non aprire più gli occhi, ma lo feci. Cominciai a correre, riemergendomi nella fitta foresta. Stavo tornando da Abigail con la sua medicina stretta nella mani. Avevo giurato che non avrei mai pianto per le telecamere, per i cittadini della capitale, per la Coin ma non potevo farne a meno. Riposai qualche secondo appoggiando le braccia alle ginocchia, questi giochi mi avevano veramente sfinito, ma non potevo perdere adesso. Ritornai al luogo in cui avevo lasciato i miei due alleati, proprio in tempo per vedere, tra i cespugli Abigail chiudere gli occhi per l’ultima volta. La ragazza non si mosse. Si limitò a chiudere gli occhi aspettando quel momento. Sapeva di non poter scappare oltre, era in trappola. Declan l’aveva raggiunta. Alzò la scure di metallo e la piegò orizzontalmente,poi la colpì.L’unica fonte di luce era la luna. Mi trovavo forse nel mio sogno? No, quella era la realtà. Calpestai un ramo che sembrava essere stato spezzato da un forte fulmine. Il lupo si girò e vide la sua preda, vide l’agnellino bianco ed indifeso, vide me. Cominciai a correre, spaventata. Mi fermai soltanto quando pensavo di essergli lontana, ma mi sbagliavo. Mi voltai indietro ed ecco che me lo ritrovai davanti.
– Mi hai spaventato a morte – gli dissi, speravo che non si fosse accorto 
veramente della mia presenza.
– Non ancora, ma lo farò – mi rispose lui. Avevo terrore, avrei voluto urlate ma non riuscivo ad emettere nessun suono.
– Sei tu quello che ha nascosto il mio arco, nella baracca, non l’ho veramente perso – cominciai, avevo capito chi era: un doppiogiochista. Avevo passato tutto il tempo a preoccuparmi che gli altri non mi facessero del male, quando avevo sempre avuto l’assassino al mio fianco

– Tu hai provato ad uccidere Cary ma sei scappato quando hai sentito qualcuno arrivare, vero? – lui annuì.
– Sai, pensavo che l’avresti capito molto prima. Mi hai deluso Rose – pronunciò il mio nome con una tale dolcezza che i brividi mi assalirono nuovamente.
– Non ti avvicinare! – ma era inutile.
Incoccai una freccia, l’ultima ma lo colpì soltanto di striscio avendo così appena il tempo per scappare. Ricominciai a correre, con gli occhi bagnati dalle lacrime senza una vera meta, non sapevo cosa fare. Girai la testa all’indietro ma non c’era nessuno. Mi fermai ma Declan mi apparve davanti. Per la prima volta avevo veramente paura della morte. Aveva abbandonato la scure e ora in mano aveva soltanto un pugnale. Mi colpì forte, al volto, facendomi cadere a terra. Mi bloccò sia le mani che il braccia, non avevo vie di scampo.
– Sai mi dispiace ucciderti, speravo che Fallon facesse questo lavoro per me, ma a quanto pare l’ho sopravvalutato – iniziò sfiorandomi il viso con la lama del coltello. Cercai di liberarmi ma era nettamente più forte di me
– E’ davvero un peccato, sei così carina… ma purtroppo hai avuto la sfortuna di appartenere ad un famiglia, come posso dire, corrotta. – continuò accarezzandomi con la mano sinistra
– Non te ne faccio di certo una colpa, infondo la famiglia non si sceglie, ma qui qualcuno deve pagare. Prendilo come un favore che ti faccio – quelle parole mi ferirono molto più di tutte le armi esistenti al mondo .
– Un favore a tutta la nazione – specificò
– Tu sei uno squilibrato!– gli urlai contro ma lui non si scompose.
– E’ così che ti hanno sempre chiamato a scuola, non è vero? Beh, avevano ragione – quelle parole lo ferirono, nel profondo come avevano sempre fatto
– Hai proprio centrato il punto, ragazzina – continuò lui. Perché doveva allungare così la mia agonia?
– Credi sia facile, camminare per i corridoi ogni giorno e venire preso di mira da degli idioti pompati e senza cervello? Ma tu che ne puoi sapere, sei sempre stata amata da tutti, tu sei Roseleen Snow, la nipote del presidente, fai parte della famiglia più ricca di Capitol City – affermò ancora
– Tu non puoi capire, tu hai sempre avuto tutto ciò che hai desiderato, tutto ti è sempre dovuto. E’ divertente come le cose cambiano, vero? – stavo per implorarlo di uccidermi
– La prima volta che ti ho visto, sai cosa ho pensato? Ho pensato che tu fossi diverso, che tu non fossi come tutti ti hanno sempre descritto. Tu sei meglio di tutto questo e non lo dico per non morire, lo dico perché non ne vale la pena. – gli risposi io
–Di che cosa stai parlando? – disse lui con un tono più arrabbiato
– Uccidermi per dare una lezione a tutti gli altri? Non importerà mai a nessuno – mi meritai soltanto un pugno nello stomaco. Lui non mi rispose.
Alzò il coltello ma lo bloccai, lottai ma non ci fu niente da fare. Il pugnale mi colpì proprio nel petto.
– Addio Rose – furono le ultime parole che sentii.

 

Un cannone risuonò nell’aria, gli uccelli volarono via spaventati dai loro rami, il ragazzo si alzò e si stese affianco alla sua vittima, ce l’aveva fatta. Aveva vinto, ma quanto valeva veramente quella vittoria? Adesso forse i suoi concittadini avrebbero capito che cosa aveva dovuto sopportare? Certo che no. Aveva vinto quei giochi, ma allo stesso tempo aveva perso tutto; aveva perso se stesso. Un hovercraft passò sopra la sua testa, lui allungò un braccio verso l’alto e si allontanò verso il nuovo capitolo della sua vita. Non era felice, qualcuno l’aveva obbligato a farlo, era soltanto una pedina nel suo gioco.

 

Poi Rose aprì gli occhi e il suo cuore ricominciò a battere 

 

Risposta dell'autore:  
Ed ecco che partono i titoli di coda. Si ragazzi, siamo arrivati alla fine, almeno per ora. Cosa posso dire? Mi sento realizzata, sembra strano dirlo ma non avevo mai realizzato e sopratutto concluso una long fiction come questa e non ho di certo voglia di smettere. Ci risentiremo molto presto con dei missing moments e come avevo giù annunciato, la seconda "serie". Ma fino ad allora, da buona fan di Harry Potter, fatto il misfatto

  
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