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Autore: Deathbed    13/01/2013    1 recensioni
Charlotte era nuda, chiusa in camera sua. Si stava guardando allo specchio.
Si stava guardando la pelle bianca, le gambe lunghe e magre, il livido sotto il seno. I capelli neri e lisci che le spiovevano sulle spalle, gli occhi grigi e freddi. I polsi martoriati, da cui stavano ancora uscendo dei rivoletti di sangue.
Distolse lo sguardo dallo specchio.
Era sempre in silenzio, Charlotte. Era sempre fredda.
Non aveva amici, e non ne voleva. Nessuno voleva essere sua amica, ma tutti sapevano chi era. Era una di quelle persone che quando qualcuno vede a scuola, tutti cominciano a bisbigliare, smettendo subito se lei per caso si volta, e ricominciando appena se ne va. Le ragazze le odiavano per la sua bellezza, perché i maschi parlavano sempre di lei. Ma a lei non interessava. Lei li odiava, gli uomini.
Tutti sapevano chi era, ma nessuno la conosceva.
Nessuno poteva immaginare cosa c'era dietro quell'aria sempre così strafottente, disinteressata, di chi pensa di vivere mille metri più in alto rispetto agli altri. Nessuno era mai stato a casa sua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ok, allora. Buonsalve! (?)
è la mia prima volta su efp, quindi chiedo pietà. Ieri ho postato di botto, senza pensare, come faccio sempre. allora, questa storia mi è venuta in mente da un giorno all'altro, e l'ho voluta pubblicare. sarà molto corta, penso meno di dieci capitoli. eh beh...il resto lo scoprirete leggendo! e le recensioni saranno gradite, altrimenti mi sento una merda.
Baci.
-April


 

-Bill

Crawling in my skin
These wounds
They will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real

{Linkin Park-Crawling}


Da un paio di minuti ormai qualcuno stava bussando alla porta della camera del diciottenne Bill Bailey.
Bussare è un termine troppo civile. Diciamo che la donna stava praticamente prendendo a calci la porta, ma Bill aveva la musica talmente a palla da non riuscire neanche a sentire i propri pensieri.
Allora la donna decise di entrare, nonostante il figlio glielo avesse severamente proibito.
Quando la vide Bill fece un balzo.
-Mamma!- gridò -perché sei entrata?!-
-Puoi spegnere sto rumore?!- chiese la madre urlando.
Allora Bill si chinò sul giradischi e spense Mick Jagger “Cause I tryyyy, and I tryyyy, and I tryyy, I can't get noooooo, Satisfactioooon...”
-Che vuoi?- chiese quando ci fu silenzio, guardandola scocciato.
-Tuo padre sta per tornare, ti conviene mettere un po' in ordine questo porcile- rispose, stringendo gli occhi.
-E allora?- fece una smorfia -Non ci deve dormire lui qua- disse Bill, con un tono che faceva capire che lui non aveva la minima intenzione di muoversi da lì, men che meno per pulire.
La madre lo guardò disgustata.
-Fai come vuoi- disse -poi però non venire da me a lamentarti se ci litighi...-
e uscì sbattendo la porta.
“Troia” pensò.
Poi fece ripartire la musica, e lasciò che essa inghiottisse tutti i suoi pensieri.

La cena a casa Bailey, esattamente come a casa di Charlotte, era un momento estremamente sgradevole.
Ma, mentre Charlotte la consumava come una persona normale, Bill inghiottiva due bocconi, prendeva qualcosa dal frigo che poi si mangiava in camera, dava un bacio a sua sorella e spariva di nuovo.
La sera di quello stesso giorno, dopo cena, e dopo che era rimasto solo con sua moglie, Stephen Bailey si accese una sigaretta. Tirò un paio di boccate e osservò la donna che gli sedeva di fronte. Evitava di guardarlo in faccia. Adesso invece si era alzata, e aveva cominciato a sparecchiare.
Era invecchiata, Sharon. Non era più la ragazzina bionda che aveva appena partorito, che l'aveva tanto impietosito con la storia della sua vita, e del figlio appena nato, del marito che se n'era andato, fino a convincerlo a prenderla con sé, insieme al bambino. Quel bambino che gli aveva sempre fatto dannare, sin da quando aveva imparato a stare in piedi, e, più tardi, a pensare con la propria testa.
-Sharon- disse a un certo punto l'uomo.
-Sì?- fece lei, senza voltarsi, impegnata a lavare i piatti.
-Hai controllato la camera di William?- chiese.
-Sì- rispose.
-Trovato niente?- adesso stava asciugando le stoviglie, ma continuava a evitare il suo sguardo. Non rispose subito.
-Le solite cose...- disse.
-Ad esempio?- la incalzò l'uomo.
Lei si morse un labbro. Nonostante non amasse il figlio, nonostante avrebbe solo voluto vederlo uscire di casa senza che mai facesse ritorno, neanche a lei andava molto a genio il fatto che fosse picchiato dall'uomo che aveva sposato

-Cd, un sacco di cd, vestiti sparsi dappertutto, riviste, altri cd...-
-Un giorno dovrò fare piazza pulita di tutta quella paccottiglia inutile- borbottò l'uomo -e poi?-
-Delle sigarette, e...-
-Che cosa?-
Sharon deglutì.
-Sigarette...-
-E perché non me l'hai detto subito?!- l'uomo si alzò, in tutto il suo metro e novanta di altezza.
La donna abbassò lo sguardo, senza rispondere.
Stephen le lanciò un'occhiata infuocata -Io e te facciamo i conti dopo...- disse, prima di salire in camera del figlio.
Sharon chiuse gli occhi,cercando di non piangere, e rimase così per alcuni secondi.

Poi si riprese. Ricominciò a lavare i piatti, cercando di non sentire i tonfi che provenivano dal piano di sopra. Cercando di non pensare al fatto che sposando quell'uomo si era rovinata la vita, e soprattutto aveva rovinato la vita di suo figlio. Cercò di convincersi che il problema era quel ragazzo, da sempre troppo chiuso, troppo scontroso. Andava educato, e suo marito conosceva l'unico modo.
Sentì il rumore di vetri infranti.
Sì, lui stava facendo la cosa giusta.

Bill, ritornato in camera sua, era intento a leggere una rivista porno. Appena vide la porta aprirsi la gettò sotto il letto e fece finta di dormire.
-William- lo chiamò suo padre.
Aprì un occhio.
-Che vuoi?-
Sì avvicinò lentamente al letto, mentre il ragazzo lo guardava, indifferente, facendo finta di non temerlo.
L'uomo continuò ad avvicinarsi, senza rispondere, e quando fu davanti al ragazzo gli tirò un pugno sulla pancia. Bill spalancò gli occhi, preso alla sprovvista. Subito non faceva neanche troppo male. Era quello che veniva dopo che faceva male. Si mise a sedere e si piegò in due. Sentiva il profondo bisogno di vomitare, ma dalla bocca non gli uscì assolutamente niente, se non un rantolo e qualche goccia di sangue.
-Tua madre mi ha detto che ha trovato delle sigarette in camera tua- disse, con voce fredda -Mi sembrava di averti vietato di fumare-
Bill non disse niente.
Allora il padre andò su tutte le furie. Afferrò una bottiglia vuota dal comodino, e la spaccò. Bill lo guardò, senza cercare di nascondere la sua paura adesso. E l'uomo lo prese, e lo sbattè al muro, e cominciò a tempestarlo di cazzotti. Tre, quattro, cinque, finché la faccia del ragazzo non cominciò a sanguinare.
Poi lo lasciò, e lui si accasciò sul pavimento, come una bambola di pezza senza vita.
Stephen si lisciò la giacca e si risedette sul letto.
-Beh? Non mi dici niente?- chiese. Sembrava estremamente calmo, adesso.
Bill lo guardò con odio.
-Che c'è? Non ti inventi nessuna scusa oggi? Non te le ha infilate di nascosto in camera il tuo amico, oggi?- chiese con voce sarcastica.
Bill non era come Charlotte. Anche se nemmeno a lui piaceva piangere, lui si ribellava. Non si faceva toccare, e quando succedeva, cercava sempre di difendersi con tutte le sue forze. Non quel giorno però. Perché, anche se non l'aveva ammesso neanche a sé stesso, sperava che almeno quel giorno sarebbero riusciti a comportarsi come una famiglia normale. O, per lo meno, suo padre non l'avrebbe picchiato. Invece no. E lui, quel giorno, non aveva la forza di ribellarsi.
L'unica cosa che riuscì a fare fu alzarsi in piedi e urlargli contro tutta la sua rabbia.
-Ti odio!- gridò.
Ti. Odio. Sei mio padre, e ti odio. E vorrei che tu morissi, sarebbe la cosa migliore che mi possa capitare in tutta la vita. Vorrei ucciderti io, con le mie stesse mani, vorrei uccidere l'uomo che con il suo seme mi ha dato la vita. Porco schifoso!
Dopo avergli urlato addosso quelle due parole, Bill uscì sbattendo la porta, scese di corsa le scale, evitò sua madre, aprì la porta d'ingresso e...finalmente libero.
Andò al parco di Lafayette. Lì poteva stare da solo, in pace. Nessuno andava in un posto del genere a quell'ora.
Cominciò a piangere, suo malgrado. Pensò che era completamente solo al mondo, e che, anche se sapeva che non era colpa sua, a volte si odiava per non riuscire mai a rendere fieri i tuoi. Sei un mostro. Devi ringraziare di non essere ancora finito in prigione. E tagliati quei capelli.
Voleva andare da Jeff, ma non poteva. O meglio, non voleva. Aveva paura che a forza di piombare lì di notte e svegliarlo alla fine anche il suo migliore amico si sarebbe stufato di lui e l'avrebbe sbattuto fuori.
Così rimane lì, continuando a piangere. Non si accorse neanche di essersi sdraiato su una panchina e di essersi addormentato. Di essere lentamente scivolato nel sonno, un sonno leggero e pieno di sogni confusi, da cui suo padre entrava e usciva. E rimase lì tutta la notte; a pochi passi dalla casa in cui, anche se lui non lo sapeva, Charlotte viveva la sua stessa vita.

  
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