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Autore: Gerugber    18/01/2013    1 recensioni
Tutti si ricordano il proprio diciottesimo compleanno.
Chi per cose brutte, chi per cose belle, ma tutti se lo ricordano.
E io mi ricordo il mio.
Era marzo ed ero fidanzato, ed ero felice, troppo felice.
Una felicità che sarebbe svanita poco a poco, per poi tornare alla vita di tutti i giorni.
Tutti hanno problemi con la propria anima gemella,
tutti hanno problemi a scuola.
Ma fidatevi quando vi dico che per un diciottenne gay è tutto più difficile.
Ed ecco la mia storia...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi alzai di botto dal letto e iniziai a imprecare.
Gli risposi velocemente un “sto arrivando” e uscii dalla mia stanza continuando a imprecare e dandomi dello stupido per essermene dimenticato. “Come ho fatto a dimenticarmene? Come?!” pensavo. All’angolo tra il corridoio e l’entrata andai a sbattere contro mio fratello e caddi. Giammi mi squadrò e mi chiese “Dove vai?”
Non avevo tempo di stare dietro a mio fratello e rimanendo per terra presi le scarpe che mi stavano a un passo di distanza e me le iniziai a mettere. “Ti ho chiesto dove vai” richiese Giammi. Finii di infilarmi tutte e due le scarpe e alzandomi gli risposi “Vado a prendere Max alla stazione. Me ne ero dimenticato che arrivava oggi.”
Detto questo lasciai mio fratello là nell’ingresso e uscii di corsa prima dalla porta di casa e poi dal portone del palazzo. Ringraziando Dio la stazione era vicino a casa mia, in cinque minuti di corsa ci sarei dovuto arrivare.
“Chissà da quanto tempo è lì che aspetta… cosa mi invento? Max io….nono aspetta… Max stavo dando da mangiare al cane è ho fatto tardi. Perfetto! Ma io non ho un cane… Max mi… si!.. mi stavo facendo la doccia e ho perso la cognizione del tempo. Ok questa va bene.”
Attraversai un paio di volte con il rosso ma per fortuna non girava praticamente nessuna macchina e riuscii a cavarmela.
Dopo cinque minuti arrivai alla stazione con il fiatone, mi piegai in due, non ce la facevo più, avrei voluto morire là sul colpo, e un dolore lancinante mi colpì la milza. Mi tirai su e cercai di prendere respiri profondi ed entrai in stazione. A quel punto dovevo solo cercare il binario, ma a quanto pare non ce ne fu bisogno, Max era già all’entrata ad aspettarmi. Si avvicinò con un sorriso stampato in faccia e non vedevo l’ora di dirgli ciao,  raccontarli tutto degli ultimi mesi e sentire di nuovo il suo respiro sulla pelle… ma la prima cosa che mi disse fu “Se provi di nuovo a dimenticarti di me in stazione giuro che ti lascio.”
All’inizio non capii se fu serio o stava solo scherzando, ma vedendo che non la smetteva di sorridere contraccambiai il sorriso e gli dissi “Mi stavo facendo la doccia.”
“Allora ok. Ah te l’ho detto che mi ci ha portato un unicorno volante fino a qua?” mi disse ironico, e io iniziai a ridere. A ridere come non facevo da mesi. A ridere come solo lui sapeva farmi ridere.
E poi lo abbracciai.
Non ci baciavamo mai in pubblico. Non eravamo gay dichiarati e le voci in città, soprattutto quella città, giravano, e velocemente. I nostri parenti erano gli unici a saperlo insieme a qualche amico stretto. Dopo un minuto di abbraccio mi staccai e gli chiesi scusa.“Tranquillo amore” mi disse. Amore… da quanto tempo non sentivo chiamarmi in quel modo, troppo. Credo che diventai rosso in quel momento e cercai subito di cambiare discorso “Solo una valigia? Strano da parte tua, di solito ti porti dietro minimo tre valigie quando viaggi.”
Questa volta rise lui “Visto? Ho deciso di viaggiare leggero questa volta. Bene… allora mi vuoi portare a casa o devo dormire qua stasera?”
“Ah si scusa andiamo” dissi.
Mamma mia quanto era bello. Era alto più o meno quanto me, forse un paio di centimetri più basso. Aveva gli occhi verdi, erano stupendi, ti ci perdevi dentro. E i capelli? Aveva un'acconciatura ribelle di un color nocciola, li amavo.
Non si smentiva mai. Ogni volta che lo vedevo era come innamorarsi di lui un’altra volta.
Dopo cinque minuti tornammo a casa e mamma iniziò a fare una delle sue mega feste a Max “Max! Come stai? Quanto tempo! Ma come sei cresciuto. Sei ogni giorno più bello e penso che Alex. sia fortunato. Vorrei averlo io un ragazzo come te e…” bla bla bla.
Soliti convenevoli, anche se mamma le pensava veramente tutte le cose che diceva. Andava pazza per Max, era come un figlio per lei. E poi arrivò Giammi che fu molto più breve di mamma nei discorsi.
“Bene mamma adesso andiamo in camera così Max si sistema” dissi.
“Sisi andate tranquilli, intanto preparo il pranzo.”
Presi Max per il polso e lo accompagnai in camera con tutta la valigia.
Volevo rimanere solo con lui.
Arrivati in camera mi chiusi la porta dietro e mi disse “Sai il tempo passa ma questo posto rimane sempre lo stesso, non credi?”
“Se lo dici tu” e mi avvicinai di un passo.
“Ti sono mancato?” mi chiese guardandomi negli occhi.
“Si, moltissimo.”
“Ah davvero? Bene, perché anche tu mi sei mancato” e fece un passo verso di me, e si avvicinò al mio viso.
Ormai ci potavamo praticamente baciare.
Io come di norma arrossì, no anzi, avvampai.
“Ah…” aggiunse. Ormai potevo sentire il suo respiro “…auguri.”
E detto questo, mi baciò.
  
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