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Autore: PixieHoran_    27/01/2013    6 recensioni
Lei è Valerie Amber, sorella di Louis William Tomlinson. Entrambi vivono a Londra da circa un anno mentre i genitori sono rimasti nella loro vecchia casa di Doncaster. Val fa la commessa in un immenso centro commerciale della città, mentre il fratello sta studiando teatro. Lei è una ragazza bellissima con un carattere e una personalità molto forti..e si...è anche un pò stronza. Occhi chiari e capelli castani, ha fatto strage di cuori nei suoi vent'anni di vita; cambia più ragazzi che calzini. Stanca però della monotonia di tutti i giorni, deciderà di partecipare ad un programma televisivo per conoscere la sua anima gemella: dovrà corteggiare due ragazzi di cui -all'inizio- non conosce l'identità..una sorta di appuntamento al buio. Troverà la persona adatta a lei, che riuscirà a sciogliere il suo cuore di ghiaccio? Cosa succederà in quel contesto televisivo? Come sarà sconvolta la sua vita? Sarà lei a soffrire questa volta?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lou, svegliati che è tardi!” gli scossi ripetutamente la spalla per almeno due minuti buoni ma non riuscii a far uscire mio fratello da quello stato comatoso in qui si trovava.
Lo richiamai per altre tre volte ancora, a voce più alta. Lo vidi accigliarsi prima che la sua faccia da schiaffi sparisse sotto il cuscino.
Allora presi l’estremità del piumone e lo tirai via lasciandolo completamente scoperto: indossava un paio di boxer ed una T-shirt grigia.
Ero certamente abituata a vederlo andare in giro per casa in questo modo ma non finivo mai di stupirmi di quanto fosse ben piazzato il mio omaccione. Per non parlare di quel suo fondoschiena disegnato col compasso…
E puntualmente mi dovevo imporre di scacciare quei pensieri poco casti che nascevano, ricordandomi che quello che faceva bella mostra del suo fisico era solo mio fratello.
Stanca della sua perseveranza e del fatto che mi stesse semplicemente ignorando -e io odiavo essere ignorata- cominciai a tirare il cuscino che ricopriva la sua testa. Non ci riuscii data la pressione che vi esercitava con entrambe le mani così dovetti rassegnarmi. “Sai che ti dico? Stai pure a poltrire qui. Farai l’ennesima assenza a scuola” e così dicendo uscii dalla stanza dirigendomi in cucina.
 Guardai i cornetti caldi che se ne stavano tranquilli sul loro bel vassoio ignari della fine che avrebbero fatto di lì a poco.
Li compravo la mattina presto, vestendomi alla meglio e catapultandomi dall’unico Starbucks distante solo due marciapiedi dalla casa che condividevo con mio fratello da circa un anno ormai.
Mi appoggiai al marmo della cucina, e prendendone uno al cioccolato con sopra scaglie del medesimo gusto, lo addentai lasciando che il dolce sapore entrasse in contatto con le mie papille gustative. Chiusi gli occhi, in ecstasy non accogendomi di un Lou che faceva il suo ingresso nella stanza, intento a stropicciarsi l’occhio destro.
La pianti di fare l’amore con quel cornetto?” esclamò con nonchalance mentre si stiracchiava.
Scoperta sul fatto, aprii gli occhi di scatto e mi diedi un minimo di contegno. Ormai non arrossivo più per le battute imbarazzanti di quel coglionazzo e avevo imparato a rispondergli per le righe. Me ne uscii citando la frase di una famosa pubblicità: “Fai l’amore con il sapore
Entrambi scoppiammo a ridere però, io, ricordandomi di quanto mi avesse fatto disperare per alzarsi dal letto, tornai seria.
Senti. La prossima volta che hai intenzione di farmi sgolare, non chiedermi di venirti a svegliare” lo ammonii prima di bere un sorso di latte direttamente dalla confezione.
Quante volte ti ho detto che devi bere dal bicchiere!” mi rimbeccò togliendomelo dalle mani. Di tutta risposta gli feci una linguaccia che Lou prontamente ignorò.
Me l’hai preso quello con la marmellata?” chiese poi, rovistando nel sacchetto. “Non lo so. Vedi se c’è” mentii mentre nascondevo un sorriso divertito.
Louis, quando si ritrovò il suo croissant fra le mani, lo guardò, quasi fosse un miraggio e con un morso ne divorò quasi la metà. Io nel frattempo avevo finito il mio.
Non si ringrazia la sorellina?” lo rimproverai incrociando le braccia sotto il seno. Il castano mi rivolse il suo più bel sorriso assonnato seguito da un bacio sulla guancia prima di spostare indietro la sedia per sedersi.
Sorrisi di rimando mentre annunciavo che sarei andata a vestirmi.
Amavo la monotonia di tutti i giorni ma soprattutto amavo mio fratello. Non osavo immaginare la mia vita senza di lui.

Ritrovandomi di fronte all’armadio, sospirai. Certe volte mi sarebbe piaciuto -e anche tanto- andare a lavoro vestita con i leggins o magari con i tacchi, ma ognuna delle dipendenti doveva indossare la stessa divisa fatta di blu jeans, maglietta nera con il marchio del negozio e scarpe di ginnastica.
Avrei senz’altro potuto vestirmi a mio piacimento ma poi mi sarei dovuta cambiare all’inizio e alla fine del turno di lavoro, e questo mi annoiava troppo.
Mi diressi in bagno, afferrando spazzolino e dentifricio. Lo aprii spremendo il tubetto fino a far uscire tutto quello che ne era rimasto. Louis non si degnava mai di buttarlo nella spazzatura tutte le volte che terminava, lo lasciava sempre per trofeo. E anche se certe volte mi faceva impazzire, avevo imparato a sopportare gran parte dei suoi difetti.
Bello scambio: lui si era preso me -perfetta in ogni cosa- mentre io mi ero dovuta accontentare!
Si certo, perfetta in ogni cosa, guarda..
Zitta tu!
Troppo distratta dai miei pensieri senza un filo logico, agguantai il giubbetto nero dall’attaccapanni rischiando per un attimo di farmi cadere l’intera bastoniera addosso.
Lo trattenni con l’altra mano, sospirando ad occhi chiusi e ringraziando il cielo per i riflessi pronti che non avevo di certo ereditato dalla mia famiglia. Grazie a questi-  pensai -ho evitato di morire, spesse volte.
Lo indossai mentre lanciavo un’occhiata all’orologio: 08.01. Sempre puntuale. Presi anche un berretto di lana e la borsa, rigorosamente a tracolla perché non mi creasse disturbo o fastidio, e feci il giro delle stanze per cercare Lou.
Lo chiamai a voce alta, sentendomi rispondere “Am, in bagno!”
Potei sentire la chiave girare nella toppa e il cigolio della porta aprirsi.
 ‘Am’, diminutivo di Amber, era il soprannome che mi era stato affibbiato dallo stesso Louis fin da quando eravamo bambini. Io invece -se pur di rado- solevo chiamarlo ‘Will’. Nessuno ci aveva mai presi in giro o criticato per questo, erano a conoscenza del bellissimo rapporto che ci legava.
Anche perché se ci avessero provato, anche solo minimamente ad aprire bocca se la sarebbero dovuta vedere con ‘Val la furiosa’
Esattamente. No, aspé…dai cazzo non posso battibeccare con questa insulsa vocina!
Insulsa a chi?
STAI ZITTA!


Lo trovai in bagno intento a sistemarsi i capelli, aveva solo un asciugamano alla vita.
Cazzo, questo ragazzo mi provoca.
Mi appoggiai alla porta, ammirandolo in tutta la sua bellezza. Rimasi così per qualche minuto, poi i nostri occhi si incontrarono attraverso lo specchio. Sorridemmo.
Avanzai verso di lui, affiancandolo. Lou si abbassò leggermente, porgendomi la sua guancia morbida se pur con un accento di barbetta ribelle. Vi poggiai le labbra per lasciargli un semplice, casto, dolce bacio.
Ogni mattina da 10 anni, prima di uscire di casa, dovevamo salutarci con un bacio o magari con un abbraccio. Era un’abitudine che entrambi cercavamo di portare avanti giorno per giorno…una nostra piccola dimostrazione d’affetto, ecco.
Quando mi staccai, sentendone lo schiocco, gli sorrisi e mi congedai con un “A stasera Wil, buona scuola!” e senza attendere una risposta uscii di casa.


Chiusi la porta e mi ci fermai davanti, al centro esatto del marciapiede, per cercare la sciarpa che, molto probabilmente avrebbe dovuto trovarsi all’interno della borsa stessa.
Certe volte essere pigri per spostare un oggetto significava ritrovarlo facilmente nel punto esatto dove lo avevi lasciato; ed era bello non doverlo andare a cercare.
Sorrisi soddisfatta quando mi capitò fra le mani. La piegai in due e la allacciai al collo procedendo a passo spedito verso la fermata dell’autobus. Fortunatamente ce n’era uno che passava di lì in tempo per farmi arrivare al lavoro…a volte anche in anticipo. Era lontana solo un paio di isolati.
Ed io preferivo non prendere la macchina, a volte. Trovare un parcheggio era un miracolo.


Subito dopo aver messo piede in quel sudicio mezzo pubblico, mi guardai intorno: i posti erano quasi tutti occupati dai soliti studenti o da gente che andava a lavorare.
Gran parte di quelle facce le vedevo spesso, spessissimo. Regalai loro un sorriso e mi accomodai su un sedile accanto a un giovane con uno zaino abbandonato per terra, in mezzo ai piedi.
Non badai a guardarlo in viso, non che mi interessasse. Gli altri due posti liberi erano troppo lontani da me e la mia filosofia era ‘meno mi muovo più forze risparmio’
Poggiai il dorso della mano destra sotto il naso, rendendomi conto di quanto fosse gelato.
Mi strinsi leggermente nelle spalle mentre infilavo le mani nella borsa a rovistare fra le varie cianfrusaglie.
Dopo aver cercato abbastanza a lungo per un’ impaziente come me, ritrovai il mio fedele iPod, indossai le cuffiette e lo accesi lasciando scorrere i brani della playlist.
Lasciai che la voce di Rihanna mi inebriasse le orecchie. Chiusi gli occhi e mi rilassai non sentendo più neanche il rumore della strada o il chiacchiericcio dei passeggeri.
So shine bright tonight you and I we’re beautiful like diamonds in the sky’
Mi sentii picchiettare su una spalla e mi destai, come quando ti accorgi di esserti addormentato e non sai neanche come.
Mi tolsi una cuffietta e mi voltai verso colui o colei che mi aveva richiamata in vita dall’Ade.
Probabilmente era l’autista che mi avvertiva di essere arrivati a destinazione già da un bel pezzo.
Ma non incontrai gli occhi di quell’uomo. Piombai invece in un paio di occhi marroni sconosciuti ma allo stesso tempo dannatamente familiari che mi sorridevano e mi illuminavano più dello stesso sorriso che mi stava offrendo.
Ciao!” Mi sentii investita da tutto quell’entusiasmo improvviso e questo mi innervosì parecchio…ceh MI SONO APPENA SVEGLIATA, PORCA MISERIA.
Ci conosciamo?” Ecco la prova tangibile di quanto io possa essere stronza e insopportabile e INTRATTABILE, soprattutto dopo un malo risveglio come quello.
Il sorriso sulle labbra gli era morto all’istante. E subito dopo mi sentii quasi in colpa, quasi.
Si…quel sabato…la festa da George…quella notte…” L’avevo messo in difficoltà. Val-‘Sconosciuto’ 1-0, palla al centro.
Corrugai la fronte, sforzandomi di ricordare, e ce la misi davvero tutta. Quelli che ne uscirono fuori furono una serie di ricordi sfogati, delle scene che si susseguivano al rallenty.
Le sue mani sul mio corpo, i suoi baci ad infuocarmi la pelle, il mio respiro affannato e i nostri corpi fusi in uno.
Ehi ehi, niente fraintendimenti! Questa era la terza volta che facevo una cosa del genere in quasi vent’anni di vita, un po’ di divertimento ci stava!
NON sono una poco di buono e NON apro le gambe al primo che ci prova con me, tanto per chiarire.
Purtroppo mi piaceva bere, e ubriacarmi ogni tanto…
Avevo ripetuto tante volte il suo nome, quando mi aveva portata all’apice del piacere, e adesso nemmeno lo ricordavo…Loui..Lau..Liam? Si, forse si chiamava così.
Liam, giusto?” Lo indicai distrattamente mentre spegnevo la mia adorata fonte di musica riponendola nella borsa.
Il suo viso si illuminò. “Esattamente
Gli sorrisi, diciamo per compassione…mi faceva tenerezza in quel momento. “Grazie della serata
Ecco, l’ho detto. Ora girati dall’altro lato e non mi guardare più in faccia, cazzo!
Bisogna rifarla assolutamente!” Concordò estasiato.
Inarcai un sopracciglio senza che mi vedesse.
Si si, certo, guarda. Appena esco di qui ti assalgo, ora -ahimé- devo trattenermi perché siamo in pubblico e sarebbe davvero troppo imbarazzante…
Già
Per i restanti 3 minuti scarsi di viaggio, avevo ignorato quel Liam e lui non aveva nemmeno più osato guardarmi.
Mi sentii stranamente soddisfatta.


Quando il bus si fermò mi catapultai giù insieme alle altre 60 -o forse più- persone che si ammassavano per scendere il prima possibile.
Riuscii a scansare una gomitata in pieno fianco, imprecando a denti stretti contro qualcuno che non se ne era nemmeno reso conto.
Prima di uscire cercai di scorgere la testa di quel ragazzo fra tutte le altre, ma non riuscii a trovarlo.


Una volta dentro il centro commerciale, nella mia avanzata, mi guardai intorno: era pressoché deserto se non fosse stato per qualche dipendente che si rilassava al bar o girava per i vari negozi.
Ciao!” qualcuno mi salutò.
Ah, ciao Sarah."
Salii sulle scale mobili e aspettai di raggiungere il secondo piano; ne approfittai per guardarmi intorno nella mia salita. C’era un negozio che offriva il 70% di sconto; con un moto di felicità mi ripromisi di farci un salto il prima possibile. Magari trascinandomi dietro Niall e divertendomi con Zoe nel vederlo soffrire.
Zoe e Niall erano i miei due migliori amici, che si erano pure messi insieme da poco. Da tanto non uscivamo insieme, causa impegni di qualsiasi tipo che non riuscivamo a conciliare.


Camminai lungo il piano, fermandomi di tanto in tanto ad ammirare i manichini tutti agghindati con i migliori capi d’abbigliamento.
Da lontano scorsi una figura appoggiata al muro, proprio accanto al ‘mio’ negozio.
Si trattava di un uomo, questo era sicuro. Aveva il viso coperto da un cappuccio blu, una mano nella tasca dei pantaloni mentre nell’altra stringeva il cellulare.
Mi fermai di scatto appurando che si potesse trattare di…Mark. E cominciai involontariamente a tremare, le gambe molli come gelatina, i battiti accelerati, la fronte imperlata di sudore freddo: paura. Semplice e pura paura.
Ebbi la voglia di scappare a gambe levate ma non potevo, sarei arrivata tardi a lavoro…e non era proprio il caso di perdere quell’aumento che non avevo ancora percepito, tra l’altro…
Perciò mi feci forza e ripresi a camminare, con un’andatura più lenta e -di certo- meno disinvolta.
Man mano che mi avvicinavo, la fitta allo stomaco che stavo provando diventava sempre più forte, quasi soffocante.
Vi starete chiedendo: ‘Chi cazzo è questo Mark?’
Bene. Mark era un mio ex, quello pazzo e violento. Quello che avevo immediatamente mollato quando si era mostrato improvvisamente possessivo e geloso sopra ogni livello, quello che mi seguiva a distanza in qualunque posto io andassi. Quello che mi chiamava continuamente o mi inviava messaggi deliranti, lo stesso Mark che mi aveva quasi violentato trascinandomi in una stradina appartata del centro cittadino…quello che ghignava mentre mio fratello lo prendeva a pugni in faccia….quel bastardo che aveva sbattuto la porta di casa sussurrando un ‘Non finisce qui, mia cara’ che purtroppo avevo sentito solo io. Non avevo rivelato nulla di quello che mi stava facendo a Lou per non farlo preoccupare ulteriormente, doveva affrontare gli esami ed era già abbastanza stressato per questo.
E poi…sono sempre stata troppo orgogliosa e ‘indistruttibile’ per ammettere che avevo un disperato bisogno d’aiuto.
Mio fratello aveva notato un mio notevole cambiamento in quel periodo, esattamente 3 anni fa, quando ero ancora una stupida minorenne inesperta: non toccavo più cibo, ero dimagrita talmente tanto che mi si vedevano le ossa. Fui anche capace di sfiorare l’anoressia…mi facevo perfino schifo da sola a guardare il mio riflesso scarno e i miei occhi contornati da profonde occhiaie violacee allo specchio.
Mi ero chiusa in casa, convinta che solo lì potessi stare al sicuro; mi facevo venire le crisi di nervi anche se solo mi si diceva di metter qualcosa sotto i denti, piangevo e urlavo come un’ossessa senza che nessuno potesse farmi calmare; nemmeno Lou ci riusciva più dopo un certo punto. Poveretto…quante notti insonni gli avevo fatto passare perché facevo dei brutti sogni.
Mi svegliavo sudata e ansante nel cuore della notte e urlavo, urlavo a pieni polmoni, senza preoccuparmi di nessuno.
Era come se il mio corpo e la mia testa non rispondessero più ai miei comandi. MAI gli avevo rivelato nulla, però.
Fino a una di quelle che erano ormai giornate abituali. 
Al suo ‘Ti prego Am, soffro a vederti così senza poter far nulla’ sussurrato una notte mentre si passava una mano sul viso, stanco, dopo essere accorso nel mio letto a convincermi che si trattasse solo di un incubo, cedetti e gli raccontai ogni cosa.
Fra singhiozzi strazianti e spasmi che facevano sussultare quel corpo diventato ormai così esile…parlai.
Sputai fuori ogni cosa, sentendo il peso sul mio stomaco alleviarsi ad ogni parola che usciva dalle labbra. Non potevo nascondergli ancora questa faccenda, ormai aveva visto quanto non stessi bene, mi vedeva peggiorare e degenerare lentamente, avere reazioni da pazza isterica di punto in bianco e poi si sentiva rispondere ‘Non ho niente.’
Solo Zoe era a conoscenza della situazione che vivevo, ma le avevo fatto giurare di stare zitta, anche se lei ogni giorno mi incitava a parlare con Lou e, come al solito, finivamo per litigare perché non potevo neanche più sfogarmi con lei senza che non andasse a parare su mio fratello.
Mi stavo distruggendo la vita con le mie stesse mani.
Fortunatamente grazie a Wil, a Zoe e allo psicologo, tutti i tasselli del mio puzzle si erano rimessi ognuno al proprio posto e di…Mark nemmeno l’ombra. Ritornai ad essere la ragazza solare di sempre, quella che sprizza vitalità da ogni poro.
Si, quella Valerie stava ricomparendo più velocemente di quanto tutti -perfino me stessa- si aspettassero.
E quella brutta esperienza mi aveva resa ancora più forte. Da allora mi costruii un guscio di protezione e divenni la classica ‘mangia uomini’ che tutti consideravano e considerano stronza, senza cuore o peggio ancora puttana.
E dire che a quel bastardo avevo donato tutto…perfino la mia purezza, la mia verginità.  Però preferisco essere considerata quella che non sono pur di non raccontare nulla di quello che mi accadde, del mio periodo buio.
Non deve saperlo nessuno: nemmeno i miei genitori, nemmeno Niall.
Passai davanti a quel ragazzo senza degnarlo di uno sguardo, sperando che, di chiunque si trattasse, non stesse aspettando proprio me.
Perché non poteva trattarsi di Mark, erano passati 3 anni, cazzo!
Si deve essere rassegnato ormai…
Stavo per tirare un sospiro di sollievo dopo averlo superato, bramando di potermi trovare fra quelle quattro mura accoglienti e familiari del negozio in cui lavoravo, in cui potevo buttarmi addosso a qualcuno con la scusa di ‘un po’ d’affetto’ ma non potei: mi sentii tirata violentemente per un polso e mi trovai contro il petto di quel qualcuno.
Provai a urlare ma due braccia mi stringevano fortissimo impedendomi quasi di respirare.
Cominciai a tremare come una foglia.
Quello non mi sembrava lui, non era il suo corpo, non erano i suoi muscoli. Non riconoscevo nemmeno il suo profumo…o forse il mio subconscio, così preso dal volerlo dimenticare ci era riuscito talmente tanto bene che, se ce l’avessi avuto davanti, non l’avrei neanche riconosciuto.
Non riuscivo a muovermi, ero paralizzata e il mio corpo non rispondeva: déjà vu.
Una lacrima calda e amara seguita da un singhiozzo strozzato, mi rigò la guancia depositandosi sul suo petto.
Due mani mi si posarono sulle braccia e fui allontanata all’istante.
Non stavo capendo più nulla.
Nello stesso tempo che alzai il viso, lui lo abbassò, ma con mio grande stupore non incontrai i suoi occhi verdi, bensì…








  
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