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Autore: brunettes    27/01/2013    2 recensioni
Ero bloccata, era come se non avessi più ossa nel corpo, muovermi era impossibile. Troppa paura di agire, di guardarlo, troppa paura di sentire ancora una volta quelle parole che mi stavano torturando la mente. Era colpa sua se stavo così male, se non riuscivo più a trovare uno scopo alla mia vita, mi aveva distrutta emotivamente e potevo incolparlo quanto volevo, ma non era solo colpa sua.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due.
 
 
Dopo dodici stancanti ore di aero, Ruthi arrivò a Londra, dove il mal tempo e la pioggia non mancavano di certo, ma per lei Londra restava magica lo stesso. Scese dall’areo e si avvicinò al nastro trasportatore per prelevare i suoi bagagli. Sentiva il suo cuore battere forte, non poteva negarlo, una parte di lei era felice di riabbracciare suo padre, lui era stato un punto di riferimento per lei, al contrario della madre sapeva quanto suo padre le volesse bene, ma tutte quelle certezze sparirono non appena varcò la soglia di casa sette anni prima. Prima di andarsene le disse che sarebbe stato via per un po’, per questioni di lavoro ma che sarebbe tornato prima di quanto pensasse, ma Ruthi non era stupida, sapeva che non era vero. Aveva ascoltato per anni tutte le liti dei genitori, nascosta dietro il muro della sala, le sarebbe piaciuto crescere in un ambiente felice, ma tutto ciò che la circondava erano urla e odio. Forse era quello uno dei tanti motivi per cui non aveva mai creduto nelle favole e nell’amore, non sapeva cos’era, non l’aveva mai visto e questo era triste per una bambina di dieci anni.
Un tuono la riportò sul pianeta terra, prese tutti i suoi bagagli e uscì dall’aeroporto dove c’era suo padre vicino un’enorme macchina nera sotto un ombrello con un sorriso a trentadue denti. Non si poteva dire lo stesso di Ruthi, nonostante le fosse mancato e avesse una voglia matta di correre ad abbracciarlo, si fece bloccare dall’orgoglio. Non poteva perdonare su due piedi sette anni di assenza. Si avvicinò lentamente trascinando i suoi pesantissimi bagagli. Il sorriso di Robin, si allargava sempre di più vedendola avvicinarsi, mentre Ruthi voleva solo scappare via. L’uomo strinse la figlia più forte che poteva, felice di rivederla, la ragazza rimase impassibile senza ricambiare l’abbraccio.
-Piccola mia, mi sei mancata! Quanto sei cresciuta!- le disse, con le lacrime agli occhi. ‘Ti mancavo anche in questi sette anni?’ avrebbe voluto rispondere la ragazza.
-Com’è andato il viaggio? Tutto bene? Hai fatto qualche incontro sgradevole?- continuò l’uomo sulla quarantina. Era alto, aveva i capelli brizzolati e una grande pancia. Ruthi rise mentalmente, il padre era cambiato, si era fatto più vecchio, ma la pancia era sempre lì.
-Possiamo andare per favore? Mi sto bagnando- disse fredda e distaccata la ragazza. Il sorriso di Robin si spense, non si aspettava di certo un caloroso abbraccio dalla figlia dopo essere stato assente per sette lunghi anni, però nonostante tutto, quella freddezza lo feriva. Posò i bagagli nel cofano e partì. Provò più e più volte a dialogare con la ragazza, ma invano. Quest’ultima era concentrata a contare tutte le gocce sul finestrino dell’auto. Aveva mille pensieri per la testa ma allo stesso tempo era vuota. Prima di quanto se ne accorgesse erano arrivati fuori una villetta con un grande giardino sotto il portico c’era un dondolo. Ruthi era quasi incantata, non che la casa dove viveva prima era brutta, era moderna, stile tipico del quartiere in cui viveva, questa invece era…diversa. Il padre scese dall’auto e lei fece lo stesso. La pioggia aveva cessato di cadere. Andò dal padre per aiutarlo con le sue innumerevoli valigie, poi lo seguì fino all’entrata. Appena varcò la soglia un calore la avvolse insieme a un profumo di pasta a forno e deodorante*.
-Posa pure qui le valigie, le sistemeremo dopo, vieni ti presento gli altri- disse Robin, prendendo la mano della figlia, che prontamente si spostò. Con sguardo demoralizzato e imbarazzato, portò la figlia nella sala da pranzo dove c’era sua moglie e i suoi figliastri, in compagnia della band, seduti sul grande divano di pelle, ad aspettarli. Appena entrarono si alzarono tutti in piedi. Per prima si avvicinò Anne che le porse la mano con uno sguardo carico di dolcezza, neanche la conoscesse da tutta una vita. –Piacere cara, sono Anne, la moglie di tuo padre, tu devi essere Ruthi!- disse la donna –Tuo padre mi ha parlato molto di te, ma non mi ha mai detto che sei una così bella ragazza- continuò. ‘questo perché non si ricordava nemmeno di avere una figlia’ pensò la diciassettenne, che si ritrovò ad annuire sperando che quella situazione terminasse al più presto. La donna ritrasse la mano e affiancò il marito che le strinse la mano. Poi fu il turno degli altri presentarsi, e come prima, Ruthi non spiaccicò parola.
-Dov’è la mia stanza?- fu l’unica cosa che disse.
-Vieni, ti faccio vedere- rispose il padre. Presero le valigie e salirono le scale, fino a ritrovarsi al terzo piano della villetta. La stanza era non era molto grande, aveva un piccolo bagno e un armadio abbastanza grade da contenere tutti i vestiti di Ruthi. Sotto la grande finestra c’era un divanetto* cosa che subito attirò l’attenzione dalla giovane. Aveva lo stesso divanetto nella sua vecchia stanza. Di fronte l’armadio c’era una grande scrivania e dal lato opposto un enorme letto con un piumone bianco. Le pareti della stanza erano verde petrolio il colore preferito della diciassettenne. Sorrise, quella stanza le piaceva.
-Spero ti piaccia- iniziò il padre –ho dipinto le pareti io stesso!- si vantò l’uomo, come se avesse compito una missione di salvataggio dell’intero pianeta, Ruthi sorrise mentalmente sapeva quanto era appagante per il padre compiere piccoli gesti come quelli.
-Si grazie, è magnifica- disse sinceramente, rivolgendo il primo sorriso della giornata, all’uomo grosso e panciuto.
-Bene, ti lascio disfare le valigie- disse Robin avvicinandosi alla porta –ti chiamo quando è pronta la cena- la figli annuì, posando una delle tante valigie sul letto per tirare fuori i vestiti. –Ah Ruthi- la chiamò il padre sull’uscio della porta. La riccia si girò a guardarlo invitandolo a continuare.
-Sono contento che tu sia qui- continuò, con gli occhi colmi di gioia e pentimento, per aver lasciato una bambina con una bugia e soprattutto nell’ambiente sbagliato per crescere in serenità, lui lo sapeva.
Di tutta risposta la ragazza, si girò senza rispondere all’affermazione del padre e continuò a fare quello che stava facendo. Il padre era sincero, era davvero contento di averla di nuovo vicina, lei lo sapeva, ma le faceva ancora troppo male.






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*Non sapevo come dire lol (?) *Con divanetto sotto la finestra intendo questo: http://4.bp.blogspot.com/-mzC6sVEpp5o/TpP4YYAx4zI/AAAAAAAABs0/wS7tdIdYVC4/s1600/1314874486348328.jpg Salve gente! Ho finalmente pubblicato il capitolo, spero che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio a tutte,
Ale.
  
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