Angolo
"Signora,
così mi fate arrossire".
Nel
dire questo, Casanova inclinò il capo e arricciò
gli
angoli della bocca, in modo malizioso e maledettamente sensuale.
Per
quanto comprendesse l'enormità della bugia, Beatrice Galvani
scoppiò in una risatina acuta, terribilmente infantile.
Pensava
che quel giovanotto sapeva davvero come trattare le donne. Un bel
visino, un consono abbigliamento, qualche lusinga ricercata e lo
sguardo che indugiava spesso, come stesse già decidendo
quale
nastro sciogliere per iniziare a spogliarla.
Aveva
fatto bene ad invitarlo in camera sua, nel palazzo affacciato sul
Canal Grande. Le si era avvicinato qualche giorno prima, per strada,
presentandosi con un inchino. Lei aveva immediatamente colto
l'occasione, riferendogli per pura casualità che il signor
Galvani era fuori città, a Genova, per sbrigare alcune
commissioni.
Ed
ora eccola lì, assieme al desiderio proibito dell'intera
Venezia femminile, sicura che la serata sarebbe stata di suo completo
gradimento.
Casanova,
dal canto suo, era parzialmente soddisfatto. Certo Beatrice possedeva
una bellezza particolare, addirittura sfolgorante, nulla da ridire in
questo. E poi era una baronessa sposata, cosa che rendeva le
"pratiche" ancor più pericolose per lui, una vera
scarica di adrenalina. Il suo "gusto del brivido", come lo
chiamava con Giovanni. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa il
fatto che fosse stato tutto fin troppo facile: due semplici parole
disinibite e la ragazza era letteralmente caduta ai suoi piedi; gli
aveva concesso un incontro quasi supplicandolo di presentarsi il
prima possibile. Se fosse stato al suo posto, avrebbe fatto un minimo
accenno di resistenza, perlomeno per verificare se egli era
sinceramente interessato. Avrebbe aspettato qualche giorno in
più,
per far accrescere l'ansia e la bramosia. Quindi avrebbe fatto
recapitare un messaggio carico di significato, nell'attesa di vederlo
finalmente giungere con le prime ombre della notte.
Sì,
decisamente così sarebbe stato
divertente.
Ma
non si può sempre voler tutto, e Casanova aveva
già
abbastanza. Perciò nascondeva le sue perplessità
e si
accingeva a trascorrere un'altra delle sue notti di follia.
Lei
era seduta su una poltroncina dorata, stava finendo di sciogliersi i
capelli. Riccioli ambrati cadevano sulle spalle, mentre le forcine
venivano tolte, ad una ad una. Quando fu l'ultima, Beatrice
sentì
scostare la chioma per scoprire il collo. Un dito lo sfiorò,
causandole brividi che scesero lungo tutto il corpo. Quanto aveva
atteso questo momento. Un uomo che potesse far affiorare in lei un
piacere travolgente, che animasse nel più intimo il suo
corpo
di fanciulla.
Piccoli
baci sostituirono le carezze ed ella inclinò il capo,
chiudendo gli occhi per lasciarsi andare.
"Sono
vostra, Casanova", sussurrò sospirando.
"Per
questa sera sì, mia cara", mormorò lui, mentre
iniziava a slacciare i cordoncini della sua veste.
Ciò
che avrebbe scoperto Casanova, uscendo dalla dimora quasi al
rischiarare del nuovo giorno, è che un paio di occhi bene
attenti li avevano spiati.
Il
signor Galvani non era dopotutto così ignorante come la sua
età avrebbe potuto far pensare: sapeva benissimo che la
moglie, prima o poi, avrebbe tentato una tresca di qualche genere.
Era troppo bella e troppo giovane per non lasciarsi andare alle
passioni della carne.
Per
questo, a sua completa insaputa, aveva sistemato la stanza in modo
che uno stretto corridoio vi giungesse da uno dei bagni. Non vi era
nessuna porta nascosta, solo una piccola grata assolutamente
irriconoscibile dall'interno della camera, ma che riusciva ad
assicurare una discreta visibilità ad un eventuale
osservatore
inopportuno.
Sfortunatamente
per i due, proprio il più fedele servitore di Galvani aveva
udito delle voci passando per i corridoio principale, e quindi
pensato bene di dare un'occhiata. Era stato molto semplice, poi,
imprimersi bene nella mente il volto del visitatore e venire a
conoscenza (con un ghigno terribilmente soddisfatto) che si trattava
proprio del famoso Casanova.
Lo
scotto che egli dovette pagare fu repentino. Lo aspettavano subito
dopo svoltato l'angolo, nascosti. Casanova aveva fatto di tutto per
essere discreto e non destare alcun sospetto uscendo dal palazzo, ma
era già troppo tardi. I suoi passi lo conducevano
inesorabilmente verso di loro. Erano in quattro, più lo
spione. Quando quest'ultimo vide il reo proprio davanti a
sé,
puntò l'indice nella sua direzione.
"E'
lui."
Casanova
non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di ciò che stava
accadendo, figuriamoci reagire. Gli furono immediatamente addosso,
tenendogli gli arti, il torace e la bocca. Gli fecero perdere
l'equilibrio, cadde sul selciato sudicio e umido della calle. Con il
viso poggiava per terra e poteva vedere il limitare della
stradicciola, di fianco il quale scorreva l'acqua di un canale. Il
suo odore acre era insopportabile da quella posizione.
"Potrei
sapere che cosa..." azzardò biascicando.
"Silenzio!
Non siete nella condizione di protestare".
Nel
momento in cui Casanova acquisì più
lucidità,
capì che non lo avrebbero picchiato e decise immediatamente
di
evitare di ribellarsi: gli uomini erano delle guardie ufficiali, non
semplici delinquenti. Indossavano le tipiche divise rosso e blu, e
gli intimavano di non muoversi mentre lo legavano ben stretto. Dato
che le cose stavano così, qualsiasi mala reazione non
avrebbe
fatto altro che peggiorare la situazione.
Con
una smorfia, mentre lo facevano rialzare, immaginò a cosa
sarebbe andato incontro.
I
suoi timori vennero fondati quando capì che lo stavano
accompagnando al Palazzo Ducale.