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Autore: giustino pavesino    29/01/2013    3 recensioni
Come mio solito ero rintanata nei bagni di scuola e tenevo fra le labbra screpolate e sottili una sigaretta.
Insipravo, espiravo, e vedevo passarmi davanti la vita senza coglierne nemmeno un briciolo.
Era questo quello che facevo da diciassette anni a questa parte; trascorrevo le mie giornate fumando e passeggiando sotto la pioggia fissando il pavimento e pensando a come pianificare il mio suicidio.
"Non c'è niente di male nel chiedere un aiuto"
Facevano di me una psicopatica, e puntualmente mi emarginavo ancora una volta dal resto del mondo, e mi piaceva, mi piaceva essere sola e non avere nessuno con cui parlare, mi piaceva sapere di non avere nessuno di cui preoccuparsi, di vivere la vita alla giornata.
Niente preoccupazioni, niente guai, niente di niente, solo solitudine.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Justin's pov

Aprii piano gli occhi richiudendoli poco dopo a causa dei raggi di sole che penetravano dalla finestra posta alla mia destra e mi alzai.
Sulla sedia di legno accanto al mio letto c'era la solita felpa sciupata e i soliti jeans stropicciati che infilai velocemente dopo aver fatto una doccia.
La casa era vuota, mia madre era già a lavoro da qualche ora e così ne approfittai per saltare la colazione che puntualmente mi imponeva.
Non avevo voglia nemmeno di mangiare, sapendo che poco dopo avrei avuto i conati di vomito.
Ci avevo preso l'abitudine, a scuola rubavano la mia merenda e a casa trovavo in un modo o nell'altro una scusa per saltare pranzo e cena.
Era un grido di aiuto il mio, un grido che però, non veniva ascoltato da nessuno.
Mia madre era troppo occupata a lavoro per accorgersene e non avevo amici con cui parlare.
Il giorno prima ero uscito di casa con indosso i soliti panni ed ero andato a  cercare un po' di tranquillità agli argini di un fiume.
La mia presenza non fu gradita, però, dato che Hannah mi precedette.
Non l'avevo mai vista lì nè avrei mai pensato che sarebbe andata in un posto simile.
A scuola la vedevo sempre scappare da un'aula all'altra in completa solitudine e prendere il cibo dalla mensa consumandolo nel cortile di scuola.
Non gli piaceva avere gente intorno, questo era chiaro, ma quando la incontrai il giorno prima sperai di poterle parlare e trovare in lei un minimo di consolazione.
Sapevo che lei poteva capirmi, che probabilmente, se solo si fosse sforzata di mettere da parte l'orgoglio, saremmo potuti diventare amici.
Si era alzata e mi aveva guardato a malo modo andandosene dalla parte opposta, e mi rassegnai sul fatto che nessuno sarebbe mai stato mio amico.
Guardai l'orlogio attaccato alla parete bianca e mi accorsi che mancava poco al suono della campanella.
Di solito ero il primo ad arrivare a scuola per poter correre in classe quando gli altri sarebbero arrivati, ma quella mattina non ne ebbi la possibilità.
Mancavano si e no una quindicina di minuti, così afferrai di corsa la cartella - se così si potesse chiamare - e me la misi sulle spalle prendendo le chiavi di casa.
Mi incamminai a piedi verso scuola poichè persi volontariamente il piccolo bus che mi ci avrebbe portato in pochi minuti per non subire ulteriori prese in giro e cacciai dalla tasca della felpa il mio mp3, l'unico ogetto "tecnologico" che avessi oltre al cellulare che mi diede mia nonna pochi giorni prima, ma pur sempre quello più importante.
Quando arrivai il cortile era deserto e sperai con tutto me stesso di non incontrare Mike e la sua banda di bulli per evitare un altro braccio rotto o un occhio nero.
Mi ripetevo sempre "è così che finirai".
Fortunatamente non trovai nessuno ad aspettarmi vicino al mio armadietto imbrattato di scritte e pieno di minacce, insulti e auguri di morte.
Sospirai e lo aprii, dentro non c'erano più tutte le foto mie e di mia madre che tenevo lì dentro e mi davano la forza di non abbattermi quando venivo pestato a sangue, ora erano ricoperte di scarabocchi ed altre scritte, altre ed altre ancora.



Hannah's pov

Una volta finite le lezioni mi intrufolai nei bagni - come mio solito - per poter fumare e dopo una decina di minuti mi diressi verso la mensa.
Sicuramente dopo ci sarebbe stato tanto da guardare fra i corridoi.
Sangue, sangue e solo sangue.
Ogni volta mi domandavo come ci si sentisse, e mi bastava vedere gli sguardi vuoti e persi delle persone che incrociavo a lezione o nei corridoi e che quotidianamente subivano tutte quelle turture.
E mi sentivo fortunata, seppur solo per un secondo, perchè poi ricordavo la vita che facevo e mi dicevo che avrei preferito esserci io al loro posto.
Stranamente quando arrivai alla mensa era semi-vuota.
E cosa che dava più all'occhio era quella che Mike e la sua banda non c'erano, e ciò significava una sola cosa.
Erano occupati con Justin.
Sospirai e indietreggiai camminando fra i corridoi, sapevo che prima o poi lo avrei visto - così come tuttu gli altri studenti - circondato da una pozza di sangue e immobile se non si fosse mosso a reagire.
Difatti era vicino al suo armadietto steso sul pavimento freddo e sporco e si teneva la pancia, probabilmente lo avevano colpito lì.
Gemeva e serrava la mascella, poi per un attimo mi guardò.
Uno sguardo pieno di odio, pieno di dolore, uno sguardo che cercava aiuto.
"Sono sicuro che la mamma te ne comprerà uno più costoso" ringhiò uno della banda, calandosi sulle ginocchia.
Infilò una mano nella tasca dei suoi jeans e ne cacciò fuori un cellulare, uno di quelli che si portavano decine e decine di anni fa, l'unico che poteva permettersi.
Si alzò e lo guardò divertito, poi lo lasciò cadere per terra e ci mise su un piede.
Si elevò una risata generale e nella mia testa scattò il panico.
Volevo aiutarlo e non potevo.
Non potevo perchè non volevo, non volevo perchè io, al suo posto, non avrei voluto la compassione di nessuno.
Mi guardò ancora una volta, poi strusciò la guancia rossa e colma di lacrime sulla felpa che indossava e poggiò i palmi per terra cercando di alzarsi.
Tom - il ragazzo che prima aveva calpestato il suo "cellulare" - allungò una gamba e poggiò il piede sulla sua schiena, costringendolo a tornare nella posizione precedente.
Quando i miei occhi si scontrarono ancora una volta con i suoi mi strinsi nelle spalle e alzai le mani in segno di resa come per fargli capire che non potevo intromettermi.
Perchè io non potevo aiutarlo.
Perchè molto probabilmente dopo avrebbero pestato anche me.



 

Aloha!
salvee! sono tornata c:
premetto che è la prima volta che mi cimento in una cosa simile quindi spero non ne sia uscito qualcosa di penoso più di tanto e che nonostante tutto abbiate apprezzato :)
ringrazio davvero tanto le ragazze che hanno recensito il prologo sbgvtrgjtr, siete state carinissime!
vorrei che chi si è fermato a leggere spendesse qualche secondo anche a lasciarmi una recensione perchè vorrei sapere cosa ne pensate, altrimenti sarò sempre indecisa se andare avanti o no
alla prossima, un bacione,
Jade
  
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